In Pace Christi

Signorelli Enrico

Signorelli Enrico
Geburtsdatum : 09/02/1933
Geburtsort : Brusaporto BG/I
Zeitliche Gelübde : 09/09/1952
Ewige Gelübde : 09/09/1958
Datum der Priesterweihe : 14/03/1959
Todesdatum : 05/01/1992
Todesort : Verona/I

"Mai come ora mi sento nelle mani di Dio. Per molti anni ho operato attivamente per far conoscere Gesù e per la diffusione del suo Regno. Ora il Signore vuole che vi cooperi nel nascondimento, nel 'dentro e fuori' dagli ospedali, nella sofferenza fisica e morale.

L'accettazione della volontà di Dio non è una cosa che si possa fare una volta per sempre; è una vita; è di ogni momento, è talora un po' simile - se non sono irriverente - all'agonia di Gesù.

In questo periodo prende maggior colore l'attesa di poter contemplare lo splendore del volto del Signore, e ripeto con forza: 'Santa Maria, prega per noi peccatori, adesso e nell'ora della nostra morte'.

Il morale, comunque è alto. Vivo con gioia i giorni che il Signore mi dà".

Mancavano tre mesi alla morte quando p. Enrico Signorelli, consapevole del cancro che gli divorava il corpo, scrisse queste parole a p. Salvatore Calvia, superiore provinciale d'Egitto. E' una lettera pasquale, nella quale si parla di sofferenza e di gioia, di morte e di risurrezione, di agonia e di attesa di contemplare il volto luminoso di Cristo.

Per un missionario che ha consumato tutta la vita per far conoscere, nella fede, il volto di Dio ai fratelli, il momento della morte può diventare desiderabile, perfino dolce, perché è l'unico mezzo per contemplare finalmente questo volto, e non più nella fede, ma nella realtà. Ciò tuttavia non toglie il sapore amaro del "morirete", prezzo del primo peccato che ha imbrattato l'umanità, e di tutti gli altri peccati che hanno creato il Getzemani per Cristo e per i suoi veri discepoli.

Incidente di percorso

Sesto di nove fratelli, Enrico era figlio di Aristide, di professione guardia notturna e di Francesca Milesi, casalinga. Erano cristiani convinti. Ad un certo punto la famiglia si trasferì da Brusaporto a Brembate Sotto, una zona particolarmente battuta dai missionari comboniani.

Non fu difficile per il "reclutatore" del tempo accogliere l'adesione di Enrico che, dopo aver visto le proiezioni, si presentò spontaneamente al missionario dicendo che voleva seguirlo in Africa.

La pagella scolastica assicurava che si trattava di un ragazzino impegnato e la parola del parroco garantì sulla buona condotta del soggetto, per cui non c'era che da partire per la scuola apostolica di Crema. Cosa che ebbe luogo nel 1944. Qui gli capitò una piccola disavventura: dovette ripetere la seconda media, non solo per scarso profitto scolastico, ma soprattutto per mancanza di quella maturità che si richiedeva a chi andava in terza.

Completò la quarta e la quinta ginnasio, nell'istituto Comboni di Brescia. In data 18 agosto 1950 scrisse al p. generale: "Dopo matura riflessione e con il consiglio del p. spirituale e del p. superiore, faccio domanda di entrare nel noviziato dei Figli del Sacro Cuore. A questo mi spinge il desiderio di seguire più da vicino il Signore, di salvare l'anima mia, non solo, ma anche quella di tanti altri".

In calce a questa lettera c'è una nota di p. Emilio Ceccarini che dice:

"Chi osserva questo giovanotto, nota in lui una certa aria sostenuta ed un fare artificioso. Niente paura! E' il suo naturale per niente affatto colpevole.

Lui stesso riconosce di avere una bella cresta, ma è generoso nel reciderla. Ha una buona dose di orgoglio, frutto in parte della sua intelligenza. Occorre tenerlo imbrigliato e valorizzare le sue qualità incanalandole nel senso giusto. Promette bene".

