Fr. Bruno Barbiero è uno dei fratelli che in missione si è distinto nel settore agricolo e, in patria, in quello della sofferenza. A Gulu ha dato vita a una grande scuola agraria chiamata “Stazione Agricola Sperimentale” che ha portato avanti con notevole capacità, entusiasmo, intelligenza, anche se talvolta ha esagerato nel richiedere a se stesso e ai suoi collaboratori ciò che l’ambiente in cui operava non poteva offrire.
Le sue innovazioni sono state notevoli: ha introdotto in Uganda le mucche olandesi che davano molto più latte rispetto a quelle africane, anche se, essendo più fragili e più soggette alle malattie inoculate dai parassiti tropicali, esigevano particolari cure per sopravvivere.
Con altri confratelli, ha sviluppato la coltivazione del girasole che forniva olio, ha seminato le patate e le ha raccolte adoperando le macchine in modo che il lavoro si svolgesse in maniera più veloce. Ha realizzato nuovi incroci di grano, rendendolo più produttivo e soprattutto più resistente ai parassiti… Insomma, Fr. Bruno, oltre che agricoltore provetto, si è dimostrato un ricercatore instancabile.
Il suo “pallino” era quello di liberare le popolazioni africane dall’incubo della fame che periodicamente incombeva. In particolare, ha insegnato “l’arte dell’agricoltura” ad una notevole schiera di giovani e, in questo modo, ha messo in pratica ciò che il Beato Comboni chiedeva ai suoi missionari: salvare l’Africa con l’Africa.
L’eredità della sua terra
Fr. Bruno aveva assorbito la passione per la terra da papà Luigi, agricoltore, anche se il suo lavoro principale era quello di operaio nello stabilimento della Montecatini.
La mamma, Giuseppina De Franceschi, accudiva i sei figli, tre maschi e tre femmine, dei quali Bruno era il primo e, nei momenti liberi dalle faccende domestiche, andava volentieri nei campi tirandosi dietro la sua numerosa squadra.
Dopo le elementari al paese, Bruno decise di farsi sacerdote. Ma c’era il problema della retta da pagare nel seminario di Treviso. Il parroco, don Antonio, conosceva P. Leonzio Bano (che era della zona) e si rivolse a lui per trovare una sistemazione per il ragazzino. Così si decise di farlo entrare nel seminario comboniano di Padova, cosa che avvenne all’inizio dell’anno scolastico del 1939.
In famiglia si respirava un’aria di simpatia per l’Africa grazie al papà che, proprio in Africa, aveva fatto il militare e aveva visto l’azione dei missionari e la realtà degli africani: e ne era rimasto impressionato positivamente tanto che aveva instillato anche nei figli l’amore per l’Africa. Un fratello di Bruno lavorerà in Africa per conto di un’impresa e anche lui: “partiva da casa con le valigie piene e tornava che le aveva vuote perché dava via tutto”, dice la moglie.
P. Antonio Zagotto è stato compagno di Bruno a Padova. Egli ricorda come questo suo compagno, ad un certo punto (nel 1941, secondo i documenti, quindi dopo le medie), non sentendosi portato per gli studi classici, invece di andare a Brescia per il ginnasio, abbia chiesto di diventare missionario Fratello. I superiori gli vennero incontro indirizzandolo a Thiene dove, appunto, venivano preparati i futuri Comboniani Fratelli. Rimase a Thiene dal 1941 al 1944. Dobbiamo dire, tuttavia, che Fr. Bruno ha sempre avuto nostalgia del sacerdozio e più volte aveva chiesto di potervi accedere, ma è sempre stato sconsigliato dal farlo a causa della salute che gli causava frequenti dolori alla testa e qualche esaurimento. Non è salito sull’altare per la Messa, ma è stato per lunghi anni sull’altare della sofferenza, sulla croce di Cristo.
Fr. Aldo Benetti lo ricorda a Thiene come un giovane sempre contento e allegro. Si vede che quella vocazione era proprio la sua. A Thiene fu subito apprezzato per la buona volontà, la serietà con cui affrontava gli studi tecnici, l’applicazione al lavoro e la soda pietà. In un primo tempo imparò il mestiere del sarto… che non esercitò mai perché il Signore aveva su di lui altri progetti.
