In Pace Christi

Pasetto Ettore

Pasetto Ettore
Geburtsdatum : 14/02/1910
Geburtsort : S. Pietro Incariano VR/I
Zeitliche Gelübde : 07/10/1929
Ewige Gelübde : 07/10/1933
Datum der Priesterweihe : 31/03/1934
Todesdatum : 13/11/1991
Todesort : Verona/I

Non è impresa facile seguire gli spostamenti e le imprese di questo confratello. La sua cartella sembra non finire mai. Fortunatamente egli stesso, in occasione del suo cinquantesimo di sacerdozio, consegnò agli amici un opuscolo con gli avvenimenti principali, le tappe e perfino le fotografie della sua lunga attività missionaria. Di questo suo lavoro gli siamo grandemente riconoscenti, sicuri che anche il Signore lo avrà tirato uno scalino più in su grazie alla fatica che fa risparmiare a chi gli scrive il necrologio.

Nato da una famiglia di solidi lavoratori della terra a Castelrotto di San Pietro Incariano, Ettore dimostrò subito un carattere estremamente generoso ma anche forte, indomito, qualche volta ribelle. Ciò non gli impedì di entrare nel seminario diocesano di Verona. Qui incontrò i missionari comboniani che lo contagiarono per cui, terminata la quinta ginnasio, chiese di entrare in noviziato.

La lettera del rettore non è lusinghiera come quelle che siamo soliti leggere per altri candidati alla vita missionaria: "... Quanto alla condotta in generale di Pasetto Ettore, nulla di importante da segnalare perché fu sempre conforme alle regole di questo Istituto e sempre soddisfacente. Forse converrà invece indicare ai superiori della casa dei missionari dove egli adesso intende entrare, che il temperamento alquanto impetuoso deve essere corretto perché non sempre fu esemplare nella docilità verso i suoi superiori immediati. Si spera, tuttavia, che la grazia e l'aiuto del Signore non mancheranno e allora, con la buona volontà, potrà riuscire un buon strumento nelle mani della divina Provvidenza. Verona, 17 luglio 1927". Indubbiamente, il futuro missionario aveva materia su cui lavorare.

Novizio

A 17 anni, il 17 agosto 1927, Ettore entrò nel noviziato di Venegono Superiore dove era maestro p. Corbelli. Per Ettore cominciò una lotta accanita contro il suo carattere focoso, fatta di successi e di cadute. Tuttavia non si perse d'animo, sostenuto anche dal maestro che vedeva della buona pasta in quel giovane disposto a tutto pur di realizzare la propria vocazione.

Nel dicembre dell'anno dopo (1928) p. Corbelli fu sostituito da p. Bombieri. Questi scrisse di lui alla fine del noviziato: "Capisce abbastanza bene quanto richiede la vita religiosa e missionaria. Desidera progredire nella virtù e, per questo, fa degli sforzi per correggere i propri difetti. Noto un po' di debolezza di volontà per reagire contro il suo carattere. Accetta volentieri le osservazioni e si umilia per i suoi difetti. Criterio abbastanza equilibrato, ingegno sufficientemente sveglio. Carattere sanguigno per cui ha degli scatti di collera che non sa frenare del tutto. Nel manifestarli è portato ad esagerarne la gravità. Penso che, aiutato col dargli fiducia ed agendo d'accordo con lui, farà buona riuscita. Salute buona".

Le parole "scatti di collera che non sa frenare" sono sottolineate. Proprio la sua prorompente vitalità costituirà la croce di questo nostro confratello il quale, tuttavia, non smise mai di lottare contro se stesso. I giudizi dei superiori durante gli anni di sacerdozio e di missione non si scostano molto da quelli di p. Bombieri. "P. Pasetto ha buon cuore, ma ha un carattere infelice" (p. Tarantino). "E' duro con chi ha la testa dura" (p. Longino Urbani)... "E' un Padre che fa tanto bene. E' un po' duro nelle sue idee ma è cambiato abbastanza" (p. Santi). "E' esatto nei suoi doveri religiosi. E' di pietà, zelo, attività, ma alquanto nervoso, impulsivo, però di molto buon cuore. E' più adatto per la scuola che per il ministero" (p. Cesana). Questo suo temperamento lo porterà ad aspre lotte anche con le autorità civili, specie nel campo della scuola di cui era competente.

