Sabato 23 ottobre 2021
Prendo come titolo di questa riflessione sul nostro processo di preparazione del XIX Capitolo Generale un’espressione usata da Papa Francesco che, di recente, ha ricordato come “tutti gli istituti – siano religiosi o movimenti laicali – abbiano il dovere di verificare, nelle assemblee o nei capitoli, lo stato del carisma fondazionale e fare i cambiamenti necessari nelle proprie legislazioni”. [...]

Lo stato del carisma fondazionale

P. Manuel Augusto Lopes Ferreira, mccj

Prendo come titolo di questa riflessione sul nostro processo di preparazione del XIX Capitolo Generale un’espressione usata da Papa Francesco che, di recente, ha ricordato come “tutti gli istituti – siano religiosi o movimenti laicali – abbiano il dovere di verificare, nelle assemblee o nei capitoli, lo stato del carisma fondazionale e fare i cambiamenti necessari nelle proprie legislazioni”.[1]

Mi propongo di dare un contributo a questo processo ed è importante, fin dal principio, sottolineare lo scopo dell’esercizio che si intende fare, mirare, cioè, all’obiettivo che abbiamo a cuore in questo capitolo generale, verificare cioè “lo stato del carisma fondazionale comboniano.” Di conseguenza, il processo di preparazione del capitolo va misurato su questo fine ultimo, che è sì, l’ultimo ad essere raggiunto ma il primo a doversi tenere a mente, per mantenerci focalizzati durante il processo di preparazione e realizzazione del prossimo capitolo generale.

Partiti in svantaggio

Di fronte a questo scopo ultimo del capitolo – di questo, perché di ogni capitolo – bisogna dire che abbiamo iniziato il processo di preparazione in svantaggio, per una causa imprevista; mi riferisco al contesto della pandemia che vi ha gettato sopra come un’ombra, un manto di incertezza che non ha aiutato alla riflessione e al coinvolgimento di tutti.

Inizialmente convocato dal 5 settembre al 10 ottobre 2021, il XIX Capitolo Generale ha dovuto essere sospeso e riprogrammato per una nuova data, dal 1º al 30 giugno 2022. Se alla prima convocazione è seguito un tempo d’incertezza che ha smobilitato l’interesse generale, occorre adesso vivere un tempo d’interesse e coinvolgimento, superando lo spirito di apatia – una passività che ci ha tenuti in una posizione guardinga – e quell’atteggiamento che ci ha portati a lasciare in sospeso il coinvolgimento personale.

Un altro fattore non ha favorito il coinvolgimento di tutti: il fatto di avere quattro tematiche e cammini di riflessione per la verifica capitolare, Missione, Formazione, Regola di Vita, Sostenibilità (Economia). Questa varietà tematica ha causato una dispersione d’interesse per il capitolo, secondo le responsabilità che ognuno ha e il proprio ambito di lavoro (la Formazione e l’Economia sono finite in mano agli addetti ai lavori, per esempio).

Occorre trovare il modo di ricondurre le varie tematiche alla loro unità originale e l’indicazione del Papa ci aiuta a riportare questa diversità alla sua unità e all’interesse di tutti.

Nel XIX Capitolo Generale siamo chiamati a verificare lo stato del carisma fondazionale comboniano in rapporto alla missione, alla formazione, alle regole del nostro vivere comune e all’economia. Questa responsabilità è di tutti, realizzata in modo sinodale e per mezzo della delega capitolare. La revisione dei quattro ambiti della vita e missione comboniana va fatta non solo per aggiornare le cose e sintonizzarci con i tempi né, tantomeno, per rispondere alle nostre insoddisfazioni con un’ennesima revisione; va fatta soprattutto per verificare la loro validità attuale alla luce del carisma fondazionale.

Abbiamo parlato di apatia, mancanza d’interesse e di coinvolgimento. Naturalmente, queste espressioni possono essere contestate… sono impressioni personali che nascono da quello che leggiamo su incontri e assemblee provinciali e continentali, sul numero (bassa percentuale) delle risposte ai questionari, sullo scarso numero di riflessioni apparse nelle nostre pubblicazioni e sul sito www.combonimission.net, allestito proprio per favorire la libera discussione e partecipazione di tutti. Non avendo altro modo di valutare la partecipazione, questi indicatori parlano da sé e possono essere presi come espressione di uno stato d’animo.

