Lunedì 30 giugno 2025
La comunità della Curia generalizia dei Missionari Comboniani ha celebrato venerdì 27 giugno la solennità del Sacro Cuore con i confratelli presenti a Roma, un gruppo di sacerdoti di passaggio, alcune missionarie comboniane, e anche il personale di servizio e amici della comunità. La messa è stata presieduta dal superiore generale, padre Luigi Codianni. Tra i concelebranti c’erano anche i comboniani mons. Odelir José Magri, arcivescovo di Chapecó (Brasile), mons. Tesfaye Tadesse Gebresilasie, vescovo ausiliare di Addis Abeba (Etiopia), e mons. Barrera Pacheco L. Alberto, vescovo di Callao (Perù). Presenti anche il vicario generale, padre David Costa Domingues, e l’assistente generale padre Elias Sindjalim Essognimam.

Da sinistra: mons. Tesfaye Tadesse, p. David Domingues, p. Luigi Codianni, p. Elias Sindjalim, mons. Odelir José Magri, e mons. Barrera Pacheco Alberto.

Padre Luigi Codianni ha iniziato la Messa con un benvenuto a tutti e ricordato che «la nostra speranza è nel Cuore di Gesù», perché è da lui che «impariamo a costruire relazioni sane e felici, e a contribuire alla nascita di un Regno di amore e di giustizia».

Ha poi continuato: «Diamo un benvenuto speciale a mons. Odelir, arcivescovo di Chapecò, a mons. Luis Alberto, vescovo di Callao, e a Mons. Tesfaye, vescovo ausiliare di Addis Abeba e fresco di nomina come Membro del Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica. Siamo grati della loro presenza perché ci danno la possibilità di aprire il nostro cuore alla chiesa universale.

Come Consiglio generale, nella Festa del Sacro Cuore di quest’anno, abbiamo chiesto a tutti i confratelli di farsi “pellegrini di speranza”: questa è una qualifica che riassume il cuore della nostra vocazione comboniana. Il Cuore di Gesù ci parla di un amore che è insieme dono gratuito e forza dinamica, capace di trasformare le nostre vite e le nostre comunità.

La parabola della pecora perduta – il brano evangelico che ascolteremo – è un inno all’amore incondizionato di Dio, alla sua infinita misericordia e alla gioia straripante che prova per ogni persona che ritorna a lui. Ed è anche un invito a riscoprire il valore inestimabile che ogni vita umana ha agli occhi di Dio – e dovrebbe avere anche ai nostri occhi.

Nella lettera che abbiamo inviato all’Istituto abbiamo scritto: “Siamo chiamati a mantenere vivo lo stupore, a non dare per scontato il cammino di fede. Animate dallo Spirito, le nostre comunità diventino luoghi di rinascita, dove ognuno trova un senso nuovo alla propria vita. La nostra speranza è nel Cuore di Gesù. Da lui impariamo a costruire relazioni sane e felici, e a contribuire alla nascita di un Regno di amore e di giustizia”».

Padre Luigi Codianni, superiore generale dei Missionari Comboniani.

Omelia di padre Luigi Codianni

Il brano dell’evangelista Luca (15,3-7) che la liturgia ci propone oggi è una delle parabole più tenere e significative che Gesù abbia raccontato: quella della “pecora perduta”. Questa parabola è inserita nel contesto del capitolo 15 di Luca, noto come “il capitolo della misericordia”. In questo capitolo, Gesù, attraverso il racconto di tre parabole (quella della pecora perduta, della dracma smarrita e del padre di due figli che accoglie il figlio minore che torna a casa dopo essersene allontanato), ci svela il vero volto di Dio e la sua logica d’amore.

Gesù inizia con una domanda retorica che interpella direttamente i suoi ascoltatori – e oggi interpella anche noi: «Chi di voi, avendo cento pecore, se ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova?» (v. 4).

Vorrei enumerare e commentare quattro punti – o idee – che ritengo importanti e che possono aiutarci a vivere il nostro ministero missionario secondo “la logica d’amore” che ho menzionato pochi secondi or sono.

1) L’evidente “sproporzione”

La prima cosa che mi colpisce – e credo colpisca anche ciascuno di voi – è la sproporzione in questione: 99 pecore “al sicuro” contro una sola pecora “perduta”. Dal punto di vista di una logica puramente economica – o di calcolo, se volete –, la perdita dell’1% non dovrebbe risultarci preoccupante; anzi, è una percentuale più che accettabile. Ma per il pastore di cui Cristo parta ogni singola pecora ha un valore infinito. Questo pastore sembra non preoccuparsi del “gregge indistinto e anonimo” (lo lascia nel deserto, forse non il posto più sicuro per lascare le pecore sole), ma si preoccupa della singola pecora che si è smarrita. E credo che si preoccuperebbe di ognuna di esse, se si smarrisse.

