In Pace Christi

Castagnetti Mario

Castagnetti Mario
Geburtsdatum : 29/03/1919
Geburtsort : Rivalta (RE)/I
Zeitliche Gelübde : 07/10/1941
Ewige Gelübde : 07/10/1944
Datum der Priesterweihe : 27/06/1943
Todesdatum : 08/12/1997
Todesort : Milano/I

Figlio di Luigi e di Ermelinda Leonardi, P. Mario proveniva da una famiglia numerosa e di profonde tradizioni cattoliche. Papà Luigi era agricoltore che gestiva in proprio una campagna piuttosto consistente e di buona terra per cui la famiglia poteva essere considerata benestante. La mamma, pur essendo era molto occupata a tirar su i figli, trovava il tempo per dare una mano al marito nei lavori dei campi.

Mario era un ragazzino vivace: frequentava quotidianamente la chiesa e divenne capo dei chierichetti per lo spirito di iniziativa che lo caratterizzava. Anche nel gioco era quello che "dettava le regole".

Dopo le elementari, il parroco lo indirizzò verso il seminario diocesano sembrandogli che il ragazzino avesse la stoffa per diventare sacerdote. Frequentò le medie nel preseminario diocesano di Cadelbosco e, successivamente, il ginnasio nel seminario minore di Marola, il liceo e la prima teologia nel seminario maggiore di Albinea (Reggio Emilia).

Qui il Signore lo attendeva per indicargli la strada delle missioni. Il Padre stesso, in un'intervista rilasciata nel 1966, parla delle motivazioni della sua scelta missionaria.

"Sono entrato nel seminario diocesano col desiderio di diventare sacerdote e, dopo aver conosciuto il problema delle missioni, ho maturato il desiderio di andare dove la Chiesa avesse maggior bisogno. Quindi la mia vocazione missionaria trae la sua origine, oltre che dalla grazia di Dio, dalla conoscenza del problema delle missioni.

Quando ero nel seminario di Albinea con mons. Garimberti, c'era un vero entusiasmo per le missioni: si facevano studi appropriati, venivano missionari con frequenza a descrivere le varie situazioni, passavano delle giornate con noi e ci facevano presente il bisogno di persone che dedicassero la propria vita alle missioni. Tanto più che, in quell'epoca, le ordinazioni in diocesi erano molto numerose.

Quando feci presente al Vescovo il desiderio di diventare missionario, dubitò un po' e poi mi disse che, se fossi già stato suddiacono, non mi avrebbe dato il permesso di partire. Nella mia classe eravamo in 28. In diocesi, quando c'erano 15 nuovi sacerdoti all'anno era più che sufficiente. Nelle missioni, invece, c'era grande bisogno di evangelizzatori.

Negli ultimi due o tre anni di seminario ho incontrato un padre spirituale molto buono, padre Tavaroli, che mi ha guidato, mi ha fatto conoscere tutte le possibilità in vista di una consacrazione alle missioni e poi mi ha dato l'ultima parola: secondo lui avevo la vocazione missionaria, ed allora ho fatto la scelta dell'Africa, quindi dei missionari comboniani.

L'anno in cui sono partito, oltre a me, entrava tra i Comboniani anche Messori, mentre altri tre sono andati nelle missioni saveriane.

Io ho scelto l'Africa perché‚ mi sembrava la più bisognosa e la più povera. Poi, studiando mons. Comboni, ho capito che anch'egli aveva scelto il Continente nero per le stesse motivazioni, e mi sentii subito in sintonia con lui. Inoltre non c'erano ancora le missioni diocesane quindi, per andare in missione, bisognava per forza entrare in un istituto religioso.

Tuttavia, guardando la vita a ritroso, ringrazio il Signore di esservi entrato. Questo perché la vita di comunità serve molto a uno che vuole dedicarsi alle missioni. Io sono stato molto contento di abbracciare anche la vita religiosa dove la formazione è impostata su basi sicure, sia attraverso il noviziato, sia attraverso la formazione in terra di missione".

Novizio a Venegono

Terminato il primo corso di teologia, dunque, Mario decise di spiccare il volo per le missioni.

L'entrata in noviziato è preceduta da una serie di lettere con le quali ci fa sapere che, durante il seminario, è rimasto orfano di papà, che era tribolato da una vena varicosa che lo obbligava a portare la calza elastica (ed aveva un gran timore che questo disturbo gli pregiudicasse l'entrata tra i Comboniani), che aveva una sorella che, proprio ai primi di settembre del 1939, faceva la vestizione tra le Suore Francescane di Modena (diventerà madre generale e morirà improvvisamente nel 1982 lasciando un grande ricordo di sé), e poi esprime il desiderio di trovarsi presto in noviziato.

Il 13 settembre 1939, dunque, pot‚ raggiungere "il luogo dove l'anima mia anela con tutte le sue forze, con tutto il suo slancio". Il rettore del seminario si dichiarò certo che "Castagnetti Mario farà una buona riuscita" e la mamma scrisse: "Permetto che mio figlio Mario si consacri al Signore nella Congregazione dei Figli del Sacro Cuore, missionari di Verona".

Durante il secondo anno di noviziato (1940-1941) frequentò la seconda teologia presso il seminario teologico milanese di Venegono Inferiore. Scrisse di lui P. Todesco, maestro dei novizi: "Si è sempre mantenuto di buona volontà. Il suo lavoro procede con profitto. Fin da principio ha mostrato riflessione e convinzione. Ama la vocazione, le regole, la preghiera. Ha ottenuto buoni progressi anche circa il suo carattere che lo porta ad agire senza troppo riflettere".

Il 7 ottobre 1941 emise la professione temporanea e poi passò a Verona per la terza e quarta teologia (1941-1943). Alla vigilia del sacerdozio P. Antonio Vignato, superiore generale, scrisse: "Si è sempre distinto per la diligenza e il profitto e ha sempre condotto una vita commendevole sotto il punto di vista religioso e morale. Dacché ha emesso i Voti si è sempre comportato da buon chierico amante della preghiera e dello studio, osservante delle regole, docile, desideroso di giungere al sacerdozio. Nulla vi è da eccepire circa la castità, la temperanza e l'ortodossia della fede. Tanto testimoniano anche i padri della casa, i quali ritengono che egli abbia vera vocazione allo stato ecclesiastico. Desidera liberamente e spontaneamente di essere promosso al sacerdozio di cui conosce gli obblighi annessi e intende, con la grazia di Dio, di osservarli".

