In Pace Christi

Cona Vittorino

Cona Vittorino
Geburtsdatum : 28/03/1932
Geburtsort : Verona/I
Zeitliche Gelübde : 09/09/1950
Ewige Gelübde : 09/09/1956
Datum der Priesterweihe : 15/06/1957
Todesdatum : 07/06/1999
Todesort : Nairobi/KE

Padre Vittorino Cona è uno dei pochi confratelli che, saggiamente, prima di andarsene da questo mondo ha lasciato qualche nota sulla sua vita, sulla sua vocazione e sulla sua attività missionaria. Gliene siamo riconoscenti. Altrettanto aveva fatto anche suo fratello p. Roberto.

“Sono nato a Verona il 28 marzo 1932 - ha scritto p. Vittorino durante il Corso a Gerusalemme nel 1993. - Sono il secondo di cinque figli di Giovanni e Carolina Pasetto. L’ultimo venne al mondo il giorno di Natale del 1939. Tre giorni dopo mia madre morì stroncata dalla polmonite. Questo fatto significò un periodo molto brutto per mio padre che dovette prendersi cura di noi e della nostra vecchia nonna (sua mamma)”.

Da altre fonti sappiamo che la mamma di p. Vittorino era ritenuta una santa. Con ogni tempo e ad ogni stagione si recava all’Adige a lavare i panni e, durante l’inverno, più di una volta il papà doveva rompere il ghiaccio con la mazza per consentirle di raggiungere l’acqua. Santa messa tutte le domeniche e, spesso, anche nei giorni feriali. Prima di sedersi a tavola faceva pregare tutti i membri della famiglia; così pure al mattino e alla sera, ed esercizio della carità verso i poveri che battevano alla sua porta.

“Al momento della morte della mia mamma avevo solo sette anni - prosegue p. Vittorino. - Quell’avvenimento doloroso costituì per me un grosso trauma. Come se ciò non bastasse ci fu anche la guerra con le sue restrizioni alimentari; e noi eravamo poveri. La poca terra che possedevamo, 10.000 metri quadrati, non poteva bastare per la nostra sussistenza. Quindi la mia infanzia e fanciullezza furono parecchio disturbate. Trovai tanta comprensione da parte delle le Suore Orsoline presso le quali frequentai le elementari”.

Voleva sempre superare se stesso

Il fratello maggiore, Luigi, che arrivò fino alla quinta ginnasio tra i Comboniani e poi uscì, scrive: “La mattina seguente la morte di mamma, andammo a messa a San Zeno e, al ritorno, Vittorino disse: ‘Oggi possiamo giocare a tamburello in cortile, tanto la mamma non ci può sentire’. Lo sgridai per questa sua uscita che, però, in lui era solo voglia di vita, di movimento. Era questa la sua caratteristica principale: l’attivismo. Amava tutti gli sport: dal calcio al tamburello, dalla palla a mano alla corsa, ed arrivava alla sera così stanco che, durante la recita del rosario attorno alla tavola, si addormentava.

Con Vittorino eravamo amici, oltre che fratelli e qualche volta facevamo insieme delle marachelle. A scuola si andava a San Zeno, dalle suore Orsoline, per espressa volontà della mamma che, sul letto di morte, lo raccomandò a papà. Erano cinque chilometri tra andare e venire che facevamo ogni giorno a piedi. D’inverno calzavamo le sgalmare con la suola di legno. I nostri compagni ci canzonavano per questo tanto che, quando non ne potemmo più, lo raccontammo al papà. Egli ci permise di andare a scuola con le scarpe della domenica, ma solo quando c’era bel tempo.

Ricordo un episodio che indica come Vittorino voleva sempre superare se stesso, oltre che gli altri. Lo stradone asfaltato, via C. Colombo, era delimitato da giovani platani. Nel periodo nel quale le piante fanno quelle palline verdi, ci divertivamo a scrollarle per fare a gara a chi ne faceva cadere di più. Vittorino un giorno ebbe la pensata di farle cadere a testate. Dava dei colpi al tronco che noi, dopo le prime risate, cominciavamo a temere che si rompesse la testa. Per fortuna che un signore di passaggio lo fece desistere dicendogli: ‘Cos’è che vuoi dimostrare? Che hai la testa dura?’. Vittorino non ripeté più la bravata”.