Nel comunicato sul XIX Capitolo Generale[2] e con la nuova data, il Consiglio Generale ha anche aggiornato il calendario del cammino verso il capitolo, offrendoci l’opportunità di prendere un nuovo respiro e impegno nel processo di preparazione; non basta riscrivere le date, occorre rinnovare lo spirito della partecipazione. In questo senso, c’è una coincidenza ecclesiale che viene in nostro aiuto: le nuove date collocano il nostro cammino di preparazione del capitolo nel contesto ecclesiale del cammino di preparazione del nuovo sinodo (dall’ottobre 2021 all’ottobre 2023).

Recuperare l’ispirazione

Anche qui, di nuovo, le indicazioni di Papa Francesco possono aiutarci a superare le difficoltà che abitualmente troviamo nei nostri processi di riflessione e revisione: apatia, chiusura individuale, incapacità ad ascoltarci, spirito di parte, eliminazione della nostra responsabilità, delegando ad altri. Francesco parla di “un itinerario pensato con un dinamismo di ascolto reciproco. Ascoltarsi; parlarsi e ascoltarsi. Non si tratta di raccogliere opinioni, no. Non è un’inchiesta, ma si tratta di ascoltare lo Spirito Santo”[3].

Spronati da quanto ci dice Francesco sull’ascolto e sul camminare assieme, dobbiamo chiederci se non parla (anche) per noi, quando aggiunge: “Il tema della sinodalità non è il capitolo di un trattato di ecclesiologia, e tanto meno una moda, uno slogan o il nuovo termine da usare o strumentalizzare nei nostri incontri. No! La sinodalità esprime la natura della Chiesa, la sua forma, il suo stile, la sua missione”[4]. Infatti, dobbiamo ammettere che abbiamo difficoltà ad ascoltarci e a camminare assieme e che siamo più capaci di strumentalizzare termini e seguire protagonismi di moda che di sradicare i limiti che troviamo nei nostri processi di revisione e discernimento: “Si richiede da noi” ricorda il Papa, oltre ad una “continua inquietudine interiore... una grande docilità, grande umiltà, per riconoscere i nostri limiti e accettare di cambiare modi di fare e di pensare superati, o metodi di apostolato che non sono più efficaci, o forme di organizzazione della vita interna che si sono rivelate inadeguate o addirittura dannose.”

Partire dal carisma fondazionale

Nel passato, non tanto lontano, la questione del carisma fondazionale, cioè dell’identità del carisma comboniano, si giocava intorno alla questione della finalità dell’Istituto, un’impostazione che privilegiava la dimensione apostolica del carisma, lasciando nell’ombra altre dimensioni più personali, come la spiritualità. Quest’impostazione ha condizionato la riflessione nel capitolo generale del 1969 e la discussione che ha portato al famoso numero 13 della Regola di Vita[5] e alle sue ulteriori interpretazioni.

Oggi abbiamo coscienza che la considerazione sul carisma fondazionale deve avere un’impostazione più inclusiva e interiore, ridando valore alla personalità del fondatore e alla sua spiritualità. In una parola, considerare il dono particolare di grazia (carisma) concesso dallo Spirito al fondatore; cioè, guardare non solo all’agire apostolico del fondatore, ma al suo essere, all’individualità del suo cammino spirituale. La memoria del fondatore cerca di rendere presente nel nostro oggi il mistero di questa grazia, di questo dono all’origine dell’Istituto, per questo fondazionale, affinché continui ad illuminare la nostra vita, come ha illuminato quella del fondatore.

In questo senso, il carisma fondazionale è la pietra angolare di un carisma e missione condivisi tra i membri di un Istituto. La coscienza e il senso della “missione comune, condivisa” (oggi abbastanza smarrito tra noi) risulta non da un amalgama delle vocazioni/missioni individuali dei membri, ma dal potere di attrazione di una testimonianza carismatica, quella del fondatore, capace di attrarre e sostenere una sequela.

