Oggi è piuttosto raro sentire dire “beato te”. È un’espressione quasi obsoleta, riservata a discorsi di circostanza, più spesso rivolto a terzi (“beato lui”), e alle volte velato di una certa invidia, o comunque circondato da un senso di confronto. Dietro ogni “beato lui” sembra fare capolino un “io invece”. (...)

LE OTTO PORTE DEL REGNO
Matteo 5,1-12

Siamo arrivati alla prima tappa del nostro cammino con Gesù, o meglio dietro a Gesù. Faremo una lunga sosta con il Signore su un monte chiamato delle Beatitudini. Qui Gesù ci rivolgerà un lungo discorso che occupa tre capitoli del vangelo di Matteo (capitoli 5-6-7). Si tratta del primo di cinque discorsi, e sicuramente il più importante, un discorso programmatico, dove Gesù presenta l’essenza dello stile di vita del suo discepolo.

Bisogna premettere che l’evangelista Matteo ama i monti. Troviamo 14 volte la parola monte nel suo vangelo. Sette monti, in particolare, scandiscono la vita pubblica di Gesù, dalle tentazioni (cfr. Matteo 4,8) al mandato apostolico sul monte della Missione (cfr. Matteo 28,16). È da precisare che questi monti hanno un valore “teologico”. Il monte ha una carica simbolica di vicinanza a Dio. In effetti, Luca situa questo discorso di Gesù in una pianura. È inutile, quindi, cercare il monte delle Beatitudini sulla cartina geografica.

“Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli”. Questa “salita sul monte” e il “porsi a sedere” (un atto solenne come quello del maestro in cattedra) è un chiaro riferimento a Mosè sul monte Sinai. Quindi questo monte è il nuovo Sinai da dove il nuovo Mosè promulga la nuova Legge. Se la Legge di Mosè con i suoi divieti stabiliva i limiti da non valicare per rimanere nella Alleanza di Dio, la nuova “Legge” ci apre degli orizzonti nuovi. È un nuovo progetto di vita!

“Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”. Il discorso di Gesù si apre con le otto Beatitudini (la nona rivolta ai discepoli è uno sviluppo dell’ottava). Sono il prologo di questo discorso di Gesù e il sunto del vangelo. Si tratta di un testo molto conosciuto, ma che, proprio per questo, rischiamo di sorvolare frettolosamente e di quasi ignorare, dietro l’apparente semplicità, la sua ricchezza, profondità e complessità. Gandhi diceva che queste sono “le parole più alte del pensiero umano”, la quintessenza del cristianesimo. Per Nietzsche, invece, una maledizione, perché attentano contro la dignità dell’uomo.

Dice Ermes Ronchi: “Davanti al Vangelo delle Beatitudini provo ogni volta la paura di rovinarlo con i miei tentativi di commento, perché so di non averlo ancora capito. Perché dopo anni di ascolto e di lotta, questa parola continua a stupirmi e a sfuggirmi”. E cosa potrei dire io? Forse limitarmi ad invitarvi a leggere, rileggere, meditare e pregare questo testo. Mi azzardo, comunque, a condividere con voi alcune riflessioni che personalmente mi aiutano ad avvicinare il testo.

1. Le Beatitudini NON sono l’espressione di un sogno di un mondo desiderato, idealizzato, ma irraggiungibile. Una utopia per sognatori, una chimera.! Per il cristiano è il criterio di vita: o le accogliamo o non entreremo nel Regno!

2. Le Beatitudini NON sono un elogio della povertà, della sofferenza, della sopportazione, della passività… Tutto l’opposto: sono un discorso rivoluzionario! Proprio per questo suscitano l’opposizione violenta di quanti si sentono minacciati nel loro potere, ricchezza e status sociale.

3. Le Beatitudini NON sono oppio per i poveri, i sofferenti, gli oppressi, i deboli… perché addormenterebbero la loro coscienza dell’ingiustizia di cui sono vittime, portandoli alla rassegnazione. Anche se lo sono stato, tante volte, nel passato. Sono, al contrario, una adrenalina che stimola il cristiano ad impegnarsi nella lotta per l’eliminazione delle cause e radici dell’ingiustizia!

4. Le Beatitudini NON sono una procrastinazione della felicità per la vita futura, nell’aldilà. Esse sono sorgente di felicità già in questa vita. Infatti, la prima e l’ottava beatitudine, che sono l’inquadratura delle altre sei, hanno il verbo al presente: “perché di essi è il regno dei cieli”. È da precisare che l’espressione “regno dei cieli” non significa l’aldilà ma un modo di dire “regno di Dio”. Le altre sei beatitudini hanno il verbo al futuro, ma è una promessa che rende la felicità già presente oggi, benché in cammino verso la sua pienezza. Promessa che è la garanzia che il male, l’ingiustizia non hanno l’ultima parola. Il mondo non è e non sarà dei ricchi e dei potenti!

