È difficile dimenticare la figura ieratica, compassata, di questo confratello che, nei momenti di pausa dal ministero presso la clinica Santa Giuliana dì Verona o dall'ufficio anagrafe e passaporti presso la Casa Madre, passeggiava per il cortile con la sua veste talare sempre in ordine, intento a raccogliere i pezzetti di carta o cose simili che qualche distratto gettava per terra.
Indubbiamente era un tradizionalista. Un giorno disse a un confratello che la pensava un po' come lui: "Credo che non sarebbe male se venissero rimesse in vigore le carceri conventuali come nei monasteri del Medio Evo". L'altro gli rispose: "Speriamo di no, Padre, perché, con i tempi che corrono, il primo a finirci dentro sarebbe proprio lei!" Egli sorrise e si allontanò scuotendo mestamente la testa.
Il suo modo di fare fu, fino all'ultimo, come gli avevano insegnato in noviziato. Davvero era edificante. Sempre sereno, sempre uguale a se stesso, senza scatti o impennate, era uomo di preghiera, di silenzio e di lavoro.
Dal seminario di Thiene
Aveva 13 anni Egidio quando pensò di lasciare il seminario minore di Padova, che allora si trovava a Thiene, per entrare tra i Comboniani.
"Il giovinetto Michelotto Egidio, durante la sua permanenza in questo seminario vescovile minore di Padova in Thiene, ha tenuto sempre ottima condotta, manifestando ripetutamente il proposito di diventare missionario", scrisse il rettore in data 23 agosto 1923.
E il parroco: "Posso assicurare che il mio chierichetto Michelotto Egidio Pasquale ha sempre tenuto una condotta ottima, oltremodo encomiabile".
Teniamo presente che nel 1919, proprio in Thiene, era stato fondato il piccolo seminario missionario che preparava i futuri fratelli per la missione. Certamente durante le passeggiate e anche in occasione di feste gli alunni dei due seminari s'incontravano e si parlavano, per cui l'ambiente stesso favorì lo sbocciare della vocazione nel giovane Michelotto.
Frequentò il seminario missionario comboniano di Padova e poi il Collegio Arici di Brescia dove i nostri seminaristi si recavano per il ginnasio.
Egidio era un ragazzo serio, composto, dedito allo studio e alla preghiera e parecchio attaccato alle sue idee che, tuttavia, era disposto a cambiare quando si rendeva conto che erano sbagliate.
Sono contento
II 4 ottobre del 1926 entrò nel noviziato di Venegono. Fece la vestizione il 13 novembre dello stesso anno e la professione temporanea il primo novembre 1928.
P. Alceste Corbelli, maestro dei novizi, dà di lui il seguente giudizio: "Buon ragazzo, diligente, pio, molto attaccato alla Congregazione. Va bene in tutto. Negli studi riesce bene e vi mette diligenza e applicazione. Carattere aperto, calmo, affabile. Però sente molto le osservazioni. È ancora un bimbetto. È bidello dei novizi e svolge con impegno e senso di responsabilità il suo compito".
Nelle varie richieste della rinnovazione dei Voti durante il periodo della formazione, Egidio termina le sue domande con la bella frase: "Io sono contento dello stato di vita abbracciato e spero, Deo adiuvante, che sia così per tutta la mia vita". Post mortem possiamo dire che lo è stato.
Dopo il liceo, terminato a Verona, fu inviato a Trento per la teologia e per l'assistenza dei giovani seminaristi. Tutte le mattine doveva farsi a piedi insieme agli altri "prefetti" la strada da Muralta al seminario vescovile, per ritornare verso le 13. Abbinare l'assistenza dei ragazzi con lo studio della teologia era un compito piuttosto impegnativo, eppure Michelotto vi riuscì brillantemente. Trovava anche il tempo per portare i giovani in divertenti passeggiate verso il forte di Martignano o in altre località e di organizzare piccole accademie, commedie e recite che davano un senso di vivacità alla vita del seminario missionario.
