In Pace Christi

Bertuzzi Guido

Bertuzzi Guido
Geburtsdatum : 15/03/1923
Geburtsort : Albiano (TN)/I
Zeitliche Gelübde : 07/10/1942
Ewige Gelübde : 07/10/1947
Datum der Priesterweihe : 06/06/1948
Todesdatum : 19/01/1997
Todesort : Milano/I

Terminata la quinta elementare con successo, papà Antonio, contadino benestante, regalò al figlio una bicicletta - un regalo non comune a quei tempi. Col suo nuovo mezzo di locomozione, un bel giorno Guido giunse fino a Trento. Salì a Muralta e infilò deciso il cancello dei Missionari Comboniani. Il superiore, che già lo conosceva perché andava spesso ad Albiano a fare animazione missionaria ed era a conoscenza delle intenzioni del ragazzino, lo accolse con cordialità. "Allora sei arrivato?". "Intanto sono venuto a vedere il posto". "Lo sanno i tuoi genitori che sei venuto qui?". "Sì, sì lo sanno e sono contenti".

Quello fu il primo contatto con la casa che tra poco lo avrebbe accolto per l'inizio delle medie. Ma alle spalle di quella visita alla sede dei missionari c'era una famiglia profondamente cristiana, una mamma, Maria Gilli, veramente santa che lasciò il segno ad Albiano per la sua bontà, e la sua vita fatta tutta di carità, lavoro e preghiera. Guido era anche chierichetto, uno dei più intraprendenti e zelanti, e alla scuola di catechismo non sbagliava una risposta.

E poi c'era la passione per le missioni. Albiano era un paese missionario per il discreto numero di ragazzi e ragazze che avevano scelto, o stavano scegliendo, la via della missione. Ciò grazie a un sacerdote zelante che le missioni le aveva nel cuore, e grazie anche al lavoro dei Comboniani che, ad Albiano, si sentivano come Gesù a Betania.

I libri missionari

Tra le letture preferite di Guido c'erano i libri che parlavano di missioni e di missionari. Egli "divorava" quelle parole e sentiva crescere dentro di sé il desiderio di imitare le gesta dei protagonisti.

Quando seppe che era nato lo stesso giorno e lo stesso mese di mons. Comboni, la conclusione che "doveva diventare come lui" gli uscì dal cuore spontanea e naturale.

E un giorno del settembre 1935, lasciati i genitori, i fratelli Silvio ed Egidio e le sorelle Pia, Annunziata e Iolanda, partì definitivamente per Muralta. La sua strada era già tracciata.

Per il ginnasio passò all'Istituto Comboni di Brescia, e il 7 agosto 1940 entrò in noviziato a Venegono Superiore.

È superfluo riportare i giudizi dei superiori di Trento e di Brescia. Basti dire che Guido era un ragazzino dai famosi tre dieci in condotta, diligenza e religione.

P. Todesco, suo maestro in noviziato, sottolineò "il costante cammino nella via della perfezione religiosa" e "l'amore alla preghiera e l'attaccamento alla vocazione".

Emessi i voti il 7 ottobre 1942, passò a Verona per il liceo. Qui, il primo luglio 1943 conseguì il diploma di Infermiere Aiutante di Sanità nel Reale Esercito Italiano. Si trattava di un corso al quale quasi tutti gli scolastici prendevano parte.

Per gli anni scolastici 1943-1945 dovette emigrare a Rebbio a causa della guerra che mise in pericolo la Casa Madre per i frequenti bombardamenti e perché parzialmente occupata dai tedeschi.

Dal 1945 al 1948 fu nuovamente a Verona per la teologia. Fu ordinato il 6 giugno 1948. P. Capovilla aveva scritto di lui: "Condotta religiosa e morale ineccepibile; pietà distinta, buono spirito di sacrificio, docile. Anche i Padri insegnanti sono contenti di lui".

Destinazione Uganda

Dopo un breve servizio in Italia nel 1948, P. Guido fu inviato a Londra per lo studio dell'inglese in vista di una sua partenza per l'Uganda. Era il mese di dicembre del 1949.

Raggiunse il Cairo, poi proseguì fino a Moyo, la missione fondata nel 1917 da P. Molinaro che era ancora lì. P. Molinaro era indubbiamente un grande missionario, un uomo rotto ad ogni sacrificio e molto zelante, ma anche duro ed esigente per cui P. Bertuzzi dovete affrontare, sotto di lui, un noviziato come non ne aveva ancora vissuti.

Il "vecchio" gli affidava dei safari difficilissimi, e pretendeva che al calar del sole fosse nuovamente in missione. Parte a piedi, parte in bicicletta, il novellino sgambettava su per i monti di Moyo e poi tornava magari un po' più in ritardo rispetto alla tabella di marcia. E allora c'era la "fraterna ammonizione" che condiva la magra cena.

Una vita così impegnata influì ben presto sulla salute di P. Bertuzzi che non era mai stato un gigante e poi, durante la formazione, bisogna dirlo, non aveva mai mangiato a sufficienza, perché non era facile trovare il cibo durante la guerra quando tutto era a base di tessera.

Scrive P. Molinaro in una lettera del 1950: "Appena arrivato in missione, P. Bertuzzi mi ha chiesto che cosa doveva fare. Gliel'ho detto, e lo fa. Siccome sarà incaricato delle scuole, ho pregato P. Moizi di metterlo al corrente di tutto l'andamento delle medesime. Vi si è applicato.

Studia la lingua Madi, piuttosto dura. A lui riesce ancor più dura perché è la prima lingua africana che affronta, e poi non sembra aver tanta attitudine per imparare le lingue. Nei safari non ha regola, mangia quando può, gira di giorno sotto il sole col pericolo di qualche insolazione, rientra quando è già buio ed è così esaurito che è facile preda degli attacchi di malaria".