Mio padre - continua p. Vittorino - dovette affrontare grossi sacrifici per non farci mancare il pane. Lui era un uomo di fede, anche se molto autoritario, e sentiva la responsabilità della nostra educazione. Sapeva che, da solo, non ce l’avrebbe fatta, perciò seguendo il consiglio di molte persone anziane ed influenti, si sposò di nuovo. Fummo fortunati nel trovare nella sua nuova moglie, Elisabetta Tomaroli, una buona donna che accettò con fede cristiana di essere madre di tale grande famiglia. Lei ci diede altri due fratellini. E’ morta nel 1995 a 94 anni”.

La vocazione

Con uno zio missionario del calibro di p. Ettore Pasetto, la vocazione missionaria nella Congregazione comboniana dei nipoti è subito spiegata. Per essere più precisi dobbiamo dire che, sul foglio d’ingresso di Vittorino, alla domanda:

“In quale occasione gli venne l’idea di farsi missionario?”, c’è la seguente risposta:

“Visitando il museo missionario”.

Nel 1942 il primogenito, Luigi, partì per il seminario comboniano di Padova; nel 1943 fu la volta di Vittorino e, nel 1946, sarà quella di Roberto. Il primo, per motivi di salute, ad un certo punto lasciò il seminario, ma gli altri proseguirono con le difficoltà inerenti a quel periodo di formazione. Quanto a profitto scolastico Vittorino fu sempre tra i primi tre o quattro della classe.

“I primi anni, fino a maggio del 1945 - scrisse p. Vittorino - erano ancora gli anni della guerra. I superiori furono capaci di custodirci e di farci continuare la scuola senza interruzioni. Non mi mancarono le difficoltà legate all’età, ma il direttore spirituale mi incoraggiò a continuare senza scoraggiamento confidando nell’aiuto del Signore.

Sviluppai un grande interesse per lo sport. Avevo buone qualità nel giocare al pallone anche se dovevo stare attento a non consumare le scarpe (erano quelle di tutti i giorni). Ricordo con nostalgia il mese di vacanza durante l’estate. Mio padre e mia madre erano molto gentili con me, così i fratelli. Ogni mattina facevo mezz’ora di cammino per arrivare alla chiesa parrocchiale per la messa. Poi aiutavo il papà nel lavoro del campo”.

Dopo Padova, Vittorino passò a Brescia per la quarta e quinta ginnasio. Il superiore, p. Diego Parodi, scrisse: “Si è rivelato un carattere ardente e forte. Assai amante del gioco e dell’allegria. Buona confidenza con i superiori. Talvolta un po’ irriflessivo nelle risposte, specie nella scuola. Ottima salute”.

Una lettera scritta il 13 luglio 1948 al superiore di Padova (Vittorino era in vacanza) ci dice molte cose sulla delicatezza di cuore del nostro giovane:

“Ho appena terminato una piccola discussione con la mamma circa il corredo per il prossimo anno. Siamo in due che stiamo crescendo molto per cui bisogna rinnovare tutto, ed ella non sa più dove voltarsi. Il papà lavora da mattina a sera, ma gli affari vanno male... Non gli ho ancora parlato del debito da saldare di lire 7.000 perché non ho il coraggio di toccare questo argomento... La vendita dei libri missionari va bene. Ho già raggiunto la somma di lire 8.500. Girando per le case, fra l’altro, ho imparato a fare un po’ la faccia tosta... Vado al pomeriggio perché, al mattino, dopo le mie pratiche di pietà, aiuto il papà nell’orto... Se crederà opportuno rispondermi, Padre, accluda nella lettera uno scritto per il babbo, per confortarlo e consolarlo. Grazie”.

Il parroco, che lo teneva d’occhio durante le vacanze, scrisse: “Posso affermare che detto ragazzo, con il suo esempio, sia in chiesa, sia in famiglia, destò l’ammirazione di quanti l’ebbero ad accostare. Di lui, quindi, posso dare tutte le buone informazioni possibili”.

Novizio

“Alla fine del ginnasio, nel settembre del 1948, a 16 anni, fui ammesso al Noviziato di Gozzano - prosegue p. Vittorino. - Ovviamente in quegli anni il noviziato era strettamente gesuitico nello stile. Avevamo le meditazioni quotidiane, le letture e la direzione spirituale col padre maestro. Gli atti di penitenza nel refettorio erano abitudinari (preghiera con le braccia allargate, baciare i piedi, dire la colpa...) Ricordo la mia profonda avversione per questo genere di cose.