Ai suoi occhi e al suo cuore, noi – pecore sue – non siamo numeri, ma individui insostituibili all’interno di qualsiasi contesto, sia esso sociale, lavorativo, familiare o comunitario.

La nostra presenza, le nostre emozioni, i nostri bisogni e i nostri contributi emotivi e pratici sono fondamentali per l’equilibrio e la felicità di ogni comunità.

Se ogni singola persona è agli occhi di Dio di un valore infinito, allora:

  • “Non possiamo lasciare indietro nessuno” – Questo è un principio fondamentale che si scontra spesso con la forte tentazione di ignorare, marginalizzare o persino sacrificare chi percepiamo come un peso, un ostacolo o considerano semplicemente un “numero” tra tanti.
  • Il preconcetto e il giudizio – Siamo tutti inclini a giudicare. Chi viene percepito come “diverso”, “incapace” o “colpevole” della propria situazione è spesso il primo a essere lasciato indietro. I preconcetti ci impediscono di vedere il valore intrinseco della singola persona e le potenzialità che potrebbe esprimere con il giusto supporto.
  • Etica e dignità umana – Al di là di ogni calcolo di efficienza, esiste un imperativo etico: riconoscere la dignità inalienabile di ogni essere umano. Nessuno dovrebbe essere ridotto a un costo, a un problema o a un numero.

Superare la tentazione di lasciare qualcuno indietro significa riconoscere che il valore di una comunità o di una famiglia si misura anche (e soprattutto) da come tratta i suoi singoli membri, in particolare quelli più fragili o in difficoltà.

2) L’azione del Pastore

Il pastore non si rassegna alla perdita. Non dice: «Beh, me ne rimangono ancor 99… Pazienza se una s’è persa!». Al contrario, lascia le novantanove e si mette in movimento alla ricerca della smarrita.

«Va in cerca» – Questa è l’immagine di un Dio che non aspetta passivamente che il peccatore torni, ma prende l’iniziativa: si mette in moto, va verso di lui o lei, li cerca dinamicamente e instancabilmente, anche a costo di fatica e rischio.

Abbiamo a che fare con un imperativo potente che incarna la resilienza, la determinazione e la speranza. “Andare in cerca” significa rifiutare l’apatia, superare l’inerzia, rigettare l’accettazione passiva di una situazione… e scegliere di agire subito e alacremente, energeticamente, dinamicamente e intensamente.

La rassegnazione è la morte del potenziale di ognuno. Quando ci rassegniamo, smettiamo di cercare soluzioni, di imparare, di crescere. Senza contare che, così facendo, si entra nel rischio della “stagnazione”, sia a livello individuale che collettivo, perché la rassegnazione ci impedisce di vedere oltre.

La rassegnazione spegne la scintilla della creatività e indebolisce le fondamenta del bene comune. In pratica, è l’antitesi della speranza e della solidarietà. Questo lo vediamo tutti i giorni, soprattutto in questi giorni quando si stanno intensificando i conflitti bellici, che decimano intere popolazioni, le costringe all’esodo, e accrescono le disuguaglianze…

Davanti a questi nuovi scenari, come Istituto siamo chiamati a fare un nuovo patto che rifiuti la rassegnazione e scelga l’impegno. Siamo chiamati a rivisitare anche il nostro fare missione. Ma per fare questo è necessario scegliere di nuovo le periferie, aprire le nostre porte e metterci per strada… Diciamocelo chiaro: la tentazione è sempre quella di chiuderci all’interno… o in casa, per evitare problemi e situazioni difficili.

3) La tenacia della ricerca: «Finché non la trova»

Nel pastore non c’è scoraggiamento, non c’è resa. Il suo amore è tenace, perseverante... perfino eccessivo (come dovrebbe essere ogni amore). Il modo di agire del pastore rispecchia la pazienza divina, che non si arrende di fronte alla nostra ostinazione, al nostro smarrimento, alla nostra svogliatezza.

La celebrazione di oggi ci dice che – riprendo quanto detto nella nostra lettera – «Questo Cuore non è un concetto astratto, ma una realtà da vivere. Ci invita a scelte radicali a favore dei “più poveri e abbandonati”, alla corresponsabilità, a una fraternità che diventi segno di una umanità nuova. Ogni gesto di accoglienza, ogni progetto di sviluppo integrale, ogni preghiera di intercessione parte da quel Cuore e torna a lui» (Lettera).

