In Pace Christi

Ferrara Domenico

Ferrara Domenico
Geburtsdatum : 12/07/1905
Geburtsort : Zeme Lomellina (PV)/I
Zeitliche Gelübde : 01/11/1925
Ewige Gelübde : 01/11/1928
Datum der Priesterweihe : 14/07/1929
Datum der Bischofsweihe : 29/05/1956
Todesdatum : 21/09/1998
Todesort : Verona/I

Nella lettera per il suo giubileo di oro sacerdotale, Giovanni Paolo Il cosi scriveva a Mons. Ferrara:

" .. .Infatti il giorno 14 luglio del corrente anno (1979),ricorre il cinquantesimo faustissimo tuo anniversario di sacerdozio, motivo per noi di gioia; di onore per la tua Congregazione e di grande consolazione e piena letizia anzitutto per te. Infatti tu hai accumulato meriti esimi verso la comunità cattolica del Sudan dove hai lavorato per oltre trent'anni con invitta costanza apostolica nonostante incredibili difficoltà, sempre presente tra i tuoi carissimi fedeli di quelle lontane regioni dell'Africa e col tuo zelo li hai aiutati e sostenuti e protetti in tutti i modi. Arrivando giovane sacerdote hai, per cosi dire, costruito con le tue mani la stazione missionaria di Mupoi per vederla poi, da Vescovo, eretta nella diocesi di Tombora affidata alle cure di un pastore autoctono ... . ". Egli vivrà ancora una lunga stagione - quasi vent'anni - dopo questo riconoscimento della sue esperienza di religioso- missionario e vescovo. Così l’invitta costanza ebbe il sigillo della verità nella vecchiaia, con la malattia che lo porterà fino alla totale dipendenza dagli altri e nell'abbandono a Dio Padre.

Nel 1916 il papà lo portò al santuario di Varallo: in quell'occasione, conversando con un sacerdote, ricorda che fece la sua prima decisione vocazionale. Era nato da famiglia povera ed il papà trovò difficoltà a pagare la retta del seminario della loro diocesi di Vigevano, quando Domenico, giovanissimo, chiese ed ottenne di entrarvi. Superate le difficoltà e proseguendo nella sue formazione confidò al confessore il desiderio di diventare Salesiano per poter essere inviato in Argentina come missionario. Si sentì rispondere: "Sarà difficile ottenere il permesso del vescovo, ma ci riuscirai ... per andare in Africa e non in Argentina". Quando l'irremovibile Mons. Scappardini alla fine acconsentì, Domenico - allora in seconda liceo - partì per Verona dove fu accolto dal conterraneo P. Alfredo Malandra che lo fece sentire subito a casa.

Novizio a Venegono, ebbe in p. Faustino Bertenghi un santo formatore ed emise i primi voti 1'1.11 . 1925. Scolastico a Verona, venne ordinato sacerdote da Mons. Gerolamo Cardinale il 14.07.1929. Rimarrà a Verona per un anno come assistente del procuratore provinciale.

Prima esperienza in Sud Sudan (1930 - 1939)