L’uomo della disponibilità
Entrò in noviziato a Venegono il 16 agosto del 1944. E lì, si impegnò ancora di più per acquisire le qualità del vero Fratello missionario. P. Antonio Todesco, suo padre maestro, scrisse: “Il suo progresso è assai notevole in tutto. Dimostra buona soggezione e grande amore al sacrificio e alla dedizione. Ama il lavoro, pietà buona, anzi talvolta mi sembra perfino esagerata in tante piccole minuzie, è obbediente e sempre disponibile in ciò che gli viene comandato di fare. Come carattere è piuttosto timido, di poche parole, ma pare abbia buona iniziativa nei lavori”. Con queste credenziali, il 15 agosto 1946 emise la prima professione. Aveva 20 anni.
Il giorno dopo i voti, ricevette l’obbedienza di fermarsi a Venegono come cuoco, un’arte che aveva imparato bene durante il noviziato. Vi rimase fino all’aprile del 1947, data in cui fu inviato a Crema come sagrestano nel santuario annesso al seminario dei Comboniani. Vi rimase 6 mesi, cioè fino ad ottobre, per passare poi a Sunningdale, in Inghilterra, come “campagnolo”.
Cosa indicasse questo titolo “campagnolo” è una cosa assai vaga. In pratica doveva dedicarsi al lavoro dei campi, ma Fr. Bruno ne approfittò per imparare la lingua inglese e specializzarsi in agraria.
Una collezione di diplomi
Nella sua cartella personale c’è una vera collezione di diplomi. Li nominiamo qui, tutti di seguito, anche se ne entrò in possesso in tempi successivi. Nel 1948 conseguì il “Degree in Tropical Agriculture” presso il Salesian Agricultural College di Gloucester. Prese un secondo “Diploma di perito agrario” il 14 ottobre 1952 a Remedello (Brescia) dove si sono specializzati in agronomia altri nostri Fratelli; un terzo a Kampala, presso il Dipartimento dell’Agricoltura, l’8 novembre 1962; un quarto presso l’Istituto Italiano per l’Africa, a Foggia, il 20 novembre 1969, che gli conferì “La specializzazione didattica per l’emigrazione nei paesi caldi” e, finalmente, un quinto ad Esmeraldas, in Ecuador, presso l’Università Cattolica Ecuadoriana, Facoltà di Scienze Amministrative. Era il 16 ottobre 1984.
Questi diplomi gli furono conferiti con il massimo dei voti. Ciò significa che Fr. Bruno faceva sul serio e, quando affrontava un lavoro, voleva specializzarsi in esso, senza accontentarsi di “cavarsela alla meno peggio”. Ma seguiamo le tappe della sua vita.
Nel 1949 fu inviato a Londra come economo e poi a Stillington, come addetto alla campagna (1949-50). Bisogna dire che per Fr. Bruno lavorare la terra era diventata una vera vocazione, una passione, una missione. Tuttavia, la viveva in funzione di un lavoro in Africa dove sperava di poter andare al più presto. Proprio in quel periodo Nigrizia, a firma di P. Enrico Bartolucci, scriveva: “L’avvenire dell’Africa sta nell’agricoltura”. Le periodiche carestie con le conseguenti ondate di fame stavano ad indicare come nel continente nero ci fosse necessità di capaci agricoltori.
Versatile e contento
La versatilità del nostro Fratello era tale che, quando a Liverpool la comunità ebbe bisogno di un cuoco, egli interruppe prontamente il suo lavoro in campagna per passare in cucina a pelare patate e a preparare i pasti. E sempre contento, tanto che i superiori scrissero: “Nel lavoro Fr. Bruno ha più bisogno di essere moderato che spinto”, ma anche come vita religiosa era esemplare: “Vive con gioia profonda la sua vita religiosa”, aggiunsero nelle note che lo riguardano. Dall’Inghilterra scrisse: “Ho sempre più esperienza che la vita del Fratello laico è impastata di sacrificio e di lavoro. Se tuttavia è vissuta con entusiasmo e buona volontà, diventa una vita ricca di meriti. Ogni sera si può dire: ‘Sono contento di aver tribolato per il Regno di Dio’. Vorrei che Dio, padrone della messe, facesse piovere la sua luce su tanti giovani per far loro comprendere quali consolazioni Egli serbi per coloro che lo seguono più da vicino”.
Seguire da vicino il Signore era il desiderio più intenso racchiuso nel cuore del nostro Fratello. Si realizzerà in pieno quando “lo seguirà” restando anni ed anni su una croce con una malattia devastante.