Novizio

Il 26 settembre 1950 entrò nel noviziato di Firenze. Con i compagni, due a due, dovette prendere le taniche e partire alla cerca di olio come si soleva fare a quel tempo. Oltre che una discreta fatica era anche un buon esercizio di umiltà, specialmente quando s'incontrava qualche contadino che, invece dell'olio, mollava una bestemmia o un'imprecazione ai frati cercatori.

Bisogna dire, tuttavia, che nella quasi totalità la gente accoglieva con simpatia quei giovani e si mostrava generosa, soprattutto perché erano missionari che un giorno sarebbero andati in Africa "a portare la religione e la civiltà alla gente". Certe mamme di famiglia si commovevano perfino quasi alle lacrime vedendoli così giovani e già votati a una causa così difficile. E la domanda più frequente che rivolgevano loro era: "Ma come ha preso la vostra mamma questa vostra vocazione? Come ha fatto a lasciarvi a partire?".

"Sicché - ebbe a dire un giorno proprio p. Signorelli commentando questi fatti - la nostra raccolta dell'olio si trasformava più in un dare che in un ricevere. E alla sera quando tornavamo stanchi e affaticati eravamo contenti perché sentivamo di aver dato una buona testimonianza a quei contadini".

Il lavoro spirituale, sotto la guida di p. Giovanni Audisio, procedeva bene. Se all'inizio "si direbbe esageratamente ricercato e studiato in tutti i suoi movimenti e sempre pronto a dire la sua", alla fine dei due anni "riporta belle vittorie sul suo carattere e sul suo amor proprio. Accetta con sottomissione le umiliazioni anche se gli scottano. Criterio buono; ingegno alquanto superiore a quello dei compagni. E' il primo della classe per intelligenza. E' retto e dotato di senso pratico. Anche quella ricercatezza che lo ha sempre caratterizzato e che entra nel suo naturale, credo che, maturando ulteriormente, diventerà benevole delicatezza nei confronti di chi gli sarà vicino, perché è molto caritatevole".

Il 9 settembre del 1952 emise i Voti annuali di povertà, castità e obbedienza e partì subito per Verona onde terminare il liceo (sett. 1952 - sett. 1955).

Verso il sacerdozio

Anche fuori dal noviziato, lo scolastico Signorelli non smise di lavorare il suo spirito per renderlo sempre più simile al modello che continuamente aveva davanti e che voleva riprodurre in sé: Gesù Cristo.

C'è una testimonianza "telegrafica" di p. Leonzio Bano che vale la pena riportare:

"Quanto a progresso spirituale nella vita religiosa va avanti bene, con serietà e impegno.

Osservanza della regola: esatto, talvolta fino all'esagerazione.

Spirito di pietà: sentito e appariscente.

Pratica dell'obbedienza: esatta, ad litteram.

Pratica della povertà: esatto.

Impegno nel proprio ufficio: ad unguem. Riesce bene anche nella scuola.

Carità fraterna: va d'accordo con tutti, ma il suo modo di fare un po' artificioso (benché non sembri studiato) lo rende singolare.

Carattere e sforzo per migliorarlo: sensibile, ma pignolo, seccante e pedante. Lui non se ne accorge, ma non sarà mai l'uomo di compagnia. Eseguirà, però, a puntino qualunque incarico.

Virtù particolari da segnalarsi: pietà, esattezza, grande attaccamento alla vocazione.

Difetti: ciò che in lui sembra affettazione è solo il risultato della sua forma mentis. Sarà un ottimo missionario".

I compagni, che sono i giudici più severi dei loro confratelli, quando volevano farlo arrabbiare, lo colpivano in quel suo particolare modo di camminare e di muoversi dicendogli: "Sai, Enrico, hai un bell'andar di corpo!". Alla fine anche lui finì per sorridere alla battuta un po' cattivella per cui gli altri deposero lo spillo e lo lasciarono in pace.

Dopo gli esami pubblici di terza liceo, cosa concessa solo a pochi, andò a Venegono Superiore per la teologia dove proseguì il suo impegno spirituale tanto che alla fine p. Baj, superiore, scrisse semplicemente: "Sarà un ottimo elemento".

Emessi i Voti perpetui il 9 settembre 1958 si preparò all'ordinazione sacerdotale che ebbe luogo a Milano il 14 marzo 1959 per le mani del futuro papa Paolo VI, cardinale Giovanni Battista Montini.