Aveva 25 anni quando arrivò nella Circoscrizione del Bahr el Ghazal, ed egli commenta "Posto del mio sogno". E' alla scuola di grandi missionari: Mons. Antonio Stoppani (Vicario apostolico) e P. Angelo Arpe (Superiore di circoscrizione ... e futuro martire) . È inviato fra gli Azande che diventeranno il suo popolo. La stazione di Yubu ha un titolo particolare ed unico nella nostra storia missionaria: Catholic Mission Yubu Camp. Il terreno della missione, infatti, era al centro di una vasta area di isolamento dove le autorità inglesi mandavano le persone colpite dalla malattia del sonno. I controlli medici specialistici erano rigorosi ed anche i missionari dovevano sottostare ad una rigida disciplina nei movimenti. Con p. Girolamo Cisco come superiore ed il giovane fratel Erminio Caldarola - oggi novantaduenne - inizia la sua esperienza. I diari - che allora raccontavano il cammino della missione ed il ritmo della vita comunitaria - registrano un'intensa attività. Ricorrente è la documentazione delle visite del giovane P. Ferrara ai catecumeni. A Mupoi dal 1932 al dicembre '34 dirige la scuola e vive con i due più famosi missionari del popolo Zande, P. Ernesto Firisin e P. Filiberto Giorgetti. Ma le esigenze della missione richiedono un terzo spostamento e lo troviamo ad Wau (1935-Dic. '37) come superiore. Qui trova il nuovo Vicario Apostolico Mons. Rodolfo Orler e nella numerosa comunità incontra P. Edoardo Mason che in futuro condividerà con lui diverse esperienze. L'ultima scadenza biennale lo porta a Raffili ( 1837- 1939): qui è fra i Belanda ed in un luogo così insalubre che le autorità inglesi, in seguito, faranno chiudere la missione ed evacuare la popolazione. A 35 anni ha già accumulato esperienze in popoli e situazioni diverse, nel periodo d'oro dell' esperienza di incontro con i popoli e di prima evangelizzazione vissuta dal nostro Istituto.

Negli USA: a Cincinnati nella pastorale parrocchiale

L’obbedienza ha sempre un suo aspetto misterioso: così è scelto per vivere nella nascente comunità che l'Istituto sta aprendo in vista di una presenza più consistente negli USA. Con P. Amleto Accorsi, superiore, è incaricato del ministero nella parrocchia della SS. Trinità di Cincinnati (Ohio). I fedeli erano in maggioranza di discendenza africana. Usare il termine 'negri' sembra che stoni ... diciamo perciò che in questa Africa oltre oceano P. Domenico porta una ventata di novità. Si interessa molto dei bisognosi, ma diventa pure amico dei benestanti perché siano solidali con i poveri. Una singolare iniziativa pastorale - che lo stesso Delegato Apostolico Amleto Cicognani venne a conoscere ed incoraggiò - fu la creazione di cori composti all'inizio di soli neri. P. Ferrara insegnava canto nelle scuole e ad una religiosa confidò: "Da giovane avevo preso lezioni di canto classico ed ero intenzionato a dedicarmi alla lirica ... ma ciò interferiva con la mia vocazione sacerdotale e missionaria. Oggi quella passione giovanile per la musica ed il canto mi aiuta nel ministero pastorale". Il prestigio che il coro della parrocchia acquista nella città di Cincinnati non solo favorì le frequenza alle liturgie, ma tolse dall'emarginazione un'intera classe di persone. Fu come una scintilla: persone autorevoli chiesero di far parte del coro. Si moltiplicarono gli incontri fra parrocchiani e sacerdoti, come tutte le altre attività di promozione vocazionale. Dal giugno 1944 al marzo 1949 - quando riceverà la nomina a Prefetto Apostolico di Mupoi - è parroco, e termina simbolicamente il suo ministero vedendo salire all' altare i primi due giovani neri di Cincinnati.