P. Urbani, regionale d'Uganda, corresse il tiro: "Molto zelante e buon religioso. L'imprudenza di cui sopra, si dovrebbe imputare piuttosto al suo superiore che gli fissa degli orari e delle mete impossibili, senza tener conto né delle forze né della salute del confratello". Insomma, la vita missionaria era fatta anche di queste cose. P. Bertuzzi, tuttavia, obbediva e cercava di fare del suo meglio. "P. Bertuzzi mi pare animato da buona volontà, è zelantissimo anche se un po' trascurato per quanto riguarda l'ordine e la pulizia, ed è un buon religioso", aggiunse P. Cesana.

Dopo 10 anni di "noviziato" con P. Molinaro, P. Bertuzzi divenne superiore della missione di Moyo e vi rimase per altri 12 anni. Nel frattempo si dedicò alla nuova parrocchia di Metu che tirò su dal niente.

L'uomo di Dio e il fratello dei poveri

Il metodo missionario di P. Bertuzzi, frutto anche - perché non dirlo? - della dura scuola di P. Molinaro, è stato uno dei più indovinati e, quindi, di quelli che hanno portato maggior frutto.

Pur essendo incaricato delle scuole - era supervisore - amava immensamente il contatto con la gente dei villaggi lontani, prediligeva gli anziani, i malati, i lebbrosi, gli handicappati.

Non solo quindi diede uno sviluppo magnifico alle scuole della zona così da portarle all'avanguardia e in grado di sfornare uomini che onorarono la pubblica amministrazione e anche la chiesa, ma costruì l'orfanotrofio e un piccolo centro per handicappati. Molto spesso si preoccupava di portare questi ultimi in ospedali lontani se intravedeva la possibilità di far recuperare loro l'uso degli arti. Quando non poteva fare di meglio, procurava loro delle stampelle perché non si spostassero trascinandosi sulle ginocchia.

Per gli anziani costruì una decina di capanne e per le donne sole tirò su delle casette in muratura. Era la prima "casa di riposo" della zona. Insomma per ogni tipo di sofferenza P. Bertuzzi costruiva qualcosa in cui pulsava non solo la capacità tecnica ma soprattutto il suo cuore.

È logico che ad un uomo così tutte le porte si aprivano e i cuori si accendevano alla speranza. I bambini, quando lo vedevano arrivare, gli correvano incontro, lo toccavano e lo tiravano da ogni parte.

Evangelizzazione e promozione umana

Per dare un impulso alla famiglia, anche in Africa prima cellula della società, si preoccupò della formazione della donna. Mise in piedi un laboratorio per ragazze, insegnando loro ad usare le macchine da cucire che si faceva mandare dall'Italia; diede un impulso determinante anche all'agricoltura insegnando alla gente a lavorare la terra con sistemi più moderni. "Non basta dare da mangiare a chi ha fame - diceva - ma bisogna insegnare a chi ha fame il modo di procurarsi il cibo".

Con la sua buona conoscenza della lingua inglese poté accostare le autorità inglesi ed entrare in amicizia con loro. Da esse era particolarmente stimato perché aveva un "savoir faire" da gentiluomo, ma soprattutto perché si vedeva in lui l'uomo di Dio e il fratello dei poveri. "Sotto quella veste bianca - disse un catechista - batteva un cuore sensibile e disinteressato, un cuore che non respingeva nessuno, che, anzi, andava a cercare chi era nel bisogno".

Il suo campo di apostolato aveva un raggio di 100 chilometri. Fin dove poteva, andava con la bicicletta e poi procedeva a piedi. Si accontentava di dormire sotto una pianta o accanto al fuoco per difendersi dalle bestie feroci o in capanne abbandonate piene di zanzare o di insetti che, dal tetto, gli cadevano sulla faccia. Era spesso accompagnato nei suoi viaggi dal catechista Checco, un ragazzo intelligente e di buon fiuto.

I catecumenati della zona si riempivano di ragazzi e i catechisti non tenevano dietro al lavoro di insegnamento. Nelle maggiori feste dell'anno, P. Bertuzzi arrivava per l'esame e l'amministrazione del battesimo e così la Chiesa cresceva, cresceva.

Ritorno all'infanzia

Dalle lettere di P. Guido ai familiari, ricaviamo interessanti episodi di vita missionaria che egli raccontava con quel gusto col quale aveva letto, da ragazzo, i libri che parlavano di missione. In cuor suo si augurava che i suoi racconti producessero nel cuore di qualche nipotino i frutti che i primi avevano prodotto nel suo. "È il tempo delle piogge ma il cielo è secco. Così decisi di percorrere i 160 chilometri che mi dividevano dalla meta seguendo la via della palude. Lungo la strada vedo della gente affannata attorno ad un uomo ferito: è il capo di un villaggio.

L'uomo ha una ferita alla gamba e perde molto sangue. Vedo che la gente mi guarda quasi aspettando uno di quei miracoli che i bianchi - secondo loro - sanno fare.

Lavo la ferita con dell'acqua, poi prendo l'ago e il filo che uso per attaccarmi i bottoni, faccio la cucitura e proseguo la mia strada sperando in Dio.

Dopo 10 giorni ritorno per la stessa via e, sulla porta della capanna, vedo il mio "cucito" bello e guarito. Quando mi vede, afferra un gallo e me lo dona. Anni dopo, quel capo volle ricevere il battesimo e sono stato proprio io ad amministrarglielo".