In Uganda
Nel 1952 Fr. Bruno poté imbarcarsi per l’Uganda. A Gulu lo attendeva un lavoro poderoso: iniziare e portare avanti una fattoria-scuola dove i giovani africani avrebbero potuto specializzarsi nel lavoro della terra con metodi moderni. Era convinto che poteva annunciare il vangelo aiutando la gente ad uscire dalle spire della fame e della miseria. “La mia – disse un giorno – deve essere la continuazione dell’opera di Cristo che ha moltiplicato i pani per chi aveva fame”.
Ecco, in breve, le tappe della sua avventura africana: dal 1952 al 1958 fu insegnante nella scuola agricola di Gulu e di Koboko. Nel 1959 fu per un breve periodo ad Angal come aiutante nelle costruzioni. Sì, perché Fr. Bruno – come abbiamo già ricordato – andava dove c’era bisogno e dove l’obbedienza gli indicava.
Anche le note a suo riguardo rilasciate dai superiori di missione sono lusinghiere. In esse si sottolinea la sua obbedienza, la sua disponibilità, la sua carità con i confratelli, la sua capacità di insegnare ai giovani e il suo spirito di preghiera e di sacrificio.
Nel 1960 rientrò in Italia per le vacanze e venne inviato nel seminario comboniano di Trento come incaricato delle spese per la cucina e la casa, oltre che per vari altri lavori nell’orto.
Di ritorno dalle vacanze in Italia, nel 1961, venne inviato nella fattoria di Arua annessa al seminario e vi rimase fino al 1967, anno in cui dovette rimpatriare per un altro attacco di esaurimento.
Si riprese abbastanza bene, tanto che poté recarsi nel seminario di Troia, Foggia (1968-1969) come economo. Come abbiamo visto, ne approfittò per conseguire un altro diploma.
Consigliere della FAO
Nel 1969 Fr. Bruno era nuovamente a Gulu dove diede inizio ad una “Stazione Agricola Sperimentale” (Demonstration Farm) nella quale riversò tutte le sue cognizioni e intuizioni agricole (di cui abbiamo parlato all’inizio) e che acquistò grandi meriti ed attestati anche agli occhi del governo (1977).
Diventò consigliere presso la FAO prendendo parte alle riunioni del Dipartimento dell’Agricoltura del Nord Uganda.
La sua fattoria di Gulu era di ben 250 ettari. Aveva tre assistenti ugandesi con diplomi come il suo e, nel pieno delle attività, impiegava fino a 250 lavoratori. Lo scopo era quello di preparare giovani per il mondo agricolo e per una migliore e maggiore produzione di cibo, così da poter affrontare serenamente la crescita demografica che in quegli anni, grazie anche ad un’efficiente sanità infantile, era in pieno sviluppo.
Nella fattoria vennero selezionate e diffuse sementi di riso, granoturco, arachidi e frumento resistenti ai parassiti. I prodotti della fattoria bastavano per le scuole dei dintorni, per il seminario e i collegi, e per la gente. Pareva che Fr. Bruno avesse raggiunto lo scopo della sua vita: moltiplicare il pane per la folla che aveva fame.
La sua opera si dimostrerà provvidenziale quando, negli anni seguenti, a causa della guerra e della carestia, la zona sarà preservata dalla fame; ciò grazie alla grande diversificazione di semi per la sussistenza e per il commercio interno alla regione. I Comboniani si guadagnarono il titolo di “Verona Farmers (fattori veronesi)” più che di “Verona Fathers (padri veronesi)”.
In questa sua opera di promozione umana, Fr. Bruno non fu solo. Oltre all’aiuto di altrettanto abili confratelli, seppe coinvolgere amici e benefattori che gli fornivano i mezzi per acquistare sempre nuovi macchinari.
Anche la sua famiglia affiancò sempre efficacemente la sua azione missionaria. “Noi – afferma la moglie di suo fratello Antonio – in quei primi anni di missione non siamo mai riusciti a comperarci una macchina, accontentandoci di spostarci in bicicletta, eppure a furia di risparmi siamo riusciti a comperare un’auto per Fr. Bruno e gliel’abbiamo mandata in Africa in modo che potesse spostarsi più facilmente. Anche in seguito lo abbiamo sempre aiutato nei limiti delle nostre possibilità”.
Amicizie “pericolose”
Durante la messa funebre di Fr. Bruno, Fr. Angelo Zanetti, che fu suo compagno e collaboratore in Africa, ha tenuto una toccante omelia di cui riportiamo i passi più importanti.
“L’ho conosciuto in Africa e l’ho sostituito nella sua grande opera, la scuola agricola di Gulu, quando è stato mandato per un periodo di riposo in Italia. Ne è stato il fondatore, il direttore e l’animatore per anni. Era venuto il momento di lasciare quel posto.