Il 27 giugno 1943 venne consacrato sacerdote nella cattedrale di Verona da mons. Girolamo Cardinale, vescovo, con le dimissorie del vescovo di Reggio Emilia, non essendo ancora professo di Voti perpetui.

Africa in vista

Essendo le vie della missione chiuse a causa della guerra, P. Mario fu inviato a Bologna dove si dedicò al ministero sacerdotale in città e nelle parrocchie della diocesi. La sua parlata facile, il suo modo cordiale di accostare la gente, gli rese quel ministero facile e fruttuoso. Finalmente, nel 1946, pot‚ salpare per l'Africa. Scrive nel suo diario:

"Partimmo da Bologna con un treno ridotto malissimo (eravamo missionari e suore con meta l'Africa). Giunti a Napoli, ci imbarcammo sull'Attilio Regolo, una delle navi donate successivamente alla Russia come riparazione dei danni di guerra.

Non c'erano cabine. Vestiti di nero, missionari e suore, dormivamo per terra. Ci vollero sei giorni di navigazione per arrivare a Port Said da dove, col treno, siamo arrivati al Cairo. Lì ci siamo fermati tre giorni. Con il treno abbiamo poi raggiunto Shellal/Assuan (circa 1.000 chilometri) per poi iniziare la navigazione fluviale. Navigando sul Nilo, siamo arrivati a Wadi-Halfa.

Da Wadi a Khartoum, ancora in treno. Gli inglesi ci avevano messo a disposizione un vagone di prima classe (pur avendo, noi missionari, il biglietto di quarta). Inaspettatamente ci siamo trovati in carrozze con aria condizionata, vetri oscurati, ventilatori, cuccette, sale da pranzo... Era questa l'Africa che ci aspettava? Ci saremmo presto resi conto che il lusso era solo sul treno degli inglesi. In un pomeriggio e una notte abbiamo coperto i 1.000 chilometri che ci separavano da Khartoum. Vi arrivammo il 5 maggio 1946".

Dopo un mese di tappa nella capitale per apprendere i primi elementi di inglese e di arabo, P. Mario proseguì per Wau dove arrivò il 29 agosto 1946. La politica ufficiale degli inglesi per il Sud era quella di preservare intatta la cultura locale non araba e non islamica anche se, specie nel Bahr el Ghazal esistevano già numerosi gruppi di africani musulmanizzati ancor prima dell'arrivo degli inglesi.

Il Bhar el Ghazal, 175.000 kmq, era abitato da mezzo milione di abitanti ed era la zona più devastata dallo schiavismo del secolo XVIII e dalle devastazioni provocate dalla mahdia. Proprio nel Bhar el Ghazal Romolo Gessi, il grande antischiavista africano, aveva combattuto per 4 anni il predominio dei potenti negrieri.

I missionari comboniani vi erano entrati nel 1904 e, un po' alla volta, si diffusero con scuole letterarie e tecniche, dispensari e missioni.

All'arrivo di P. Mario era vescovo mons. Orler, un uomo eccezionale per zelo e iniziative. Mons. Mason, che succederà a mons. Orler, affiderà a P. Mario le scuole nelle quali il nuovo vescovo credeva con tutte le sue forze perché vedeva nell'istruzione e nella promozione umana il mezzo per liberare l'Africa da tante piaghe che la affliggevano.

Dopo aver imparato la lingua, P. Mario aprì tre scuolette in un quartiere di periferia di Wau e altre due in altrettanti villaggi a una quindicina di chilometri dalla città.

"I ragazzi della scuola avevano un campicello da coltivare durante l'anno scolastico e da questo ricavavano arachidi e patate dolci. I nostri interventi riguardavano anche il settore sanitario. Il primo problema era far sì che fosse rispettata l'igiene per ridurre la possibilità di malattie", scrisse.

Il Padre si inserì così bene nella realtà africana che, dopo pochi mesi, era già parroco di Wau. Oltre a quello di parroco, P. Mario aveva l'incarico di intermediario tra le missioni e gli amministratori britannici, cosa che fece con molta abilità e soddisfazione da parte di tutti.

P. Mario, nella sua lunga carriera sudanese, vedrà il Paese passare dall'amministrazione inglese al governo provvisorio (1953) e all'indipendenza (1956) quando già da un anno era cominciata la guerriglia al Sud che perdura fino ai nostri giorni, salvo una stasi di 10 anni dal 1972 (trattato di Addis Abeba) al 1983, anno in cui il presidente Nimeyri proclamerà la "sharia" quale legge dello stato unitario. Il 1983 coincide con l'inizio della nuova guerriglia portata avanti dallo SPLA.

Dialogo con i musulmani

Dal 1950 al 1954 fu parroco e superiore locale di Raga, una missione a 320 km da Wau. Anche qui aprì cinque scuolette, la più vicina a 12 chilometri e la più lontana a 110.

Per il mantenimento degli scolari il Padre incrementò il lavoro nei campi dai quali si ricavava il cibo e i soldi per comperare libri, quaderni e matite e anche qualche vestito. Inoltre ogni scuola aveva formato una piccola serra nella quale venivano coltivate le piantine che poi sarebbero state trapiantate nel campo. L'azione del padre a Raga ha impresso una svolta nella cultura locale che, tuttavia, sarà messa a dura prova quando, con l'indipendenza del Sudan (1956) tutto il distretto subirà l'inclusione di fatto nel clima di arabizzazione e islamizzazione voluta da Khartoum.

Ma l'esperienza più singolare a Raga fu un tentativo di dialogo con i musulmani. "In una missione vicina a Raga - scrive il Padre - poiché la popolazione era in prevalenza musulmana, la scuola seguiva i criteri dell'islam. Quando non c'era il maestro musulmano si insegnavano le cose comuni tra cattolicesimo e islamismo, riferendosi in particolare al Vecchio Testamento. Si parlava di personaggi conosciuti da entrambe le religioni, come Abramo e Mosè. Fino a quando non prese piede il fondamentalismo islamico, i rapporti tra arabi e indigeni sono sempre stati buoni. Insomma, musulmani e cattolici hanno convissuto pacificamente. Col colpo di stato del 1989, che ha portato al potere i fondamentalisti, anche l'apparenza di dialogo tra le due religioni è sparita del tutto".