Chi l'ha avuto come prefetto assicura che era buono pur essendo giustamente esigente. "Insomma, sapeva ottenere la disciplina, l'impegno nello studio e nella preghiera attraverso la via maestra di una bontà soda, priva di smancerie", anche se il superiore gli attribuì un autoritarismo un po’ eccessivo.
A Trento venne ordinato sacerdote il 17 marzo 1934 con la dispensa di giorni 19 per l'età canonica. Motivo di questo anticipo: "In vista della possibilità di partecipare alle sacre ordinazioni che verranno conferite nel seminario di Trento di cui detto diacono è alunno".
Licenziato in missiologia
Appena sacerdote fu inviato a Roma presso il Pontificio Ateneo Urbaniano per diplomarsi in missiologia. Fu uno dei primi, se non il primo, a frequentare questo corso che gli assorbì due anni, dal 1934 al 1936. Dobbiamo dire che questo suo diploma non gli servì mai. Egli stesso, nel 1951, depositando il libretto presso l'archivio generale scrisse in una letterina che si è trovala nel libretto stesso: "Le mando questo 'libellus' da mettere tra le cose... storiche. Già tanto mi e servito!!!".
Scrive p. Giordani dal Messico: "Più di mezzo secolo fa, a Roma, novello sacerdote fu il primo, con p. Gabriele Bevilacqua ad aprire la serie dei nostri universitari nell'Urbe. Lui per licenziarsi in missiologia, facoltà appena aperta nell’Urbanianum, l'altro per frequentare la Gregoriana. Buoni davvero i due, però a p. Bevilacqua piaceva stuzzicare il confratello chiamandolo 'Conte de' Michelot-tis'. P. Egidio sorrideva, anche quando lo scherzo, prolungandosi un po' troppo, diventava noioso. Nei due anni che passai con lui lo ricordo come un religioso fedele, convinto, applicato, sereno e servizievole".
Dal 1936 al 1937 fu assistente dei ragazzi e insegnante nel piccolo seminario di Troia portandosi dietro sempre la sua seria giovialità e lo spirito di iniziativa che gli era caratteristico.
Sulla porta dell'Africa
Nel 1937 ricevette finalmente l’obbedienza di partire per la missione. Egli sperava di andare fino nel cuore dell'Africa, invece fu fermato ad Helouan, in Egitto, dove venne incaricato del collegio e della chiesa per un anno.
Nel 1938 fu inviato ad Asswan. Vi fu superiore dal 1938 al 1946. Il troppo caldo procurò al Padre un doloroso male di orecchi che non gli permetteva di riposare né di giorno ne di notte. A questo si aggiunsero anche frequenti dolori intestinali. Egli sopportò quella croce con coraggio e rassegnazione. Solo dopo tanto tempo di permanenza si decise, dietro insistenza del medico, a chiedere ai superiori di essere trasferito.
Ma in questo periodo venne dichiarato prigioniero di guerra con tutti gli altri missionari. Dapprima fu internato nel seminario francescano di Gizeh e poi, con p. Minoli, divenne cappellano dei prigionieri italiani nel deserto vicino ad Helouan.
L'esperienza con i prigionieri "civili" fu molto bella, anche se non priva di sacrifici. P. Michelotto ricorderà spesso questo singolare periodo durante il quale poté fare tanto bene ed esercitare in modo egregio il suo munus sacerdotale. Il sacerdote era tutto per quella gente costretta a vivere lontana dalle famiglie.
I prigionieri, animati dai missionari, fecero una cappella di terra. Le finestre furono decorate con angioletti di filo di ferro, ricavato dai reticolati. Fecero tante altre belle cose con materiale insignificante. Con una tanica di benzina prepararono ai missionari una doccia perché potessero lavarsi.
Nel "campo" si tenevano concerti, musiche e recite alle quali partecipavano ammirati anche gli inglesi.