Un’altra cosa che avversavo era la mancanza di movimento, di esercizi fisici. Avevamo ogni tanto una passeggiata e frequenti partite a palla a volo, ma non al pallone! Sentivo avversione per le ricreazioni fatte in ‘ternario’, cioè con due novizi, camminando nel parco e parlando di cose spirituali. Una vera seccatura!

Non ebbi problemi particolari in noviziato. Mi pareva di portare come una maschera nel conformarmi alle regole e aspettative del noviziato. Una volta ogni due settimane andavo dal padre maestro per il colloquio. Una cosa molto formale e arida anche perché mi pareva un uomo troppo ascetico, freddo, che non comunicava facilmente e non ispirava fiducia e calore umano”.

E’ chiaro che Vittorino, prendendo il noviziato in questo tono, non suonasse buona musica alle orecchie del p. maestro il quale, tuttavia, dopo due anni di paziente lavoro poté scrivere:

“Non si può dire: ‘Che sovra gli altri com’aquila vola’. Però, a parte qualche ‘posatella’ ha sempre tirato innanzi con costanza. Non si distingue per qualche virtù, eppure lo si può dire buono. E’ di buon criterio e di felice ingegno. Come carattere lo direi sanguigno, tagliato giù con l’accetta, ma allegro, chiacchierone, di buona compagnia. Generalmente non si ritrae, anzi si butta nei lavori, specialmente pesanti. Salute ottima. Proponendolo per i Voti, ho fiducia di presentare un buon elemento per la Congregazione e per la Missione”.

Il noviziato terminò, Vittorino fece la professione temporanea il 9 settembre 1950. “Quello fu un giorno felice - scrisse - non solo perché feci i Voti, ma anche (forse specialmente) perché il noviziato era finito.

Scolastico

“Frequentai un anno a Como nel Filosofato comboniano (1950-‘51) e due nel Filosofato in Inghilterra, a Sunningdale (1951-’53). Praticamente non ci fu dialogo per cui, io e i miei tre compagni, abbiamo fatto metà del programma di scienze in Italia e poi l’esame di maturità di due anni in Inghilterra. Era una povera combinazione. Infatti nessuno dopo di noi fece una cosa simile. Ma ovviamente in quegli anni l’obbedienza era assoluta e, qualche miracolo, lo faceva pure.

Fu positivo il fatto che potei studiare l’inglese per due anni. Ciò mi fu provvidenziale più tardi. La permanenza in Inghilterra fu piacevole, e mi aiutò ad acquistare un po’ di mentalità internazionale aprendo considerevolmente i miei orizzonti.

Nell’estate del 1953 ritornai in Italia e andai nello scolasticato di Venegono Superiore dove eravamo circa 150 studenti di teologia che frequentavamo il quadriennio. Ricordo Venegono con nostalgia: Studiavamo molte materie di teologia e, tutto sommato, i nostri professori (tutti comboniani) erano competenti e professionali. Solo quattro della nostra classe di 38 studenti frequentavano la facoltà di teologia del Seminario maggiore di Milano. Io non ero mai stato un filosofo o un teologo per cui portai a termine i miei studi dignitosamente, ma senza fanfara.

Ovviamente ero nel gruppo delle persone ‘pratiche’ per cui quando c’erano cose da fare, teatri da preparare, giochi da organizzare, io ero sempre chiamato. A Venegono passai begli anni e, piuttosto velocemente, arrivai alla fine del corso.

Dopo i Voti perpetui - 9 settembre 1956 - seguirono gli ordini maggiori con l’ordinazione sacerdotale nel Duomo di Milano, dall’arcivescovo Montini. Era il 15 giugno 1957. Durante la teologia ebbi qualche crisi affettiva, ma mai una cosa seria. Il fatto che avevo lasciato la casa a 11 anni e che la vita di seminario in quegli anni era molto stretta, era praticamente impossibile avere ‘relazioni normali’ con ragazze della mia età. Le direttive ascetiche e spirituali erano molto ben definite poiché dovevamo diventare preti, quindi dovevamo tagliare tutte le relazioni con l’elemento femminile. E se non si vede la torta, neanche ti viene la voglia di mangiarla.

Lo sport e le attività culturali mi aiutarono molto perché mi mantennero occupato e interessato durante il tempo libero. Anche se ho avuto dubbi e tentazioni, credo che non ho mai pensato a nulla di diverso se non alla vita sacerdotale e missionaria”.

