In Pace Christi

Michelotto Egidio

Michelotto Egidio
Geburtsdatum : 03/04/1910
Geburtsort : Bosco di Rubano PD/I
Zeitliche Gelübde : 01/11/1928
Ewige Gelübde : 01/11/1933
Datum der Priesterweihe : 17/03/1934
Todesdatum : 04/02/1992
Todesort : Verona/I

È difficile dimenticare la figura ie­ratica, compassata, di questo confra­tello che, nei momenti di pausa dal ministero presso la clinica Santa Giu­liana dì Verona o dall'ufficio anagrafe e passaporti presso la Casa Madre, passeggiava per il cortile con la sua veste talare sempre in ordine, intento a raccogliere i pezzetti di carta o cose simili che qualche distratto gettava per terra.

Indubbiamente era un tradizionali­sta. Un giorno disse a un confratello che la pensava un po' come lui: "Cre­do che non sarebbe male se venissero rimesse in vigore le carceri conven­tuali come nei monasteri del Medio Evo". L'altro gli rispose: "Speriamo di no, Padre, perché, con i tempi che corrono, il primo a finirci dentro sa­rebbe proprio lei!" Egli sorrise e si allontanò scuotendo mestamente la testa.

Il suo modo di fare fu, fino all'ulti­mo, come gli avevano insegnato in noviziato. Davvero era edificante. Sempre sereno, sempre uguale a se stesso, senza scatti o impennate, era uomo di preghiera, di silenzio e di la­voro.

Dal seminario di Thiene

Aveva 13 anni Egidio quando pensò di lasciare il seminario minore di Pa­dova, che allora si trovava a Thiene, per entrare tra i Comboniani.

"Il giovinetto Michelotto Egidio, durante la sua permanenza in questo seminario vescovile minore di Pado­va in Thiene, ha tenuto sempre ottima condotta, manifestando ripetutamente il proposito di diventare missionario", scrisse il rettore in data 23 agosto 1923.

E il parroco: "Posso assicurare che il mio chierichetto Michelotto Egidio Pasquale ha sempre tenuto una con­dotta ottima, oltremodo encomiabile".

Teniamo presente che nel 1919, proprio in Thiene, era stato fondato il piccolo seminario missionario che preparava i futuri fratelli per la mis­sione. Certamente durante le passeg­giate e anche in occasione di feste gli alunni dei due seminari s'incontrava­no e si parlavano, per cui l'ambiente stesso favorì lo sbocciare della voca­zione nel giovane Michelotto.

Frequentò il seminario missionario comboniano di Padova e poi il Colle­gio Arici di Brescia dove i nostri se­minaristi si recavano per il ginnasio.

Egidio era un ragazzo serio, compo­sto, dedito allo studio e alla preghiera e parecchio attaccato alle sue idee che, tuttavia, era disposto a cambiare quando si rendeva conto che erano sbagliate.

Sono contento

II 4 ottobre del 1926 entrò nel novi­ziato di Venegono. Fece la vestizione il 13 novembre dello stesso anno e la professione temporanea il primo no­vembre 1928.

P. Alceste Corbelli, maestro dei no­vizi, dà di lui il seguente giudizio: "Buon ragazzo, diligente, pio, molto attaccato alla Congregazione. Va be­ne in tutto. Negli studi riesce bene e vi mette diligenza e applicazione. Ca­rattere aperto, calmo, affabile. Però sente molto le osservazioni. È ancora un bimbetto. È bidello dei novizi e svolge con impegno e senso di re­sponsabilità il suo compito".

Nelle varie richieste della rinnova­zione dei Voti durante il periodo della formazione, Egidio termina le sue do­mande con la bella frase: "Io sono contento dello stato di vita abbraccia­to e spero, Deo adiuvante, che sia co­sì per tutta la mia vita". Post mortem possiamo dire che lo è stato.