Custodire è capire il valore delle relazioni. Credo che il verbo “custodire” dovrebbe ritrovare il suo proprio spazio all’interno delle nostre comunità, per ricordarci che la comunità è il luogo delle nostre relazioni più preziose e che, pertanto, il primo compito è quello di custodirci l’un l’altro.

Sottolineo che custodire è un verbo “attivo”, quindi comporta una decisione personale e richiama una missione. Non è indispensabile (e neppure particolarmente importante) che l’altro ricambi le nostre cure. Basta che io riconosca il suo grande valore per me.

Dobbiamo ricostruire la fiducia e la stima reciproca per vivere la comunione fraterna. Senza queste due virtù, le comunità rischiano di diventare un luogo di sopravvivenza, invece che uno spazio di grazia e di comunione.

4) La gioia del ritrovamento

Una volta trovata la pecora perduta, la reazione del pastore è una gioia incontenibile. E non c’è ombra di rimprovero verso la pecora che si è smarrita, né tanto meno castigo. Anzi, se la carica sulle spalle – stupendo simbolo di cura, tenerezza… e anche del “fardello” (la Croce) che Gesù stesso si è caricato sulle spalle per noi. E quando torna a casa, il pastore convoca amici e vicini per condividere la sua gioia: «Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta» (v. 6).

La gioia è tanto grande da non poter essere contenuta: deve essere condivisa. Perché non si tratta di una gioia qualunque: qui abbiamo a che fare con una gioia profonda, quasi viscerale, che scaturisce dentro di noi quando qualcuno che credevamo perduto e temevamo di non rivedere mai più... ritorna.

È una gioia che ci ricorda il valore inestimabile di ogni singola persona, di ogni legame, di ogni frammento della nostra vita. Proprio per questo è gioia speciale, perché è intrisa di sollievo, di gratitudine e soprattutto di un senso di completezza. In questa gioia condivisa la comunità ritrova la sua vera completezza – una completezza intrisa di empatia, cura e amore incondizionato.

Lasciamoci guidare dalle “ragioni della speranza” che sgorgano dal Cuore di Gesù per accettare con fiducia il compito di “pellegrini di speranza”, capaci di vivere il futuro come promessa e di realizzarlo come nuova fratellanza.

Carissimi confratelli, carissimi amici ed amiche, il Cuore di Gesù è sorgente inesauribile di amore e speranza. Facciamocene custodi, testimoni e operatori instancabili.

Che questa festa riaccenda in noi il desiderio di essere “pellegrini di speranza”, capaci di costruire fraternità e giustizia, finché potremo celebrare insieme il Banchetto del Regno.

Buona Festa del Sacro Cuore!

Trittico del pittore Nicola Maciarello.

“Tenendo sempre gli occhi fissi in Gesù Cristo e questi crocifisso”

Al termine della Messa, padre Tomás Herreros Baroja, superiore della comunità, ha presentato il trittico del notto pittore Nicola Maciarello, amico della comunità della Curia ed esperto nelle impostazioni artistiche di presepi napoletani.

L’opera, donata alla comunità comboniana, raffigura il grande tema della contemplazione del Cuore trafitto di Cristo Buon Pastore nei diversi contesti missionari, spesso toccati dalla sofferenza e dalla tribolazione. È da qui che nasce la Chiesa. Daniele Comboni, profondamente convinto di ciò, ha insegnato a vivere «tenendo sempre gli occhi fissi in Gesù Cristo, amandolo teneramente e procurando di comprendere sempre meglio cosa significhi il mistero di un Dio morto in croce per la salvezza di tutta l’umanità» (cfr. Scritti, 2720-2722).

Il movimento di tutti i personaggi del trittico (fedeli, suore, fratelli, sacerdoti, donne e bambini) è orientato verso la croce, dove ognuno potrà finalmente trovare vita in pienezza, pace e l’amore di Dio.

Il quadro centrale è ambientato nel continente africano. Si notano alcuni luoghi tipici della storia comboniana a Khartoum, sede apostolica di San Daniele Comboni e luogo della sua morte, il Comboni College e la Cattedrale. Sullo sfondo, alcuni edifici simbolo della capitale colpiti dai bombardamenti della guerra scoppiata nel 2023.

Il quadro di sinistra è ambientato nel continente americano, con i tipici quartieri di periferia delle grandi città.

Il quadro di destra mostra sfollati che arrivano in Europa fuggendo dalla miseria e delle guerre dell’Oriente. Un giovane sacerdote comboniano regge una Bibbia con scritte in arabo, cinese e altre lingue per condividere il messaggio del Regno di Dio dall’est all’ovest nel continente euroasiatico. Sullo sfondo si nota l’Acropoli di Atene, segno delle culture mediterranee e delle lingue indoeuropee.

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