"Un ufficiale - ricordava il Padre - ebbe a dire: 'Se voi italiani aveste i mezzi, sareste capaci di costruire anche un cannone'. Quale non fu la sorpresa dell'ufficiale quando, al mattino dopo, prima di lasciare il campo, si vide presentare da un prigioniero un cannoncino di legno dal quale, schiacciando un pulsantino, usciva una sigaretta. Il suo stupore si trasformò in commossa ammirazione quando seppe che, per fargli quel regalo, un prigioniero aveva lavorato tutta la notte".
Fr. Benetti ha raccolto alcuni degli oggetti costruiti dai prigionieri, ed ora si trovano nel museo della casa di Helouan.
Dal 1946 al 1947 tornò nuovamente ad Helouan con l’incarico di vicedirettore del Collegio. L'attesa di poter spiccare il volo per "l'Africa interiore" rimase semplicemente un'attesa. Infatti, nel 1947 e fino al 1949 fu in Inghilterra per lo studio della lingua e come confessore dei novizi.
L'esperienza di Pellegrina
Dopo due anni trascorsi ad Asswan (1949-'5l) - nonostante il male agli orecchi che puntualmente si faceva sentire - come superiore, e altri due in Inghilterra (1951-'53) come cappellano degli operai italiani, venne dirottato nella casa di Pellegrina, nella bassa veronese, con l'incarico di superiore. Si trattava di una specie di azienda agricola, messa a disposizione dei Comboniani da una signora generosa ma lunatica.
Gli aspiranti fratelli che finivano in quell'azienda vissero le pene del purgatorio. P. Michelotto, per tener fronte alla situazione alquanto dura e difficile, dovette tirar fuori tutta l'autorità di cui era capace... Si contano sulle dita di una mano coloro che superarono illesi la dura prova di Pellegrina e che perseverarono nella vocazione. Qualcuno, sottovoce, insinua che venivano mandati in quel gulag gli aspiranti fratelli che non mostravano segni troppo evidenti di autentica vocazione. "Il fuoco prova l'oro e lo separa dalla scoria", dicevano i formatori appellandosi alla Bibbia. Così, a Pellegrina, o si riusciva o si schiattava.
Esasperali, i superiori ad un certo punto tolsero i confratelli da quella sede restituendo il tutto all'impossibile vecchietta.
L'opera dei Neri del Cairo
Dal 1960 al 1962 p. Miehelotto fu al Cairo addetto all’"Opera dei Neri", studenti sudanesi e operai del Ghana. "Qui l'ho conosciuto - scrive fr. Benetti - e ho potuto apprezzare il grande affetto che aveva per questa gente. Prudente e buono, sapeva stare con il gruppo di orientali e con gli africani che si radunavano alla sera presso il foyer del Sacro Cuore. Avevamo messo a disposizione degli studenti ghaniani due appartamenti del vecchi palazzo. P. Egidio e il sottoscritto ne avevamo la cura.
P. Michelolto si è sempre dimostrato un uomo posato, serio, ottimo religioso, sorridente anche se alle volte s'impuntava di fronte a certe idee che gli sembravano troppo moderne e a certi atteggiamenti che gli sembravano fuori dalla tradizione.
Non manteneva rancore, anche se si 'scaldava', ma poi tornava subito il sereno e il sorriso. A volte pareva si portasse addosso una certa insoddisfazione. Qualcuno diceva che ciò dipendeva dal fatto che, avendo la licenza in missiologia, non poté mai esercitarla. Personalmente non credo a questa ipotesi. È vero, invece, che si trovava bene con la gente e che era dotato di tanta pazienza".
Gli anni della crisi
Dal 1962 al 1966 tornò ad Asswan come superiore, sempre con il suo stile preciso, ordinato, moderatamente esigente, e col mal d'orecchi e i dolori intestinali.