In Africa via Londra e Libano

In luglio p. Signorelli era già a Londra per lo studio dell'inglese. La sua sorte di insegnante era già tracciata. Dopo un anno, fu dirottato in Libano per lo studio dell'arabo, e nel 1962 era già al Collegio Comboni di Khartoum come insegnante.

Nel 1965 passò a Khartoum Centro come addetto al "Messanger", ma quello del giornalista non era il suo mestiere per cui, dopo cinque mesi, fu inviato ad Atbara come insegnante, dove rimase fino al 1973, salvo tre mesi di vacanza in Italia nel 1968, coprendo gli incarichi di superiore, parroco e direttore della scuola.

P. De Bertolis ricorda un episodio curioso accaduto a p. Signorelli in questo periodo. Insomma, dopo tanti anni di insegnamento, gli piaceva esperimentare anche il mestiere di superiore. Fu accontentato. Ma proprio ad Atbara si trovò tra i suoi sudditi un confratello che, poverino, era psicopatico. Questi gliene fece passare tante e tali che, incontrando un giorno p. De Bertolis, gli disse: "Adesso pago la mia voglia di fare il superiore". Probabilmente non è stato il solo a pronunciare una frase del genere!

Dal 1973 al 1975 p. Enrico fu nuovamente al Collegio Comboni di Khartoum come insegnante e, dal 1975 al 1978, fu a Roma come segretario del provinciale d'Italia e addetto all'accoglienza dei confratelli che tornavano dalla missione. Perché questo cambiamento? P. Signorelli cominciò a risentire il logorio della intensa vita africana, quella del clima di Khartoum, con disturbi al fegato.

In Italia, data la sua naturale minuziosità e intelligenza, riuscì a fare un ottimo lavoro riordinando le carte della provincia che erano in cerca di una definitiva sistemazione logistica.

Con la salute rinacque il richiamo dell'Africa. Fu inviato nella parrocchia di Zamalek, al Cairo, prima come coadiutore, poi come parroco, economo, animatore missionario e superiore. Vi rimase dal 1978 al 1988.

Seppe amare la gente

Scrive p. Salvatore Calvia: "P. Signorelli amò moltissimo la gente di Zamalek, una delle parrocchie più popolate, come numero di cattolici, di tutto l'Egitto. Gente di differenti riti e nazionalità, impegnati nelle varie ambasciate presso il governo egiziano, impiegati nelle varie società straniere, semplici immigrati asiatici. Tutti risposero al suo amore e al suo zelo e ora lo rimpiangono.

Vi rimase fino al mese di ottobre 1988 quando, scaduto il suo periodo come superiore della comunità, venne trasferito alla chiesa del Sacro Cuore, al centro del Cairo, l'unica residenza del nostro istituto aperta da mons. Comboni e che resta ancora affidata ai Comboniani. Vi restò come superiore e rettore fino alla sua partenza per l'Italia, nel febbraio del 1991, quando si manifestò la malattia che lo avrebbe introdotto nella Casa del Padre".

Un compito non facile

"Il primo ottobre del 1988 venne nominato superiore locale della casa provincializia del Cairo ed economo provinciale. Conosceva perfettamente l'arabo, l'inglese, il francese e se la cavava bene in spagnolo per cui il suo ministero sacerdotale poté estendersi ad un numero grandissimo di persone.

La parrocchia di Zamalek, con 2.500 fedeli, presenta problemi non facili da risolvere. Eppure p. Enrico, con la sua dedizione, il suo zelo, la sua instancabile attività riusciva a tener testa a tutto. Le celebrazioni liturgiche e le catechesi ben preparate e ben eseguite, con la collaborazione attiva ed efficace di Religiosi, Religiose e Laici, davano un'atmosfera di solennità alle funzioni che venivano spiegate nelle cinque lingue principali del luogo: arabo, francese, inglese, spagnolo e italiano in modo da soddisfare le esigenze dei vari gruppi etnici presenti.

Una buona fetta di tempo era assorbita dalle visite agli ammalati e agli anziani che accoglievano p. Enrico, sempre sorridente e gioviale, come un inviato dal cielo. Perfino i musulmani lo invitavano nelle loro case per sentire la sua parola di conforto.