Prefetto Apostolico di Mupoi

Partendo dagli USA Mons. Ferrara porta un nuovo bagaglio di esperienze e l'amore dei suoi parrocchiani e dei numerosi amici che si faranno solidali collaboratori per i poveri della sua Prefettura. Quando è accolto dai suoi: missionari, suore, catechisti e cristiani non sa quali difficoltà lo attendono fino alla drammatica espulsione con tutti i missionari/e nel 1964. Lavora con zelo all'organizzazione del territorio ecclesiastico - staccato dal Vi cariato del Bahr el Ghazal - che gli è stato affidato. Sente crescere l'ostilità delle autorità islamiche di Khartoum. Trova invece una crescente corrispondenza nella gente, così diversa da ciò che aveva scritto in un rapporto sui primi anni della presenza dei missionari: " All'inizio si trattava di vincere l'odio e la diffidenza che si erano radicati profondamente in mezzo alla gente che da secoli era stata oggetto di razzie, saccheggi, massacri perpetrati da parte di schiavisti. Si doveva infatti incominciare un lavoro in mezzo a dei sopravvissuti che si nascondevano nel folto delle foreste dominati dal terrore di venire scoperti, catturati, venduti come schiavi o uccisi. Ricordo che quando arrivai (1930) i ragazzi frequentavano la scuola solo perché costretti dai poliziotti ... ed appena si presentava l'occasione, fuggivano." Si può riassumere questo periodo scegliendo qualche fatto ed alcune direttive pastorali che prese. Seppe difendere con coraggio i diritti delle comunità cristiane e dei missionari/e. In particolare riuscì - facendo giungere un avvocato da Khartoum - a far liberare dalla prigione dove era stato ingiustamente rinchiuso e barbaramente torturato P. Gabriel Dwatuka, futuro vescovo di Rumbek. Quando giunge a Mupoi, il Prefetto Apostolico trova la missione fondata nel 1912 e già ricca di tradizione e di confratelli, come P. E. Firisin e P. F. Giorgetti che avevano già imparato la lingua ed approfondito lo studio della cultura, stampando libri in zande per la preghiera, la catechesi e l'istruzione scolastica. Ma è vero anche ciò che scrive il papa nella lettera già citata: " .. . hai, per cosi dire, costruito con le tue mani la stazione missionaria di Mupoi ... ". Infatti con la collaborazione di tutti ed il contributo determinante dei Fratelli organizzò la missione in settori. Chi si meravigliava, o criticava, vedendo una cittadina con circa 200 costruzioni, 14 pozzi, la segheria e le officine, non comprendeva la finalità di questa specie di febbre organizzativa. Ci si ricrederà vedendo svilupparsi i catecumenati e le scuole e sorgere due congregazioni locali. Una femminile delle Suore di Nostra Signora delle Vittorie e la seconda per giovani, i Fratelli di S. Giuseppe. Ciascuna delle due istituzioni ebbe persone scelte per la loro formazione. Grande affidamento Mons. Ferrara lo poneva nella collaborazione delle Suore Comboniane. Perfino nei safari che venivano organizzati e duravano più giorni non doveva mancare la loro presenza e il loro specifico apporto nell'attività apostolica. Nella previsione di un futuro incerto per l'approssimarsi dell'indipendenza all'inizio degli anni cinquanta pianificò l'espansione della Chiesa in tre direzioni. Sorse Tombora nel capoluogo del distretto, Maringindo sulla via per Wau. Nel punto strategico dove il Sudan incontra il Congo ed il Centrafrica sorse Ezo. Infine lo sforzo più grande fu fatto oltre il fiume Ringasi che era il limite che divideva la zona cattolica da quella protestante. Quattro missioni sorsero in punti strategici: Nzara; Ri Rangu, Yambio e Meridi. Da alcuni anni esisteva Rimenze con la sua fiorente scuola. Una particolarità: praticamente tutte le missioni avevano un titolo mariano: era un affidamento alla Madre della Chiesa. Fra le organizzazioni: subito dopo i seminaristi ed i religiosi/ e pose i catechisti e la Legione di Maria.

In questo cantiere di attività apostoliche arrivò puntuale all'inizio del 1956 l'indipendenza. Il Sudan fu uno dei primi stati ad ottenerla: un processo storico difficile da gestire in questo immenso paese con una varietà di razze, culture, credenze religiose ed habitat. Incominciò ben presto il confronto per la nazionalizzazione delle scuole - primo passo verso una Islamizzazione annunciata e programmata. Contemporaneamente i cristiani più istruiti si presentavano come candidati per le prime elezioni parlamentari. Furono anni di croci o tensioni, speranze e delusioni.