L'attività scolastica, oltre a quella pastorale, sembrava tagliata apposta per P. Mario. Il superiore provinciale scrisse di lui nel 1950: "P. Mario è un buon religioso e missionario molto zelante. Ha fatto buona riuscita come superiore di scuole, ma anche come parroco È molto bravo" (P. Colombini). Nel 1952 P. Ghiotto aggiunse: "Di ottime promesse per il suo carattere generoso ed anche per la sua salute se non consumerà troppe energie nell'attività scolastica, nella quale riesce ottimamente. Deve, però, farsi aiutare dagli altri, altrimenti non potrà durare a lungo con questo ritmo". Parole sagge!

Non si deve dimenticare che le condizioni di vita in quegli anni e in quella regione erano tremendamente dure per cui i missionari erano esposti a varie malattie tropicali, specie la malaria. A quel tempo i missionari non avevano la possibilità di usufruire di periodi di riposo in zone più salubri, n‚ di godere di quegli interventi medici che ora sono più facilmente rinvenibili. Il Bahr el Ghazal è famoso, negli annali dei missionari comboniani, come la zona più a rischio e quella dove hanno lasciato più tombe.

Economo a Gozzano

Nel 1954, P. Mario dovette rientrare in Italia per rimettersi in salute. In un primo tempo venne inviato nel noviziato di Gozzano (Novara) con l'ufficio di economo.

Chi scrive lo ricorda proprio in quel periodo. Uomo estremamente concreto e pratico, voleva che i novizi si nutrissero bene. "In Africa bisogna essere sani e robusti", ripeteva spesso. E perché le parole non restassero pii desideri, si lanciò per i paesi del novarese e del Piemonte in una massiccia animazione missionaria i cui frutti dovevano dare la possibilità a quel centinaio di giovanotti di nutrirsi a dovere.

Anche se il regolamento imponeva un certo distacco tra Padri e novizi, P. Mario amava trovarsi con loro per raccontare le sue "avventure" africane. Dalle sue parole, dal modo di esporre i fatti, si vedeva che era entusiasta della missione e ciò faceva molto bene ai novizi.

Di fronte anche alle difficoltà inerenti alla vita del noviziato, P. Mario diceva: "Porta pazienza, non spaventarti; dopo sarà tutta un'altra cosa. Il noviziato è una parentesi, la realtà della vita missionaria è molto più bella e più varia".

Col suo sorriso, con la sua allegria, con le sue battute portò una ventata di freschezza tra le vecchie e tetre mura del noviziato di Gozzano. Peccato che la sua permanenza sia durata solo un anno. Infatti, nel 1955 venne dirottato a Padova come superiore in quel seminario missionario. Vi rimase tre anni, facendo molto bene, fino alla sua partenza per il Sudan.

Una vita per il Sudan

Al ritorno in Sudan, nel 1959, trovò il Paese socialmente e politicamente differente. Con l'indipendenza dal vecchio sistema anglo-egiziano, lo stato era gestito da un ristretto numero di politici, tutti provenienti o gravitanti attorno a due compagni quasi fedeli del Nord arabo: gli Andar o mahdisti e quelli del Khatmia. I primi erano fermamente intenzionati ad affermare un'indipendenza islamica di tipo rigorista, i secondi a creare un paese islamico moderato-liberale, anche se satellite dell'Egitto.

Gli inglesi, quando furono costretti a lasciare il Sudan, lo avevano dotato di una Costituzione, di strutture democratiche e di un parlamento che, tuttavia, risultò quasi solo di facciata se raffrontato all'esigenza fondamentale di tenere unito e vitale il Sud con il Nord.

Forse l'unica struttura veramente riuscita fu quella dell'esercito, riconosciuto come uno dei migliori dell'Africa post-coloniale. Tuttavia anche l'esercito non riuscirà mai a liberarsi da una sudditanza all'idea che il Sudan è solo di cultura e destino arabo.

La divisione tra Nord e Sud si faceva sempre più profonda. Il governo non concedeva più ai missionari cattolici o protestanti di entrare nel Sud, secondo le esigenze della crescente cristianità indigena, anche se accettava che restassero nelle opere ecclesiali del Nord.

Ecco, dunque, perché P. Mario dovette rimanere nel Nord. Dal 1959 al 1961 venne incaricato come vice-parroco, prima a Khartoum Nord, poi alla cattedrale di Khartoum.

La capitale del Sudan è, in realtà, un agglomerato di tre città adiacenti (solo separate dalla confluenza del Nilo Bianco con Nilo Azzurro): quella di Khartoum, sede delle strutture statali; quella di Khartoum Nord, più moderna e centro industriale; e la terza di Omdurman, la più popolosa, con caratteristiche che si rifanno a un ambiente orientale arabo.

P. Mario, sia quando era a Khartoum Nord, sia quando si trovava in cattedrale, doveva spesso recarsi, per attività pastorali, anche a Ondurman.

Fondatore a Wad-Medani

Nel 1961 gli venne chiesto di diventare fondatore della nuova parrocchia di Wad-Medani. Questa città, situata a 200 chilometri a sud-est di Khartoum, è la capitale della provincia della Gezira, dove un importante programma agro industriale si sviluppava attorno alle fiorenti piantagioni di cotone, che già costituivano la principale risorsa economica del Sudan.

In questa città esisteva una chiesetta di rito melchita, per una comunità composta in gran parte da cristiani non africani, ma di origine egiziana o levantina, che prosperavano nelle attività commerciali della zona. C'era anche un enorme numero di cristiani e di pagani venuti dal Sud.

P. Mario non solo si dedicò all'organizzazione della chiesa in Wadi-Medani ma anche a quella di una serie di piccoli centri pastorali affidati ai catechisti. Il parroco, cioè P. Mario, doveva animare e controllare quella dozzina di centri con visite frequenti e faticose. Tra gli operai venuti dal Sud, alcuni vivevano in condizione di quasi schiavitù, altri erano accompagnati da figli, nipoti, parenti in cerca di lavoro, di casa, di scuola. Ciò costrinse il Padre a impostare il suo lavoro su un duplice binario: quello pastorale e quello sociale. Lo affiancavano le suore comboniane che si occupavano soprattutto delle donne e dell'aspetto sanitario.

Sulle spalle di P. Mario ricadeva anche tutto il lavoro impostogli da una burocrazia un po' pignola e quasi ostile, per i permessi necessari a tante attività pastorali. Era un lavoro a cui il passato di Wau e di Raga l'aveva ben preparato. Ma quanta diplomazia e pazienza con i detentori arabi del potere amministrativo locale! Il dialogo con i musulmani, che aveva esercitato a Raga, qui divenne indispensabile.