Ad un certo punto era diventato amico del dittatore sanguinario Idi Amin, entrando in confidenza con lui. Ma questa si rivelerà un’amicizia pericolosa. Fr. Bruno, infatti, andava a visitare le fattorie del dittatore e dava suggerimenti per una migliore produzione.
Cosa c’era sotto? C’era sotto che Fr. Bruno era un missionario, un religioso e agiva secondo il programma dei missionari: voleva, cioè, il bene del prossimo e non guardava altro. Se anche l’amicizia (si fa per dire) con Amin poteva servire a questo, ben venga. E difatti, in un primo tempo, fu favorito nei suoi lavori ottenendo aiuti dal governo. Tutto ciò che faceva nell’allevamento, nelle coltivazioni era per aiutare la gente del posto. Si commuoveva quando vedeva le file di donne con i bambini in braccio che andavano alla sua fattoria per rifornirsi di latte.
Fr. Bruno scriveva lettere personali ad Amin nelle quali accusava gli ufficiali del governo locale di pensare solo a riempire le proprie tasche non curandosi della gente che soffriva la fame, viveva nella paura e non era per niente protetta. Era riuscito a far allontanare certi amministratori corrotti che erano ufficiali, sempre armati, dal grilletto facile. Per fare questo ci voleva coraggio, e Fr. Bruno lo sapeva, perché non ci voleva niente a prendersi una pallottola in testa. Ma il bene della gente e la giustizia prevalevano anche sull’amore per la propria vita.
Certamente, in quelle circostanze, ha compiuto tanti gesti eroici. I superiori, ad un certo punto, vedendo il pericolo a cui andava incontro e giudicandolo troppo spinto nelle sue iniziative umanitarie che andavano contro l’egoismo e la rapacità di militari senza scrupolo, pensarono di allontanarlo, mandandolo in Italia. Per la verità Fr. Bruno aveva anche bisogno di riposo per il super lavoro al quale si era sottoposto.
Ti ringrazio, Fr. Bruno, per questi buoni esempi che mi hai dato, anche se eri più giovane di me. Certamente oggi il Signore ti ricompensa per quanto hai fatto, del martirio che hai rischiato per amore della giustizia, per amore degli africani”.
La guerra del 1979, che vide la cacciata del dittatore Amin, danneggiò anche Fr. Bruno. La sua fattoria fu saccheggiata, devastata e distrutta dai nemici di Amin, e Fr. Bruno dovette rientrare in fretta in patria per evitare la vendetta di chi lo giudicava “amico” del deposto dittatore. Questo fatto non giovò di sicuro alla sua salute sempre piuttosto fragile. Accusò il colpo e, a testa bassa, rientrò in patria. Ad un amico disse: “Dopo l’osanna c’è il crucifige. È la logica del Maestro”.
Tappa in Ecuador
In Italia, Fr. Bruno curò la propria salute e poi andò a Limone sul Garda, presso la casa natale del Fondatore, per un periodo di riposo. In realtà, ricoprì l’incarico di economo e di giardiniere, dedicandosi, con la sua mai spenta passione, al lavoro della terra.
“Mi commuovo quando lavoro questo terreno disposto a terrazze sul quale hanno lavorato e sudato il papà di Comboni e il piccolo Daniele stesso. Credo che i superiori non potevano farmi un regalo migliore mandandomi qui. Senza dire dell’aria buona che si respira, della vita serena che si conduce, dei continui stimoli missionari che derivano da mille ricordi della vita del Fondatore che affiorano ad ogni momento”, scrisse.
Nel 1981, però, il desiderio di missione si fece nuovamente sentire in modo preminente, e Fr. Bruno chiese un posto qualsiasi, anche fuori dall’Africa. I superiori lo mandarono in Ecuador, nella diocesi di Esmeraldas dove era vescovo P. Enrico Bartolucci che ai tempi in cui era direttore di Nigrizia descriveva l’agricoltura come l’avvenire dell’Africa ed ora diceva le stesse cose per l’America Latina.
A San Lorenzo Fr. Bruno studiò la lingua, poi passò nella capitale, Quito, come addetto alla casa. In realtà acquisì il suo quinto diploma in “Scienze economiche amministrative” che gli diede la possibilità di iniziare il “Collegio Tecnico Agro-pastorale di San Lorenzo” (1983).