Guardando le sue carte in questo periodo, troviamo che Vittorino era considerato “buon religioso, esemplare, pronto all’obbedienza, osservante della castità, povero, benvoluto da tutti, uno che riesce nelle cose, di buon criterio, aperto e molto allegro, laborioso e molto attaccato alla vocazione missionaria”. Così scrissero i suoi superiori.

Destinazione Uganda

Avendo imparato bene l’inglese e possedendo il certificato di maturità, p. Vittorino Cona fu tra i fortunati ad essere immediatamente inviati in missione.

“Dopo pochi mesi spesi in Italia per un po’ di vacanza e di lavoro pastorale, partii per la missione d’Uganda. Era il 1° giugno 1958. La prima destinazione fu la parrocchia di Kalongo. Fui fatto curato. Ma la morte improvvisa di un confratello richiese dei cambiamento di personale. Così, dopo solo 4 mesi di studio della lingua, fui chiamato a diventare preside della Scuola Secondaria di Kitgum. Il collegio aveva 120 ragazzi. Rimasi là per cinque anni, fino a dicembre 1962. Quello fu l’inizio dei miei 24 anni nella Scuola: da maggio 1958 a dicembre 1981.

Nel 1963, nella nuova Uganda divenuta indipendente, fui fatto preside della Scuola Secondaria di Gulu, St. Joseph’s College, Laybi. Gli studenti erano 360. Divennero poi 550 quando la scuola si ingrandì con l’aggiunta del livello avanzato, negli anni Settanta. In questa scuola spesi 19 anni. La lasciai nel dicembre 1981.

Fui felice di lavorare tra la gioventù e, con la grazia di Dio, mi pare di essere riuscito a spingere studenti ed insegnanti a dare del loro meglio: Con stretta disciplina e lavoro duro le due scuole in cui lavorai (Kitgum e Laybi) erano tra le migliori d’Uganda. Laybi faceva bene accademicamente e in tutti gli altri campi, specialmente sport e giochi. Molti dei miei studenti diventarono dottori, ingegneri, avvocati, ecc.”.

Dalle numerose lettere scritte ai diversi superiori generali nel periodo della scuola, p. Cona non faceva che richiedere personale per l’insegnamento e anche per la formazione spirituale dei ragazzi. Gli interpellati, naturalmente, si barcamenavano come potevano. Nello stesso periodo arrivavano lettere di fuoco anche da altre missioni e da altri continenti. Cosa potevano fare i superiori? I professori, poi, erano una categoria piuttosto rara.

“Dopo un periodo di vacanze in Italia - prosegue p. Vittorino - ritornai in Uganda nel luglio 1982. Fui fatto parroco di Kalongo, la prima missione dove, 24 anni prima ero stato come curato per pochi mesi”. In un documento che si trova tra le sue carte, c’è una dichiarazione nella quale afferma: “Mi piace la scuola e l’insegnamento, ma amo molto l’apostolato diretto, tra la gente, nei villaggi. E lo aveva dimostrato anche nel suo periodo di preside. Appena gli era possibile, sempre alla domenica, partiva e andava a celebrare la messa in qualche cappella dove si fermava per un po’ di catechesi, di confessioni o, se non altro, per parlare con la gente.

Superiore Provinciale

“Conoscevo l’Acholi sufficientemente bene - prosegue p. Cona - anche perché nei molti anni spesi nella scuola non mi era mancata la pastorale, però non conoscevo quasi nulla di metodologia pastorale. Fortunatamente a Kalongo avevo un buon cappellano. Lavorammo insieme felicemente per 2 anni e mezzo. Nel secondo anno fui eletto consigliere provinciale, perciò nel gennaio del 1985 fui trasferito a Gulu come parroco della parrocchia della città, Holy Rosary”.

In quel periodo p. Cona, che era vice provinciale, ingaggiò un’altra lotta con la Direzione generale che sentiva la necessità di affidare alcune parrocchie al clero diocesano recuperando, così, del personale comboniano. Naturalmente tutti avevano le loro buone ragioni da portare avanti: la Direzione generale insisteva che la Chiesa ugandese ormai poteva camminare con le proprie gambe; i missionari ribattevano che le cose affrettate potevano rovinare ciò che era così ben avviato. Tantopiù che la situazione politica e sociale era sempre esplosiva.