Dal 1966 al 1968 tornò in Italia per un buon periodo di vacanza. Si stabilì a Thiene. Qui ebbe qualche sofferenza per le idee che cominciavano a circolare specie tra i giovani e per una certa crisi di autorità che si manifestava. Nonostante tutto egli marciava imperterrito sulla traiettoria che gli era stata data in noviziato. Ma dentro soffriva.
Scrisse al vicario generale: "Caro p. Battelli, ho partecipato ad un corso di Esercizi tenuto a Venegono. Al posto della istruzione del pomeriggio ebbero luogo in un'aula delle discussioni sulle Costituzioni e Regole. L'impressione generale dei missionari anziani è stata che i giovani, forse mossi dai professori dello scolasticato, vogliano non aggiornare, ma riformare, anzi cambiare quasi tutto. Io mi sono domandato: I superiori maggiori sono al corrente di ciò? Rcv.mo Padre, forse porto acqua al mare, ma in coscienza mi sono sentito obbligato di metterla al corrente affinché il Signore la illumini sul da farsi".
Una lettera discreta, rispettosa, ispirata da amore alla Congregazione, una che ... portava acqua al mare.
Fu contento quando lo mandarono a Trento come rettore della chiesa della Santissima Trinità, tenuta dai Comboniani. Pensava di trovare un ambiente tradizionale, come ai vecchi tempi. Pia illusione! Vi rimase un anno e non fu un anno tranquillo per un tipo come lui. A Trento c'era l'Università di sociologia con tutti i fermenti che ben conosciamo. Tra gli studenti c'era anche qualche comboniano che collezionò quotidiane preghiere da parte del buon Padre.
Ad omnia
Il termine si applica normalmente ai fratelli che sbrigano le mille faccende indispensabili per un buon andamento della casa. Ma appare anche accanto al nome di p. Michelotto quando, dal 1969 al 1970, si trovò presso la chiesa del Sacro Cuore del Cairo. Per la prima volta in vita ebbe l'impressione di essere disoccupato, di essere di troppo, di trovarsi fuori tempo.
Ma il tempo per p. Egidio non era ancora passato. Dal 1970 al 1972 fu assegnato alla parrocchia di S. Giuseppe in Zamalek con gli incarichi di superiore, vice parroco e vice delegato della Delegazione d'Egitto.
Dall'Italia intanto arrivava personale giovane, soprattutto arrivavano idee nuove che non sempre collimavano con quelle portate avanti dai missionari che avevano sopportato la fatica del lungo giorno africano. P. Micnclotto, dal 1972 al 1973, si trovò nuovamente presso la chiesa del Sacro Cuore come "in parcheggio".
La volontà del Signore
Nel 1973 ricevette l'ordine di rientrare in Italia per mettersi al servizio della provincia d'origine. Era stato richiesto anche per Gordola, in sostituzione di p. Locatelli che era partito per la missione, ma i piani del Signore erano diversi.
Alla notifica del cambiamento, il Padre scrisse: "Mi dispiace moltissimo lasciare questo paese ove ho passato quasi tutta la mia vita di sacerdote missionario. Ma se i superiori desiderano trasferirmi altrove io sono pronto a fare questo sacrificio pur di compiere la volontà del Signore. Prego Dio perché coloro che prendono il nostro posto facciano meglio di noi".
È una lettera profondamente umana, animata da un genuino spirito soprannaturale. La volontà di Dio, bisogna riconoscerlo, è stata la norma che ha regolato tutta l'esistenza di questo nostro confratello.
Invece di Gordola, fu dirottato alla clinica Santa Giuliana di Verona, come cappellano dei malati e assistente spirituale delle numerose suore che lavorano in essa.
Non era un ambiente facile. I ricoverati erano (e sono) tutti affetti da disturbi psichici. Persone che fanno una grande pena per quella sottile sofferenza che le incatena, che creano grossi problemi e che richiedono tanta pazienza, comprensione e bontà. Il Padre si recava in clinica al pomeriggio, passava lassù la notte e ritornava al mattino, dopo la santa messa.