Con questo bagaglio di pregi e difetti, il 7 ottobre 1929 Ettore Pasetto emise i Voti temporanei e passò a Verona per il liceo e la teologia che allora si frequentava nel seminario diocesano.

Musicista e animatore

Sia in noviziato come in scolasticato, Ettore si distinse per la sua impareggiabile capacità di dirigere la musica e di animare la corale. Scrive p. Castelletti, suo compagno: "Considero mio preciso dovere di gratitudine alla memoria di p. Pasetto manifestare quanto fece tra noi novizi e scolastici quanto ad attività liturgica e musicale. Discepolo di p. Calegari, genio poliedrico, entusiasta ed entusiasmante, Pasetto tradusse in soldoni pratici per tutti noi coetanei e per i successori quelle buone qualità di servizio divino. I migliori discepoli furono: p. Frizzero, p. Polato, p. Riva Vittorio, ecc. Se le esagerazioni quanto a musica gregoriana di p. Bombieri non appassirono, o addirittura uccisero le polifonie del Perosi, del Casimiri, del Refice, del Vittadini, ecc., è merito di Pasetto e delle sue sofferenze silenziose. A Verona, da scolastico, fortunatamente era sostenuto da p. Vianello che amava la polifonia e perciò incoraggiava Pasetto; un po' sottovoce, però, per via di p. Meroni che, come Bombieri, preferiva il gregoriano.

Si può dire che ad ogni domenica o festa c'era una messa diversa. Pasetto, capocoro, sapeva imprimere in tutti un entusiasmo tale, per cui il bel canto era diventato la gioia della comunità e di quei sacerdoti o laici che frequentavano la nostra cappella. Fu, quello, un tempo d'oro per la bella musica. C'è da dire che c'era anche fiato e gusto".

In Inghilterra (1934-1935)

Ordinato sacerdote a Verona il 31 marzo 1934, fu subito inviato in Inghilterra per lo studio della lingua. La scelta era caduta su di lui, insieme a qualche altro confratello, perché aveva dato prova di una particolare inclinazione per lo studio e per la scuola. La sua intelligenza, molto vivace e pronta, gli rendeva questa strada facilmente percorribile.

"Fu la prima esperienza al di là delle nostre frontiere - scrisse - a contatto e a confronto con culture diverse: religione, vita sociale, mentalità, educazione civile, ecc. Fu un'esperienza utile, anzi necessaria per noi che dobbiamo essere disponibili per i paesi di ogni continente".

Allora il lavoro dei missionari comboniani si svolgeva principalmente nelle zone che facevano parte dell'impero britannico. P. Pasetto tornò in Inghilterra nel 1955 e nel 1961 ed ebbe la soddisfazione di incontrare ex allievi del Comboni College ed altri amici inglesi conosciuti a Khartum.

Un altro aspetto della personalità di p. Pasetto è stato quello di intrecciare e poi di coltivare le amicizie. Ne aveva tante, in tutte le parti del mondo. "Dei 15.000 studenti usciti dal Collegio Comboni, 400 mi scrivono ancora", ebbe a dire.

Khartum (1935-1947)

Il 7 luglio 1935 p. Pasetto insieme ad altri 4 confratelli partì da Genova  sulla nave Giuseppe Mazzini, e dopo sette giorni di viaggio arrivarono a Port Sudan sul Mar Rosso. Arrivarono giusto in tempo per assistere all'inaugurazione della chiesa della Madonna del Carmine. La sera del 16, in treno, raggiunsero Khartum.

"Qui - scrive il Padre - mi trovai a mio agio nella bella comunità comboniana e con tantissime cose da fare. Dovevo insegnare inglese, francese, matematica, calligrafia, canto, sport e atletica, scautismo, teatro e dedicarmi all'Azione cattolica".

Nella scuola, nonostante le inevitabili difficoltà iniziali, p. Pasetto trovò pane per i suoi denti e motivo di gioie spirituali e morali che lo fecero crescere nel senso di ciò che oggi chiameremo ecumenismo.

Gli allievi del Comboni College erano di più di venti nazionalità e di 18 religioni diverse. In questa scacchiera di mentalità e culture diverse, il Padre riuscì ad instaurare un clima di famiglia che incrementò notevolmente il prestigio del Collegio "nel rispetto delle diverse culture e lingue".