Un fatto sconvolgente e meraviglioso

Mentre P. Mario era parroco a Wad-Medani, accadde un fatto che ha dell'incredibile e che è raccontato da P. Gaudeul nel suo libro "Vengono dall'Islam chiamati da Cristo" (EMI 1995).

"Un gruppo di 72 persone si sono convertite recentemente nel Sudan in seguito a certe visioni. I fatti si verificarono a Wad-Medani. Un clan di stirpe araba proveniente da un'altra regione dalla quale era giunto nel 1960 sembrò chiamato alla conversione. Qualche tempo dopo l'arrivo a Wad-Medani, il capoclan fece uno strano incontro: si trovò davanti un vecchio venerabile dalla lunga barba grigia. Quello straniero gli parlò in tono amichevole ma deciso: 'Voi e le vostre famiglie dovete abbracciare la vera religione. Dovete diventare cristiani e vivere in conseguenza'.

Il capoclan fu impressionato, ma davanti al cambiamento radicale del modo di vivere che una tale decisione comportava, si accontentò di rifletterci su, senza fare alcun passo.

Qualche mese dopo, mentre si faceva strada in mezzo alla folla sul marciapiede della stazione, si trovò improvvisamente di fronte allo stesso vecchio che gli chiese: 'Perché non hai fatto quello che ti avevo consigliato di fare?'. Ancor prima che il capo-clan potesse rispondergli, l'uomo era scomparso.

Questo secondo incontro spinse il responsabile a riunire i capifamiglia per valutare con loro i pro e i contro del progetto che gli era stato proposto. Alla fine, presero contatto col sacerdote della comunità cattolica. Questi, imbarazzato e temendo per le complicazioni da parte della maggioranza musulmana, si accontentò di dare loro alcuni libri cristiani e una Bibbia.

Senza altri contatti con la Chiesa locale, i membri del clan si misero a studiare i libri. Dopo parecchi mesi, tornarono dal missionario e dimostrarono che avevano ben assimilato la dottrina cristiana e chiesero il battesimo.

Il Padre, temendo possibili reazioni, demandò la decisione al Vescovo che, prudentemente, consultò il governatore... Finalmente questi, avendo verificato che l'iniziativa veniva proprio dagli interessati e non dal missionario, dichiarò che nel paese c'è libertà di religione e che quelle persone potevano essere battezzate. Il che fu fatto.

Attualmente questo clan è chiamato a fondersi nella comunità locale; compito lungo, non privo di difficoltà. Sotto il vigente regime estremista, il clan ha continuato ad essere discriminato e perseguitato. Alcuni dei membri più influenti sono stati processati e condannati alla crocifissione, sentenza sospesa dal governo centrale per paura delle ripercussioni possibili all'estero". Questo è il fatto che riportiamo, senza commenti.

Parroco a Kosti

P. Mario è stato parroco anche a Kosti, una città portuale chiave, situata sul Nilo Bianco a circa 300 chilometri a sud di Khartum. Qui ci sono sempre stati numerosi lavoratori emigrati dal Sud e la comunità cattolica ha un'enorme importanza per la loro vita religiosa e sociale. L'ambiente ufficiale è, naturalmente, quello di una città nord islamica e i sudisti devono mantenere un basso profilo di servi della gleba. Qui P. Mario fu parroco dal 1974 al 1978. A parte la posizione ecclesiale e il lavoro connesso, più o meno uguale sia a Khartoum che a Omdurman, a Wad-Medani e a Kosti, la vita e l'impegno di P. Mario hanno risentito della nuova situazione creata dalla guerra nel Sud, dalle ricorrenti carestie ed epidemie, dalla massa enorme di profughi, in gran parte donne e bambini, che si sono riversati o sono stati trasportati nelle periferie delle città del Nord, soprattutto attorno a Khartoum e Omdurman. La loro assistenza da parte dei missionari e di P. Mario (abbiamo visto splendere in questo anche P. Rovelli) è stata come un continuo assillo. In verità era, ed è, un'assistenza puntigliosamente avversata e contrastata dal regime, specialmente dagli influenti e onnipresenti gruppi ed associazioni estremiste dei Fratelli Musulmani. P. Mario si è immerso fino al collo in questa realtà in cui la sofferenza di un popolo era pane quotidiano. Ebbe a che fare anche con casi di autentica schiavitù, di bambini comprati e venduti come merce, di sequestri e sparizioni, di anziani e ammalati abbandonati, di gente che moriva di sete ai margini del deserto... Insomma, ha saputo combattere con tutte le sue energie un altro apartheid. "La sua forza - ha detto P. Farina - è stata la preghiera assidua e prolungata, la penitenza, l'attenzione alla persona e lo spirito di abnegazione che lo fece l'uomo dell'accoglienza e della carità".

Quel materasso mal messo!

Scrive P. Pacifico, superiore provinciale di Khartoum: "Fino al 14 novembre scorso P. Mario era impegnato nell'apostolato a tempo pieno: responsabile della quasi parrocchia del Comboni College, cappellano del principale ospedale di Khartoum, responsabile di tante attività dentro e fuori il Collegio, incluse alcune aree di insegnamento di religione nelle classi del Collegio.

Si era fermato - temporaneamente, credeva lui e credevamo noi - nel pomeriggio del 14 novembre. La donna che gli aveva pulito la stanza, nel riassettare il letto aveva sbadatamente lasciato parte del materasso fuori della lettiera. Andando a riposare al pomeriggio, P. Mario si era appoggiato proprio su quella parte di materasso, era caduto e si era rotto il femore".

Al Centro Ambrosoli di Milano

"Avendo problemi di circolazione, i medici suggerirono che andasse a farsi operare in Italia. Partì per Milano il 23 novembre1997 e fu operato al Galeazzi due giorni dopo.

Il 3 dicembre aveva 1asciato 1'ospedale ed era andato al centro Ambrosoli. Tutto era andato bene, anche durante i 5 giorni che era stato al Centro. Aveva accusato qualche attacco di angina pectoris, ma il dottore era intervenuto e tutto s'era risolto.