“Durante gli anni 1984-1986 - prosegue p. Vittorino - fui anche vice provinciale d’Uganda. Poi, nella seconda metà del 1986, fui eletto superiore provinciale. Entrai in carica il 1° gennaio 1987. Dovetti lasciare, perciò, la parrocchia e trasferirmi nella casa provincializia di Kampala (Mbuya).

Dio mi aiutò a cambiare la mia vita e i miei atteggiamenti. Dovevo diventare animatore e guida. Pregai molto il Signore di aiutarmi, di darmi la sua grazia. Dovetti predicare ritiri ai confratelli delle diverse zone, animare incontri ed assemblee, preparare le relazioni per il Consiglio generale, visitare le 50 e più comunità della Provincia. Alla fine del 1987, a causa della forzata chiusura di alcune comunità e la consegna di altri impegni, le comunità furono ridotte a 40”.

L’epoca dei martiri

“Dopo i primi 3 anni fui rieletto per un secondo triennio, che terminò nel dicembre del 1992. Dal 1987 al 1992 tre confratelli furono uccisi, molte missioni furono derubate e distrutte, altri confratelli furono feriti in imboscate o caddero in forti esaurimenti. Presi come impegno principale quello di essere loro il più vicino possibile per cui viaggiai molto, anche quando era pericoloso, per incoraggiarli e sostenerli.

Durante il mio mandato furono costruiti in modo permanente il Noviziato (Namugongo) e il Postulato insieme al Centro Filosofico Intercongregazionale (Jinja).Sette nuovi missionari comboniani furono ordinati e altri lo saranno fra poco. Incoraggiai ogni forma di promozione vocazionale, di animazione per il seminario diocesano e la vita religiosa e anche per la nostra Congregazione. Parlai e scrissi in molte occasioni a confratelli, invitandoli ad essere testimoni con la loro vita di amore, di povertà, di castità secondo ciò che predicavano. Ebbi anche da intervenire ‘con autorità’ chiedendo al Consiglio generale di richiamare alcuni confratelli che non erano testimoni del Vangelo. Devo ringraziare molto il Signore e i confratelli; ho ricevuto molta collaborazione e aiuto da loro. Ovviamente lascio la valutazione del mio mandato a Dio e ai confratelli”.

Scrive Fr. Artuso: “Fu Provinciale in momenti burrascosi e difficili. Le strade erano insicure, l’incertezza e la paura erano costanti compagne di viaggio e di vita quotidiana. Neppure lui immaginava quanto le sue visite alle comunità fossero di conforto e di incoraggiamento a tutti. Ma quanti rischi per lui quegli spostamenti in auto! Certamente da Provinciale esperimentò anche l’incomprensione.

Al termine del suo incarico gli fu chiesto di tornare in Italia per un servizio alla provincia di origine. Quel cambiamento gli è costato molto e lo ha anche modificato interiormente. Quando lo vidi a San Pancrazio, infatti, non era più il p. Vittorino dell’Africa. Forse era anche la salute che si incrinava, anche se su questo punto non ha mai fatto notare niente a nessuno e non ha mai richiesto particolari attenzioni”. “Durante i 6 anni come superiore provinciale ebbi le mie difficoltà - confessa p. Cona - ma pregai sinceramente. Usai anche altri mezzi spirituali per superare i miei difetti. Ho sempre bisogno della grazia di Dio.

Fui allora informato che dovevo spendere qualche anno in Italia. Dopo un corso a Gerusalemme e un po’ di vacanza, mi avrebbero detto dove andare e cosa fare”.

“Attraverso le lettere che ci scriveva - prosegue il fratello Luigi - abbiamo vissuto con lui le soddisfazioni e le difficoltà della sua missione, trepidando in certe occasioni per il clima politico di incertezza e pericolo che ha sempre caratterizzato quella nazione.

Nel maggio del 1979 ci scrisse: ‘La prima cosa che devo dire alla fine della guerra è: Grazie a Dio sono ancora vivo e sto bene, anche se ho perso alcuni chili e così sono più agile. Il Collegio è vicinissimo alla strada che unisce Gulu a Kampala, e quindi centinaia di veicoli di tutti i tipi, carichi di masserizie fino all’inverosimile e di soldati in fuga con le loro famiglie passano di giorno e di notte. I soldati ci hanno portato via tutto ciò che avevamo: quattro camion, dato che Laybi è un centro di servizio per le missioni, e una Fiat 127. Più tardi ci portarono via anche il camioncino della scuola. I soldati si presentano in casa sparando all’impazzata. La gente fugge, mentre noi, con le buone, abbiamo cercato di calmarli’.