Dei ragazzi che passavano nella sua scuola conservava con cura la foto, il nome, la provenienza ed altre caratteristiche. Quasi tutti, oggi, sono laureati e si trovano nelle diverse parti del mondo. Anche per i confratelli ebbe cure particolari. I lettori dei necrologi ricorderanno le numerose citazioni delle testimonianze di p. Pasetto per coloro con i quali aveva lavorato o aveva vissuto.

La guerra

Con la guerra (1940) il Comboni College dovette chiudere i battenti. Fu un controsenso dover interrompere, almeno a livello ufficiale, i rapporti con le autorità inglesi con le quali il Padre dialogava così bene. Sul piano umano erano sempre amici, ma su quello ufficiale diplomatico diventarono "nemici". Quando s'incontravano, tuttavia, si sorridevano e si auguravano a vicenda che quell'increscioso affare della guerra che li divideva avesse fine al più presto.

Mentre altri confratelli furono fatti prigionieri, o confinati in un'ala del Comboni College, p. Pasetto chiese al vescovo e alle autorità civili di poter assistere gli internati civili italiani che si trovavano nel campo di concentramento di El Obeid, a 500 chilometri da Khartum. Gli fu concesso. Fece il suo ingresso nel campo il 18 agosto 1940. In gennaio del 1941 si aprì un secondo campo per i prigionieri dell'Eritrea. Gli inglesi, che avevano ammirato il comportamento esemplare di questo cappellano, gli affidarono la cura anche di questo secondo campo.

Scrive il Padre: "Per 33 mesi vissi un'esperienza impagabile a contatto con povere anime in pena, in attesa di una 'presta fine' come si continuava a ripetere durante i bollettini di guerra".

Anche qui, oltre all'assistenza spirituale, tanto bene accolta da tutti, il Padre organizzò attività sportive, teatrali, culturali per occupare le lunghe ore. Nei "campi" il Padre divenne il fratello, l'amico, il consolatore di tanti giovani. "Quante lettere ho scritto per coloro che non sapevano scrivere, quante lacrime ho asciugato a quei bravi ragazzi che erano andati in Africa per il dovere o per un pezzo di pane per le loro famiglie. Il loro contatto mi arricchì di valori che neppure avevo immaginato durante gli anni di seminario, di noviziato e di scolasticato. La prigionia fu un periodo di semina e di raccolto, di speranze e anche di qualche sofferenza".

Finalmente, nel 1943 il Comboni College riaprì i battenti e ricominciarono le lezioni. Aumentarono gli allievi, gli insegnanti laici e le attività. Gli anni di chiusura servirono a far apprezzare di più la funzione del Collegio, sia da parte delle famiglie, sia da parte delle autorità. Gli studenti stessi si applicarono di più allo studio ottenendo risultati lusinghieri, i migliori di tutta l'Africa inglese: Sudan, Uganda, Tanzania e Kenya. Il Comboni College diventò una bandiera e una scuola ambita anche dai figli dei principi arabi dei paesi del petrolio. Dai duecento allievi del 1935 si arrivò agli 800 del 1947. Oggi sono più di 1400.

Primo ritorno in patria

Nel marzo del 1947 i superiori pensarono di mandare p. Pasetto in Italia per un po' di vacanza. Dodici anni di missione erano volati senza che neanche se ne accorgesse. Partì da Khartum il 21 marzo sera, giunse al Cairo e quindi ad Alessandria. Fu ospite nella casa delle suore comboniane del quartiere Bacòs e qui gli capitò per la prima volta ciò che non gli era mai capitato in 12 anni: un tremendo attacco di malaria. Quaranta di febbre, brividi da morire. Rimase 15 giorni a letto senza il minimo miglioramento nonostante le cure amorose delle suore, in particolare della defunta suor Anna Cona. Il 12 aprile venne portato d'urgenza all'ospedale italiano "Benito Mussolini" e qui, in quindici giorni, si rimise in sesto tanto da poter proseguire in aereo. Era la sua prima esperienza di volo. Il 26 aprile andò a Roma, quindi a Verona. "Mi accorgo dei segni delle distruzioni causate dalla guerra. Ma ci sono ancora tutti: genitori, fratelli e sorelle. Due mesi in loro compagnia mi ridiedero vita e speranza", scrisse.