5. Le Beatitudini NON sono (solo) personali. È la comunità cristiana, la Chiesa che deve essere povera, misericordiosa, piangere con chi piange, assetata di giustizia… per rendere testimonianza al vangelo!

6. Le Beatitudini SONO un grido, una proclamazione di felicità, un vangelo rivolto a tutti (le folle che seguono Gesù). Beato si può tradurre con felice, complimenti, felicitazioni, mi congratulo con te... E niente può toglierci questa felicità, se siamo abitati da Dio (cfr. Romani 8,37-39). Le beatitudini sono valide in tutte le situazioni e a tutti i livelli. Ma rendiamoci conto che questo messaggio che professiamo ed annunciamo è in piena contraddizione con la mentalità che regna nel mondo in cui viviamo. Quindi non dobbiamo stupirci più di tanto con le diserzioni.

7. Le Beatitudini SONO… una sola! Le otto sono variazioni di una unica realtà. Ma ognuna di esse illumina le altre. In genere i commentatori ritengono che la prima sia quella fondamentale: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”. Tutte le altre sono, in qualche modo, delle forme diverse di povertà. Ogni volta che nella Bibbia si cerca di rinnovare l’Alleanza, si ricomincia ristabilendo il diritto dei poveri e degli esclusi. Senza di questo, l’Alleanza non si rifà!
Potremmo chiederci come mai non appare una beatitudine sull’amore. In realtà tutte quante sono delle esplicitazioni concrete dell’amore!

8. Le Beatitudini SONO lo specchio, l’autoritratto di Cristo. Per capirle, per cogliere le loro sfumature bisogna guardare Gesù per vedere come ciascuna di esse si è realizzata nella sua persona.

9. Le Beatitudini SONO la chiave di ingresso nel Regno di Dio, per tutti quanti, cristiani e non cristiani, credenti e non credenti. In questo senso, le beatitudini non sono “cristiane”. Esse definiscono chi può effettivamente entrare nel Regno. Tutti sono chiamati alle beatitudini! È quanto ci dice anche Matteo 25, sul giudizio finale.

10. Le Beatitudini SONO otto categorie di persone, otto porte di ingresso per il Regno. Non ci sono altre entrate! Chi vuole entrare nel Regno dovrà identificarsi almeno con una di queste otto categorie… Quale è la mia? Verso la quale mi sento particolarmente attratto? Quella che sento che è la mia vocazione per indole e per grazia?

P. Manuel João, comboniano
Castel d’Azzano gennaio 2023
comboni2000

Beatitudini: lamentele, rivoluzioni, promesse
Mt 5, 1-12a

Oggi è piuttosto raro sentire dire “beato te”. È un’espressione quasi obsoleta, riservata a discorsi di circostanza, più spesso rivolto a terzi (“beato lui”), e alle volte velato di una certa invidia, o comunque circondato da un senso di confronto. Dietro ogni “beato lui” sembra fare capolino un “io invece”. Perché in effetti dire bene di qualcuno, già di per sé faticoso, viene spesso insieme al dire male di qualcun altro o, ancora più spesso, al lamentare il male che capita a noi.

Niente di più distante da come intende Gesù quel “beati voi”. Anzi, se c’è un negativo delle benedizioni che annuncia Gesù dalla montagna forse sono proprio le lamentele che annunciamo noi dai nostri pulpiti. Nei bar, sulle prime pagine dei giornali, sul posto di lavoro, a scuola e in università, in televisione, sulla rete e nei social le lamentele si moltiplicano e si rincorrono in un profluvio corale di analisi spietate, accuse frontali e indignazioni sperticate.

Un gioco a chi piccona più forte e più in basso. Il metodo di base è sempre lo stesso: il paragone. Quello che fecero gli operai della prima ora, o ancora prima quello del serpente che vuole far diventare l’uomo “come Dio” tramite la “conoscenza del bene e del male”. Guardare il male, e restarvi invischiati, deriva forse da quella presunzione iniziale, da quella prima lamentela contro Dio.

Gesù scardina questa logica dal suo perno. Elenca ogni singola beatitudine, senza nessun paragone, nessuna lamentela, anzi, smontando ogni confronto, dicendo beati i non beati, chi non diresti mai beato. Il suo è un elenco simile a un appello, una chiamata personale, come quella di suo Padre, che nominando le cose le aveva create e dette “buone”, o quella di Adamo nell’Eden, quando aveva dato un nome ad ogni animale e ancora non provava vergogna, fatica o paura.