Anche l'8 dicembre, solennità dell'Immacolata, era stata una giornata normale da un punto di vista sanitario. La sera il Padre aveva cenato, aveva guardato un po' di televisione, poi aveva chiesto di andare in bagno. Lo aveva accompagnato un infermiere, ma il Padre si accasciò improvvisamente. Il dr. Grau accorse, solo, però, per vederselo morire tra le braccia. Un embolo che presumibilmente si era staccato durante 1'operazione al femore aveva raggiunto il cervello causandogli la morte subitanea. Il 26 Marzo del 1998 avrebbe compiuto 79 anni.

La notizia della sua morte prese tutti di sorpresa. L'operazione al femore infatti era stata una cosa semplice e non c'erano state complicazioni. A Khartoum già ci si chiedeva quando sarebbe tornato.

Mercoledì 10 si svolsero i funerali nella cappella del Centro Ambrosoli. Presiedette la concelebrazione P. Celestino Prevedello che era stato suo collaboratore a Kosti ed era sempre rimasto molto legato a P. Mario. Poi la salma fu portata al suo paese natale e tumulata nella tomba di famiglia accanto ai suoi genitori".

Il grande pianto in Sudan

"In Sudan P. Mario era molto conosciuto, non solo a Khartoum ma in tutti i posti dove era stato, a cominciare da Wau e Raga dove spese i primi otto anni della sua vita missionaria. Chi è stato a Wau e a Raga testimonia che ancora oggi il missionario è ricordato dagli anziani, nonostante siano passati più di 40 anni dalla sua partenza.

Nel Nord Sudan era stato parroco zelantissimo a Wad-Medani, Kosti, Khartoum Nord, Banat e finalmente responsabile della cappella de1 Comboni College. In quest'ultimo incarico aveva dato una particolare attenzione all'ospedale".

Disponibile e organizzato

"Generosissimo, era disponibile per qualunque servizio in comunità e nell'apostolato. Alla partenza delle suore dalla comunità del Comboni College, si incaricò del guardaroba e della cucina. Si prese 1'incarico della libreria del Collegio, continuò a insegnare religione in un paio di classi.

Era aperto alla collaborazione degli altri, anzi la sollecitava e la favoriva in tutti i modi. La vigilia della sua partenza per l'Italia, al Provinciale che gli faceva tante domande su come si sarebbe potuto andare avanti nella sua assenza, continuava a dire: 'Non c'è da preoccuparsi, per tutto ci sono degli incaricati, e loro sanno cosa devono fare. Ci sono i catechisti per i catecumeni, gli incaricati per i poveri, i responsabili per 1'ospedale, c'è un Padre per i giovani, c'è una signora per la biblioteca, e anche nei servizi della casa c'è il Fratello e poi gli operai possono benissimo andare avanti da soli'

Come P. Rovelli, scomparso solo 5 giorni prima di lui, e di cui era grande amico, anche P. Mario era un 'patito' del catecumenato. I due confratelli facevano a gara a chi avesse più catecumeni o avesse dato più battesimi di adulti nelle feste pasquali. Anche al Comboni College, benché non fosse una parrocchia vera e propria, ogni anno a Pasqua presentava un gruppo di giovani adulti per il battesimo. Era la cosa che gli dava più soddisfazione. Lì aveva l'impressione chiara che la Chiesa stesse crescendo. Anche quest'anno stava preparando un centinaio di giovani al battesimo.

L'unica cosa che chiese quando partì per l'Italia per l'intervento al femore fu che gli fosse permesso di tornare prima di Pasqua per presenziare al battesimo dei catecumeni.

Il catecumenato per lui era il primo impegno del missionario. Seguiva personalmente i catecumeni, faceva lui stesso la lezione di catechismo in arabo, poi divideva i catecumeni in gruppi linguistici e chiedeva ai catechisti di rifare la lezione usando le lingue locali. Credeva nell'importanza della scuola come mezzo di evangelizzazione e di formazione della gioventù.

Volentieri offriva la sua collaborazione nell'insegnamento della religione, che considerava la sua specializzazione. Iniziò con le primarie, ma poi volle accompagnare i suoi studenti fino alla prima senior per garantire una maggiore continuità nella loro formazione cristiana. Anche l'ultimo anno aveva sei periodi di religione per settimana. Appoggiava ogni iniziativa che ritenesse nell'interesse della scuola. Partecipava volentieri agli incontri della COLTA (Comboni Lay Teachers' Association), sostituendo il cappellano P. Beppino quando questi era assente".

Un conquistatore benefico

"Tipo allegro e comunicativo, riusciva a guadagnare alla causa delle missioni tantissima gente. Trovava benefattori per qualunque iniziativa intraprendesse. Era riuscito a coinvolgere i suoi amici in una quantità di piccoli progetti con cui aveva aiutato tanti poveri. Ultimamente aveva aiutato vari ciechi procurando loro un asino e un carretto e li aveva trasformati in venditori di acqua, così potevano guadagnare qualcosa.

Altri storpi erano diventati venditori di t‚ agli angoli delle strade. Non si contano i ragazzi e le ragazze che ha aiutato a studiare: vari oggi sono all'università e qualcuno è già laureato. Negli ultimi mesi si erano resi necessari lavori di consolidamento e di ristrutturazione della cappella del Comboni: anche là P. Mario aveva subito trovato amici disposti a dare una mano. Coincidenza molto bella: la cappella è stata riaperta al pubblico proprio la mattina dell'8 dicembre (giorno della sua morte) e ha trovato una specie di consacrazione ufficiale con il suo funerale.

Sono davvero tanti quelli che lo piangono. A giusto titolo lo si può considerare un 'padre fondatore' di questa Chiesa di Khartoum".

La morte non giunse inattesa

"Le vene varicose gli avevano dato tanti problemi. Era cosciente che avrebbe potuto 'restare là' ad ogni momento e per questo si teneva pronto. Inoltre, nel 1991 era stato operato al cuore. In quell'occasione il P. Generale, P. Pierli, gli scrisse: "Sei uno dei nostri Padri con più esperienza di Africa, di un'Africa difficile e complessa come quella del Sudan. Ti ammiro per la perseveranza in situazioni difficili; perseveranza con gioia e speranza, che riesci anche a comunicare agli altri".

Ogni sera prima di addormentarsi P. Mario rifaceva 1'offerta della sua vita al Signore, ripeteva che era pronto alla 'chiamata' e si addormentava. Il giorno dopo riprendeva a lavorare come se fosse stato ancora un giovanotto. Ogni anno, nel periodo delle vacanze, rinnovava al Provinciale la sua disponibilità a qualunque cambiamento i superiori avessero pensato bene per lui.