In questo periodo sostò per alcuni mesi nel noviziato di Venegono come insegnante. Bastò poco per dare ai novizi una ventata di aria missionaria che essi respirarono a pieni polmoni e con grande soddisfazione. Avevano, infatti, bisogno di testimonianze vive, genuine, entusiaste. E p. Pasetto seppe donarle in abbondanza.

In Uganda (1948-1967)

"Il 18 gennaio 1948 il vicario generale della Congregazione mi manda una cartolina da Verona per avvisarmi che, se avessi voluto tornare in Africa, avrei potuto approfittare della nave 'Diana' in partenza da Venezia il giorno 8 febbraio... Non ci pensai due volte e partii per Verona. Brevi saluti e brevi preparativi, con tante preoccupazioni.

Il 6 febbraio celebrai la messa in ospedale dove era degente la mia cara mamma con un femore rotto. Mio fratello Beppino era a casa con un braccio ingessato e il papà a letto con quel male che lo avrebbe condotto alla tomba nel novembre dell'anno seguente. Alla fine della messa salutai con un bacio prolungato la mamma, muta, senza lacrime e in preghiera. Mi disse: 'Ettore, non piangere; va' per la tua strada e Dio ti benedirà'".

Venezia, Alessandria d'Egitto, Il Cairo. Qui una sosta di due mesi per lo sciopero delle ferrovie e dei battelli sul Nilo e finalmente la partenza per Khartoum, Juba e Gulu.

In Uganda fu addetto al seminario di Lacor (Gulu) dal 1947 al 1950 come insegnante e p. spirituale, poi fu trasferito a Lira come parroco e insegnante (1950-1957), quindi planò a Kitgum come responsabile delle Junior Secondary e poi anche come superiore e parroco. Fu a Gulu dal 1958 al 1961 come supervisore delle scuole e poi anche superiore e parroco di Padibe (1961-1963). Un'attività, come si vede, senza un attimo di tregua. In tutti questi spostamenti dobbiamo ammirare la disponibilità del Padre. I suoi compagni di missione dicono che li accettava volentieri, senza brontolare, animato com'era dal bene che attraverso questi cambiamenti di posto e di attività poteva compiere.

Intanto cominciarono le campagne politiche in vista dell'indipendenza del Paese. Campagne all'insegna dell'antagonismo tra cattolici e protestanti che in Uganda furono sempre piuttosto "vivaci" per non dire "velenosi". Pasetto non era uomo da tenere la bocca chiusa, specie se si trattava di difendere i diritti della Chiesa e del Vangelo per cui fu preso particolarmente di mira e perseguitato. Nell'agosto del 1963 il governo gli chiese, anzi gli impose, di lasciare "temporaneamente" il Paese essendo un tipo di disturbo. Egli tornò in Italia con tanta amarezza in corpo, ma non si perse d'animo pensando che anche qui c'era molto da fare.

Infatti fu economo e vicesuperiore a Thiene (1963-1964) e superiore a Lecce (1964-1966). Lavorò con l'entusiasmo che lo caratterizzava, tra slanci di generosità e momenti di stizza che cercava di domare. Finalmente, nel 1966 tornò nuovamente in Uganda, a Masindi, con l'incarico di superiore. Qui fu anche eletto parroco, ma il suo incarico durò solo sette giorni. Infatti, il 20 gennaio 1967, fu espulso per la seconda volta, definitivamente. "Addio, cara Uganda, terra di guerre, contrasti e croce, ma anche terra di martiri dei primi tempi e del nostro tempo. La croce ha sempre segnato la via del Comboni e dei Comboniani. Ma è così che la speranza cristiana porta le sue vittorie", scrisse. Insomma, anche p. Pasetto cercava nella croce, proprio come il Fondatore, la ragione  e i motivi di rassegnazione. Un confratello, commentando queste espulsioni, disse: "Pasetto era uno che faceva molto senza paura e senza compromessi. E chi fa rischia di disturbare".

Burundi (1967-1977)

Dopo nove mesi di ministero a Verona, si aprì un nuovo spiraglio per tornare in Africa. Non in Sudan, né in Uganda, ma in Burundi. Nuova lingua, nuovi usi e costumi, nuova mentalità, nuovo Paese per i Comboniani. E 57 anni sulle spalle. La proposta di partire, che avrebbe fatto tremare le gambe a uno non più giovane come lui, trovò un p. Pasetto entusiasta.