Nel 1964 avvenne l'espulsione che è doveroso ricordare: dopo la Madhia l'evento più doloroso della nostra storia! Ricordiamola, stralciando una pagina da una relazione inedita di Mons. Ferrara: "Al tempo della nostra deportazione, nel 1964, nel solo distretto di Tombora, i battezzati formavano il 92% dell'intera popolazione. Quello che avvenne in seguito, testimoniò chiaramente che il lavoro di evangelizzazione non era stato fatto solo in estensione, ma sotto vari aspetti anche in profondità. I nostri cristiani infatti erano pronti a far fronte alla persecuzione e ne uscirono rinforzati nella loro fede. Il giorno 29 febbraio 1964, la popolazione di Mupoi assisteva sgomenta alla deportazione di noi missionari. Di fronte ai fucili spianati e pronti a sparare a primo cenno di ribellione, essi piangevano in silenzio. Uno solo, incurante del pericolo a cui si esponeva si fece avanti gridando: 'Ma perché ci portate via i nostri Padri e le nostre Suore? Essi non hanno fatto che del bene in mezzo a noi!'. Egli era il Capo di Mupoi e non si immaginava che con quella sfida segnava la sua sentenza di morte. Fu ucciso alcuni mesi dopo. La sera stessa di quel giorno, giunti ad Ezo sull'imbrunire, ignorando le minacce dei soldati, lasciai il camion su cui ci avevano caricati, per entrare in chiesa e consumare le Ostie Consacrate. I cristiani accorsi mi seguirono in silenzio. In quel crepuscolo vespertino, illuminato dalle deboli luci delle candele si ripeteva una scena delle catacombe. Feci avvicinare i cristiani all' altare ed incominciai a distribuire la Comunione. Quei poveretti avevano compreso la tragedia del momento. Chiusi il Tabernacolo e spensi la Lampada. Il tempo stringeva e sentivo la presenza dei soldati che ci osservavano dalle finestre tenendo il fucile spianato su di noi. Sforzandomi di vincere 1'emozione dissi loro: 'Gesù è ora nel vostro cuore e da questo momento voi siete un Tabernacolo vivente. La lampada è la vostra fede che deve illuminarvi nella vostra vita avvenire. Vi benedico di cuore'. In mezzo ai singhiozzi udii solo una parola: 'Preghi e faccia pregare per noi'. Ritornai sul camion per proseguire la mia Via Crucis."