Lo scrivente lo ha sostituito più volte in questo delicato incarico, e ricorda quanta abilità ci volesse nel mettere d'accordo individui divenuti irriducibili avversari per motivi tutt'altro che seri.
È stata ammirabile anche la discrezione del Padre in questo suo ufficio. Infatti non parlava mai di ciò che succedeva in ospedale, animato com'era da un grande rispetto, vorrei dire da una profonda venerazione, verso quel tipo di sofferenti.
In Casa Madre si dedicava all'ufficio pensioni, passaporti e anagrafe. Meriterebbe un lungo discorso la stima che ha saputo suscitare tra i pubblici dipendenti dello Stato, l'edificazione che ha loro dato e il ricordo che ha lasciato. Bastava la sua parola per garantire sull'identità di questo o quel confratello che necessitava del passaporto.
Solo un richiamo
Nel 1977 p. Salvatore Calvia scrisse a p. Agostoni che avrebbe gradito tanto la presenza in Egitto di Michelotto. Lo avrebbe mandato di nuovo ad Asswan "dove in tutte le stanze c'è l'aria condizionata". P. Agostoni chiese il parere all'interessato.
"Mi ha fatto piacere sentire che i confratelli della Delegazione hanno fatto il mio nome - rispose. - Ma sinceramente le devo dire che i miei disturbi, specialmente all'intestino, si sono accentuati per cui credo che sarebbe un atto di imprudenza la mia, più che di zelo missionario. I raggi fatti alcune settimane fa mettono in evidenza molti diverticoli del colon. Qui a Verona tiro avanti grazie a una dieta appropriata e a continue cure.
Ormai, inoltre, bisogna fare i conti con l'età, con le lingue che dovrei reimparare. Qui, nella clinica Santa Giuliana, mi sento molto realizzato come sacerdote e come missionario. Sappia, tuttavia, che io voglio compiere la volontà del Signore fino all'ultimo".
Quello dell'Africa rappresentò solo un caro richiamo. Il Padre rimase a Verona a continuare il suo delicato ufficio.
Sono giunto al traguardo
Gli anni passarono inesorabili imprimendo, ognuno, il proprio marchio di acciacchi e di sofferenza.
Nel 1984 il Padre venne ricoverato nel reparto chirurgia dell'ospedale di Negrar per scoprire la causa dì quei dolori intestinali che si facevano di settimana in settimana più acuti.
Gli venne riscontrato un tumore del sigma, del quale venne operato. Tutto procedette bene per cui il Padre poté riprendere il suo lavoro di apostolato presso la Clinica.
Verso la fine del 1991, a seguito di giramenti di testa e debolezza generale, venne scoperta una forte anemia; fu riscontrata una grossa formazione tumorale metastizzata a livello intestinale, la quale non era risultata da nessuno di tutti i precedenti accertamenti.
Dimesso, ritornò al Centro Assistenza Ammalati.
Era consapevole della malattia che lo stava portando rapidamente alla morte. Interpellato da un confratello sulla sua salute, rispose serenamente: "Sono giunto al traguardo, e sono contento della vita che ho vissuto. Ora non mi resta che affidarmi alla misericordia del Signore".
Le sue condizioni andarono aggravandosi rapidamente. Il Padre conservò sempre la sua lucidità mentale fino a quando entrò in coma, il 4 febbraio alle ore 9.10 cessò di respirare.
I funerali, come da desiderio espresso dal Padre durante la sua malattia, si tennero in Casa Madre con sepoltura nella nostra tomba di Verona.
Recentemente, su sollecitazione della sorella e di qualche nipote, sono in corso le pratiche per la riesumazione della salma e trasporto, con sepoltura, nella cappella dei sacerdoti a Rubano (PD).
