Giovedì 11 dicembre 2025
«Il Natale è la festa della prossimità e della fraternità. Questo è il sogno dei miei vent’anni vissuti accanto al popolo del Sud Sudan. Come missionario ho visto luci e ombre. Ho testimoniato come la speranza e la croce si intrecciano nella storia di questo popolo amato da Dio. (…) Buon Natale!». (Mons. Christian Carlassare, vescovo della diocesi di Bentiu, in Sud Sudan)

NATALE DI PROSSIMITÀ:
LA FRATERNITÀ NASCE TRA LE FERITE DEL MONDO

Mons. Christian Carlassare, vescovo della diocesi di Bentiu, in Sud Sudan.

Carissimi
Il Natale è la festa della prossimità e della fraternità. Questo è il sogno dei miei vent’anni vissuti accanto al popolo del Sud Sudan. Come missionario ho visto luci e ombre. Ho testimoniato come la speranza e la croce si intrecciano nella storia di questo popolo amato da Dio.

Ho condiviso la gioia dell’accordo di pace del 2005 e il sogno di un paese indipendente nel 2011 che cantava giustizia, libertà e prosperità. Ma ho anche testimoniato la ferita profonda di un conflitto interno che ha diviso il paese e lacerato il tessuto sociale, ha costretto alla fuga e ridotto alla miseria milioni di persone, privato del necessario e ferito la dignità di ciascuno. Eppure, proprio lì, tra le macerie del conflitto, il vangelo mi ha ricordato che la speranza non è mai illusione: è un seme ostinato, capace di germogliare anche nella terra inaridita.

Daniele Comboni non si è arreso davanti a una missione ritenuta impossibile da tanti, e ha continuato ad intravedere un futuro prospero per l’Africa. Per questo continuiamo a credere in un mondo dove nessuno sia scartato, dove la vita sia rispettata e la povertà non sia una condanna ma principio di solidarietà per costruire una società fraterna. Sogniamo un Sud Sudan dove i bambini possano giocare senza paura, i ragazzi possano andare a scuola e non sia per una ragazza più probabile morire di parto che ottenere un diploma di scuola superiore. Sogniamo una terra in cui le risorse non diventino motivo di ingiustizia, ma strumento di sviluppo; un paese in cui la popolazione possa lavorare e vivere dignitosamente senza dipendere dall’aiuto umanitario.

Il Sud Sudan, terra giovane e ferita, è una parabola vivente del Natale. Là dove la violenza, la povertà e le divisioni sembrano soffocare la speranza, la nascita del figlio di Dio continua a rivelarsi come il segno più radicale della prossimità di Dio. Dio sceglie di venire nel mondo dove l’umanità geme e attende. Dio sceglie la via della povertà per rivelarci la vera ricchezza. L’esortazione apostolica Dilexi te di papa Leone si apre con le parole «Io ti ho amato». Ecco l’unica vera ricchezza: il suo amore. È un messaggio che tocca nel profondo, perché conosciamo la fragilità del cuore umano, incapace da solo di vivere la fraternità, la comunione, la pace. Ma proprio lì il Signore viene incontro alla nostra povertà e la riveste della sua grazia. In Sud Sudan, come in ogni Sud Sudan del mondo, si può testimoniare che l’amore di Dio ricuce ciò che noi spezziamo, sana ciò che noi feriamo, rialza ciò che noi calpestiamo. Questo è il mistero di Dio a Betlemme: non una vicinanza a parole, ma un farsi accanto concreto con una presenza che ci risolleva perché ha bisogno di noi, della nostra attenzione, della nostra cura e del nostro pur fragile amore.

In Dilexi te, papa Leone ci ricorda che l’amore per i poveri non è una semplice opera di beneficenza, ma una partecipazione reale all’amore stesso di Cristo. Non si tratta di fare per, ma di amare con. Ripropone l’opzione preferenziale per i poveri, cuore pulsante della missione e profezia della Chiesa. Non è una scelta accessoria, ma la via per ritrovare il Vangelo nella sua purezza. Come diceva Daniele Comboni, «i poveri sono i nostri padroni», coloro davanti ai quali togliersi i sandali perché lì abita la presenza di Dio. I poveri non sono solo destinatari di aiuto: sono soggetti attivi, maestri silenziosi, primi evangelizzatori. Le loro ferite parlano al nostro orgoglio, la loro fede interroga la nostra sicurezza, la loro speranza ci indica il cammino della conversione.

Una Chiesa povera e con i poveri è l’unica capace di mostrare al mondo il volto misericordioso di Cristo. È una Chiesa che non teme di sporcarsi le mani, che non cerca potere né rilevanza, ma che si inchina davanti alla carne sofferente di Cristo nei suoi piccoli. È una Chiesa che cammina, ascolta, accompagna e si lascia accompagnare. È una Chiesa che fa causa comune con chi soffre, perché sa che «extra pauperes nulla salus»: senza i poveri non c’è salvezza, non c’è vangelo, non c’è chiesa, non c’è fraternità, non c’è futuro.

Il Natale ci invita proprio a questo: a guardare il mondo con lo sguardo del Bambino di Betlemme, che non domina ma si dona, non conquista ma ama, non impone ma accoglie. È questo il dono che possiamo offrire oggi all’umanità ferita: un amore che non mette limiti, una speranza che resiste, una fede che abbraccia ogni uomo e ogni donna e costruisce fraternità.

Chiedo al Signore che questo Natale riaccenda in noi il coraggio di sognare e di trasformare i sogni in passi concreti. Che il Dio fatto povero ci renda più vicini ai poveri del nostro tempo e ci dia occhi capaci di riconoscere in loro la presenza viva del Cristo che viene.

Solo così la nostra missione sarà vera, e la nostra Chiesa potrà essere seme di speranza.

Buon Natale!

Padre Christian Carlassare
Missionario comboniano e vescovo di Bentiu (Sud Sudan)