Vescovo: profugo, questuante, contestato

Lasciando il Sudan con più di trecento missionari e suore: con loro e come loro era un espulso e si sentiva un profugo. Cercò di scrutare i segni della storia e di continuare la sua opera di pastore. Lasciò P. Martin Penisi, un giovane sacerdote zande, Amministratore Apostolico responsabile nell'interno del Sudan. Lo spirito e le capacità del Fondatore si manifestarono in questo delicato periodo nell'azione di Mons. Ferrara. Iniziò una sensibilizzazione su larga scala a favore dei profughi sudanesi. Prese contatti con 1'ONU, la Croce Rossa Internazionale, Propaganda Fide e varie diocesi nel mondo. Incominciò il suo pendolarismo fra Congo, Centrafrica e Uganda, dove erano raccolti i profughi sudanesi: cioè i suoi cristiani, ai quali si aggiunsero presto anche i sacerdoti e le religiose. A malincuore lasciarono il loro paese quando capirono che la vita era a rischio. Infatti, il P. Barnaba Deng, comboniano, fu assassinato vicino a Wau il 23 agosto 1965: di origine Denka, aveva 29 anni. così morì nello stesso anno il sacerdote Arkangelo Ali a Rumbek. In quell'attacco di soldati arabi alla missione sfuggì miracolosamente alla morte, sebbene ferito, P. Jerome Bidai Siri. Sarà il primo Vicario Generale della nuova diocesi. Dopo più di due anni dall'espulsione la Santa Sede - in riconoscimento dell'azione di Mons. Ferrara - lo nomina il 15 marzo 1966 vescovo titolare di Absasalla , riconfermandolo Prefetto Apostolico di Mupoi con l'incarico specifico di occuparsi dei profughi. Per l'ordinazione episcopale torna alla sua terra pavese, alla sua chiesa di Vigevano ed alla sua famiglia: persone e luoghi che sempre amò e dove ritornerà anche per il 50° di sacerdozio. Mons. Luigi Barbero lo ordina nella cattedrale il giorno di Pentecoste (29.05.1966) e la diocesi si assume l'onere di aiutare il più grande campo profughi, quello di Mboki in Centrafrica. Anche per questo periodo è necessario riassumere la sua attività riferendosi ad alcuni dati, persone e luoghi. I profughi di cui si occupò furono valutati sui 75.000. In Centrafrica, con centro riconosciuto dall'ONU a Mboki, aveva il numero più consistente di persone compresi sacerdoti e le religiose sudanesi che aveva fondato. Il territorio fa parte della diocesi di Bangassou ed il vescovo Mons. Antoine Marie Maanicus, CSSp, lo sostenne ed aiutò. Per completare questa storia, in cui si intrecciano la tragedia della guerra e la comunione fra le chiese, si può aggiungere che nel dicembre 1998 Mons. Maanicus, assistito dal suo giovane ausiliare Mons. Aguirre Munoz Juan José (Comboniano) ha amministrato 700 cresime. Nell'esilio della seconda guerra civile Mboki è più affollato che negli anni '60. Tornando al primo esilio: in Congo i profughi erano nel campo di Besse situato nella diocesi di Doruma-Dungu il cui vescovo Mons. Guillaume van den Elzen, O.S.A. cooperò pure con carità e intelligenza. In Uganda Mons. Ferrara si recava a visitare i seminaristi che continuavano la loro formazione, ospiti di vari seminari. Con gli Istituti comboniani il dialogo del Prefetto era mirato a riavere, almeno in parte, il personale che aveva lavorato con lui in Sudan. Parte ne ottenne e una certa attività e organizzazione fu realizzata. Ma la croce non poteva mancare. Troppi i bisogni, le situazioni politiche intricate, le giurisdizioni sovrapposte, il desiderio comprensibile del clero/religiose sudanesi di essere protagonisti/ e ... perché tutto fosse calmo. Così Mons. Ferrara soffrì e fece soffrire: è la legge severa della crescita e dei tempi difficili del cammino della Chiesa nella storia della salvezza.

