In Pace Christi

De Francesco Mario Vitale

De Francesco Mario Vitale
Geburtsdatum : 22/07/1936
Geburtsort : San Salvo (Chieti)/I
Zeitliche Gelübde : 09/09/1956
Ewige Gelübde : 09/09/1962
Datum der Priesterweihe : 30/03/1963
Todesdatum : 29/03/1998
Todesort : Milano/I

Di questo nostro confratello, e della sua morte, hanno parlato anche i giornali italiani a tiratura nazionale. Tra tutti, citiamo “Il Giornale” del 29 marzo 1998 il quale, a firma di Paola Fucilieri, titola: “Missionario muore in bus: il comboniano trovato senza vita sabato scorso a mezzanotte. Veniva dall'Etiopia, era in città per un periodo di riposo”.

“Una morte naturale. Tanto naturale che quasi nessuno se n'è accorto sul filobus della linea 90 che ha il capolinea in piazza Brescia. Dietro, in uno degli ultimi posti, il capo reclinato come se stesse dormendo, c'era padre Mario Vitale De Francesco, 61 anni.

La gente scendeva e vedeva che quell'uomo non batteva ciglio, che non accennava a lasciare il mezzo pubblico, che si era quasi accasciato, un po' in avanti, un po' di lato. E dopo che la maggior parte dei passeggeri se n'era andata e quell'uomo anziano continuava a stare lì, a qualcuno deve essere venuto in mente che non poteva non essersi addormentato e ha avvertito l'autista. Infatti p. Mario era morto. Forse un ictus, forse un infarto. Era quasi mezzanotte di sabato 28 marzo.

L'autista ha chiamato il 113 e quando la polizia è arrivata sul posto, insieme a un'ambulanza, non è stato nemmeno necessario constatare che non c'era più niente da fare.

Quasi una beffa del destino - prosegue il Giornale - l'ennesimo esempio che se abbiamo sempre creduto di aver gestito e pilotato in qualche modo la nostra vita, di averla rischiata e messa a repentaglio in modo del tutto arbitrario, quando Lassù decidono di riprendersela lo fanno anche in momenti tranquillissimi, quando di pericoli non ce ne sono proprio.

E se durante l'esistenza ci sono passati accanto leoni e bestie feroci, se abbiamo preso aerei per spostarci da una parte all'altra del globo, il massimo che ci può capitare può essere di morire su un filobus dell'Amt. Padre Mario è morto a Milano, tra i palazzi di cemento, in un momento relativamente tranquillo della sua vita.

Si trovava, infatti, in Italia per una vacanza, ma era appena tornato da una lunga missione in Africa, l'ultimo di una serie di lunghi viaggi e ancor più lunghi soggiorni che avevano costellato la sua esistenza di padre missionario comboniano.

P. Mario era tornato dall'Etiopia, ma aveva vissuto a lungo in Uganda e Malawi. Nato in Abruzzo, a San Salvo, provincia di Chieti, aveva professato tra i Comboniani a 18 anni. Quelle rare volte che era in Italia si appoggiava a Milano, a casa di un fratello che vive in città, o alla casa di riposo “Centro Ambrosoli” dei Comboniani, o all'Istituto comboniano di Rebbio, in provincia di Como...”. Così la giornalista Paola Fucilieri.

Forse lui lo sapeva

Anche se sofferente da tanto tempo, nessuno si aspettava una fine così improvvisa e, soprattutto, in quel modo. P. Mario veniva da Roma dove era stato a parlare con i superiori in vista del suo prossimo ritorno in missione e dei compiti che lo attendevano nella nuova missione. Giunto alla stazione centrale di Milano, aveva telefonato al fratello chiedendo se poteva venirlo a prendere. “Questa chiamata non indicava niente di preoccupante - dice la cognata che ha risposto al telefono - perché era solito, arrivando a Milano, chiamare il fratello”. In quel momento, però, Armando era assente per cui p. Mario disse: “Non importa, prendo il bus numero 90 e tra mezz'ora sarò a casa”. Erano le ore 21.30. Trascorse tanto tempo e p. Mario non rincasava, gettando nell'angoscia i familiari che non sapevano che cosa pensare...