Ma coloro che lo assorbivano maggiormente erano gli immigrati dalle Filippine. Questi costituivano una grossa comunità che aveva bisogno di consolidare e confermare la propria fede cattolica. Inoltre bisognava aiutare la gente ad ottenere il permesso di residenza, un posto di lavoro e un alloggio. Molti di essi erano visitati dal Padre... in prigione dove erano stati portati per essere stati trovati senza il regolare permesso di soggiorno.

Ogni domenica faceva pranzo in fretta per poter andare a celebrare la messa per i Filippini che si radunavano nei locali della loro Ambasciata. Continuò questo lavoro in favore degli immigrati anche quando fu trasferito alla chiesa del Sacro Cuore."

Una predilezione per le suore

"Un altro impegno al quale era fedelissimo - prosegue p. Calvia - consisteva nell'assistenza alle suore. Le confessioni e le catechesi, le conferenze e i ritiri, richiedevano impegno, puntualità, dedizione e costanza. Curava regolarmente tre comunità di suore comboniane: l'ospedale italiano, l'ospedale dell'Aguza e la comunità di Dokki, ma so di certo che seguiva anche altre suore non comboniane.

'Le suore - soleva dire - sono i fiori più belli del giardino del Signore. Bisogna che il sacerdote, da bravo giardiniere, abbia di loro una cura tutta particolare perché siano sempre più sante e all'altezza della loro grande missione'.

Nel suo parlare era semplice, conciso, chiaro e molto delicato. Andava sempre al sodo per cui era molto apprezzato dai suoi ascoltatori o ascoltatrici. Sapeva adattarsi alle varie culture da cui provenivano i vari gruppi e ciò richiedeva in lui uno sforzo non indifferente, specialmente nella preparazione.

Integrava la predicazione con dei posters ben preparati con disegni 'parlanti' e frasi concise, che appendeva alla porta della chiesa per cui chi entrava aveva già il succo di quanto avrebbe detto nella predica domenicale. Il tutto, naturalmente, era intonato al particolare tempo liturgico che la Chiesa celebrava".

Accoglienza

"Nella sua vita risaltava uno straordinario spirito di accoglienza specie nei confronti dei confratelli che passavano dalla sua parrocchia di san Giuseppe. Non solo, ma si mostrava sempre disponibile ad accettare tutte le richieste di aiuto o di consiglio, e anche di visite alle famiglie.

Di fronte alla sua disponibilità ad accogliere, che - lo si notava chiaramente - gli veniva dal cuore e non dalla semplice buona educazione, la gente si sentiva incoraggiata a ricorrere a lui per risolvere tanti problemi familiari e anche materiali. A tutti dava una risposta, anche se molto spesso non poteva risolvere il caso. Il fatto stesso di aver saputo ascoltare e di aver condiviso con vivo senso di partecipazione, infondeva serenità nell'interlocutore.

Chi conosce le difficoltà del ministero in ambienti come il Cairo, con fedeli tanto diversi per cultura, nazionalità, rito ed educazione, è certamente in grado di apprezzare questi atteggiamenti di p. Enrico".

Una nota particolare

Già fin dalla scuola apostolica e poi dal noviziato e dallo scolasticato è stato notato un atteggiamento "affettato" in questo confratello. Anche al Cairo questo modo di fare ha portato qualcuno a formulare dei giudizi negativi sul suo conto.

Scrive p. Calvia: "Egli curava molto il suo portamento esteriore: abiti adatti per ogni genere di situazione, equitazione, tennis, ecc, che qualche volta praticava al Club Ghezira o altrove. Amava possedere aggeggi sofisticati come radio computerizzate, piccoli computers tascabili, ecc. Si provvedeva anche di varie specie di liquori che non faceva mai mancare in casa, amava andare fuori a mangiare con amici, nelle loro case o in locali di un certo tono che non mancano in Cairo, e cose simili, che a molti sembravano superflue o strane per un religioso.