Dopo il liceo, terminato a Verona, fu inviato a Trento per la teologia e per l'assistenza dei giovani seminari­sti. Tutte le mattine doveva farsi a piedi insieme agli altri "prefetti" la strada da Muralta al seminario vesco­vile, per ritornare verso le 13. Abbi­nare l'assistenza dei ragazzi con lo studio della teologia era un compito piuttosto impegnativo, eppure Michelotto vi riuscì brillantemente. Trovava anche il tempo per portare i giovani in divertenti passeggiate verso il forte di Martignano o in altre località e di organizzare piccole accademie, com­medie e recite che davano un senso di vivacità alla vita del seminario mis­sionario.

Chi l'ha avuto come prefetto assicu­ra che era buono pur essendo giustamente esigente. "Insomma, sapeva ot­tenere la disciplina, l'impegno nello studio e nella preghiera attraverso la via maestra di una bontà soda, priva di smancerie", anche se il superiore gli attribuì un autoritarismo un po’ ec­cessivo.

A Trento venne ordinato sacerdote il 17 marzo 1934 con la dispensa di giorni 19 per l'età canonica. Motivo di questo anticipo: "In vista della pos­sibilità di partecipare alle sacre ordi­nazioni che verranno conferite nel se­minario di Trento di cui detto diacono è alunno".

Licenziato in missiologia

Appena sacerdote fu inviato a Ro­ma presso il Pontificio Ateneo Urbaniano per diplomarsi in missiologia. Fu uno dei primi, se non il primo, a frequentare questo corso che gli as­sorbì due anni, dal 1934 al 1936. Dobbiamo dire che questo suo diplo­ma non gli servì mai. Egli stesso, nel 1951, depositando il libretto presso l'archivio generale scrisse in una letterina che si è trovala nel libretto stes­so: "Le mando questo 'libellus' da mettere tra le cose... storiche. Già tan­to mi e servito!!!".

Scrive p. Giordani dal Messico: "Più di mezzo secolo fa, a Roma, no­vello sacerdote fu il primo, con p. Ga­briele Bevilacqua ad aprire la serie dei nostri universitari nell'Urbe. Lui per licenziarsi in missiologia, facoltà appena aperta nell’Urbanianum, l'al­tro per frequentare la Gregoriana. Buoni davvero i due, però a p. Bevi­lacqua piaceva stuzzicare il confratel­lo chiamandolo 'Conte de' Michelot-tis'. P. Egidio sorrideva, anche quan­do lo scherzo, prolungandosi un po' troppo, diventava noioso. Nei due anni che passai con lui lo ricordo come un religioso fedele, convinto, applica­to, sereno e servizievole".

Dal 1936 al 1937 fu assistente dei ragazzi e insegnante nel piccolo semi­nario di Troia portandosi dietro sem­pre la sua seria giovialità e lo spirito di iniziativa che gli era caratteristico.

Sulla porta dell'Africa

Nel 1937 ricevette finalmente l’obbedienza di partire per la missione. Egli sperava di andare fino nel cuore dell'Africa, invece fu fermato ad Helouan, in Egitto, dove venne incarica­to del collegio e della chiesa per un anno.

Nel 1938 fu inviato ad Asswan. Vi fu superiore dal 1938 al 1946. Il trop­po caldo procurò al Padre un doloro­so male di orecchi che non gli per­metteva di riposare né di giorno ne di notte. A questo si aggiunsero anche frequenti dolori intestinali. Egli sop­portò quella croce con coraggio e ras­segnazione. Solo dopo tanto tempo di permanenza si decise, dietro insisten­za del medico, a chiedere ai superiori di essere trasferito.

Ma in questo periodo venne dichia­rato prigioniero di guerra con tutti gli altri missionari. Dapprima fu interna­to nel seminario francescano di Gizeh e poi, con p. Minoli, divenne cappel­lano dei prigionieri italiani nel deser­to vicino ad Helouan.

L'esperienza con i prigionieri "civi­li" fu molto bella, anche se non priva di sacrifici. P. Michelotto ricorderà spesso questo singolare periodo du­rante il quale poté fare tanto bene ed esercitare in modo egregio il suo munus sacerdotale. Il sacerdote era tutto per quella gente costretta a vivere lontana dalle famiglie.