Francesco, di nuovo, ci ricorda che “appartenere a un’associazione, a un movimento o una comunità, soprattutto se fanno riferimento a un carisma, non deve rinchiuderci in una ‘botte di ferro,’ farci sentire al sicuro, come se non ci fosse bisogno di alcuna risposta alle sfide e ai cambiamenti”. Il Papa sembra suggerire qui un cambiamento di prospettiva: non siamo noi che possediamo definitivamente un carisma, ma è il carisma che, in modo dinamico e come realtà di grazia divina, ci possiede nelle stagioni della nostra vita, nelle varie epoche e generazioni dell’Istituto. Perciò, occorre “approfondirlo sempre meglio, riflettere sempre insieme per incarnarlo nelle nuove situazioni che viviamo;” in questo senso, siamo discepoli missionari “sempre in cammino, sempre in conversione, sempre in discernimento.”[6]

Nella verifica sullo stato del carisma fondazionale, incombe sui superiori e sulla gerarchia e su quanti esercitano la leadership ecclesiale una responsabilità particolare, una funzione di guida che Francesco definisce come servizio alla comunione: “Nessuno è padrone dei doni ricevuti per il bene della Chiesa – siamo amministratori, – nessuno deve soffocarli, ma lasciarli crescere, con me o con quello che viene dopo di me. Ciascuno, laddove è posto dal Signore, è chiamato a farli crescere, a farli fruttificare, fiducioso nel fatto che è Dio che opera tutto in tutti (cfr. 1Cor 12,6) e che il nostro vero bene fruttifica nella comunione ecclesiale.”[7] Dunque, l’esercizio dell’autorità e del discernimento, da parte dei superiori (capitolari ex-ufficio), o della rappresentanza capitolare, da parte dei capitolari eletti, non deve annullare la responsabilità personale di ognuno nella verifica dello stato del carisma fondazionale.

Lo stato del carisma

Come dono di grazia, il carisma fondazionale rimane un mistero, una realtà che ci viene data e perciò va accolta nella fede e lasciata crescere nella speranza e nell’amore. Se il nucleo divino del carisma rimane mistero da accogliere, i segni della sua presenza e della sua azione nella vita personale e nella vita dell’Istituto sono più visibili e possono essere verificati. È questo esercizio di verifica che ogni capitolo si propone di fare, per vedere se il carisma mostra la sua fecondità interiore e apostolica, se sta illuminando la vita dei membri e la vita e la missione dell’Istituto come tale. E la verifica va fatta da ognuno e da tutti, su orientamenti antichi e più recenti, sulle scelte fatte, naturalmente in modo adeguato e differenziato.

C’è una sensazione diffusa tra noi: che, nei suoi vari ambiti, il carisma fondazionale comboniano abbia progressivamente perso spinta, vitalità. L’intensità di questa sensazione varia secondo continenti e paesi, ma la sensazione costituisce un filo comune che unisce la varietà delle situazioni ecclesiali e sociali in cui viviamo.

Per rimanere nell’ambito delle quattro piste, dobbiamo interrogarci, prima di tutto, sullo stato del carisma fondazionale in rapporto all’evangelizzazione (missione). In Europa, certamente, viviamo un momento di perplessità che condividiamo con gli altri istituti missionari: non riusciamo ad incarnare e ad offrire alle Chiese locali, confrontate con la sfida dell’evangelizzazione del continente, un modello di missione che sia risposta feconda, secondo i frutti del cammino cristiano (che riproponga il primo annuncio, mostri capacità di convocazione e di iniziazione cristiana di persone e gruppi, dia risposta alle sfide di una trasformazione sociale e politica animata dal vangelo di Cristo).