Il discorso della montagna non è semplicemente, per quel tempo e ancora per noi, un manifesto rivoluzionario, ma è il superamento di qualsiasi rivoluzione soltanto terrena. Perché si declina nel segno della promessa: una forza più potente e dinamica di ogni semplice rivolta. In fondo per lui non ha senso confrontare ad ogni beato un "non beato", perché la beatitudine è un dono, non una proprietà, una meraviglia e non una condizione, un’eredità e non un guadagno, una promessa più che rivoluzionaria.
[Riccardo Sabato – L’Osservatore Romano]

È questo il ritratto di ogni cristiano
Sof 2,3; 3,2-13; Sl 145; 1Cor 1,26-31; Mt 5,1-12

Da oggi e per sei domeniche mediteremo su una sezione importantissima e fondamentale del vangelo di Matteo: il discorso della montagna, che è come la magna charta, il manuale di vita o il catechismo di ogni cristiano, poiché contiene tutti gli orientamenti della nostra vita come figli di Dio, secondo Gesù stesso. La riflessione che Paolo pone ai Corinzi sull’iniziativa libera e gratuita di Dio “che ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti…, ciò che è nulla per ridurre al nulla le cose che sono”, è in sintonia con la prospettiva del celebre elenco delle Beatitudini con le quali si apre il famoso discorso sul monte di Matteo.

La prima beatitudine (“Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli”), in modo particolare, coincide con le dichiarazioni di Paolo. Egli ricorda il modo paradossale dell’agire di Dio che utilizza ciò che agli occhi del mondo è stoltezza, per confondere i sapienti. In questi due testi l’accento è posto sull’azione sovrana di Dio che garantisce un futuro felice ai poveri e ai perseguitati.

La stessa linea tematica (i sentimenti e la spiritualità delle Beatitudini proclamate da Gesù) appare nella prima lettura, dal profeta Sofonia, sul “resto di Israele, il popolo umile e povero”, e dalle strofe del salmo responsoriale che esalta lo stile dell’agire di Dio salvatore, il quale sceglie i poveri come destinatari privilegiati della sua azione benefica.

Il “discorso della montagna” di Matteo è noto per il suo frequente uso nella liturgia (nella solennità di tutti i santi e nella liturgia funebre) e contiene la proclamazione di otto Beatitudini: Beati i poveri in spirito, gli afflitti, i miti, quelli che hanno fame e sete della giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di pace e di giustizia. A coloro che accettano o scelgono queste ardue situazioni di vita, il Signore fa una promessa di felicità. Costoro sono beati, perché di essi è il regno dei cieli.

La beatitudine designa qualcosa per cui c’è motivo di rallegrarsi. La radice del termine ebraico per dire “beato” è associata all’idea di muoversi, andare o camminare. Da qui viene la proposta di tradurre il testo di Matteo conservando il tenore originario, cioè: “avanti i poveri, avanti i miti, ecc…”. Essi sono soprattutto invitati a alzare la testa e a esultare. Il motivo viene indicato nella seconda parte della frase che segue l’invito iniziale. Dal punto di vista umano, siamo portati a pensare non beati i poveri ma beati i ricchi; beati quelli che ridono, beati i violenti, beati gli operatori di guerra che conquistano, ecc…

Gesù ha semplicemente rovesciato queste beatitudini del senso comune, e ha vissuto per primo queste Beatitudini. Non ci chiede la rinuncia o la passività, ma una presenza attiva e costruttiva nel mondo. Il Signore vuole operatori di misericordia, operatori di pace, operatori di giustizia… Vivendo le Beatitudini, imitiamo Gesù che ci ha preceduti su questa via e che è il modello di vita della nuova umanità. Infatti, le Beatitudini sono il criterio della nostra autenticità cristiana. Chi sono i “poveri in spirito”? Questa espressione si trova solo nel vangelo di Matteo. Luca dice semplicemente “Beati voi, poveri”.

Nelle quattro Beatitudini che seguono e che sono proprie del primo vangelo (beati i miti…beati i misericordiosi…beati i puri di cuore…beati gli operatori di pace), si può facilmente fare una lettura in chiave etica, e l’espressione di Matteo “poveri in spirito” sembra comprensiva di tutte queste categorie o attitudini spirituali e etiche, dove l’accento viene posto sull’interiorità e la relazione col Signore nella ricerca ed attuazione della sua volontà rivelata e compiuta da Gesù.

Quindi i “poveri in spirito” coincidono con i miti, i puri di cuore, i misericordiosi e gli operatori di pace. Essi sono aperti nel loro intimo ad accogliere ed attuare la volontà di Dio rivelata dal suo Figlio, Gesù Cristo. Il commento più efficace dell’espressione di Matteo “poveri in spirito” sembra trovarsi nella parola di Gesù rivolta a tutti gli “affaticati e oppressi”: “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore” (Mt 11, 29).

Il maestro promette ad essi liberazione. A quanti condividono il suo destino e sono presi dal desiderio di conoscere ed attuare la sua volontà, egli promette la pace. L’attuazione delle Beatitudini è il segno distintivo dei discepoli che formano una comunità di figli e di fratelli. Inoltre, non dobbiamo perdere di vista che lo stile di agire di Dio è che Egli prende sempre cura dei poveri e degli oppressi. I “poveri”, rappresentanti di tutti i bisognosi, sono beati perché sono i destinatari privilegiati dell’azione di Dio, Signore e Salvatore. Essi sono anche proclamati beati perché il loro destino finale sta nelle mani di Dio.
Don Joseph Ndoum