P. Giuseppe Ricchieri, che è stato con lui in quel periodo, dice che Fr. Bruno ad un certo punto chiese nuovamente di poter riprendere gli studi per diventare sacerdote. Aveva visto la carenza di sacerdoti in Ecuador e pensava che, oltre al cibo materiale, la gente avesse bisogno del cibo eucaristico. “Quanti giovani seminaristi sono stati fermati e deviati a causa del latino – si rammaricò un giorno – e ora dove è andato a finire il latino?” Dicendo quelle parole pensava alla sua esperienza di seminarista a Padova. Data l’età, lo dissuasero da quella scelta. Egli accettò di buon grado e continuò ad essere un valido Fratello, tutto dedito al Collegio Tecnico nella speranza di formare, come aveva fatto in Africa, schiere di validi contadini.
La lunga notte della malattia
La lunga notte della malattia iniziò nel 1986 quando Fr. Bruno ritornò in Italia con i primi sintomi del morbo che lo avrebbe portato alla morte. Se prima aveva continuato l’opera benefica di Cristo che sfamava le folle, ora continuava la missione di Cristo con la croce sulle spalle lungo l’erta del Calvario.
Il Superiore Generale gli scrisse: “Conosco le difficoltà che hai incontrato nei vari posti dove sei stato e che hai sempre superato con molta generosità nel servizio della Chiesa e della missione nella congregazione. Sono certo che avrai lo stesso coraggio e la stessa fede nell’affrontare la malattia e la sofferenza. Sappi che ti sono vicino in questo difficile momento”.
Il calvario di Fr. Bruno sarebbe durato 15 anni, 15 lunghi anni durante i quali la sua memoria andava via via svanendo perdendosi nella nebbia e, infine, nell’oscurità completa. A questo punto dobbiamo ricordare Fr. Giovanni Cattaneo, definito “l'angelo custode” di Fr. Bruno, che con delicata carità, piena dedizione e autentico amore fraterno, si era messo a completa disposizione del confratello per accompagnarlo nella sua giornata. Fr. Cattaneo era l’unico che riusciva a comunicare con Fr. Bruno. Anche questa era una cosa che stupiva e faceva chiedere a più di uno come fosse possibile una cosa simile. La risposta non è difficile.
Col passare degli anni Fr. Bruno finì su una sedia a rotelle e poi stabilmente a letto. Tra i laici volontari che prestano la loro opera al Centro Ammalati di Verona c’era un giovane architetto che veniva tutte le sere per imboccare Fr. Bruno e comunicare con lui. Aveva sostituito Fr. Cattaneo in questo misterioso rapporto che trova la sua spiegazione nella parola carità.
Il 4 settembre 2001 Fr. Bruno chiude la sua giornata terrena: “Ite, missa est”. La Messa di questo sacerdote mancato, ma che ha esercitato il sacerdozio in modo sublime, era finita.
La testimonianza del parroco
Il parroco del suo paese nativo, presente al funerale in Casa Madre, ha fatto una considerazione su Fr. Bruno. Ad un cero punto ha detto: “Ebbi modo di ascoltare dalla tua voce il racconto delle molteplici e importanti realizzazioni operate in campo agricolo-industriale che, però, ti rammaricavi di non veder animate da vero spirito missionario.
Arrivò poi il tempo della grande prova che segnò profondamente la tua vita: l’estenuante e drammatica fuga dal feroce Amin… Quella che soprattutto ebbi modo di ammirare fu la tua semplice e spontanea pietà che si esprimeva in prolungata preghiera davanti al Santissimo.
Dopo la morte di mamma Giuseppina, 18 aprile 1988, tornasti ancora al paese, ma non fu più come prima. Sì, l’attenzione, l’affetto delle sorelle, dei fratelli, delle cognate, dei nipoti ma, ormai, lei non c’era più. Per te, la mamma è sempre stata una persona importante, capace di infonderti forza e coraggio. Intanto già si manifestavano i primi sintomi della malattia che ti privò delle tue forze fisiche e spirituali-psichiche.
E qui viene spontaneo dire un grazie grande alla famiglia comboniana che ti accolse e curò per tanti anni. Splendido esempio di carità cristiana. Un rammarico, un rimpianto per me, per la nostra comunità parrocchiale: non abbiamo saputo scoprire, valorizzare con visite più frequenti il dono del Signore in un nostro fratello sofferente. Perdonaci, Fr. Bruno: prega per noi e ottienici dal Signore un senso più attento e delicato del dolore e della sofferenza dei fratelli.