Nasce la Chiesa sudanese: il 'servo inutile' si ritira

Ogni chiesa nasce quando la fede raduna anche una piccola comunità di discepoli del Signore. Ma esiste una stagione in cui - attraverso il ministero petrino - le nuove comunità sono riconosciute mature per esprimere i propri ministri, per sostenersi economicamente e per diffondere il Vangelo. Pensando ai sacrifici eroici dei primi missionari, al Piano del Comboni ed alla sua vita ed alla sua morte preziosa e precoce si poteva pensare a tempi lunghissimi per arrivare ad una chiesa sudanese matura. Simbolicamente Mons. Ferrara morì nel mese di settembre 1998: esattamente ad un secolo dalla sconfitta della Mahdia, ma 24 anni prima egli vide nascere la Chiesa in Sudan e senza indugi, prevenendo i tempi presentò le sue dimissioni. La rinuncia a Prefetto Apostolico è del 18.04.1973. Il 12 .12.1974 Papa Paolo VI istituì la gerarchia ecclesiastica in Sudan, dividendo il territorio in due province ecclesiastiche con Khartoum (per il nord) e Juba (per il sud) come sedi metropolite. La Prefettura Apostolica di Mupoi prese il nome di diocesi di Tombura, con sede del vescovo nella omonima cittadina storica e sede amministrativa. Con i successivi cambiamenti politico-amministrativi la provincia dell'Equatoria dell'Ovest ebbe come capitale Yambio. La Santa Sede rinominò (21.02.1986) la diocesi: Tombura-Yambio. Si può dire che anche per la persona del vescovo zande Mons. Ferrara aveva scelto con oculatezza. Infatti con decreto del 29.06.1972 nominava P. Joseph Gasi Abangite suo Vicario generale. Sarà il suo successore. Intanto Mons. Ferrara, con la collaborazione del già menzionato sacerdote zande P. Jerome Bidai Siri come traduttore, aveva preparato i libri liturgici in lingua zande. Egli ne curò e finanziò la stampa presso la Tipografia Nazionale di Vigevano nel 1972. Erano l'Ordinario della S. Messa ed i volumi delle letture per le domeniche e feste per i tre cicli annuali. Oltre a questo fece stampare - sempre in lingua zande - il Libro delle Preghiere e il Catechismo (terza edizione). Nell'anno del trattato di pace di Addis Abeba (1972), mentre si preparava il rientro dei profughi le comunità cristiane trovarono questi sussidi provvidenziali per la loro crescita. In occasione dell'ordinazione episcopale di Mons. Joseph Gasi, suo successore, egli si recò a Juba. Il Card. A. Rossi quel giorno (6.4.1972) consacrò tre vescovi sudanesi. Mons. Ferrara scrisse: "Erano presenti a Juba tutti i sacerdoti e le suore della diocesi di Tombora. Più volte mi manifestarono la loro viva soddisfazione. Ho accettato con piacere la delega di intronizzare il nuovo Prelato nella sua sede. Ciò avvenne a Tombora il 13 aprile: la Bolla pontificia fu ascoltata in un solenne silenzio. Quando fu completata la traduzione fu uno scoppio di entusiasmo. Tutti compresero che era il Santo Padre a volere Mons. Gasi loro vescovo. Per loro questa nomina era l'unione naturale di Roma con Tombora." Prima di partire egli visitò tutte le parrocchie, anche per rendersi conto della situazione e collaborare nella ricostruzione. Trovò Tombora e Nzara quasi intatte, Ezo era scomparsa, mentre le altre erano gravemente danneggiate. Con l'aiuto finanziario del Sudanaid, organizzato in quegli anni negli Stati Uniti, iniziò la ricostruzione che proseguì per una diecina d'anni . Si era inserito nella comunità comboniana di Montclair, NJ e fu suo impegno costante l'animazione missionaria pro sud Sudan. Era amico di Mons. Fulton J. Sheen, noto come il vescovo della televisione, ma in sintonia con Mons. Ferrara perché un'anima missionaria. Nella celebrazione del bicentenario dell'indipendenza degli Stati Uniti - 14 luglio 1976 - rappresentò i cattolici nella preghiera ufficiale di ringraziamento alla presenza del Presidente Ford.