Ci scriveva dei periodi di fame generalizzata e quando c’era il colera. Nel 1981 ci ha scritto: ‘Non abbiamo più né gesso, né penne, né quaderni, né libri’. Abbiamo condiviso con lui anche le soddisfazioni che la sua scuola e le sue squadre sportive gli davano.

Dalle sue lettere emerge il suo carattere pratico e deciso nell’operare, la fiducia nella Provvidenza del Signore, il sincero rapporto con gli altri, la sua compartecipazione alle disgrazie della sua gente.

Nei periodi di vacanza in Italia divideva il suo tempo tra la casa dei genitori e dei fratelli. Quando era con me mi meravigliava il suo isolarsi per pregare. In un’epoca in cui è raro incontrare un prete con il breviario o con la corona in mano, vedere un missionario che dopo 20 o 30 anni d’Africa pregava il rosario, mi ha fatto capire perché Vittorino, dopo tante peripezie che hanno scavato un solco doloroso nella sua anima, è sempre stato entusiasta della sua scelta missionaria”.

Si stava bene con lui

Fratel Pasqualino Artuso, che è vissuto per anni con p. Vittorino a Laybi, così prosegue nella sua testimonianza: “Ho conosciuto P. Vittorino in Uganda e con lui ho lavorato per parecchi anni sia a Laybi che a Kampala. Con lui ho vissuto momenti di grande serenità e anche momenti di grandi tensioni dovuti specialmente alla situazione di guerra sia durante che dopo il periodo di Amin.

A Laybi eravamo una comunità di Fratelli e lui era il nostro punto di riferimento e di unione. Ci voleva bene, ci stimava e ci incoraggiava nel nostro lavoro nella scuola. Cona era il preside per eccellenza, l’uomo di indiscussa autorità e autorevolezza, ma che allo stesso tempo né ostentava, né mai faceva pesare in alcun modo. Era anche un uomo di una spontaneità e schiettezze sbalorditive. Aveva la disarmante capacità di metterti a nudo con quella sua tipica risata, spazzando via ogni paravento dietro al quale magari cercavi di nasconderti. Eppure non ti sentivi umiliato, anzi ti faceva sentire che una mano e il benvenuto da lui l’avresti sempre avuto. Si stava bene con Cona.

Con i maestri e gli studenti si comportava alla stessa maniera. Solo lui poteva dire certe cose ai maestri e agli studenti, in pubblico e senza mezzi termini. Chi di noi era presente avrebbe preferito sparire... ma anche tutti loro, a tu per tu nel suo ufficio, hanno conosciuto e apprezzato p. Vittorino. Con la stessa schiettezza, però, sapeva tornare sui suoi passi e chiedere scusa quando si accorgeva di aver ferito qualcuno o di aver sbagliato nel prendere una decisione.

Proverbiale era anche la sua passione per lo sport, non solo per le partite domenicali del campionato italiano, che non perdeva mai, ma era anche il sostenitore più appassionato e un tifoso immancabile di ogni attività sportiva dei suoi ragazzi del collegio. Nelle partite a pallone tra i professori e i maestri era organizzatore e portiere.

Durante la sua lunga permanenza a Laybi non fece solamente il preside della scuola, ma anche il sacerdote. Conosceva bene la lingua Acholi ed esercitava il ministero tra i cristiani di Laybi. Mi piaceva sentire le sue prediche perché era concreto e profondo. Si percepiva che ciò che diceva era frutto di preghiera e di riflessione. Aveva un tempo stabilito per la sua preghiera personale e lo si trovava sempre in chiesa alla stessa ora.

Arrivò anche per lui il momento di lasciare Laybi. Fu a causa degli intrighi dei politicanti se fu allontanato dalla scuola alla quale tanto teneva. Gli è costato molto terminare così tanti anni di attività in collegio, ma non fece tragedie:

‘Prendiamole con fede’, diceva spesso, e la sua era una fede concreta, senza troppe complicazioni, così come lo era lui stesso. Trascorse un periodo in Kigesi a dare una mano alla nuova scuola di Kambuga e poi partì per le vacanze in Italia”.