La polizia, esaminando i documenti di p. Mario, trovò l'indirizzo della casa comboniana di Rebbio di Como dove il Padre aveva la residenza. Svegliarono p. Villotti e questi diede immediatamente l'indirizzo dei nostri di Milano, mentre egli stesso si preoccupò di telefonare al Centro Ambrosoli.

P. Grau avvertì immediatamente il fratello del Padre, ma già la polizia, messa sull'avviso da p. Villotti, lo aveva fatto. Intanto arrivarono le ore 4.00 di domenica 29 marzo. P. Mario era stato portato presso l'obitorio della Città degli studi di Milano in attesa di accertamenti e dell'autopsia.

Solo sabato 4 aprile la salma era disponibile per i funerali che ebbero luogo nella chiesa Madonna di Fatima alla presenza dei parenti, del parroco di San Salvo, di molti confratelli e di tanta gente, amici dei missionari e del fratello e della sorella di p. Mario. I familiari documentarono il funerale con foto e con servizio di telecamera.

Poi la salma proseguì per il cimitero di Rebbio dove riposa nella tomba riservata ai sacerdoti, insieme ad altri confratelli comboniani. Forse in seguito verrà traslata nel cimitero di San Salvo, accanto a quella dei genitori.

Lunedì 30 marzo p. Mario sarebbe andato al Centro Ambrosoli per una serie di esami clinici. Infatti soffriva di diabete, aveva il colesterolo e i trigliceridi alti e gli acidi urici piuttosto elevati. Nessuno, tuttavia, immaginava una morte così improvvisa, eccetto, forse, lui che nelle sue ultime lettere parlava di grave stress.

Lo accolse Comboni

Scrive p. Alois Weiss, segretario generale dell’Istituto: “Ieri p. Mario è passato dalla Curia di Roma per parlare con i superiori. Questa mattina, alle 5.30, il portinaio mi diede la notizia della sua morte improvvisa. Mentre scrivevo il biglietto per notificare il decesso a tutto l’Istituto, e pensavo a questa morte così sfortunata, mi ha dato consolazione il pensiero che il Signore lo ha chiamato proprio nella notte in cui la Chiesa aveva già celebrato i vesperi della V domenica di Quaresima con il vangelo della donna condannata dagli uomini ma accolta e perdonata dal Signore. La mia consolazione si è consolidata quando ho appreso dall'Annuario che la sua data di nascita era il 22 luglio, la festa della Maddalena.

Commentando questa morte repentina con Suor Radegonda che, come infermiera, sa qualcosa della sofferenza e della morte, disse: 'Certamente il Padre doveva già sentire i primi dolori qui a Roma tuttavia, essendo uomo di molta abnegazione, non si è voluto fermare'.

Di fatto qualcuno, osservando il Padre nel suo passaggio lungo il corridoio della Curia, aveva notato una smorfia di dolore mentre si teneva una mano sul cuore.

Siamo ancora nel mese in cui abbiamo ricordato la nascita e la beatificazione del Comboni - prosegue p. Weiss . - Siamo anche nel mese di san Giuseppe. E chi non vorrebbe morire in questo mese sotto il patrocinio di simili protettori?”.

Vivace e intelligente

Al funerale a Milano era presente anche Suor Maria Berica, comboniana, che aveva preparato il piccolo Mario alla prima comunione. Ci parlò di lui.

“Il papà Eugenio, un sant'uomo di una mitezza straordinaria, era il sacrestano della parrocchia e suonava anche l'harmonium per accompagnare i canti dei fedeli. Possedeva un appezzamento di terra che lavorava con la moglie, Angiolina Buda, e i figli. Per riempire la giornata e mandare avanti la famiglia gestiva un piccolo commercio di vino.

Mario era il terzo dopo due fratelli maschi. Poi arrivò anche una femminuccia. Il primo, Carmine, entrò in seminario, ma poi uscì perché si accorse che quella non era la sua strada. Armando emigrò a Milano. Noi suore andavamo a fare catechismo a San Salvo e ci pareva di essere in un paese di missione per la povertà della gente e la semplicità dei bambini”.

“Che tipo era Mario da piccolo?”.