E' vero, talora faceva passare per permesso o addirittura per un ordine del Provinciale ciò che era stato appena uno scambio di informazioni o di idee. Era comunque facile dialogare con lui ed in spirito di fede era molto disponibile anche ad obbedienze che gli potevano costare. Era convinto che era il Signore a portare avanti il suo Regno".

Servizio e comunione

"A Khartoum l'Arcivescovo ha presieduto una concelebrazione di suffragio giovedì pomeriggio alle 16,30, nella cappella del Collegio Comboni. La cappella era stipata di fedeli, religiosi e suore. Molti hanno dovuto seguire il rito dal cortile. Più di cinquanta i sacerdoti che hanno concelebrato, tra i quali anche il responsabile della nunziatura, in assenza de1 Nunzio.

Nell'omelia l'Arcivescovo ha ricordato di P. Mario soprattutto due cose: 1. Visse tutta la sua vita all'insegna del servizio. La vita non gli apparteneva: la visse tutta in questa attitudine di offerta al Signore e ai fratelli sudanesi, una offerta totale, in cui non entravano interessi propri, e una offerta per sempre.

Venne in Sudan nel 1946, vi restò fino a due settimane prima della morte: 51 anni interrotti solo da una parentesi di 4 anni tra il 54 e il 59. Avrebbe voluto morire in Sudan. E' morto in Italia ma è come se fosse morto qui, aveva accettato infatti di andare in Italia solo per curarsi e tornare.

2. Seppe camminare al passo con la Chiesa. Era tra i più disponibili al rinnovamento. Molto più aperto di tanti giovani. 'Era un anziano, ma aveva il cuore di un giovane', secondo le parole dell'Arcivescovo. Partecipò con entusiasmo a tutte le iniziative di questi ultimi anni, collaborando sempre con molta lealtà. L'Arcivescovo, al termine della messa, volle aggiungere ancora una parola. 'Noi in Sudan - disse - abbiamo un particolare motivo di pregare per P. Mario. Noi siamo la gente per la quale egli visse. Noi siamo la sua famiglia. Avendo vissuto qui, altrove non è conosciuto. Noi lo conosciamo. Noi siamo stati testimoni della sua fede e del suo amore. Noi abbiamo l'obbligo di pregare per lui.

Ma mentre preghiamo per lui, vogliamo anche dirgli grazie e congratularci con lui. Sì, congratularci, dirgli 'mabruk'. La sua è stata una vita riuscita, e noi Sudanesi ne siamo stati i beneficiari. Lui non si è portato via nulla per sé. Quello che ha fatto e quello che aveva era tutto per noi'. A questo punto nella Chiesa si levò un prolungato applauso.

P. Mario è stato un grande missionario. Visse la sua vocazione con totalità accompagnata da un grande ottimismo e da una grande serenità. Aveva sposato la Nigrizia, e le era stato fedele. Senza tanti fronzoli, con molta naturalezza. Felice quando vedeva che l'Africa cresceva, sofferente quando la vedeva bistrattata. Ma sempre carico di speranza".

La Madonna venne a prenderselo

P. Mario Castagnetti è morto al Centro Ambrosoli di Milano la sera dell'8 dicembre 1997, festa dell'Immacolata.

Nel rifare il testamento nel 1988, aveva scritto: "Lascio 10 milioni (o l'equivalente in caso venisse cambiata la moneta) ai Confratelli del Centro malati di Verona, chiedendo umilmente preghiere in suffragio della mia povera mamma". Pensiero delicato di un'anima gentile che volle ricordare i confratelli nella sofferenza.

Dopo la morte di P. Rovelli, un confratello, scherzosamente, disse a P. Mario: "Ora tocca a te". L'interessato rispose: "Sono pronto in qualsiasi momento".

L'Immacolata in persona, al temine della sua festa, è venuta a prenderselo per introdurlo nella casa del Padre.

Durante l'orazione funebre P. Prevedello ha detto tra l'altro: "P. Mario dava fiducia agli altri, lasciava loro spazio e li incoraggiava. Non faceva pesare la sua esperienza anzi mostrava di essere sempre pronto a imparare anche dall'ultimo arrivato... L'altra grande caratteristica di P. Mario era la sua umanità e attenzione agli altri. Sapeva individuare le persone nel bisogno e le aiutava senza far pesare l'aiuto. E la gente gli voleva bene, tutti, dai confratelli ai parrocchiani...".

Il ricordo dei nipoti

Una nipote volle ricordare in questo modo lo zio che è sempre stato tanto attaccato ai familiari e parenti, anche se lontano: "Oggi vorremmo ricordare nostro zio in poche righe, affinché non restino solo nella nostra memoria le cose che, con la sua vita, ci ha insegnato.

Pare banale ricordare le qualità di un uomo quando questi viene a mancare, ma nostro zio di qualità ne aveva tante e ci sembra giusto menzionarne almeno alcune.

La prima fra tutte, forse un po' stridente in questa occasione, è l'allegria; allegria che gli derivava da un profondo ottimismo e da un grande amore per la vita. In ogni cosa sapeva trovare l'aspetto positivo: anche nella morte riusciva a trovare il lato umoristico. Il suo era un umorismo raffinato, mai desueto, ma sempre aggiornato, poiché legato ad un'acuta intelligenza, ad una robusta cultura.

La seconda qualità che ci piace ricordare è forse quella a tutti maggiormente nota: la sua bontà e generosità d'animo. Nei suoi viaggi fra l'Italia e il Sudan partiva sempre da qui con quintali di valige e tornava senza nulla. Tutto quello che aveva, lo lasciava a chi davvero ne aveva bisogno. Anche il denaro per lui era solo uno strumento per aiutare i poveri.

Un'altra grande dote che aveva, e da cui noi tutti dovremmo imparare tanto, era la modestia, la sua sincera umiltà. Benché avesse conoscenze un po' ovunque, dall'Africa all'Europa e anche oltre, nonostante avesse compiuto grandi opere, non ha mai avuto la tentazione di trarre gloria o prestigio da ciò che aveva fatto. Ma quest'attitudine non era uno sforzo per lui: la fede in un mistero superiore e l'ingenuità dei semplici con cui viveva quotidianamente, lo rendevano consapevole che, della nostra vita, non siamo certo noi gli unici artefici.