Seguendo un modello di missione collaudato altrove, abbiamo abbracciato le varie cause nell’ambito sociale e politico (della giustizia e pace, delle migrazioni e della preservazione del creato…); queste scelte ci hanno tenuti occupati, ci hanno anche dato una certa rilevanza sociale e politica, ma ci hanno mantenuto su un percorso che ha dimenticato le altre dimensioni costitutive dell’evangelizzazione (annuncio, iniziazione cristiana) e non ci ha radicato nelle Chiese locali: i casi recenti di rifiuto, da parte di alcuni vescovi, ad accoglierci, noi e i nostri progetti, nelle loro diocesi o ad affidarci responsabilità nell’ambito missionario, sono di per sé indicativi di questa situazione; e la generalizzata mancanza di vocazioni nelle province d’Europa dice qualcosa su questa situazione di sradicamento del carisma missionario nelle Chiese locali e tra le nuova generazioni di cattolici europei.

Negli altri continenti (in Africa, per esempio), la sensazione può essere differente e più positiva, se guardiamo alla capacità d’inserimento nell’ambito sociale e di azione apostolica nelle Chiese locali. Ma anche qui, in una missione fatta a ritmo di progetti nell’ambito sociale e ecclesiale e manutenzione di parrocchie, c’è chi si chiede come mai, come Istituto, abbiamo smarrito la capacità di andare incontro alla gente con l’apprezzamento per la sua cultura e la conoscenza delle sue lingue; come mai ci siamo disimpegnati nell’incontro e nel primo annuncio, nella capacità di accompagnamento di persone e comunità, di preparazione dei ministeri ordinati e non ordinati (disimpegno nell’ambito della formazione, dei catecumenati e centri catechetici, nei seminari), portando avanti una presenza missionaria “mordi e fuggi,” che concede molto, forse troppo, ad una gestione della missione secondo il modello parrocchiale.

Chi scrive, com’è il caso, può certamente caricare le tinte e generalizzare. Ma, andando oltre le generalizzazioni, dobbiamo convenire che non si può evitare la necessità di una verifica dei modelli di missione che portiamo avanti nei vari continenti, col rischio di perdere l’identità missionaria e la significatività nella Chiesa. Noi, in modo particolare e come Istituto missionario, non dobbiamo dare per scontato il riconoscimento ecclesiale (nelle parole del Papa) che vede (anche) in noi “un chiaro segno della vitalità della Chiesa, una forza missionaria e una presenza di profezia che ci fa ben sperare per il futuro”. Essendoci chiaro, alla luce della nostra storia, che lo siamo stati nel passato, dobbiamo avere il coraggio di chiederci se lo siamo ancora nel presente. E sognando un futuro significativo, avere la coscienza che esso “va preparato qui e ora, imparando ad ascoltare e discernere il tempo presente con onestà e coraggio e con la disponibilità a un costante incontro con il Signore, a una costante conversione personale.”

Scriviamo questo, accogliendo come dirette a noi le parole del Papa ai movimenti. Li ha anche ammoniti su questo dare per scontata la fecondità apostolica e il (preteso) profetismo del loro carisma, rifiutando di confrontarsi con i segni dell’eventuale esaurimento carismatico: “Pensare di essere ‘la novità’ nella Chiesa e perciò non bisognosi di cambiamenti, è una tentazione che tante volte avviene (... e che) può diventare una falsa sicurezza. Anche le novità fanno presto a invecchiare!”[8]

Profilo missionario

La revisione della formazione, cioè del nostro percorso d’iniziazione al carisma missionario comboniano, costituisce un’altra tema del prossimo capitolo generale. Se guardiamo alle volte e al modo in cui questo tema è ritornato negli ultimi capitoli, siamo portati a pensare che esso sia diventato una fissazione capitolare, una luce rossa che non riusciamo a spegnere, indicatore di un problema irrisolto.

Negli ultimi anni, la revisione della formazione si è fatta su un modello di formazione unico per tutto l’Istituto, che prevedeva le stesse fasi formative per tutti i candidati. Inoltre, il modello ha mantenuto intatta la sua origine e natura: reduce dalla formazione impostata nei seminari, era pensato per candidati che, per età e psicologia, erano suscettibili di essere formati, cioè “configurati” ai valori e dinamiche proposte nel modello.