"È mezzogiorno. Nell'andare ad un incontro di missionari, vedo un uomo piuttosto vecchio con un fagottino di stracci in mano, che tiene con molta cura. Quando gli sono a qualche passo, il vecchio mi porge il pacco. Con stupore mi accorgo che c'è dentro una bambina di pochi giorni. La mamma le è morta qualche giorno prima. Senza pensarci due volte, torno indietro a vado diritto alla casa delle suore e consegno loro quel piccolo regalo: 'Un'altra ancora?', protesta la suora, contenta tuttavia di stringere tra le braccia quel dono. 'Un'altra. La chiameremo Maria, come la mia mamma'.

Oggi Maria è una brava ragazza e una fervente cristiana".

Chi ha fatto il miracolo?

1970. Tutta la missione di Moyo era stretta attorno alla stanza dove P. Bertuzzi stava esalando il suo ultimo respiro. Due attacchi consecutivi di malaria con complicazioni di febbre nera stavano per essergli fatali.

Anche il vescovo era andato a dargli l'ultima benedizione e il confratello che gli stava amministrando l'olio degli infermi non riusciva ad andare avanti per un nodo alla gola che gli bloccava le parole.

P. Guido, sereno, lo incoraggiò: "Continua, Padre; sono io che devo morire". Poi, rivolgendosi a suor Camilina che lo assisteva, disse: "Saluta la mia mamma, i miei fratelli, quando li vedrai, e di' loro che sono morto contento".

Quel giorno la chiesa fu sempre piena di cristiani, di pagani e anche di musulmani. Tutti chiedevano a Dio di restituirgli il loro P. Guido.

Anche "mama" Cecilia, una cristiana della prima ora che parlava con Dio "faccia a faccia" e che venerava P. Guido, fece la sua preghiera: "Figlio mio - disse al Padre con naturalezza - ho fatto una proposta al Signore: che prenda me, vecchia e inutile, e lasci te a lavorare".

Intanto arrivò da Kalongo P. Giuseppe Ambrosoli, chiamato d'urgenza. Egli si accostò al morente e tentò una cura nuova, ma senza troppe speranze. Poi pregarono insieme. Il giorno dopo P. Guido era fuori pericolo e in capo ad una settimana poté lasciare il letto. Chi aveva fatto il miracolo? P. Giuseppe o "mama" Cecilia?

Una lettera da meditare

Nel 1972, dopo 22 anni di missione, P. Guido Bertuzzi, sempre più debole di salute, dovette tornare in Italia. Si trovava al suo paese, Albiano, per le vacanze, quando fu raggiunto da una lettera di "mama" Cecilia. Era scritta in Madi, la lingua che P. Bertuzzi ben conosceva ed era indirizzata alla mamma di P. Bertuzzi.

Nigrizia pubblicò questa lettera sul numero di aprile del 1973. La riportiamo perché ci fa toccare con mano chi era P. Guido per gli africani.

"Figlia mia carissima Maria Bertuzzi, sono lieta di scriverti queste poche righe. Ti saluto con tutto il mio cuore, con tanto affetto e tanta gioia. Come stai in questi giorni? Sei in buona salute? Quanto a me sto abbastanza bene. Non ho tante cose da dirti. Ti ringrazio per aver mandato a noi tuo figlio. Venne qui in Uganda molti anni fa, nel 1950, e si fermò qui a Moyo tra il popolo Madi. Incominciò ad aiutarci con tanta bontà. Spese le sue migliori energie per noi. Anche quando le malattie si abbattevano su di lui, era sempre sorridente perché ci voleva molto bene.

Ha aiutato moltissimo questa nostra missione: ha raccolto ed aiutato tanti piccoli orfani di mamma. Li ha custoditi e nutriti, ed ora molti sono già ritornati ai loro villaggi felici e contenti. Anche adesso che torna a te, ne lascia qui parecchi. Ha radunato pure ed aiutato tanti poveretti: vecchi e vecchie, ragazzi e ragazze poliomielitici. Ha aiutato quelli che erano senza vestiti e che non avevano più nessuno: tutti li ha accolti nella sua missione.

Ha dato la carrozzella alle poliomielitiche incapaci di camminare, a tutti ha dato vestiti, un buon letto con materasso e cibo molto buono. Le ha fornite anche di macchine da cucire perché imparassero a fare i vestiti, e le ha mandate anche a scuola. Ora sono qui felici e contente perché sono capaci di fare anche vestiti, grazie all'aiuto di P. Bertuzzi.

Adesso ci ha lasciati perché Dio ha voluto che venisse a riposare da te. Egli ha fatto progredire moltissimo la nostra missione. Noi preghiamo perché stia sano per tutto il tempo che resta con te. Anche tu prega per noi perché possiamo essere buoni. Prega per i Padri che devono sostituirlo, affinché con l'aiuto di Dio possano continuare il bel lavoro incominciato.

Tu sai bene che egli è mio vero figlio: è come un vero africano, un vero Madi nato qui a Moyo. Pensi che dica bugie, figlia mia? Vogliamo che torni ancora qui con noi.

P. Guido ora ci ha lasciati addolorati e soli, proprio come sei rimasta triste e sola tu quando ti ha lasciato tanti anni fa.

La mia morte è vicina. Pensavo che tuo figlio sarebbe stato quello che mi avrebbe sepolta, ma Dio non ha voluto così. Forse mi seppelliranno i Padri che lo hanno sostituito.

Ora ci siamo divisi da lui, forse non ci vedremo più, ma anche se non ci vedremo più, ci incontreremo in paradiso.

Noi preghiamo per lui, per te, e per tutta la tua famiglia. Salutami tutti i parenti di P. Bertuzzi, i fratelli e le sorelle. Dio vi aiuti e vi protegga. Sono tua madre, mama Cecilia".