I prigionieri, animati dai missionari, fecero una cappella di terra. Le fine­stre furono decorate con angioletti di filo di ferro, ricavato dai reticolati. Fecero tante altre belle cose con ma­teriale insignificante. Con una tanica di benzina prepararono ai missionari una doccia perché potessero lavarsi.

Nel "campo" si tenevano concerti, musiche e recite alle quali partecipa­vano ammirati anche gli inglesi.

"Un ufficiale - ricordava il Padre - ebbe a dire: 'Se voi italiani aveste i mezzi, sareste capaci di costruire an­che un cannone'. Quale non fu la sor­presa dell'ufficiale quando, al mattino dopo, prima di lasciare il campo, si vide presentare da un prigioniero un cannoncino di legno dal quale, schiacciando un pulsantino, usciva una sigaretta. Il suo stupore si trasfor­mò in commossa ammirazione quan­do seppe che, per fargli quel regalo, un prigioniero aveva lavorato tutta la notte".

Fr. Benetti ha raccolto alcuni degli oggetti costruiti dai prigionieri, ed ora si trovano nel museo della casa di Helouan.

Dal 1946 al 1947 tornò nuovamente ad Helouan con l’incarico di vicedi­rettore del Collegio. L'attesa di poter spiccare il volo per "l'Africa interiore" rimase semplicemente un'atte­sa. Infatti, nel 1947 e fino al 1949 fu in Inghilterra per lo studio della lin­gua e come confessore dei novizi.

L'esperienza di Pellegrina

Dopo due anni trascorsi ad Asswan (1949-'5l) - nonostante il male agli orecchi che puntualmente si faceva sentire - come superiore, e altri due in Inghilterra (1951-'53) come cappellano degli operai italiani, venne dirottato nella casa di Pellegrina, nella bassa veronese, con l'incarico di superiore. Si trattava di una specie di azienda agricola, messa a disposizione dei Comboniani da una signora generosa ma lunatica.

Gli aspiranti fratelli che finivano in quell'azienda vissero le pene del pur­gatorio. P. Michelotto, per tener fron­te alla situazione alquanto dura e dif­ficile, dovette tirar fuori tutta l'autori­tà di cui era capace... Si contano sulle dita di una mano coloro che superaro­no illesi la dura prova di Pellegrina e che perseverarono nella vocazione. Qualcuno, sottovoce, insinua che ve­nivano mandati in quel gulag gli aspi­ranti fratelli che non mostravano se­gni troppo evidenti di autentica voca­zione. "Il fuoco prova l'oro e lo sepa­ra dalla scoria", dicevano i formatori appellandosi alla Bibbia. Così, a Pel­legrina, o si riusciva o si schiattava.

Esasperali, i superiori ad un certo punto tolsero i confratelli da quella sede restituendo il tutto all'impossibi­le vecchietta.

L'opera dei Neri del Cairo

Dal 1960 al 1962 p. Miehelotto fu al Cairo addetto all’"Opera dei Neri", studenti sudanesi e operai del Ghana. "Qui l'ho conosciuto - scrive fr. Benetti - e ho potuto apprezzare il gran­de affetto che aveva per questa gente. Prudente e buono, sapeva stare con il gruppo di orientali e con gli africani che si radunavano alla sera presso il foyer del Sacro Cuore. Avevamo messo a disposizione degli studenti ghaniani due appartamenti del vecchi palazzo. P. Egidio e il sottoscritto ne avevamo la cura.

P. Michelolto si è sempre dimostra­to un uomo posato, serio, ottimo religioso, sorridente anche se alle volte s'impuntava di fronte a certe idee che gli sembravano troppo moderne e a certi atteggiamenti che gli sembrava­no fuori dalla tradizione.

Non manteneva rancore, anche se si 'scaldava', ma poi tornava subito il sereno e il sorriso. A volte pareva si portasse addosso una certa insoddi­sfazione. Qualcuno diceva che ciò di­pendeva dal fatto che, avendo la li­cenza in missiologia, non poté mai esercitarla. Personalmente non credo a questa ipotesi. È vero, invece, che si trovava bene con la gente e che era dotato di tanta pazienza".