Il mistero di una persona

Per introdurci, almeno parzialmente, nella dimensione umana e religiosa di Mons. Domenico possiamo partire dal suo stemma episcopale. Lo scudo diviso in due parti presenta in alto lo stemma dei Comboniani. La parte inferiore è divisa in tre parti. Nel centro la torre simbolo dei Ferrara; a sinistra il rinoceronte simbolo degli Azande, mentre a destra l'ascia zande simbolo dell'autorità. Sotto il cartiglio porta il motto in latino: Tota ratio spei meae, Maria (Maria è la ragione della mia speranza). Possiamo dire che qui troviamo il riassunto del suo profondo senso di appartenenza: all'Istituto, alla sua famiglia, alla gente che gli era stata affidata - gli Azande - al suo dovere di pastore. La Madonna, come per Giovanni Paolo II, era il riferimento spirituale costante. Una certa rudezza di carattere, un'apparente facilità di interventi precipitosi e qualche parola dura possono averlo reso talora un compagno di viaggio difficile. Ma dicono che non fosse facile vivere nemmeno con S. Paolo. Del Beato Daniele Comboni - anima ardente e carattere focoso - sappiamo come trovò difficoltà nel creare armonia con i suoi collaboratori. Ciò che compensava questi limiti umani - oltre tutto occasionali - era da una parte la sue dedizione e insieme la schiettezza e magnanimità nel riconoscere i meriti dei suoi collaboratori. Quando il Papa gli inviò la lettera per il suo giubileo sacerdotale ne fece copie per diversi suoi ex collaboratori. La mandò loro accompagnandola con una lettera personale. Ci resta quella inviata a P. Cirillo Tescaroli nella quale dice: "Le bellissime espressioni del Papa sono dette per tutti quei Padri e Suore e Fratelli la cui meravigliosa opera e cooperazione ha prodotto dei frutti eccellenti nella nostra Prefettura di Mupoi. Ho ringraziato il Santo Padre a nome di tutti i miei missionari". Questo indica come si ritenesse debitore a tutti e fortunato non per l'autorità che esercitava, ma per il dono dei suoi collaboratori e dei cristiani che il Signore gli aveva fatto. Qualcuno ha forse pensato che nel suo girovagare per aiutare i sudanesi fosse staccato dall'Istituto. Ebbe invece una fitta corrispondenza con i superiori. I rapporti che inviava a Propaganda in copia li faceva avere anche al Padre generale. Rispondendo (10.10.1976) a p. T. Agostoni che lo interpellava sul referendum per l'unione con i confratelli Tedeschi, fra l'altro scrive: "Per me questo taglio è sempre stato un mistero. Ricordo che avevo appena fatto la vestizione quando nel novembre 1923 in refettorio a cena si lesse la Nigrizia in cui si parlava di questa separazione. Francamente a me, nuovo di queste cose, non fece buona impressione. Finita la cena il padre maestro diede ordine di non parlare di tale soggetto. Mi dicevo che cose simili dovevano accadere in altri Istituti senza però conseguenze tragiche. Volentieri ho dato il mio voto per la riunione e prego il Signore che mantenga in tutti noi quello spirito di carità e di concordia che è il segreto di ogni successo".

La lunga vigilia

Ed il Signore gli diede un lungo tempo per la preghiera e la vita comunitaria negli anni di Verona, in quella casa che lo aveva ospitato scolastico, nella città dove era stato ordinato sacerdote. Padre Graziano Mengalli, responsabile del Centro Assistenza Ammalati ci ha donato una lucida testimonianza che è proposta a chiusura di questo necrologio. Esso non ha certamente esaurito la storia di un vescovo missionario e di un periodo glorioso della missione comboniana in Sud Sudan: ne ha svelato la trama. Basta però per ringraziare il Signore di averci donato un confratello come Mons. D. Ferrara. Ecco la testimonianza di P. Graziano: Riprendo da Famiglia Comboniana (ottobre 1998) 'È un ricorrente mistero che vite attive abbiano lunghe parabole di nascondimento. emarginazione, malattia e infermità'. Negli ultimi tre anni ha avuto un lento ma progressivo iter verso le spegnimento. I1 suo stato di salute precario gli è servito (almeno per quanto lui percepiva) per accettarsi nel nuovo ruolo: da iperattivo all'immobilità totale. La diagnosi che lo ha accompagnato era di arteriosclerosi cerebrale con vari altri acciacchi. Immobile sulla sediea a rotelle manifestava ancora il suo carattere piuttosto dominante: realtà che è venuta via via addolcendosi con il passare del tempo. È stato un segno per i confratelli e per gli infermieri che lo hanno servito fino all'ultimo momento: Segno di precarietà: completamente inerme nelle mani di Dio. Segno di carità, vissuto come servizio ad un uomo crocifisso, che è stato chiamato a camminare nel buio del mistero tutto questo periodo della sua vita."  P. Pietro Ravasio

Da Mccj Bulletin n. 202, gennaio-aprile 1999, pp. 113-121