“Era molto vivace, intelligentissimo e buono, anche se qualche volta faceva arrabbiare. Alcuni anni dopo sono andata a Sulmona e... chi trovo nel seminario comboniano? Proprio Mario De Francesco il quale, dopo le elementari, aveva deciso di farsi missionario”.

“Chi lo ha indirizzato su quella strada?”.

“È stato p. Angelini, un trentino, che è andato nella parrocchia di San Salvo a parlare di Africa e di missioni ai ragazzi: Mario lo ha seguito. Io poi l’ho sempre accompagnato con la preghiera, fino al sacerdozio e anche dopo. Quando ero di servizio nella clinica Chierego di Verona, venne a celebrare una delle sue prime messe. Per me fu una gioia indescrivibile. Sa, lo consideravo un po' mio e pregavo tutti i giorni per lui. Egli mi scriveva anche dall'Africa e, quando veniva in Italia, non mancava di farmi una visita”.

Indiscutibilmente il migliore

Terminate le elementari, Mario fu avviato alla scuola pubblica per le medie. Dopo il primo anno, come ha detto suor Maria, s'imbatté in p. Angelini che gli prospettò la vocazione missionaria e che egli seguì con entusiasmo. Ma a Sulmona ci si rese conto che la prima media nelle scuole pubbliche frequentate da Mario era stata così scarsa, da consigliare al giovinetto di ripetere la seconda, iniziata proprio nel 1949. “Da allora - scrive il superiore - De Francesco è stato indiscutibilmente il migliore, specialmente in latino e matematica”.

P. Pasquini, superiore a Sulmona, annotò sulla sua pagella: “Ragazzo intelligente, capace, di forte volontà, serio nell'affrontare i suoi doveri. Un po' troppo minuzioso e non sempre arrendevole con i compagni. Piuttosto chiuso per cui non sempre si riesce a capire che cosa pensi.

Come viceprefetto dei piccoli si è mostrato esigente e severo, tanto che non era gradito. Tuttavia negli ultimi tempi ha registrato notevoli progressi sul suo carattere. Da vari anni soffre di una otite cronica che lo rende duro d'orecchio e lo fa soffrire (forse anche da questo suo disturbo deriva qualche sua scontrosità e chiusura nei confronti degli altri)”.

Dopo le medie e il ginnasio a Sulmona (1949-1954), entrò nel noviziato di Firenze. Era il 24 settembre 1954.

P. Giordani, maestro dei novizi, lo trovò: “Giovane di buona volontà che si applica a fare bene le pratiche di pietà, a seguire con lentezza, ma con esattezza, i vari obblighi del noviziato. Non è di grandi entusiasmi, ma sembra attaccato alla vocazione. Non ha grandi iniziative ed è piuttosto timido con i superiori e duretto con i compagni. Gli piace lo studio e la filosofia, ascolta le osservazioni e nei suoi lavori è costante ed esatto”.

Quattro anni in Inghilterra

Dopo il primo anno di noviziato venne inviato in Inghilterra per continuare la sua formazione e imparare la lingua. “Ha bisogno di qualche spintarella - scrisse p. De Negri - perché si spaventa facilmente di fronte alle difficoltà, ma è buono e impegnato in tutto”. Il 9 settembre 1956 emise la professione temporanea a Sunningdale e poi, sempre nello stesso luogo, proseguì gli studi liceali.

Padre Piantoni, insegnante di filosofia e di altre materie nello scolasticato, ha espressioni veramente lusinghiere all'indirizzo di De Francesco: “Grande attaccamento alla vocazione anche se non lo dice con le parole. Laborioso in scuola e fuori. Riesce bene nello studio e anche nelle altre attività. È sempre contento di tutti e di tutto ed ha uno spirito di dipendenza ben rassodato. Giovane di preghiera e di sacrificio. Non lascia campo a dubbi sulla sua buona riuscita”. In Inghilterra conseguì il General Certificate of Education.

Dal 1959 al 1963 fu a Venegono per gli studi teologici e per l'immediata preparazione all'ordinazione sacerdotale che ebbe luogo nel Duomo di Milano dal card. Montini il 30 marzo 1963.