Piccolo grande santo
Le suore dell'Ospedale "Villa Santa Giuliana", nel giorno del funerale, lo hanno ricordato con la preghiera che riportiamo:
"Signore Gesù, oggi ci troviamo qui riunite davanti al tuo altare per elevare insieme la nostra adorazione, la nostra lode, il nostro ringraziamento per averci donato per tanti anni p. Egidio.
Per noi che abbiamo lavorato, sofferto e camminato insieme, questo è un momento di particolare commozione, anche se nella fede sappiamo che è soltanto un arrivederci.
È il momento di cantare a lui il nostro grazie per quello che egli era e per quello che è stato per noi, Sorelle della Misericordia, e per la nostra famiglia ospedaliera. E lo facciamo con l'affetto fraterno che ci legava in Cristo Signore, senza timore di offendere la sua modestia e il suo dignitoso riserbo.
Grazie, p. Egidio, per essere passato tra noi, tra le corsie del nostro ospedale, avvolto nel tuo silenzioso ed attento andare, disponibile sempre: ad accogliere con amore paterno; ad ascoltare con cuore sacerdotale tante creature immerse nella sofferenza psichica più profonda; a medicare tante piaghe nascoste nel cuore con il balsamo della Parola, del consiglio, della grazia che redime; a liberare dalle catene dai tanti nomi, in forza del potere a lei dato da Colui che ti ha detto: 'Tu sei sacerdote in eterno'.
Grazie per avere accettato in quel lontano 1° ottobre 1974, di ritorno dalla tua amata missione lontana, un'obbedienza totalmente nuova per te: l'assistenza spirituale ai malati portatori di una sofferenza psichica che immerge la persona in un tunnel oscuro e senza speranza.
Tu sei passato accanto a loro come luce che riscalda, conforta, consola, riaccende la speranza in tanti cuori stanchi della vita, donando quella pace che solo il sacerdote, in nome di Colui che lo invia, può dare.
Grazie per la tua disponibilità e la tua sensibilità paterna per tutte noi Sorelle che, in te, abbiamo trovato un fedele compagno di viaggio: per 18 anni abbiamo camminato insieme; anni difficili, di dure prove, e tu lo sai!
Tu sei stato per noi come un padre buono che con la tua presenza prudente, discreta, delicata, equilibrata e sensibile ci hai sostenute, sorrette, stimolate a credere in Colui che nella prova ci dà anche la forza di andare avanti con coraggiosa speranza.
Grazie per il bene e la paterna premura che hai avuto per le nostre Sorelle malate. Tu sei passato in mezzo a loro come il buon pastore che si prende cura di ogni sua pecorella sofferente.
Grazie soprattutto per quello che ci hai donato e che costituiva la scelta fondamentale della tua vita: il tuo grande amore per Cristo, la passione per il suo Regno, il tuo grande amore per la Vergine Maria della quale eri innamorato; il tuo amore fresco e ardente per le missioni africane, che emergeva spontaneo in ogni tuo dire; l'amore profondo al tuo sacerdozio e alla tua famiglia comboniana. Valori che hai voluto trasfondere in noi, nei nostri malati, in coloro che in tanti anni hai avvicinato con il cuore di Cristo.
Grazie per l'amore che hai sempre nutrito, non solo per le nostre comunità di Santa Giuliana, ma per l'intera nostra Congregazione che sentivi profondamente anche tua.
Grazie per l'amore che hai portato al nostro beato p. Carlo Steeb.
Grazie per essere passato tra noi come fiaccola che, illuminando, riscalda e si consuma in silenzio...”
Questa testimonianza ci da la misura di p. Egidio Michelotto, un confratello che ha vissuto fino in fondo la sua vocazione missionaria nell'impegno, nella serietà e nella ricerca continua della volontà del Signore. Siamo sicuri che dal cielo, dove certamente si trova, intercede per la Congregazione e per le missioni, in modo particolare per quelle dell'Egitto. P. Lorenzo Gaiga
Da Mccj Bulletin n. 175, luglio 1992, pp. 56-63