Gli ultimi anni hanno dimostrato l’inadeguatezza di questo modello. In Europa siamo arrivati ad un vicolo cieco, per quanto riguarda l’iniziazione al carisma comboniano (promozione vocazionale e formazione) e i limiti del modello sono evidenti: le province sperimentano un esaurimento per quanto riguarda il passaggio del carisma alle nuove generazioni e le ultime vocazioni in Europa non si adeguano, per psicologia e età, al modello formativo. In Africa, la situazione è diversa e il modello sembra reggere anche se aumentano i segnali d’incertezza, se guardiamo attentamente alla situazione. Due indicatori sono particolarmente importanti: il numero di candidati che abbandonano il percorso formativo durante il periodo dei voti temporanei e il numero degli abbandoni e delle crisi nei primi anni di ministero e di vita missionaria.

La verifica della formazione, al di là degli schemi e dell’impianto del modello formativo, costituisce un’occasione per vedere se il profilo dei giovani missionari comboniani africani, americani e asiatici, che si è imposto nell’attuale percorso formativo comboniano (e che possiamo eventualmente vedere nei candidati che lo hanno completato negli ultimi decenni), regge il confronto con il carisma fondazionale, cioè, con il carisma e il profilo del Fondatore: identità vocazionale missionaria, passione per Dio e per l’umanità, mistica del martiro e della consacrazione a vita, amore alla Chiesa e amore a quanti aspettano il Vangelo e la sua forza redentrice, capacità di servire la Parola di Dio e di edificare la comunità cristiana, dedizione al ministero ricevuto, capacità di promuovere una trasformazione sociale ispirata al Vangelo e incentrata nella rigenerazione (empowerment) delle persone e delle loro culture.

La verifica va fatta da parte di tutti i membri, riconoscendo ovviamente la priorità ai formatori e a quanti hanno esperienza di formazione. Ma la percezione dei membri dell’Istituto, nel loro insieme, è importante perché capta, in modo spontaneo, lacune e virtù, debolezze e forze. E, guardando alle debolezze, nella percezione di alcuni, il profilo attuale sembra presentare ancora delle ombre: identità missionaria carente nei sacerdoti, con un’immagine di presbitero più parroco che missionario; formazione teologica e scritturistica fragile, con un debole servizio alla Parola di Dio; mancanza di libertà personale, davanti alla propria cultura e ambito familiare; passivo senso di fraternità e vita comune, con fuga nell’individualismo e nel mondo virtuale e digitale; carente integrazione apostolato-spiritualità che può rivelarsi nell’attivismo, nel protagonismo e nell’ambiguità di vita.

Sostenibilità

Il tema della sostenibilità, soprattutto nell’ambito economico, s’impone in modo pacifico.

Da una parte, tutti abbiamo coscienza che benefattori e appoggi esterni sono in recessione, aggravata adesso dalla pandemia: la generazione dei cristiani che appoggiava la nostra vita e missione sta scomparendo e quella che oggi apprezza il nostro lavoro non ha lo stesso spirito di condivisione e generosità; le comunità e province in passivo economico cronico aumentano e alcune di loro stanno già consumando il patrimonio che si supponeva dovessero conservare per il futuro.

Dall’altra, alcune misure prese negli ultimi capitoli e gradualmente accettate e messe in atto (come il fondo comune) hanno bisogno di essere verificate e attualizzate: se la corresponsabilità nell’uso delle risorse si è estesa ai membri dell’Istituto (il prendere del fondo comune), lo stesso non si può dire della corresponsabilità nella ricerca delle risorse (il mettere nel fondo comune). Prevedere il futuro delle province unicamente sulla base delle offerte arrivate dall’esterno non è sostenibile, se teniamo conto dell’invecchiamento dell’Istituto e della sua inevitabile configurazione in Europa e America.

Il XIX Capitolo Generale farà anche la verifica della Regola di Vita, preparata con il coinvolgimento di tutti i membri dell’Istituto e dal lavoro di una commissione, di cui si conoscono già i risultati. Alcuni di noi hanno l’impressione che questa rivisitazione e revisione della Regola di Vita non ci abbia portato ad una conclusione all’altezza dei tempi che stiamo vivendo… e che il capitolo avrà qui un tema ancora da approfondire.