Subito dopo l'ordinazione venne inviato a Roma per proseguire negli studi. Infatti conseguì la licenza in teologia e Sacra Scrittura e il baccalaureato in teologia e in scienze bibliche, in modo da essere abilitato all'insegnamento.

Soprattutto insegnante

L'intelligenza, la propensione allo studio e i diplomi conseguiti segnarono il destino di p. De Francesco: insegnante per tutta la vita con un notevole rimpianto per il ministero diretto che non poté mai fare, o solo saltuariamente. Nel 1967 sostituì a Venegono Superiore p. Bruno Ramazzotti, che era stato trasferito allo Zenonianum di Verona, come insegnante di sacra Scrittura.

Fu un professore meticoloso, preciso, forse un po' pedante, ma che alla fine lasciava la vera scienza nel cuore e nella mente degli studenti, insieme a un grande amore per la Parola di Dio e a un vivo desiderio di ulteriore approfondimento.

Era molto comprensivo con coloro che non afferravano subito le verità o le sfumature che andava spiegando per cui si soffermava, ritornava sopra, chiariva. Insomma voleva che tutti potessero dire di aver capito e capito bene.

Fuori dalla scuola era cordiale e amichevole. S'intratteneva con l'uno o con l'altro parlando del più e del meno, con qualche battuta scherzosa o approfittava per tornare sugli argomenti scolastici, a richiesta degli alunni.

Nel 1968 gli morì la mamma, ancora abbastanza giovane. Fu un grande dolore per p. Mario. Commentando il fatto con gli scolari disse: “Le mamme, in particolare le mamme dei sacerdoti sono il sacramento - segno efficace, visibile e sensibile - dell'amore di Dio per noi... Solo nell'amore della mamma per il figlio abbiamo un pallido riflesso dell'amore di Dio per l'uomo”. Quelle parole colpirono tutti.

La lunga stagione ugandese

Dal dicembre del 1970 al luglio del 1985, salvo le vacanze, p. De Francesco fu in Uganda particolarmente come professore nei vari seminari con qualche “schiarita”, come diceva lui, di addetto al ministero. Seguiamo le sue tappe: Gulu 1970-72; Kampala 1972-73; Alokolum 1973-76; Moroto 1977-80; Aboke 1982-83; Aber 1984-85, questa volta addetto totalmente al ministero.

Come professore p. Mario ha seguito lo stile collaudato a Venegono, con in più la responsabilità e la consapevolezza che dalla scuola, in particolare dalla scuola di Sacra Scrittura, nasceva e si consolidava la Chiesa africana. Davvero p. Mario ce la mise tutta per dare il meglio di sé e non risparmiò ore di sonno per prepararsi bene alle lezioni in modo da “spezzare il pane della Parola” a quei futuri sacerdoti. Sempre esigente, ma anche comprensivo e paziente.

Durante il discorso funebre, p. Piotti ha sottolineato il ruolo di “uomo della Parola di Dio” che p. Mario ha incarnato.

“P. De Francesco - ha esordito il Padre - è stato il decimo confratello di cui si è fatto il funerale nel Centro Ambrosoli, dal giorno della sua apertura due anni fa. P. Mario è stato l'annunciatore del Vangelo in tanti anni di missione. Non solo, ma è stato il formatore del clero locale in Uganda, in Malawi, in Etiopia. Di questo compito così delicato e importante, il Padre sentiva tutta la responsabilità, ecco quindi la sua preoccupazione di prepararsi bene, di approfondire continuamente il senso della Parola che spiegava agli alunni, fino ad essere quasi pedante ed estremamente minuzioso.

Erano interessanti le sue discussioni con i confratelli su argomenti teologici, ed erano illuminanti perché era molto preparato”.

Interessante sarebbe lo studio dell'apporto di p. Mario all'impostazione dell'insegnamento teologico nei seminari africani. Su tale argomento ha scritto a lungo e con profondità. I superiori, condividendo i suoi punti di vista, gli hanno detto: “Tu dici bene, ma sai anche che in Africa i tempi sono molto più lunghi che da noi in Europa e i ritmi più lenti. Quindi pazienza e avanti”.

