Lunedì 10 maggio 2021
Il 30 aprile e 1° maggio ho avuto modo di partecipare all’incontro online dei Fratelli comboniani dell’Europa. Una bella ed interessante iniziativa, semmai da replicare per gli altri continenti. In questo mio contributo, vorrei soffermarmi sul tema «ministerialità e fraternità» come temi portanti, fondanti della vocazione-missione del Fratello comboniano d’oggi.

Comincio con la ministerialità: la sua mappatura e la condivisione circa la sua importanza, sono degli ottimi segni di come, nell’ambito dei Comboniani, la riflessione sul suo significato, portata profetica ed attuazione sul terreno, abbiano un’importanza primaria.

La ministerialità, le sue molteplici articolazioni/espressioni in primis, in Africa è come dire, la «chiave» per aprire la porta della missione con un atteggiamento fraterno, di simpatia verso le persone con le quali essa è vissuta/praticata. Certo, la ministerialità non è solamente una pratica, piuttosto essa nel quotidiano diventa quell’azione sociale volta al cambiamento così necessaria ed importante oggigiorno. La sua pratica nei contesti missionari/culturali/interreligiosi in cui noi comboniani viviamo/operiamo necessita di un aggiornamento o – come detto nel corso del dibattito – di spazi di crescita.

Per esempio, riguardo all’area di mio maggior coinvolgimento: il dialogo interreligioso. Quest’ultimo è di primaria importanza in un mondo dove il discorso religioso è spesso “tinto” da fondamentalismi di varia natura. L’esempio di Papa Francesco, avendo suscitato delle reazioni negative, è indicativo che la Chiesa cattolica, pur con le necessarie puntualizzazioni, è capace di far passi avanti verso una religione – l’Islam –, mettendo al centro la persona, il fratello in umanità che professa un credo religioso differente dal mio.

Tutto ciò è bello, importante e da vivere dove siamo. Se, infatti, penso alla «Tenda d’Abramo», accogliere questi suggerimenti di vivere fraternamente tra credenti è la base/radice stessa del suo essere, vale a dire, una piccola presenza, uno spazio dove l’interazione, la vita, l’amicizia, il conoscersi diventano l’alfabeto da coniugare quotidianamente.

Ciò mi porta a riflettere brevemente sulla seconda parola: fraternità. Essa è la modalità da assumere e vivere creativamente perché non è scontato che sia praticata. Se guardo alle nostre comunità, a volte il «muso lungo», il «fastidio», il criticare superficiale sono la negazione della fraternità. Il Fratello comboniano, per vocazione, è chiamato a costruire occasioni fraterne, con uno sguardo aperto, attento alle realtà quotidiane in cui vive la sua vocazione, non nel vacuum pretenzioso di mettere da parte il confratello (sia esso sacerdote o fratello), ma piuttosto coinvolgersi creativamente sia nella relazione interna – la comunità religiosa comboniana, la diocesi, gli altri religiosi – che, forse soprattutto, con il laicato, con il popolo di Dio, anche se esso è un piccolo segno come capita nei paesi a forte presenza musulmana.

Se c’è una cosa che apprezzo, che mi dà forza e speranza nel vivere la mia vocazione di Fratello comboniano, è proprio il fatto che la «Tenda d’Abramo» e la comunità comboniana di N’Djamena sono in un quartiere della capitale a prevalenza musulmana. Qui, nel giorno per giorno, s’intrecciano relazioni, conoscenze: non è idealismo di maniera, so che vivere in ambiente musulmano è complesso, a volte veramente difficile. Proprio questi aggettivi, penso, qualificano lo stile comboniano di una ministerialità fraterna nella realtà di un paese, il Ciad, dove le tensioni sociali, economiche, politiche, non ultima la pandemia Covid-19, sono presenti e forti.

L’augurio – la preghiera – è che, al di là della riflessione pur necessaria perché ci ha indicato i cammini ministeriali da migliorare, vivere ciò diventi sempre più espressione dell’attualizzazione della vocazione missionaria della Famiglia comboniana, creativamente fedele al carisma e attenta ai bisogni della gente a cui annunciamo la Buona Notizia di Gesù Risorto.
Fratel Enrico Gonzales, mccj