Due sono le aree in cui s’impone una revisione delle nostre regole che, alla luce del carisma fondazionale, tenga conto del contesto attuale dell’Istituto: mentre l’attuale Regola di Vita fu pensata in un momento di espansione dell’Istituto, viviamo, oggi, una fase di arretramento. E nella Chiesa, viviamo un momento di ricerca del diverso e integrazione del nuovo, un momento che richiede attenzione alle scelte che facciamo e alla sostenibilità di tutte le dimensioni della vita e della missione dell’Istituto.

La prima area è quella del servizio missionario dell’Istituto[9] (la nostra missione) che, nell’attuale Regola di Vita, presenta le dimensioni fondamentali della missione comboniana, in modo integrato e in risposta al contesto conciliare. Oggi, anche se il contesto comboniano è di riduzione degli impegni (come abbiamo visto negli ultimi capitoli), viviamo in un contesto ecclesiale di ricerca e integrazione di nuove dimensioni della missione cristiana (migranti, periferie, difesa del creato, fratellanza, etica della vita e dell’economia, difesa degli ultimi e degli scartati nella società, come i ragazzi di strada e le vittime del traffico di esseri umani…) e non mancano i comboniani che pensano che si debbano abbracciare tutte le dimensioni della missione cristiana che il Papa propone a tutta la Chiesa.

Attualmente l’Istituto è in diminuzione numerica e non si vede come si possano abbracciare tutte queste dimensioni ovunque siamo. Finora, l’Istituto lascia questa risposta all’iniziativa carismatica dell’individuo e alla sua sensibilità ma è necessario anche fare un discernimento comune e vedere, in fedeltà al carisma fondazionale e in risposta ai segni dei tempi e dei luoghi, quali sono le dimensioni della missione cristiana oggi che possiamo abbracciare e fare nostre come Istituto e in modo sostenibile. Quanto più omettiamo questo discernimento carismatico tanto più lasciamo la porta aperta alla frammentazione e alla confusione carismatica, e perdiamo il senso di missione condivisa.

La seconda dimensione della nostra vita che necessita di aggiornamento della legislazione è quella dell’esercizio dell’autorità. In un Istituto in diminuzione numerica occorre trovare nuovo equilibrio tra il favorire il cambio di leadership e il valorizzare chi la esercita con serietà e competenza. La nostra attuale Regola di Vita favorisce un rapido ritmo di cambio (periodi di 6 anni non rinnovabili per il CG, due periodi di tre anni per le altre cariche) che rischia di esaurire la capacità di leadership; facilitare l’elezione ad un secondo periodo può aiutare a bilanciare e integrare meglio la leadership nell’Istituto.

La revisione della Regola di Vita dovrebbe, inoltre, integrare nel testo costituzionale l’ultima legislazione prodotta e adottata nell’Istituto in ambiti nuovi (per esempio nell’economia, con il Fondo Comune, e nella responsabilità collettiva con il Codice di Condotta). Per essere in sintonia con le ultime indicazioni della Chiesa, questa legislazione dovrà avere uno riscontro nei testi costituzionali e un carattere più evidente di obbligatorietà.

Guardare assieme all’avvenire

In ogni stagione, in ogni tempo e luogo, verificare le varie dimensioni della nostra vita e missione alla luce del carisma fondazionale significa vivere il presente con uno sguardo capace di abbracciare passato e futuro, tradizione e innovazione. Senza cadere “nel restaurazionismo del passato che ci uccide”, come avverte Papa Francesco, dobbiamo “guardare insieme all’avvenire” e fare appello alla nostra tradizione carismatica, al carisma fondazionale, sapendo che la tradizione viva della Chiesa, come quella di un Istituto missionario, riparte “dalle fondamenta, dalle radici (…), si fonda sull’essenziale, sul buon annuncio, sulla vicinanza e sulla testimonianza”. Come dice il Papa dei santi patroni dell’Europa, possiamo anche noi dire del nostro santo fondatore e delle missionarie e missionari comboniani delle generazioni che ci hanno preceduto che “non si sono preoccupati dei tempi bui, delle avversità e di qualche divisione, che c’è sempre stata. Non hanno perso tempo a criticare e colpevolizzare. Hanno vissuto il Vangelo, senza badare alla rilevanza e alla politica.”[10]