Animatore nei seminari

Agli inizi degli anni 90 p. Mario fece il servizio di animatore missionario nei seminari del Piemonte con base a Gozzano. Lasciò ovunque un bel ricordo di sé, non solo per lo spirito missionario che traspariva dalle sue parole, ma anche per la sua preparazione dottrinale.

In comunità era un “saggio”, uno cioè che sapeva dire la parola giusta al momento giusto, con molto equilibrio e pacatezza. Chi scrive è stato con lui in quel periodo e ricorda la discrezione del confratello il quale era, normalmente, in visita ai seminari. Ma quando rientrava per alcuni giorni tra una visita e l'altra, si inseriva nell'andamento ordinario della comunità, prendeva parte attiva alle pratiche di pietà e ai consigli comunitari. Nonostante manifestasse già dei disturbi alla salute, chiedeva di essere mandato in qualche parrocchia per il ministero o per le giornate missionarie. “Riposati un poco”, gli diceva il superiore. “Non preoccuparti: nei seminari devo passare tante ore seduto per cui un po' di movimento e di contatto con il genuino popolo di Dio mi fa bene anche alla salute”.

Il parroco di Gozzano, come anche altri sacerdoti con i quali è entrato in contatto, hanno dimostrato grande stima nei suoi confronti per la sua preparazione e per l'equilibrio nell'affrontare i vari problemi, non solo teologici, ma anche sulla politica, sul Terzo Mondo, sulla cultura... Come religioso era esemplare nell'osservare l'orario e nel seguire le tradizioni della casa. Insieme si andava a trovare qualche benefattore o qualche benefattrice. Era bello vedere come un uomo abituato a trattare con i libri sapesse adattarsi a tutti con cordialità, semplicità e umiltà.

Davvero p. Mario è stato un caro amico che ha lasciato in tutti un gradito ricordo e un po' di rimpianto quando è ripartito per la missione.

Disponibile a servire

“Come ti è stato detto a voce - gli scrisse p. Pierli il 10 aprile 1989 - il Consiglio Generale in questi ultimi tempi è impegnato alla ricerca di confratelli che abbiano le qualifiche per poter insegnare nei seminari africani, date le notevoli richieste di personale insegnante in varie province di questo continente.

Perciò il tuo nome è stato uno dei primi ad emergere, data la tua qualifica nel campo biblico. La provincia dove c'è bisogno di questo contributo è quella del Malawi, dove Propaganda Fide ha chiesto un particolare nostro impegno per dare un po' di slancio e vitalità ai seminari nazionali...

So di chiederti un sacrificio, dato che non ritorni in Uganda dove ormai ti eri abituato. Ma un Uganda non c'è il bisogno che c'è in Malawi. Tieni presente che in Malawi gli alunni spesso provengono da situazioni scolastiche piuttosto scadenti, per cui dovrai armarti di pazienza...”.

In luglio del 1989 p. Mario era nel seminario maggiore diocesano di Kachebere, che raccoglie gli studenti del Malawi e dello Zambia. Un lavoro estremamente importante dato anche la situazione della Chiesa locale con vaste zone di prima evangelizzazione.

Mario si adoperò senza risparmio. “Da giugno fino a novembre ho avuto un lungo attacco di gotta per cui non potevo muovermi e mi trascinavo zoppicando per i corridoi del seminario. Non riesco a dormire e, al mattino, mi alzo con il mal di testa che perdura tutto il giorno. Anche lo stomaco ci mette la sua parte per cui faccio una fatica enorme a preparare le lezioni e ad insegnare”, scrisse il 2 dicembre 1990.

Durante le vacanze del 1991 tornò in Italia e si fece un mese abbondante di ospedale e poi tornò al suo lavoro per ripetere la cura l'anno dopo, sempre durante le vacanze, fino al 1994, anno in cui dovette rientrare in Italia perché la salute, specie quanto a circolazione, lasciava molto a desiderare.

Andò per un anno a Rebbio dove c'è una casa di riposo per Comboniani, ma egli trovò il tempo di dedicarsi al ministero che costituiva l'anelito della sua vita missionaria.