Superiore a Roma

Alla fine del corso a Gerusalemme, e dopo un po’ di vacanza, i superiori gli chiesero di lavorare nella provincia italiana. Il dialogo riguardante questa proposta incominciò nel maggio 1992 quando incontrò un Assistente generale a Nairobi. P. Cona presentò le sue difficoltà e obiezioni, tra cui il fatto che era stato lontano dalla provincia italiana ininterrottamente per 35 anni, per cui pensava che avrebbe trovato terribilmente difficile l’adattamento e la possibilità di fare un lavoro significativo.

Non ci fu nulla da fare. Ricevette l’obbedienza ufficiale e, il 17 dicembre prese l’aereo per l’Italia. Dal 1° gennaio 1993 fu superiore locale nella comunità di Roma San Pancrazio dove c’era l’Ufficio Viaggi, la sede dell’ACSE e della MISNA. Inoltre doveva occuparsi dell’accoglienza e dell’accompagnamento dei confratelli che tornavano o partivano per la missione.

Dobbiamo dire - e molti di noi ne sono testimoni - che se la cavò bene anche in quell’ufficio e si dimostrò sempre di grande accoglienza con i confratelli e con i parenti degli stessi che si recavano a Roma per accompagnare i loro cari.

Riferendosi alla sua vita africana, fr. Jerome Charbonneau ha scritto:

“Era un superiore forte, ma giusto. La scuola di Laybi, sotto di lui, è diventata la prima d’Uganda. Ho sempre ammirato la sua accoglienza. Quando passavano dei confratelli che venivano a parlare con altri confratelli, consegnava loro le chiavi delle stanze e della cucina dicendo che si servissero come desideravano. Voleva che, alla domenica, i Fratelli avessero il loro giorno libero e non parlassero di lavoro o di scuola, bensì di altre cose per avere un momento di svago. E’ stato davvero un bravo uomo e un missionario esemplare”.

Morire in Africa

Col 1° luglio 1997 fu nuovamente destinato all’Uganda, addetto al ministero nel Meeting Centre di Laybi; terra, casa e gente conosciute, realtà riviste con la gioia dell’esule che torna alla sua terra.

“E’ ripartito felice per l’Uganda - scrive fr. Artuso - ma subito cominciò ad accusare qualche problema di cuore e di circolazione, tuttavia ha sempre tirato avanti finché ha potuto”.

Il 4 giugno 1999 giunse al p. Provinciale d’Italia il seguente fax dal Kenya, inviato da p. Umberto Pescantini: “Ieri pomeriggio è arrivato dall’Uganda p. Vittorino Cona in condizione molto serie, dopo essere stato assistito per qualche giorno al Lacor Hospital (Gulu). Ora si trova in sala di rianimazione al Nairobi Hospital con prognosi riservata: sarà bene avvisare la famiglia. Ha avuto un attacco al cuore: angina pre-infarto, infarto miocardico anteriore esteso, insufficienza cardiaca: Risultato: edema polmonare, insufficienza renale, fibrillazione atriale, ictus.

L’agonia si protrasse per tre giorni. Infatti il giorno 07 giugno il Padre cessò di vivere. Dal Kenya fu portato a Laybi in Uganda. Il 13 giugno fr. Giuseppe Dalle Mulle, scrivendo a fr. Pasqualino Artuso disse: “Come già saprai, ieri alle ore 16.00 abbiamo sepolto p. Vittorino Cona. E’ stata una funzione proprio come il Padre si meritava: Hanno partecipato più di 40 sacerdoti e la cattedrale di Gulu era gremita. Era andato a Nairobi con la speranza di tornare in Italia a curarsi. Il Signore ha voluto diversamente... Insieme ai confratelli e alle suore, una innumerevole folla lo ha accompagnato all’ultima dimora. I maestri hanno voluto portare a spalle la bara, segno della stima e dell’affetto che nutrivano per lui”. Scrive il fratello Luigi:

“Era contento quando ricevette il via per l’Uganda. ‘Torno a casa’, ci ha detto a quella sua ultima partenza. A casa sua è morto ed è stato sepolto. E noi siamo contenti così perché quella era la sua terra, la sua gente”.

Così p. Vittorino Cona è rimasto nella terra d’Africa a testimoniare il suo amore agli africani e alla Chiesa di quel grande Paese che tanto efficacemente ha contribuito a far crescere soprattutto mediante la preparazione dei maestri e dei tecnici, proprio secondo il desiderio e il piano del beato Daniele Comboni.          P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 204, ottobre 1999, pp.154-164