Cibitoke (1967-1972) come addetto al ministero; in Italia per una meritata vacanza (1973); ancora a Cibitoke come sacerdote "ad omnia" (1973-1976); Butara e Bujumbura dal 1976 al 1977 come delegato del superiore generale e insegnante nel seminario.

Quello del Burundi è stato un periodo ricco di esperienze pastorali e di sofferenze. Anche in quella piccola nazione, divisa tra due etnie in continua lotta tra loro,  arrivò la contestazione dei missionari del dopo Concilio che coincise con i contrasti con le autorità civili, militari e religiose. Il 1972 fu l'anno della rivolta e della repressione violenta e sanguinosa che causò la morte di quasi 300 mila innocenti. "Mesi di sofferenze e di trepidazioni - scrisse Pasetto - di lacrime, di preghiere e di speranze. Lo strascico durò fino all'aprile del 1977 quando il nuovo governo militare filo-comunista iniziò le espulsioni, colpendo per primi noi Comboniani. Lasciammo Bujumbura il 19 aprile 1977, via Nairobi per Roma. Eppure il Burundi lo tengo sempre nel cuore per le sue meravigliose comunità cristiane, per il fervore dei suoi fedeli, per l'eroismo dei suoi martiri".

Anche altre sofferenze colpirono il Padre nel periodo burundese: in 14 anni si alternarono in Burundi 38 Comboniani. Undici di essi lasciarono la Congregazione seminando nel cuore dei confratelli sconforto e disagio; uno, Agostino Pelajo, morì tragicamente finendo in una scarpata con il camioncino, a causa di un taglio nella strada. In compenso colui che guidò il gruppo dei primi, p. Enrico Bartolucci, divenne vescovo di Esmeraldas.

Canada (1977-1980)

"Espulso dall'Africa per la terza volta - scrisse il Padre - mi fu chiesto di fare un'esperienza nell'America del Nord per dedicarmi all'animazione missionaria e per redigere un foglietto di propaganda stampato in inglese, francese e italiano".

A 67 anni di età p. Pasetto cominciò tutto daccapo, addirittura avventurandosi in un lavoro nuovo, quello di scrittore.

Durante la buona stagione lavorò volentieri e con molta soddisfazione sua e dei lettori e di coloro che lo ascoltavano, ma durante l'inverno fu costretto a limitare le sue uscite a causa del troppo freddo. Anzi fu proprio per il freddo che dovette abbandonare il Canada e far ritorno in Italia per guarire dai reumatismi che lo avevano letteralmente piegato in due.

"Dei tre anni spesi in Canada ho bellissimi ricordi - scrisse, - ricordi di esperienze spirituali, sociali e umane: la buona gente veramente cristiana c'è ancora  e ama le missioni. Trovai pure molti nostri italiani e qualche centinaio di miei allievi armeni, greci, siriani, maroniti, indiani e sudanesi che dal Sudan si erano trasferiti o in Canada o negli Stati Uniti. Fu quasi un ritorno alla mia prima esperienza di Khartum. Bello!".

Di nuovo in Sudan (1981-1983)

L'aria di Verona lo raddrizzò in pochissimo tempo. Aveva una salute di ferro e una volontà di acciaio. Per cui, aprendosi la strada per il Sudan meridionale, chiese di poter partire. Fu a Juba dal luglio dell'81 al giugno dell'83. Il suo incarico fu quello di confessore e di insegnante. Giudicò quel tempo come una grazia particolare che il Signore gli riservava.

Facendo il missionario in quella terra d'avanguardia, già in preda alla persecuzione e alla sofferenza causata dalla guerriglia, si sentì ancora giovane e pieno di iniziative.

"Lavorò molto bene - scrive p. Penzo - perché amava la gente e si trovava bene con essa. Fu anche un esempio per i cristiani che ammiravano lo zelo di questo missionario che, a settant'anni compiuti, aveva trovato la forza e il coraggio di tornare in missione. Il loro commento era questo: 'Si vede proprio che i missionari ci vogliono bene'. P. Pasetto, con il suo ottimismo e la sua voglia di fare, fu un sostegno anche per i confratelli e per le suore africane che egli dirigeva spiritualmente".

Ma il clima - meteorologico e politico - del Sudan meridionale non era il più adatto per un tipo come Pasetto per cui, nel 1983, ritornò in Italia.