Questo aspetto della sua personalità, sulle prime, aveva creato dei problemi anche a me, conoscendo le cose solo per sentito dire. Ma quando ho voluto rendermene conto di persona e ho avuto il piacere, e potrei dire anche la grazia di conoscerlo intimamente, ebbene, tutto questo mi apparve sotto un'altra luce. P. Enrico era un uomo semplice, sincero e profondamente basato sulla fede. Avevano bisogno di sentir parlare di Cristo anche quelli che andavano a cavallo, anche quelli che giocavano al tennis, anche quelli che cenavano al ristorante di lusso. Anzi, forse loro ne avevano più bisogno. Ecco la molla che muoveva p. Enrico nel suo agire. E lui poteva comportarsi in quel modo perché era aperto alla vita, e alla vita di tutti i suoi fedeli, e amava parteciparvi intensamente per far loro del bene nel miglior modo possibile e senza perdere alcuna occasione".

Verso la vetta

Nel 1989 p. Signorelli era stato eletto membro del Consiglio provinciale. Pochi giorni prima della sua partenza per l'Italia per curarsi era stato nominato economo provinciale.

In un primo tempo fu ricoverato per accertamenti negli ospedali della sua zona in modo da essere vicino alla famiglia, poi andò a Verona e a Negrar dove gli parve di avere riacquistato un certo benessere, ma il male progrediva inesorabilmente.

"Quello che ci porta a dare un giudizio giusto sulla sua personalità, se giudizio noi possiamo dare, - scrive p. Calvia - è certamente la prova finale, la lunga e dolorosa malattia che lo ha portato alla morte. Questo è stato sicuramente il periodo più importante della sua vita perché ha gettato una luce vera sulla sua esistenza e attività missionaria.  Nelle mie brevi visite a casa sua e a Verona, ho potuto constatare la fortezza e la solidità della sua fede e della sua confidenza in Dio.

In una delle sue ultime lettere mi ha parlato dell'inutilità delle cure che stava facendo, ha professato la sua piena disponibilità ad accettare la volontà del Signore qualunque fosse. Ed è stato coerente fino alla fine. Credo che niente, come il letto di morte, rispecchi la struttura spirituale di un confratello. P. Enrico in questo periodo è stato un vero sacerdote, un autentico missionario".

Nella scia dei migliori

Alcuni giorni prima di entrare in semicoma, disse: "Ringrazio il Signore che mi ha fatto accettare questa lunga sofferenza con la mia disponibilità alla sua volontà".

Con queste parole p. Enrico ha siglato il suo lungo calvario. Nell'ultima dimissione dall'ospedale, sentendo che le sue condizioni erano ulteriormente aggravate, desiderò di rientrare presso la sua famiglia comboniana. Ricoverato al Centro ammalati, fu assistito anche dai suoi familiari che lo amavano immensamente e non vollero mai lasciarlo solo.

Non potendo più alimentarsi oralmente, fu necessario ricorrere a fleboclisi.

La grossa formazione tumorale, con metastasi diffusa in tutto l'addome, gli procurava un graduale spappolamento del fegato. Fu tormentato da un invincibile singhiozzo, restio ad ogni terapia.

Le sue condizioni precipitarono ed entrò in coma epatico che durò tre giorni, fino al decesso che ebbe luogo alle ore 18,35 del 5 gennaio 1992.

Dopo le esequie celebrate in Casa Madre, la salma fu traslata a Brembate Sotto, dove ora riposa in pace.

Il 13 gennaio, lunedì, si ebbero solenni funerali anche nella chiesa di San Giuseppe di Zamalek. Erano presenti una ventina di sacerdoti e molte suore, ma anche moltissimi fedeli della parrocchia e della chiesa del Sacro Cuore dove venne celebrata la messa di trigesimo.

Le testimonianze sulla bontà, carità, disponibilità, accoglienza e generosità del Padre furono moltissime anche da parte di semplici cristiani e di musulmani con i quali ha sempre tenuto un atteggiamento di fraterno dialogo.

Il pianto più commosso fu quello dei poveri, degli immigrati Filippini, che in p. Enrico hanno perso un amico, un protettore. La sua dedizione e il suo zelo apostolico inseriscono p. Enrico in quella scia di missionari generosi che sono ancor oggi ricordati e invocati dalla gente per i loro luminosi esempi di bontà.               P.L.G.

Da Mccj Bulletin n. 175, luglio 1992, pp. 45-51