Inoltre ci piace ricordare un'altra delle sue dolcissime qualità: la tolleranza. Tolleranza verso le idee, i cuori, i costumi e la cultura delle varie persone e dei popoli. Dote che gli proveniva sia dal suo spirito di conoscenza (ci insegnava a non giudicare senza prima conoscere) che da una forte convinzione nel perdono di Dio che, alla fine, è benevolo e giusto verso ogni individuo.

Ecco, vorremmo che ricordaste nostro zio per questi piccoli-grandi esempi di vita che ci ha lasciato. Vorremmo anche che un nostro pensiero andasse alla 'sua Africa' che ha tanto amato, a cui ha dedicato la vita intera e dove sarebbe voluto tornare. Ciao zio Mario. Paolo, Mario, Linda, Pinuccia, Angela".

Il suo corpo, dopo i funerali a Milano, è stato traslato al paese dove riposa accanto ai suoi cari.

A noi resta il ricordo della sua generosità, dedizione e allegria, della sua straordinaria passione per l'Africa, proprio come il beato Daniele Comboni. Che dal cielo ottenga alla Congregazione tanti missionari della sua tempra.     P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 199, aprile 1998, pp. 94-100

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He was the son of Luigi and Ermelinda (Leonardi), and born into a large family with deep Catholic traditions. Luigi was a farmer with a rather large piece of land which he cultivated himself; so the family could be called well-off.

After primary school, the Parish Priest pointed him towards the seminary, since he seemed the right stuff for a priest. He began secondary school in the diocesan pre-seminary at Cadelbosco, and continued in the minor seminary at Marola, then went on to the Major Seminary at Albinea (Reggio Emilia), where he completed both his humanities and the first year of Theology.

Novice at Venegono

It was at this point that he decided to follow up his wish to be a missionary. His entry to the Novitiate was preceded by a series of letters from which we gather that his father had died, and that he himself had varicose veins in his leg, and had to wear an elastic stocking (he was very anxious about this, fearing it would stop him joining the Comboni Missionaries); that he had a sister who received the religious habit in September 1939 among the Franciscan Sisters in Modena (she became Mother General, and died suddenly in 1982, leaving behind a very good reputation); and that he really longed to enter the Novitiate soon.

On 13 September 1939, he reached the place "where my soul longs to be with all its strength, with all its impulses".

During the second year of Novitiate he studied Theology at the diocesan seminary at Venegono Inferiore. The Novice Master, Fr. Todesco, wrote of him: "He has always shown good will. His work goes on with profit. Right from the beginning he has shown thoughtfulness and conviction. He loves his vocation, the rules, prayer. He has also made good progress as regards his character, which tends to make him act before thinking too much."

On 7 October 1941 he made his first Profession, and then went to Verona for the final two years of Theology. On 27 June 1943 he was ordained priest in the cathedral of Verona by Bishop Girolamo Cardinale. The Dimissorial Letter was issued by the Bishop of Reggio Emilia, since he had not yet made his Perpetual Vows.

Africa in sight

Because of the War, an immediate departure for Africa was excluded. Fr. Mario was sent to Bologna, where he ministered in the city and in other parishes. He spoke easily, showed that he liked meeting people, and these qualities made his ministry fruitful and fulfilling. But finally, in 1946, he was able to set sail for Africa. He wrote in his diary:

"We left Bologna (a group of men and women missionaries bound for Africa) on a ramshackle train. When we reached Naples we boarded the Attilio Regolo, one of the ships that was given to Russia later as a war reparation. There were no cabins. All of us, dressed in black, slept on the floor. It took six days to sail to Port Said, and from there we journeyed to Cairo by train. We stayed there three days. Then we boarded another train and travelled to Shellal/Aswan (1000 km, roughly) and there began the river leg or our journey, sailing up the Nile as far as Wadi Haifa. From Wadi, the rest of the journey to Khartoum was by train. The British put a first-class carriage at our disposal, even though we missionaries had only fourth-class tickets. Unexpectedly, we found ourselves in carriages with fans, smoked glass, couchettes, and a dining car... Was this the Africa that awaited us? It did not take long to realise that luxury was only on the English coaches of the train! It took us one afternoon and a night to cover the 1000 km. to Khartoum, where we arrived on 5 May 1946."

After a month in the capital to pick up the first inklings of English and Arabic, Fr. Castagnetti proceeded to Wau, where he arrived on 29 August 1946.

At that time the Bishop was Mgr. Orler, an exceptional man for his zeal and initiatives. His successor, Bishop Mason, entrusted the schools to Fr. Mario. Bishop Mason believed firmly in education, seeing in it a means both of human development and a way for Africa to escape from all the problems that assailed the continent.

When he was able to speak the language, Fr. Mario started three small schools at various points on the outskirts of Wau, and two more in villages about ten miles out.

He fitted in so well to his African surroundings and conditions that, after just a few months, he was already Parish Priest in Wau. He had the additional task of go-between in relationships between the mission and the British Administration, and carried out his role to the satisfaction of both sides.

Dialogue with Moslems

From 1950 to 1954 he was PP and local superior at Raga, a mission 320 km. from Wau. Here too, he started up five primary schools, the nearest 12 km. away, and the furthest 110.

Father's work at Raga marked a turning point in the local culture which underwent its acid test at the time of Independence for Sudan (1956), following which the whole district was included in the effort of Islamization and Arabization of the South ordered by the Khartoum government.

Yet the most singular experience he had at Raga was an attempt at dialogue with the Moslems. "In a mission near Raga, where the majority of the people were Moslems," he wrote, "the school followed Islamic usages. When there was no Moslem teacher, things that were common to Catholicism and Islam were taught, with special reference to the Old Testament. It was possible to speak of personages known to both religions, such as Abraham and Moses. Until Islamic Fundamentalist started up, relationships between Arabs and the local population were good. People lived together pacifically. Unfortunately, when the coup of 1989 brought the fundamentalists to power, all pretence at dialogue between the two religions disappeared."

Gozzano - Padova - Khartoum

In 1954, Fr. Mario had to return to Italy for health reasons. He was first sent to the Novitiate at Gozzano (Novara) as local bursar. In 1955 he was moved on to Padova, to be superior of that missionary junior seminary. He stayed for three years, doing very well, until the time came for him to return to the Sudan.

From 1959 to 1961 he was given the post of assistant priest, first at Khartoum North, then in Khartoum Cathedral.