Una nota dice: "Mama Cecilia nel 1962 ha ricevuto dalla Regina Elisabetta II di Inghilterra una medaglia d'oro al merito civile per i servizi resi".

Superiore a Limone

Dopo una seria operazione di tumore subita a Verona nel 1972, P. Bertuzzi ricevette l'incarico di superiore della comunità di Limone "per uno o due anni finché ti riprenderai bene in salute". Dopo aver fatto sapere ai superiori il suo desiderio di tornare al più presto in missione, aggiunse: "Tuttavia mi metto a disposizione dei superiori". Resterà a Limone 7 anni, fino al 1979.

Diede un forte impulso perché quel luogo, tanto caro al cuore di ogni Comboniano, diventasse un centro di spiritualità e di riposo per chi tornava dalla missione stanco e, magari, depresso.

Non solo, ma vedeva la possibilità di creare un centro di promozione vocazionale. Già ai suoi tempi, infatti, c'era un discreto movimento di gruppi giovanile che, o per le gite scolastiche, o per un po' di relax sotto gli ulivi, facevano sosta al Teseul.

P. Tullio Donati, nel discorso funebre per P. Bertuzzi, disse: "Con P. Bertuzzi Limone si è aperta a tutti. Davvero è stato l'apostolo dell'accoglienza. Perfino un famoso politico passato da Limone, dopo aver parlato con P. Bertuzzi ebbe a dire: ''Voi missionari siete proprio meravigliosi". Il bello è che P. Bertuzzi non sapeva di aver accolto e di aver parlato con un simile personaggio, perché non lo conosceva".

Egli si adoperò in tutti i modi per avere a Limone le Suore Comboniane. Gli sembrava che la presenza dei Comboniani e delle Comboniane avrebbe completato la finalità della casa. Ma non ci fu niente da fare: le Pie Madri della Nigrizia non poterono assumere quell'incarico.

Allora si rivolse alle Missionarie Secolari Comboniane, ed ebbe risposta affermativa (ottobre 1974). Fu veramente fortunato, lui, i suoi successori e i visitatori che frequentavano la casa in quanto le due che arrivarono diedero ottima prova di sé.

Tra cronaca e storia

Il 14 giugno 1972 il Consiglio Generale dichiarò che la casa di Limone doveva essere disponibile per ambedue gli Istituti Comboniani maschili; sia, cioè, per i Figli del Sacro Cuore di Gesù (ramo italiano), sia per i Missionari Figli del Sacro Cuore (ramo tedesco) per esercizi, incontri, corsi, ecc.

Uno degli scopi della casa era anche quello dell'animazione missionaria all'interno dell'Istituto e anche all'esterno di esso.

P. Bertuzzi sostituiva P. Merloni che aveva iniziato i lavori di ristrutturazione e aveva fatto un bel lavoro affrontando anche notevoli sacrifici poiché era partito da zero, senza luce, senza acqua, senza strade, senza una stanza dove mangiare e dormire e con la limonaia che era ridotta ad una sterpaia.

P. Bertuzzi avviò i lavori per ricavare alcune stanze dalla parte ovest della limonaia e il salone per le proiezioni.

Nel 1975, con la presenza dei partecipanti al corso di aggiornamento che si svolgeva a Roma, in pellegrinaggio a Limone, vennero traslati dal cimitero di Limone - cappella funeraria di Eustachio Comboni - i resti mortali dei genitori di mons. Comboni per essere inumati al Teseul in un loculo preparato all'entrata della cappella della casa.

Nel 1977 con l'aiuto di Fr. Adani si preparò il posto per sistemare il monumento di Comboni che si trovava nell'ex noviziato di Villa Pisa a Firenze.

Il primo novembre di quell'anno P. Reinold Weiss, Comboniano del ramo tedesco, andò a far parte della comunità di Limone per dare un aiuto ai visitatori di lingua tedesca.

A Limone P. Bertuzzi ebbe anche da soffrire forse perché, nella sua bontà, non riusciva ad imporsi come superiore. "Domando perdono se non sono riuscito a soddisfare le aspettative dei superiori. Mi rimetto a lei, Reverendissimo P. Generale, perché io non sono fatto per comandare; sono più portato a cooperare con gli altri. Per questo alle volte mi sono trovato isolato ed ho sofferto molto. Così non concludo nulla o ben poco e mi rimetto alle sue disposizioni, disposto a tutto. Andrei volentieri in missione. Non dimentichi che quando mi ha mandato qui era 'per un anno o due' e ne sono già passati tre". Vi resterà per altri quattro.

Un uomo buono

Le testimonianze su P. Bertuzzi nel tempo in cui fu superiore a Limone, ci presentano un uomo buono, dal cuore grande e disponibile all'accoglienza. Cercava che i nuovi venuti, sia confratelli o gente di fuori, si trovassero bene, a loro agio e non mancasse loro niente.

Fu anche l'uomo della povertà. Arredò la casa con i mobili che gli albergatori gli regalarono. Si trattava di roba in buono stato, tuttavia egli personalmente passava con l'olio le parti in legno im modo da ripulirle e renderle splendenti. Dagli alberghi arrivavano anche le pentole per la cucina e le stoviglie per il refettorio. "Non dobbiamo vergognarci di essere poveri - diceva - perché abbiamo fatto professione di povertà".

Restò proverbiale la sua lotta per non cambiare l'auto della casa, una Fiat 600 che aveva percorso 218.000 chilometri. "È perfettamente funzionante - scrisse. - Quanti operai cambiano la loro auto se funziona ancora?".