Ora le tue spoglie mortali riposeranno nel nostro cimitero accanto a quelle di don Antonio, parroco della tua fanciullezza, e di don Ottorino. Resteremo più vicini, più uniti nella preghiera”.
Dopo il funerale in Casa Madre, la salma di Fr. Bruno venne traslata al suo paese dove riposa accanto ai sacerdoti della sua fanciullezza e ai genitori. Ai confratelli lascia un luminoso esempio di laboriosità e di impegno nella vita religiosa e, soprattutto, uno stimolo e un incoraggiamento ad accettare la sofferenza e a portare la croce insieme con Cristo.
Bro. Bruno Barbiero was born at Moniego di Noale, diocese of Treviso and province of Venice. He entered the seminary of Thiene on 16 August 1941. He was immediately appreciated for his good sense and seriousness, for his hard work and solid piety. He learned the tailor’s art. Bro. Bruno made his first vows at Venegono on 15 August 1946 at the age of 20 and his perpetual vows at Arco (TN) on 15 August 1952. The novice master and the superiors of the time appreciated his willing co-operation in everything he was asked to do, so much so that when it came to work, they used to say he needed to be held back rather than to be pushed. “He lives his religious life with deep joy”, they added.
After he made his first vows, Bro. Bruno was sent to England. He wrote in June 1948, “I am experiencing more and more the fact that the life of a Lay Brother is filled with sacrifice and work. Nevertheless, if it is lived with enthusiasm and good will, it becomes a life filled with merit. Every night one can say ‘I have struggled for the kingdom of God’. I wish that God, the Lord of the Harvest, shed his light upon so many young people to make them understand the consolations He has in store for those who follow Him more closely”. During his five years in England Bro. Bruno did everything regarding the kitchen, but in the meantime he studied at the agrarian school run by the Salesians at Glocester, near London, where he earned a diploma in tropical agriculture (1948).
Bro. Bruno returned to Thiene and earned a diploma as a mechanic. He kept himself updated in his fields of expertise and in 1969 went to the Italo-African Institute to specialise in teaching methods for tropical countries.
After his perpetual profession, Bro. Bruno was sent to Gulu, Uganda, where in 1952 he started an agricultural school. He did the same at Koboko in West Nile in 1955, and then established a demonstration farm at Pokea near Arua in 1962. After these first experiments he gained confidence in himself and trust from his superiors. Then he returned to Gulu and started an experimental farm which in 1970 won the respect and admiration of the government as well.
Bro. Bruno became a counsellor to the FAO and took part in the meetings of the Agricultural Department of Northern Uganda. His farm in Gulu consisted of 250 hectares. He had three Ugandan assistants with diplomas equal to his and at the height of its activity employed up to 250 people. The goal was a greater and better production of food by the local population, so as to be able to face confidently the population growth. The main means was the selection and progressive production of certified seeds that were resistant to diseases and of high yield. He succeeded to select and distribute seeds for rice, maize, groundnuts, sorghum and wheat. The internal production of the farm supplied food to the neighbouring schools, beginning with those dearest to the bishop of Gulu, like the seminary and the various schools scattered on the hill. The fruit of this work still remains today. The population of North Uganda had been able to survive wars and misfortunes thanks to the great diversification of seeds from the “Gulu Farm” for sustenance and for internal commerce in the region. The Comboni Missionaries earned the friendly nickname “Verona Farmers” rather than "Verona Fathers". Nevertheless projects like these cannot avoid crises and opposition.
For Bro. Bruno the blow came during the war of 1979, the year Idi Amin Dada was chased out of the country, thus ending the reign of terror he had set up in Uganda. During the war, his farm was sacked and destroyed.
Bro. Bruno returned to Italy and after a period of re-evaluation was asked to contribute his experience to the diocese of Esmeralda in Ecuador (1981). He began to carry out the necessary modernisation of the farm, acquired a government diploma as an “administrative director of agricultural enterprises” and started the Agro-pastoral Technical College of San Lorenzo (1983). By this time Bro. Bruno was no longer himself and in 1985 he returned to Italy. The Superior General wrote to him, “I know the difficulties you have encountered in various places and which you have always overcome with great generosity in the service of the Church and of the missions in the congregation”.
Bro. Bruno passed the last fifteen years of his life at the sick bay in Verona. A long and painful calvary. He passed away on 4 September 2001 and his remains were laid to rest in the graveyard of his hometown.
Da Mccj Bulletin n. 214 suppl. In Memoriam, aprile 2002, pp.51-60