The capital of Sudan is in fact a conglomerate of three neighbouring cities (the only separation being the confluence of the White with the Blue Nile): Khartoum houses all the structures of the State; Khartoum North is the most modern part, and an industrial area, the third, Omdurman, is the most densely populated, with the characteristics of all the Arabic urban areas of the East.

Fr. Mario, both from Khartoum North and from the Cathedral, often had to go into Omdurman for pastoral activities.

Founder of Wad-Medani

In 1961 he was asked to go and found a new parish at Wad-Medani. This town is 200 km South-East of Khartoum, and is the capital of Ghezira Province, in which an important programme of industrial agriculture had developed around the flourishing cotton plantations, which already constituted the principal financial resource of the Sudan.

In this centre there was a Melchite church, for a congregation composed mainly of non-Africans, nearly all of Egyptian or Levantine origin, who carried out prosperous commercial activities. There was also an enormous number of Christians and pagans who had come up from the South.

Fr. Castagnetti not only threw himself into the organization of the centre at Wad-Medani, but set up a network of small pastoral centres run by catechists. As Parish Priest, he watched over and encouraged their activity by a tiring round of frequent visits. Some of the workers from the South lived in conditions of virtual slavery, while others were burdened by numerous relatives, all in search of work, of somewhere to live, a place to go to school. So the father had to organize his work on two lines: pastoral and social. He was helped in this by the Comboni Sisters, who took special care of women and the health aspect.

An amazing and wonderful fact

While Fr. Mario was PP at Wad-Medani, there was an amazing event that is described by Fr. Gaudeul in his book "Vengono dall'Islam chiamati da Cristo" (EMI 1995).

"A group of 72 people were converted recently in Sudan, following certain visions. The event took place at Wad-Medani. A clan of Arab origin, that had arrived from another area in 1960 seemed to have been called to conversion. Some time after their arrival in Wad-Medani, their headman had a strange encounter: he came across a venerable old man with a long grey beard. The strangerl spoke to him, gently but decisively: .

The man was shaken but, in the fact of the radical change to their way of life that such a decision would bring, he just thought it over, but did nothing.

A few months later, in the middle of a crowd on a station platform, he bumped into the same old man, who asked him.  Before he could find his tongue, the stranger had disappeared.

This second encounter caused him to bring all the family heads together to weigh up all the pros and cons of the move that had been proposed. They ended up by contacting the priest of the Catholic community. He, rather puzzled, and anxious to avoid complications with the Moslem majority, simply gave them some Catholic books and a Bible.

With no other contact with the local parish, the members of the clan studied the books. After a few months they all returned to the missionary, and showed that they had assimilated Catholic doctrine, asking to be baptised. The father, still fearing possible reactions, submitted the case to the Bishop who, prudently, mentioned it to the Governor. He, after ascertaining that the initiative was solely of the interested parties, declared that there is freedom of religion in the country, and that they could be baptised. Which was done.

At present this clan, having to live with the local community, is finding things rather difficult. Under the current extremist regime, they have suffered constant discrimination and persecution. Some of the chief members have been tried and sentenced to crucifixion, though the Central Government has suspended the sentences for fear of possible repercussions outside the country."

These are the fact, which we quote without comment.

Parish Priest at Kosti

Fr. Mario was also PP at Kosti, a key port on the White Nile, about 300 km. South of Khartoum. Workers from the South have always been numerous here, and the Catholic community is very important for their religious and social life. The official surrounding are, naturally, those of a Northern Islamic town, and the southerners have to keep the low profile of serfs on the land. Fr. Mario was here from 1974 to 1978. Apart from the Church position and the work involved, much the same as at Khartoum, Omdurman, Wad-Medani and Kosti, his life was affected by the situation created by the war in the South, with constant drought, epidemics, enormous masses of refugees - mostly women and children - that poured in on foot or were transported to the outskirts of northern towns.

Fr. Mario threw himself into this situation of suffering and hunger that was the feature of the lives of these poor creatures. He even had to tackle cases of slavery, of children bought and sold, of kidnappings and disappearances, of old and sick people abandoned, of people dying of thirst on the edge of the desert... a hard battle against the evils of a kind or apartheid.

Willing and organized

"Extremely generous, he was ready for any service in the community and the apostolate. When the sisters left the community of Comboni College, he took charge of the wardrobe and the kitchen. He made himself responsible for the College library, and continued to teach Religion in a couple of classes.

He was open to the collaboration of others; indeed, he asked for and encouraged it in all manner of ways. On the even of his departure for Italy, when the Provincial asked all kinds of questions about how to keep things running during his absence, he kept replying: r the running of the house and the workers can keep going without much supervision.»

Like Fr. Rovelli, who died just five days before him and was a close friend, he was very keen on the catechumenate. The two confreres competed with each other, comparing notes on the numbers of adult baptisms at Easter. Even in Comboni College, which was not a parish as such, he had his group of young adults prepared for Baptism each Easter. It was the result that gave him most satisfaction, for it was there that he could actually see the Church growing. Even this year he was preparing about a hundred youths for Baptism.

His only request when he left for Italy for the operation on this thigh was to be back before Easter so as to celebrate the Baptism of the catechumens.

That crooked mattress!

Fr. Pacifico, Provincial Superior at Khartoum, writes: "Right up to November 14, Fr. Mario was busy in full-time apostolate: responsible for the quasi-parish of Comboni College, chaplain in the main hospital in Khartoum, running all kinds of activities inside and outside the college, including some areas of Religious Education in the College.

He was stopped - temporarily, he thought, and so did we - in the afternoon of that 14 November. The lady who had cleaned his room had carelessly left the mattress overhanging the side of his bed. When he went for his afternoon rest, he sat down on the edge of the bed, and crashed to the ground, breaking his thigh."

At the Ambrosoli Centre, Milan

"Since he had circulation problems, the doctors suggested he go to Italy for the operation. He left for Milan on 23 November, and underwent surgery at the Galeazzi hospital two days later.

On 3 December the left the hospital and went to the Ambrosoli Centre. Everything seemed to be going well. During the five days at the Centre, he had complained of angina a couple of times, and the doctor had dealt with it satisfactorily.

Even the Solemnity of the Immaculate Conception, on December 8, had gone well from a medical point of view. Everything normal: Father had eaten supper, watched TV for a while, then asked to be taken to the bathroom. The nurse was taking him there when he suddenly collapsed. Dr. Grau rushed along, but could only hold him as he died. A clot, which had been loosened, presumably, during the operation, had lodged in his brain, causing almost instant death. On 26 March 1998 he would have been 79.