Gli anni della crisi

Dal 1962 al 1966 tornò ad Asswan come superiore, sempre con il suo sti­le preciso, ordinato, moderatamente esigente, e col mal d'orecchi e i dolo­ri intestinali.

Dal 1966 al 1968 tornò in Italia per un buon periodo di vacanza. Si stabilì a Thiene. Qui ebbe qualche sofferen­za per le idee che cominciavano a cir­colare specie tra i giovani e per una certa crisi di autorità che si manifesta­va. Nonostante tutto egli marciava imperterrito sulla traiettoria che gli era stata data in noviziato. Ma dentro soffriva.

Scrisse al vicario generale: "Caro p. Battelli, ho partecipato ad un corso di Esercizi tenuto a Venegono. Al posto della istruzione del pomeriggio ebbe­ro luogo in un'aula delle discussioni sulle Costituzioni e Regole. L'im­pressione generale dei missionari an­ziani è stata che i giovani, forse mossi dai professori dello scolasticato, vo­gliano non aggiornare, ma riformare, anzi cambiare quasi tutto. Io mi sono domandato: I superiori maggiori sono al corrente di ciò? Rcv.mo Padre, for­se porto acqua al mare, ma in co­scienza mi sono sentito obbligato di metterla al corrente affinché il Signo­re la illumini sul da farsi".

Una lettera discreta, rispettosa, ispi­rata da amore alla Congregazione, una che ... portava acqua al mare.

Fu contento quando lo mandarono a Trento come rettore della chiesa della Santissima Trinità, tenuta dai Comboniani. Pensava di trovare un ambiente tradizionale, come ai vecchi tempi. Pia illusione! Vi rimase un anno e non fu un anno tranquillo per un tipo come lui. A Trento c'era l'Univer­sità di sociologia con tutti i fermenti che ben conosciamo. Tra gli studenti c'era anche qualche comboniano che collezionò quotidiane preghiere da parte del buon Padre.

Ad omnia

Il termine si applica normalmente ai fratelli che sbrigano le mille fac­cende indispensabili per un buon an­damento della casa. Ma appare anche accanto al nome di p. Michelotto quando, dal 1969 al 1970, si trovò presso la chiesa del Sacro Cuore del Cairo. Per la prima volta in vita ebbe l'impressione di essere disoccupato, di essere di troppo, di trovarsi fuori tempo.

Ma il tempo per p. Egidio non era ancora passato. Dal 1970 al 1972 fu assegnato alla parrocchia di S. Giu­seppe in Zamalek con gli incarichi di superiore, vice parroco e vice delega­to della Delegazione d'Egitto.

Dall'Italia intanto arrivava persona­le giovane, soprattutto arrivavano idee nuove che non sempre collima­vano con quelle portate avanti dai missionari che avevano sopportato la fatica del lungo giorno africano. P. Micnclotto, dal 1972 al 1973, si trovò nuovamente presso la chiesa del Sa­cro Cuore come "in parcheggio".

La volontà del Signore

Nel 1973 ricevette l'ordine di rien­trare in Italia per mettersi al servizio della provincia d'origine. Era stato ri­chiesto anche per Gordola, in sostitu­zione di p. Locatelli che era partito per la missione, ma i piani del Signo­re erano diversi.

Alla notifica del cambiamento, il Padre scrisse: "Mi dispiace moltissi­mo lasciare questo paese ove ho pas­sato quasi tutta la mia vita di sacerdo­te missionario. Ma se i superiori desi­derano trasferirmi altrove io sono pronto a fare questo sacrificio pur di compiere la volontà del Signore. Pre­go Dio perché coloro che prendono il nostro posto facciano meglio di noi".

È una lettera profondamente uma­na, animata da un genuino spirito so­prannaturale. La volontà di Dio, biso­gna riconoscerlo, è stata la norma che ha regolato tutta l'esistenza di questo nostro confratello.

Invece di Gordola, fu dirottato alla clinica Santa Giuliana di Verona, co­me cappellano dei malati e assistente spirituale delle numerose suore che lavorano in essa.