In Sudan via Uganda

In luglio del 1979 P. Bertuzzi partì nuovamente per l'Uganda. Andò a Metu, sempre tra i Madi. Erano i tempi difficili del crollo del regime di Amin e della guerra che toccò in modo particolare il West Nile. Sotto Obote si scatenò la vendetta contro le tribù che sostennero Amin, quindi anche contro i Madi.

P. Bertuzzi si mise in testa al suo popolo, 50.000 persone, e, attraverso la foresta, raggiunse il Sudan meridionale dopo aver percorso duecento e più chilometri. La marcia fu di 20 giorni, con poco cibo, poca acqua e tanta stanchezza. In una sua lunga lettera descrive quell'esodo che richiamava da vicino quello degli ebrei dall'Egitto, solo che non c'erano né le quaglie, né la manna e neppure l'acqua di Meriba.

Come Dio volle arrivarono a Loa e lì trovarono altre 20.000 persone senza un sacerdote. P. Bertuzzi si rimboccò le maniche e, tirando fuori la sua concretezza trentina, organizzò quel popolo che era  "come pecore senza pastore", si fece mendicante per chiedere aiuti, coordinò il lavoro dei catechisti in modo che la vita ecclesiale riprendesse in pieno e costituisse il substrato per una ben ordinata vita sociale.

Dice P. Giovanni Farina: "Ho lavorato insieme a P. Guido in Sudan quando era fuggito dall'Uganda. Era a disposizione di tutti e non guardava mai l'orologio. Ha voluto bene all'Africa e agli africani. Inutili gli inviti a risparmiarsi un po': doveva andare, perché aveva i sacramenti da amministrare, gli anziani da visitare, gli affamati che attendevano la sua carità. Non importava se c'era il sole o la pioggia. È stato anche educatore di giovani che oggi sono sacerdoti: questi costituivano la pupilla dei suoi occhi".

Resterà a Loa fino al 1988. Nel 1983 il P. Generale ratificò questa sua situazione assegnandolo alla provincia del Sud Sudan.

L'abnegazione, la generosità, gli atti eroici di P. Bertuzzi in questo periodo meriterebbero uno spazio tutto particolare, ma li affidiamo al Signore.

Nel 1988, con il ritorno della pace nel West Nile sotto il regime di Museveni, P. Bertuzzi fu nuovamente assegnato all'Uganda. Andò ad Ajumani, sempre tra i Madi, fino alla consegna di quella parrocchia al clero locale.

Tutti poterono ammirare la delicatezza e la competenza con cui P. Bertuzzi preparò il suo successore, un sacerdote africano, a diventare parroco di Ajumani. Nel giro di due anni l'operazione era compiuta e P. Bertuzzi si ritirò in buon ordine. "È bello - scrisse - poter dire a un confratello africano: avanti, sei tu, ora, il pastore di questo popolo. È così che la Chiesa cresce, è così che il missionario si sente realizzato anche se il distacco dal suo popolo può costare un po'".

Nel 1990 P. Bertuzzi era nuovamente a Moyo dove rimase fino al suo rientro in Italia per morire.

La croce, sigillo del missionario

Negli ultimi 25 anni P. Bertuzzi subì diversi interventi chirurgici  che accettò con serenità e pazienza. Quello che gli costò di più fu quello che gli bloccò la mascella e quindi gli impediva di parlare. E per lui, cui non mancava mai la parola, era un vero dolore, anche se a prezzo di notevoli sforzi riusciva a farsi capire.

Era molto amato dalla gente e dalle suore africane del Sacro Cuore, che guidò come P. spirituale proprio per la sua carica umana, il suo spirito di fede e la capacità di stare con tutti.

Nel luglio del 1996 fu portato con urgenza a Kalongo (Gulu, più vicina, non era raggiungibile perché circondata dai ribelli) per un attacco di peritonite. I medici invece diagnosticarono che si trattava di un tumore del quale era stato operato anni prima, che riprendeva vigore e si era esteso ad altri organi.

Fu inviato in Italia, a Milano, dove morì il 19 gennaio 1997. Durante i giorni della sua malattia anche la missione di Loa passava al clero locale. Era un altro passo della Chiesa africana verso la sua maturità.

P. Bertuzzi accettò la sofferenza come parte integrante della vita missionaria. Non si lamentò, eppure soffriva moltissimo tanto da non riuscire a chiudere occhio neanche di notte; non protestò, anzi ringraziava il Signore per il tempo che gli aveva concesso come operaio sul campo. "Nel 1972 mi avevano detto che ero spacciato. Il Signore mi ha concesso 25 anni in più. Gli devo solo dire grazie".

Al funerale che si svolse nella cappella del CAA di Milano i confratelli ebbero parole di ammirazione per questo confratello che era stato un vero missionario, un autentico uomo di Dio e degli Africani, proprio in perfetto stile Daniele Comboni.

L'incaricata delle missioni di Albiano, interpretando i sentimenti dei compaesani, scrisse: "Per noi di Albiano P. Guido era un vero testimone e seguace del beato Comboni e, come lui, è santo. Credeva e si affidava ciecamente al Signore e per questo ricevette delle grazie straordinarie. Ci ha aiutati ad essere tutti un po' più missionari. Noi lo consideriamo come un nostro patrono.

Dal cielo non penserà solo all'Africa, ma anche a noi, ad Albiano, perché da questo paese escano altri missionari come lui". Ilda Pisetta Ravanelli riassumeva questi suoi pensieri in una poesia pubblicata da Vita Trentina, i cui primi versi dicevano:  "Nel tuo cuore il Signore ha scoccato una freccia d'amore. E con il Vangelo nella mano hai portato la sua Parola molto lontano...".