Limone (1983-1984)

"A Limone, nella casa natale del Comboni, - scrisse - feci una sosta meravigliosa che mi fece apprezzare ancora di più lo spirito missionario di tante persone, specialmente giovani, per la loro preghiera, per la voglia di fare qualche cosa per i fratelli più poveri e abbandonati, e per la loro generosità".

Nel raccoglimento del luogo, all'ombra degli ulivi, ebbe modo di riflettere sul suo sacerdozio, sulla sua vita missionaria, in preparazione anche del cinquantesimo anniversario dell'ordinazione. Quante grazie gli aveva concesso il Signore! Quale meravigliosa avventura era stata la sua vita!

E scrisse: "La vita missionaria oggi mi pare di comprenderla un po' meglio di quando partii per la prima volta cinquant'anni fa. E' una vita di apostolato ed è una vita di rischio. La terza espulsione, quella dal Burundi, fu soltanto un segno dei tempi nuovi. L'indipendenza dei Paesi africani, le nuove ideologie occidentali e anche dell'Est, hanno introdotto e promosso orientamenti che contrastano con il Vangelo e allora il missionario deve rendersi conto che, come Cristo fu contestato, accusato, cacciato a sassate dal suo paese, condannato a morte e crocifisso, anche lui deve essere pronto a seguire la stessa strada e la stessa sorte, specialmente in certi Paesi dell'Africa e dell'America latina.

E noi non ci meravigliamo e tanto meno ci scoraggiamo; anzi, tali situazioni sono la conferma che la nostra opera è autenticamente come quella di Cristo, diretta a fondare la vera Chiesa, magari nelle catacombe.

I profani potranno pensare alle missioni come luoghi belli, di caccia, di costumi strani; ma i benpensanti e i sinceramente cristiani conoscono le difficoltà e perciò ci sono vicini con la preghiera e partecipano alle nostre ansie e aspirazioni, alle nostre speranze.

Il deputato ugandese che causò le mie prime due espulsioni, ridotto in fin di vita da un tumore, fu illuminato dalla grazia di Dio, si convertì al cattolicesimo, mi scrisse chiedendomi perdono, e morì con tutti i sacramenti, riconciliato, lui con tutta la sua famiglia, con Dio e con la Chiesa. Non è una vittoria della grazia, questa?".

In Kenya e in Tanzania (1984-1987)

Lo scritto appena riportato ha il sapore di un testamento. Non è così. L'ambiente di Limone, incuneato tra le montagne e il lago, diventava di giorno in giorno sempre più stretto per un uomo dinamico e sempre in movimento come p. Pasetto.

Appena fiutò la possibilità di tornare in missione, vi si tuffò dentro. La meta, questa volta, era il Kenia e la Tanzania con gli Apostoli di Gesù. Fu un abile direttore spirituale. Ormai conosceva bene la mentalità degli Africani per cui poté guidare quei giovani sulle vie dello spirito. Ebbe la consolazione di veder crescere tra le sue mani la Chiesa africana, di constatare che il Piano del Comboni si realizzava in quella parte di Africa come si era realizzato in Sudan.

Questa fu l'ultima gioia apostolica che il Signore riservò a questo suo servo fedele e impetuoso, tutto proteso per la diffusione del Regno di Dio nel mondo.

Lasciata Moshi nel luglio dell'87, tornò a Verona, nella cara casa Madre che tanto amava e che era stata testimone delle sue esuberanze giovanili. Calpestando quegli stessi corridoi, passeggiando nel cortile e lungo il viale che porta alla grotta (anche se ai suoi tempi era un po' spostata rispetto al luogo attuale) si illudeva di sentire nelle vene l'ardore di un tempo. Ma ormai troppi anni erano passati, per cui venne inviato ad Arco per un buon periodo di riposo.

L'ultima tappa

I disturbi cominciarono a far capolino anche se lui non voleva ammetterlo, anche se, al volante dell'auto, si recava dai parroci suoi amici per offrire il suo ministero sacerdotale-missionario.

Ma ecco che proprio quei viaggi, quel ministero, rivelarono il male che si nascondeva nella sua testa: fugaci perdite di memoria che gli procurarono un sacco di incidenti stradali, tutti insignificanti e senza conseguenze per fortuna, prediche che non finivano più perché aveva perso la cognizione del tempo, tanto da costringere il parroco a invitarlo a concludere, qualche idea fissa, confusione di date nel ricordare fatti e avvenimenti...