Non era un ambiente facile. I rico­verati erano (e sono) tutti affetti da disturbi psichici. Persone che fanno una grande pena per quella sottile sofferenza che le incatena, che creano grossi problemi e che richiedono tan­ta pazienza, comprensione e bontà. Il Padre si recava in clinica al pomerig­gio, passava lassù la notte e ritornava al mattino, dopo la santa messa.

Lo scrivente lo ha sostituito più vol­te in questo delicato incarico, e ricor­da quanta abilità ci volesse nel mette­re d'accordo individui divenuti irridu­cibili avversari per motivi tutt'altro che seri.

È stata ammirabile anche la discre­zione del Padre in questo suo ufficio. Infatti non parlava mai di ciò che suc­cedeva in ospedale, animato com'era da un grande rispetto, vorrei dire da una profonda venerazione, verso quel tipo di sofferenti.

In Casa Madre si dedicava all'uffi­cio pensioni, passaporti e anagrafe. Meriterebbe un lungo discorso la sti­ma che ha saputo suscitare tra i pub­blici dipendenti dello Stato, l'edifica­zione che ha loro dato e il ricordo che ha lasciato. Bastava la sua parola per garantire sull'identità di questo o quel confratello che necessitava del passa­porto.

Solo un richiamo

Nel 1977 p. Salvatore Calvia scrisse a p. Agostoni che avrebbe gradito tanto la presenza in Egitto di Michelotto. Lo avrebbe mandato di nuovo ad Asswan "dove in tutte le stanze c'è l'aria condizionata". P. Agostoni chiese il parere all'interessato.

"Mi ha fatto piacere sentire che i confratelli della Delegazione hanno fatto il mio nome - rispose. - Ma sin­ceramente le devo dire che i miei di­sturbi, specialmente all'intestino, si sono accentuati per cui credo che sa­rebbe un atto di imprudenza la mia, più che di zelo missionario. I raggi fatti alcune settimane fa mettono in evidenza molti diverticoli del colon. Qui a Verona tiro avanti grazie a una dieta appropriata e a continue cure.

Ormai, inoltre, bisogna fare i conti con l'età, con le lingue che dovrei reimparare. Qui, nella clinica Santa Giuliana, mi sento molto realizzato come sacerdote e come missionario. Sappia, tuttavia, che io voglio com­piere la volontà del Signore fino al­l'ultimo".

Quello dell'Africa rappresentò solo un caro richiamo. Il Padre rimase a Verona a continuare il suo delicato ufficio.

Sono giunto al traguardo

Gli anni passarono inesorabili im­primendo, ognuno, il proprio marchio di acciacchi e di sofferenza.

Nel 1984 il Padre venne ricoverato nel reparto chirurgia dell'ospedale di Negrar per scoprire la causa dì quei dolori intestinali che si facevano di settimana in settimana più acuti.

Gli venne riscontrato un tumore del sigma, del quale venne operato. Tutto procedette bene per cui il Padre poté riprendere il suo lavoro di apostolato presso la Clinica.

Verso la fine del 1991, a seguito di giramenti di testa e debolezza genera­le, venne scoperta una forte anemia; fu riscontrata una grossa formazione tumorale metastizzata a livello inte­stinale, la quale non era risultata da nessuno di tutti i precedenti accerta­menti.

Dimesso, ritornò al Centro Assi­stenza Ammalati.

Era consapevole della malattia che lo stava portando rapidamente alla morte. Interpellato da un confratello sulla sua salute, rispose serenamente: "Sono giunto al traguardo, e sono contento della vita che ho vissuto. Ora non mi resta che affidarmi alla misericordia del Signore".

Le sue condizioni andarono aggra­vandosi rapidamente. Il Padre conser­vò sempre la sua lucidità mentale fino a quando entrò in coma, il 4 febbraio alle ore 9.10 cessò di respirare.

I funerali, come da desiderio espres­so dal Padre durante la sua malattia, si tennero in Casa Madre con sepoltu­ra nella nostra tomba di Verona.

Recentemente, su sollecitazione della sorella e di qualche nipote, sono in corso le pratiche per la riesumazione della salma e trasporto, con sepol­tura, nella cappella dei sacerdoti a Rubano (PD).