La salma è stata traslata nel cimitero di Albiano dove riposa accanto ai suoi genitori e parenti. Prima di morire aveva offerto nuovamente la sua vita per le missioni d'Uganda e, in particolare, per la pace tra gli Acholi. Che il Signore lo esaudisca.

P. Lorenzo Gaiga, mccj

Da Mccj Bulletin n. 197, ottobre 1997, pp. 53-62

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Antonio Bertuzzi, a well-off farmer, gave his son a bicycle when he got good results at the end of Primary school - which was quite a present in those days. Guido was soon pedalling around like an expert. One day, he rode all the way into the city of Trento, up the steep slope to Muralta, and into the gate of the Comboni Missionaries' junior seminary. The superior, a frequent visitor to Albiano for ministry, and who knew his intentions, welcomed him warmly. So they talked a kind of shorthand:

"Ah, here you are!"

"I just came to see the place."

"Do your parents know you are here?"

"Yes, and they are happy about it".

This was the first time he saw the house he would be entering for secondary school. His parents were indeed pleased at his choice, especially his mother, Maria (née Gilli). She left her mark at Albiano as a holy, hard-working and kind-hearted lady.

Guido was also an altar-boy, and one of the "stars" of Sunday school. Besides, Albiano had already given a number of missionaries to the Church, due to the efforts of the parish priest and of the Comboni Missionaries who were active there.

Like Comboni

Guido liked reading stories of the missions, and imagined himself doing the same work. When he discovered his birthday was the same day and month as that of Comboni, it seemed natural to choose this example to follow: to "be like Comboni".

So one day in September 1935 he began the process, leaving his parents, his brothers Silvio and Egidio and his sisters Pia, Annunziata and Iolanda, and going off to stay at Muralta. Later he moved on to Brescia and, on 7 August 1940, arrived at the Novitiate at Venegono Superiore.

What, no analysis of his school reports, etc.? Well, let us just say that at Trento and Brescia he was one of the "ten-ten-ten" boys: top marks in Conduct, Diligence and Piety. In the Novitiate he simply carried on from there. Fr. Todesco noted that he made steady progress, and that he "loved prayer and is attached to his vocation".

He made his first Vows on 7 October 1942, and went on to Verona for Humanities - and the famous Diploma as an Army Nurse, in case he was called uP. The War was raging, and the scholasticate had to move to Rebbio for two school years (between 1943 and 1945) because the Mother House was in danger from the bombers, and partly requisitioned by German troops.

He was back in Verona from 1945 to 1948, being ordained there on 6 June 1948. Fr. Capovilla had written: "Religious and moral conduct exceptional, outstanding piety, good spirit of sacrifice, obedient. The teachers are also very happy with him."

Assignment: Uganda

After a few months' ministry in Italy, Fr. Guido went to London to study English, having been assigned to Uganda. He set off in December 1949 and landed in Cairo, from where he proceeded to Moyo. This mission in northern Uganda had been founded in 1917 by Fr. Molinaro, who was still there: one of the great missionaries, full of self-sacrifice and zeal. He was extremely demanding, too, so that Fr. Bertuzzi had a much harder "novitiate" with him than at Venegono! The "old man" gave him difficult safaris, and wanted him back in the mission by nightfall. So, partly on foot and partly riding a bicycle, Guido scampered up and down the steep hills around Moyo; sometimes he failed to beat the "curfew", and had to take a dose of "fraternal correction" along with his meagre supper.

The strain soon told. He was never robust, and had been through the deprivations of wartime. Fr. Molinaro wrote in 1950: "When he arrived, Fr. Bertuzzi asked me what he had to do. I told him, and he does it. Since he has to take charge of the schools, I asked Fr. Moizi to explain everything to him. He got down to work. He is studying Madi, which is rather difficult. For him it is even more so, since it is his very first African language, and he does not seem to have much aptitude for languages. He takes little care on safari: eats when he can, walks around during the hottest part of the day and risks sunstroke, and comes back after dark, so tired that he is easy prey to attacks of malaria".

Fr Urbani, the Regional Superior, puts a better gloss on it: "Very zealous, a good religious. The lack of prudence mentioned above is due to the superior, who gives him impossible targets and schedules, not taking his stamina and health into account". In any case, Fr. Bertuzzi just tried to do what he was told, as best he could. An additional comment from Fr. Cesana: "This father seems full of good will; he is very zealous, but a bit careless about tidiness and cleaning. But he is a good religious."

After 10 years of "novitiate" with Fr. Molinaro, Fr. Bertuzzi became superior himself, and stayed on another 12 years. He also developed from scratch a new parish at Metu.

Man of God and brother of the poor

Fr. Bertuzzi's missionary methodology was very effective - and a lot must be attributed to the hard lessons learned with Fr. Molinaro. Although he was schools supervisor, he loved contact with the people, visiting the scattered hamlets, with special regard for the elderly and sick, the leper patients and the handicapped.

So he not only brought on the schools of the area (and they produced a number of people who did, and are doing, very well in public service and in the Church), but built an orphanage, and centres for the elderly and the handicapped. He had a special feeling for the last, and would take people long distances to hospitals where they could be helped by surgery and physiotherapy. Or at least he would get them braces and crutches, so that they did not have to drag themselves along the ground. He built huts for the elderly, and small brick dwellings for old women with no relatives. One might say that he tried to find an answer for any suffering he came across, with his warm heart beating below the technical applications.

It is not surprising that people warmed to him and opened up to him. Children, especially, would come running when they saw him to grab his hand and tug at him from all sides.

Evangelization and development

The family is the basic cell of society in Africa too. He was concerned with development programmes for women, to make their role in the family more effective. He set up a dress-making school for girls, with sewing machines donated from Italy. He urged people to use more modern methods in their cultivation. "Help people to help themselves" was his motto.