Occorre, quindi, per prendere sul serio il nostro impegno di revisione della vita dell’Istituto, alla luce del carisma fondazionale e sulla linea della sostenibilità, uno “scossone evangelico” e, per questo, dobbiamo sentire come rivolta (anche) a noi la domanda di Papa Francesco ai vescovi d’Europa: “Siamo tranquilli perché in fondo non ci manca nulla per vivere, oppure inquieti nel vedere tanti fratelli e sorelle lontani dalla gioia di Gesù?”. Per Francesco la tentazione è evidente: rimanere “comodi nelle nostre strutture... nell’appagamento di un certo consenso, mentre tutt’intorno i templi si svuotano e Gesù viene sempre più dimenticato.”[11]

Questo sguardo d’insieme implica ascolto e confronto reciproco, nella logica di un percorso sinodale sia adesso, nella fase di preparazione del capitolo, nel coinvolgimento di tutti, sia nella fase della sua realizzazione, nel lavoro dei capitolari. In questo senso, il contributo che cerchiamo di offrire con questa riflessione tiene una lacuna che dobbiamo riconoscere: manca l’ascolto degli altri e il confronto con le loro opinioni e contributi. Questa situazione deriva dal fatto che non si conoscono ancora i resoconti (gli atti delle assemblee provinciali e continentali di preparazione del capitolo, supponendo che ci siano…), né i risultati del sondaggio promosso dalla Direzione Generale; né il testo delle relazioni delle province e continenti. Bisogna aspettare che vengano pubblicati per completare questo lavoro di riflessione, per allargare questo ascolto e confronto reciproco e far crescere una coscienza comune sui problemi, e augurarsi che tutti, noi che scriviamo e leggiamo e i capitolari che discuteranno e faranno discernimento, li tengano in considerazione, superando la tentazione (ricorrente negli ultimi capitoli generali) di pensare che i membri di un capitolo sono sovrani e possono fare discernimento per infusione diretta, saltando l’ascolto e il confronto con quelli che rappresentano.

P. Manuel Augusto Lopes Ferreira, mccj
Roma, 10 ottobre 2021
Festa di San Daniele Comboni

“L’Istituto è una riunione di ecclesiastici e fratelli… lo scopo di questo Istituto… è l’adempimento dell’ingiunzione fatta da Cristo ai suoi discepoli di predicare il Vangelo a tutte le genti… ed ha per oggetto speciale la rigenerazione dei popoli Negri, che sono i più necessitosi e derelitti dell’Universo”.[12]

 

[1] Papa Francesco, Udienza ai partecipanti all’Incontro con i moderatori delle associazioni di fedeli, dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità, Roma, 16.09.2021.

[2] MCCJ BULLETIN, Comunicato sul XIX Capitolo Generale, luglio-agosto 2021, pagina 1.

[3] Papa Francesco, Udienza ai Fedeli della Diocesi di Roma, 18.09.2021.

[4] Papa Francesco, Udienza ai Fedeli della Diocesi di Roma, 18.09.2021.

[5] Regola di Vita, Fine dell’Istituto, 13; 13.1; 13.2.

[6] Papa Francesco, citazioni tratte dall’Udienza ai Fedeli della Diocesi di Roma, 18.09.2021; e dall’Udienza ai partecipanti all’Incontro con i moderatori delle associazioni di fedeli, dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità, 16.09.2021.

[7] Papa Francesco, Udienza ai partecipanti all’Incontro con i moderatori delle associazioni di fedeli, dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità, 16.09.2021.

[8] Papa Francesco, Udienza ai partecipanti all’Incontro con i moderatori delle associazioni di fedeli, dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità, Roma, 16.09.2021.

[9] Regola di Vita, Parte III, in particolare i n. 56-71.

[10] Papa Francesco, Ai Rappresentanti delle Conferenze Episcopali d’Europa, Basilica di San Pietro, 23 settembre 2021.

[11] Papa Francesco, Ibidem.

[12] Daniele Comboni, Regole dell’Istituto delle Missioni per la Nigrizia, Verona, 1871, Gli Scritti 2646-2647.