Dalla sede di Rebbio p. Mario scrisse una lunga lettera ai superiori a commento della notizia apparsa su “La Voce del Consiglio della provincia Italiana” (luglio 1994) rammaricandosi della vendita della casa di Sulmona e caldeggiando una presenza comboniana negli Abruzzi, anche per i confratelli anziani di quella zona. Non se ne fece niente e ciò fu motivo di sofferenza per il Padre.

“Perché per noi abruzzesi non può esserci una casa? Ce n'erano due e le hanno chiuse. Siamo membri di seconda classe?”.

L'ultima strada si chiamò Calvario

Nell'ottobre del 1994 gli arrivò la destinazione per l'Etiopia, sempre come insegnante nel seminario di Addis Abeba. Vi andò, ma la sua permanenza fu una via crucis. Se il clima del Malawi gli faceva male, ma male sul serio, quello troppo alto di Addis Abeba gli influì negativamente sul cuore e sul sistema nervoso.

Tuttavia tenne duro quanto più poté. Probabilmente, nella sua situazione, avrebbe avuto bisogno anche di una maggior vicinanza affettiva dei confratelli, ma i tempi erano difficili, anche per la situazione interna del Paese e delle missioni.

All'inizio del 1998 rientrò in Italia, ma ormai era a pezzi. Trascorse un mese a San Salvo, suo paese natale, dove accompagnò il Vescovo nella visita pastorale alla parrocchia, incontrò vecchi amici, pregò sulla tomba dei genitori. Poi sarebbe andato a Milano dal fratello Armando per proseguire le sue vacanze. Nel frattempo aveva già fissate le analisi cliniche presso il Centro Ambrosoli...

Ma il Signore lo attendeva mentre, seduto in un mezzo pubblico, stava rincasando dopo una giornata di colloqui a Roma, particolarmente faticosa.

Come lo ricorda il fratello

Il ricordo che si è maggiormente inciso nell'anima del fratello Armando è un aspetto dello zelo missionario di p. Mario.

“Durante la guerra d'Uganda - dice il fratello - lo pregai più volte di venire in Italia in attesa che laggiù le cose si calmassero. Ma egli mi rispose: 'E come posso lasciare tanta gente innocente da sola? Ci sono bambini orfani, pieni di fame, con quale coraggio li lascio da soli e me ne vengo via?'.

Don Raimondo, parroco di San Salvo e presente al funerale a Milano, ricorda l'ardore missionario che p. Mario portava in paese quando tornava dalla missione per qualche periodo di vacanza, abitando in casa della sorella.

“Era un uomo assai riservato eppure disponibilissimo verso gli altri, specialmente con gli anziani e gli ammalati con i quali s'intratteneva volentieri. Alle volte mi accorgevo che non stava troppo bene, eppure non l'ho mai sentito lamentarsi. Era entusiasta della vita missionaria e ora già pensava di tornare. Qualche volta diceva che, più che l'insegnante, gli sarebbe piaciuto dedicarsi all'apostolato diretto. E forse questa volta i superiori lo avrebbero accontentato.

È stato al paese proprio pochi giorni fa perché c'era la visita pastorale del vescovo, dal 22 al 29 marzo. È partito un poco prima perché doveva fermarsi a Roma a conferire con i superiori. Sono stati giorni bellissimi, trascorsi nella più genuina cordialità”.

La sua morte senza particolari dolori (nessuno nel bus se ne accorse) deve essere vista come un gesto di amore da parte del Signore che ha voluto chiamare il suo servo al premio per tante fatiche affrontate generosamente allo scopo principalmente di consolidare la Chiesa in terra di missione mediante la formazione di un buon clero, adeguatamente preparato.

Che dal Cielo ottenga alla Chiesa africana, specie d'Uganda, del Malawi e dell'Etiopia, e anche all’Istituto, tante valide vocazioni. Comboni e san Giuseppe, nel cui mese il Padre ha lasciato questa terra, lo hanno certamente accolto con quel sorriso che tante volte ha cercato qui tra noi, senza magari trovarlo nella pienezza che si aspettava.     

P. Lorenzo Gaiga, mccj

Da Mccj Bulletin n. 201, ottobre 1998, pp. 71-77