His command of English meant that he could approach British officials, and his manner made him well-liked. Everyone noted in him the "man of God". A catechist summed it up: "a kind heart beat under his white cassock; he never sent anyone away, but even went to look for those in need".

His parish was over 100 miles across in some directions. He would reach as far as he could by bicycle, then continue on foot. He would sleep under a tree or beside the fire if necessary, or else in a disused hut, with its complement of insects and mosquitoes. He was often accompanied by his catechist "Checco", an intelligent and very perceptive young man.

The catechumenates in the area were full of children, and the catechists could not keep up with the flow. On major feasts, the priests would go around for the final examination and Baptism of candidates, and the Church grew and grew.

Remembering - for the future

Fr. Guido's letters home were full of anecdotes and events from his missionary life. He told them with the same gusto with which he had read missionary books as a lad, hoping that maybe it would have the same effect on some nieces and nephews that it had had on him. Here is just one tale:

"It is the wet season, but it is not raining. So I decided to go through the swampy area to my objective, 100 miles away. On the way I came across a group of people milling round a wounded man: he was the head of a village, with a bad gash on his leg, from which blood is pouring.

I see the people looking at me, as though waiting for a miracle... So I was the wound with water, and get out the needle and cotton I use for sewing buttons back. I close the wound as best I can, and continue the journey, putting my trust in God!

Ten days later, travelling the same path, I find my "patient" in his hut, in fine form. When he sees me, he finds a nice cockerel and gives it me as a present. Years later, he asked to be baptised, and I was the one who administered the Sacrament!"

Who worked the miracle?

It is 1970. Moyo mission is gathered around the room where Fr. Bertuzzi lies dying, following two attacks of malaria that have left him with blackwater fever, usually fatal. The Bishop has been to give him a blessing, and one of his confreres is administering the Anointing of the Sick. He stops, a lump in his throat. Fr. Guido, conscious and serene, encourages him: "Go on; I'm the one that's dying!" Then he says to Sr. Camillina, who is at the bedside: Give my love to my mother and the family when you see them, and tell them that I died happy."

That day, the church was full of people in prayer, including Moslems and animists. All of them asking God to spare them Fr. Guido. And one of the earliest Catholics, "Mama" Cecilia, who talked to God "face to face", came to see him: "I have asked God to take me because I am old and useless, and to leave you to work," she said simply.

The next day Fr. Ambrosoli, doctor at Kalongo hospital, arrived. He tried a new remedy, though without much hope; then joined everyone else in prayer. After 24 hours Fr. Guido was out of danger, and a week later out of bed: who had worked the miracle?

A letter to reflect on

In 1972, after 22 years in the missions, Fr. Guido had to go back to Italy for rest and medical treatment. He was at home when a letter arrived, written in Madi (the language of Moyo) by "Mama" Cecilia, and addressed to his mother. It was published in Nigrizia in April 1973, and we quote it here because it tells us what his people thought of Fr. Bertuzzi:

"My dearest daughter Maria Bertuzzi, I am happy to write these few lines to you. I greet you with all my heart, with great affection and happiness. How are you these days? Are you well? I am fairly well myself. I do not have a lot to say. I thank you for sending your son to us. He came here to Uganda a long time ago, in 1950, and stopped here in Moyo, among the Madi people. He started helping us with such great kindness. He made the utmost effort for us. Even when he was ill, he kept on smiling, because he loved us so much. He has done so much for our mission here: he had brought together and assisted a lot of children who had lost their mother. He looked after them and fed them, and many have gone back to their villages full of contentment. There are still many here. He also gathered together and assisted a lot of poor souls: old men and women, boys and girls with polio. He helped people without clothes, people without relatives: he gathered them all in his mission.

He gave wheelchairs to polio victims that could not walk, clothes to everybody, nice beds with mattresses and good food. He got sewing machines so that could learn to make clothes, and he even sent them to school. Now they are happy because they can work for a living, thanks to Fr. Bertuzzi.

Now he has left us because God wanted him to come and have a rest with you. He has developed our mission. We pray he will remain healthy during his stay with you. You pray for us, that we may remain good. Pray for the Fathers that have to take his place so that, with God's help, they may carry on the good work. You know that he is my true son: he is like a real African, a real Madi, born her in Moyo. Do you think I am lying, my daughter?

We want him back here with us. Fr. Guido has left us sad and lonely, as you were sad and lonely when he left you so many years ago. My death is very near. I thought he would be the one to bury me, but it was not God's will. Maybe his substitutes will bury me. Now we are separated from one another, but even if we do not see each other again, we will meet in Paradise.

We pray for him, for you, and for all your family. Give all Father's relatives our greetings - his brothers and sisters. May God help and protect you. I am your mother, Mama Cecilia."

Superior at Limone

After a major operation for a tumour at Verona in 1972, Fr. Bertuzzi was made superior of the community at Limone: "Until you have recovered completely". Answering that his real wish was to return to his mission as soon as possible, he added: "However, I accept what the superiors decide". He stayed in Limone for seven years, until 1979. And he worked hard to make the place, which is dear to the heart of every Comboni Missionary, a centre of spirituality and rest for people coming back from the mission in need of physical and mental recuperation.

He also saw it as a centre for the fostering of vocations. There was already a certain flow of groups of young people to Teseul, during school trips or holiday times.

Fr. Tullio Donati said, in his funeral oration for Fr. Guido: "Under him, Limone was open house to all. He was a true apostle of hospitality. A well-known politician, after a chat with Fr. Bertuzzi at Limone, exclaimed:  The funny thing is that Fr. Guido had no idea whom he had been talking to!"