Il primo giugno 1988 fu trasferito definitivamente a Verona, in Casa Madre per essere sottoposto a controlli clinici. La sentenza fu allarmante "vascolopatia cerebrale con atrofia cerebrale. Focolaio ipodenso fronte temporale destra. Piccolo focolaio in polo occipitale sinistro. Atrofia cerebrale".

Dovette consegnare la patente di guida e limitare notevolmente le sue uscite da casa. Ciò costò moltissimo ad un uomo intraprendente e incapace di star fermo come lui, ed ebbe uno scatto di ribellione. Quelle limitazioni non gli si addicevano, dato che fisicamente si sentiva ancora in forma e il desiderio di dedicarsi al ministero era ancora vivissimo. D'altra parte a chi non conosceva il suo male, il Padre appariva normale per cui gli inviti per il ministero fioccavano. Le crisi, le amnesie, erano ancora molto rare e leggere.

Il Signore permise questa prova per prepararlo all'incontro con lui. Ed ecco che, ad un certo punto, p. Pasetto diede prova tangibile di aver percorso quel cammino spirituale del dominio di sé che si era proposto in noviziato e per il quale non aveva mai smesso di combattere e di soffrire.

Infilando decisamente la spada nel fodero, il vecchio lottatore comprese che il tempo dell'attività era terminato ed era necessario entrare in una nuova dimensione, quella che prepara l'apostolo all'incontro col Signore. Prendendo la penna in mano, scrisse una lettera a p. Zagotto, superiore di Verona, nella quale testimonia questo suo cammino, questo lavoro della grazia di Dio, questa sua accettazione della nuova realtà che riguardava la sua vita. La riportiamo:

"Reverendo e caro p. Zagotto, ti prego di abbandonare la questione della mia patente di guida. Ormai non ho nessuna necessità perché sento che devo farmi condurre da chi è in buona salute. Quello che è passato è stato notato dal Signore. Ormai sento che la parabola discendente è in processo irreversibile e accetto la volontà del Signore che prego di aiutarmi a terminare bene i giorni che mancano alla mia fine. Dico grazie al Signore per tutto ciò che mi ha permesso di fare durante la mia vita e chiedo perdono per tutto il male fatto e per l'incorrispondenza ai suoi piani su di me per la sua gloria e per la Chiesa. Una preghiera per carità, e grazie per il tuo affetto pieno di comprensione. Con stima riconoscente, p. Ettore". Manca la data di questa lettera, ma dovrebbe risalire a giugno o luglio del 1988.

Trascorse gli ultimi anni nella preghiera e nell'accoglienza ai confratelli che arrivavano in Casa Madre. Era bello vederlo sulla porta o in cortile che salutava con un bel sorriso chi arrivava, invitandolo subito a prendere un caffè nella stanza del distributore automatico. E poi s'interessava della salute, del lavoro, delle missioni. Il suo cuore era ancora in prima linea.

Intanto lo stato confusionale che gli annebbiava il cervello si andava aggravando per cui entrò a far parte del Centro Ammalati. Il 28 ottobre 1991 scivolando accidentalmente dalla sedia si fratturò il collo del femore. Ricoverato e operato in ortopedia di Borgo Trento, per il sopraggiungere di complicazioni renali e cardiache passò al reparto cure intensive del Geriatrico di Borgo Trento.

Malgrado le cure dei sanitari, nell'arco di una settimana, per un ulteriore aggravamento delle condizioni generali, serenamente spirò. Era il giorno 13 novembre 1991, ore 14.00. Il commento di tutti alla notizia della sua morte fu unanime: "E' stato un grande missionario che ha saputo pagare di persona senza tirarsi mai indietro".

Le esequie furono tenute nella parrocchia di S. Lucia in Verona dove la sua famiglia si era trasferita e fu sepolto nell'adiacente cimitero.

Uomo dinamico e combattivo, entusiasta della sua vocazione missionaria, mai stanco di lavorare per il Regno di Dio, ci lascia l'esempio di un missionario che per essere coerente al Vangelo fino in fondo non ha avuto paura delle croci, delle umiliazioni e delle sofferenze, realizzando in questo la spiritualità di mons. Comboni. Per il suo lavoro nell'ambito scolastico p. Pasetto sarà ricordato a lungo come uno che si è dedicato, oltre che all'evangelizzazione, anche alla promozione umana di molte generazioni di giovani.          P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 174, aprile 1992, pp. 57-65