Piccolo grande santo

Le suore dell'Ospedale "Villa Santa Giuliana", nel giorno del funerale, lo hanno ricordato con la preghiera che riportiamo:

"Signore Gesù, oggi ci troviamo qui riunite davanti al tuo altare per eleva­re insieme la nostra adorazione, la no­stra lode, il nostro ringraziamento per averci donato per tanti anni p. Egidio.

Per noi che abbiamo lavorato, sof­ferto e camminato insieme, questo è un momento di particolare commo­zione, anche se nella fede sappiamo che è soltanto un arrivederci.

È il momento di cantare a lui il no­stro grazie per quello che egli era e per quello che è stato per noi, Sorelle della Misericordia, e per la nostra fa­miglia ospedaliera. E lo facciamo con l'affetto fraterno che ci legava in Cri­sto Signore, senza timore di offendere la sua modestia e il suo dignitoso ri­serbo.

Grazie, p. Egidio, per essere passato tra noi, tra le corsie del nostro ospe­dale, avvolto nel tuo silenzioso ed at­tento andare, disponibile sempre: ad accogliere con amore paterno; ad ascoltare con cuore sacerdotale tante creature immerse nella sofferenza psichica più profonda; a medicare tante piaghe nascoste nel cuore con il balsamo della Parola, del consiglio, della grazia che redime; a liberare dalle catene dai tanti nomi, in forza del potere a lei dato da Colui che ti ha detto: 'Tu sei sacerdote in eterno'.

Grazie per avere accettato in quel lontano 1° ottobre 1974, di ritorno dal­la tua amata missione lontana, un'obbedienza totalmente nuova per te: l'assistenza spirituale ai malati porta­tori di una sofferenza psichica che immerge la persona in un tunnel oscuro e senza speranza.

Tu sei passato accanto a loro come luce che riscalda, conforta, consola, riaccende la speranza in tanti cuori stanchi della vita, donando quella pa­ce che solo il sacerdote, in nome di Colui che lo invia, può dare.

Grazie per la tua disponibilità e la tua sensibilità paterna per tutte noi Sorelle che, in te, abbiamo trovato un fedele compagno di viaggio: per 18 anni abbiamo camminato insieme; anni difficili, di dure prove, e tu lo sai!

Tu sei stato per noi come un padre buono che con la tua presenza pru­dente, discreta, delicata, equilibrata e sensibile ci hai sostenute, sorrette, sti­molate a credere in Colui che nella prova ci dà anche la forza di andare avanti con coraggiosa speranza.

Grazie per il bene e la paterna pre­mura che hai avuto per le nostre So­relle malate. Tu sei passato in mezzo a loro come il buon pastore che si prende cura di ogni sua pecorella sof­ferente.

Grazie soprattutto per quello che ci hai donato e che costituiva la scelta fondamentale della tua vita: il tuo grande amore per Cristo, la passione per il suo Regno, il tuo grande amore per la Vergine Maria della quale eri innamorato; il tuo amore fresco e ar­dente per le missioni africane, che emergeva spontaneo in ogni tuo dire; l'amore profondo al tuo sacerdozio e alla tua famiglia comboniana. Valori che hai voluto trasfondere in noi, nei nostri malati, in coloro che in tanti anni hai avvicinato con il cuore di Cristo.

Grazie per l'amore che hai sempre nutrito, non solo per le nostre comu­nità di Santa Giuliana, ma per l'intera nostra Congregazione che sentivi pro­fondamente anche tua.

Grazie per l'amore che hai portato al nostro beato p. Carlo Steeb.

Grazie per essere passato tra noi co­me fiaccola che, illuminando, riscalda e si consuma in silenzio...”

Questa testimonianza ci da la misu­ra di p. Egidio Michelotto, un confra­tello che ha vissuto fino in fondo la sua vocazione missionaria nell'impe­gno, nella serietà e nella ricerca conti­nua della volontà del Signore. Siamo sicuri che dal cielo, dove certamente si trova, intercede per la Congrega­zione e per le missioni, in modo parti­colare per quelle dell'Egitto.            P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 175, luglio 1992, pp. 56-63