He made every effort to bring the Comboni Sisters to Limone: he felt that the presence of the two Institutes would have rounded out the aims of the house. Unfortunately the Pie Madri della Nigrizia did not have personnel available. So he approached the Comboni Secular Missionaries, who were able to send two members in October 1974. And they made a wonderful contribution to the place.

Limone chronicles

On 14 June 1972 the General Council declared that the house at Limone should be available for both the male Comboni Institutes (FSCJ, or "Italian" branch and MFSC, the "German" branch) for retreats, meetings, courses, etc. One of the aims of the house would be internal missionary animation!

Fr Bertuzzi had taken over from Fr. Merloni, who had made enormous efforts to transform the site. Starting with no electricity or running water and no access road, no proper living quarters and the whole site overgrown with weeds. He himself now started the work of making rooms out of the western side, and a projection hall.

In 1975, during the pilgrimage of the participants in the Updating Course in Rome, the remains of Bishop Comboni's parents were translated from the family tomb of Eustachio Comboni in the cemetery, and placed in niches prepared at the entrance to the house chapel. In 1977, with the help of Bro Adani, a site was prepared for the Comboni monument that was at Villa Pisa in Florence - former site of the Novitiate.

On 1 November of the same year, Fr. Reinhold Weiss, MFSC, joined the community, to assist German-speaking visitors.

He was good

Those who remember Fr. Bertuzzi's years as superior of Limone talk about a good man, big-hearted, and welcoming. He would ensure that new arrivals, whether confreres or visitors, were comfortable and had everything they needed.

He also practised poverty. He furnished a lot of the house with pieces donated by hotels. He cleaned and polished them to make sure they were presentable. Hoteliers also donated pots and pans, plates and cutlery. "We must not be ashamed of being poor," he would say, "because we have professed poverty".

His struggle to hang on to the old car has become proverbial. It was a little Fiat 600 with almost 220,000 km. on the clock. "It runs perfectly!" he claimed. "How many workers would change their car if it was still running?"

Sudan via Uganda

In July 1979 Fr. Bertuzzi went back to Uganda, and was assigned to Metu, still among the Madi. They were bad times, following the overthrow of Amin, and the revenge of those who had suffered under him. West Nile was targeted under Obote, especially the Logbara and Madi who had supported Amin.

Fr. Bertuzzi put himself at the head of about 50,000 people who took refuge in Southern Sudan. They walked for 200 or so kilometres, taking three exhausting weeks, and with no shelter and little food and water. A long letter describes the exodus, which obviously has some parallels with the People of Israel, except that he and his people had no quails, no manna, and not even the waters of Meriba!

Finally they reached Loa, where he found a further 20,000 refugees, all without a priest. He rolled up his sleeves, and used all his practical good sense to organise the people, who "were like sheep without a shepherd" in more ways than one. He begged for help all over the place, and organised the work of catechists so that it would be a kind of underpinning of an orderly social life.

Fr. Giovanni Farina says: "I worked with Fr. Guido in Sudan. He was at everyone's beck and call, and never looked at his watch. He loved Africa and its people. It was useless to beg him to slow up: he had to go, because he had to administer the Sacraments, or visit the aged, or feed the hungry... rain or sun, it made no difference. And he even taught candidates for the priesthood, who were the apple of his eye!"

He remained in Loa until 1988; his position was ratified when the Superior General assigned him to South Sudan in 1983.

It is a pity we cannot go into his generosity and heroism during this time in Sudan: they merit a chapter of their own.

In 1988 Uganda was much more settled under Museveni, and Fr. Bertuzzi was assigned to Ajumani, among the Madi on the other side of the Nile. He looked after the parish until it was handed over to the diocesan clergy.

Everyone admired the delicacy and the competence with which he worked towards the handover with his successor. They were together for two years, and then Fr. Guido quietly withdrew. "It is wonderful," he wrote, "to be able to say to an African fellow priest: So in 1990 he returned to Moyo, where he stayed until his last grave illness brought him back to Italy.

Sealed by the Cross

Fr. Bertuzzi had several operations over his last 25 years. He bore them all with patient serenity, though the one which left him with his jaw wired - and so unable to speak - needed every effort of will that he had! He still managed to make himself understood, though it caused him great pain.

In July 1996 he was rushed to Kalongo hospital (Gulu was nearer, but surrounded by rebels) with peritonitis. But the doctors discovered that it was the tumour that had been operated on years earlier: it had become active again, and had spread to other organs.

He was taken to the Centre for sick confreres in Milan, and died there on 19th January 1997. During his final days, the mission of Loa was handed over to the local clergy: another step the African Church was taking towards full maturity.

Fr. Bertuzzi accepted his suffering as an integral part of his missionary life. The pain was intense, but he didn't complain: indeed, he thanked the Lord for all the time he had been given to work in the Mission. "In 1972 I was done for; the Lord has given me another 25 years! I can only thank Him."

At the Requiem Mass in the CAA of Milan, confreres spoke with admiration of their brother who had been a true missionary, an authentic man of God, a father of his people, in the style of Daniel Comboni.

The leader of the missionary group at Albiano wrote: "For us, Fr. Guido was a true witness and follower of Blessed Comboni, and a saint, like him. He had faith, and he trusted blindly in the Lord; so he received extraordinary graces. He has helped us all to be a bit more mission-minded. Now we will look on him as our patron. He will not only think about Africa in Heaven; he will look down on us, so that our town can give more missionaries like him".

The body was taken to the cemetery at Albiano and he now rests near his parents and other relatives. Before dying he had once more offered his life for the missions in Uganda, and especially for peace in the Acholi area. May the Lord hear his prayers.