In Pace Christi

Tomasoni Francesco

Tomasoni Francesco
Geburtsdatum : 28/03/1941
Geburtsort : Pontevico BR/I
Zeitliche Gelübde : 09/09/1964
Ewige Gelübde : 09/09/1967
Datum der Priesterweihe : 15/06/1968
Todesdatum : 04/06/1991
Todesort : Bedjondo/TC

La sera del 4 giugno i padri e le suore comboniane di Bedjondo, sono andati insieme a cena da un comune amico. Vi si recarono a piedi perché la strada era breve. Verso la fine della cena p. Francesco ha accusato un dolore al petto e alla gola, senza però darvi troppa importanza.

Padri e suore, poi, sono tornati insieme nella casa delle suore per bere una tisana. Qui p. Francesco si è sentito nuovamente male e si è coricato su di un letto per riposare e per vedere se passava il dolore. Nel giro di pochi secondi è stato sopraffatto da un terzo attacco, fatale questa volta. Il medico ha diagnosticato che si è trattato di un infarto fulminante. Erano circa le ore 21.

In questo modo repentino e inaspettato si è conclusa la giovane esistenza di un missionario generoso, zelante e capace, tanto che da un mese era stato eletto parroco della chiesa cattedrale di Doba.

Lo chiamavano "il santino"

Ultimo di 10 fratelli, Francesco era nato a Pontevico (Brescia) il 28 marzo 1941 da Pietro e Lucia Sossi. Il papà faceva il mandriano come salariato, e la mamma, con tutta quella squadra da mandare avanti, non poteva essere che casalinga. Francesco crebbe circondato dall'affetto dei genitori e dei fratelli che in quel pupattolo trovavano il loro passatempo. Contrariamente a quanto si può pensare, non fu viziato perché in casa la legge del lavoro era sovrana e il sacrificio non spaventava nessuno.

"Francesco - dice la sorella Maria di 11 anni più vecchia - era piuttosto timido, calmo, servizievole. Pur essendo il più piccolo non pretendeva nulla, non aveva esigenze".

Frequentò le elementari a Corticelle e divenne subito un chierichetto preciso, zelante e silenzioso. Ciò contrastava con la vivacità dei compagni che si accapigliavano e trasformavano spesso la sacrestia in un campo da gioco. Tanta mitezza e precisione nel compimento dei suoi doveri, guadagnò a Francesco il nomignolo - un po' ironico e un po' perché se lo meritava - di "santino".

La vocazione

Al paese arrivavano spesso i missionari comboniani di Brescia per il ministero. Questi amavano intrattenersi con i chierichetti parlando loro di missioni, di missionari, di africani che attendono qualcuno che porti loro il Vangelo. Coloro che maggiormente pendevano dal labbro dei missionari erano proprio Francesco e i due fratelli Alberto e Renato Modonesi, oggi missionari comboniani.

I tre amici decisero di farsi missionari. Ma quando Francesco parlò alla mamma del suo progetto, questa sorrise benevolmente e gli rispose:

“Francesco, è una cosa grossa farsi missionari e non bisogna scherzarci sopra. Ho paura che tu voglia partire per passarti un bel mesetto ad Angolo Terme, in villeggiatura, lasciando a noi le zanzare della Bassa”.

“No, no, mamma; io voglio farmi missionario davvero!”.

“Non siamo degni di tanta grazia... Se l'anno prossimo sarai ancora della stessa idea, potrai partire e tuo papà ed io saremo i genitori più felici del mondo, anche se soffriremo un po' nel saperti tanto lontano”.

"Per questo - dice la sorella - Francesco dovette perdere un anno. Ma rimase fermo nella sua idea per cui, al tempo giusto, poté partire per il mese di prova ad Angolo Terme dove i Comboniani avevano una casa di villeggiatura, e poi per Rebbio dove iniziò la scuola media".

I giudizi dei superiori in questo periodo sono buoni per Francesco. Lo trovano un ragazzino "studioso, di pietà, buono con i compagni, disposto a prenderle piuttosto che a darle, un po' troppo timido".

"Quando veniva a casa per le vacanze - continua la sorella - voleva a tutti i costi venire con noi nei campi a lavorare, e non c'era verso di farlo riposare un po' dopo l'anno scolastico. Egli rispondeva che per riposarsi bastava cambiare genere di lavoro. E poi aggiungeva che anche noi lavoravamo e lui non era per niente un signorino, anzi, come missionario, doveva impegnarsi ancora di più. E fu sempre fedele a questo programma, anche da sacerdote. Se il parroco aveva bisogno di lui per i lavoretti in chiesa, Francesco era sempre disponibile e premuroso".

A Gozzano

Dopo il liceo frequentato a Carraia (Lucca), il 12 settembre 1962 entrò nel noviziato di Gozzano dove era maestro p. Cordero. Lo sforzo del giovane fu notevole per migliorarsi ulteriormente tanto che p. Cordero, prima di lasciare il posto a p. Zagotto, scrisse in data primo settembre 1963: "Difetti umani, nessuno. Difetti spirituali: timidezza e scoraggiamento. Desiderio di progredire nelle virtù, molto. Dati favorevoli: amore alla vocazione e alla pietà. Giudizio complessivo: un ottimo soggetto che fa molto sperare. Probabilità di riuscita: cento per cento. Giudizio dei padri della casa: nessuna osservazione".

Questo giudizio combacia con quello di p. Zagotto, nuovo p. maestro dei novizi. Questi, anzi, sottolinea un grande amore alla preghiera, poi aggiunge che ha bisogno di un po' più di fiducia in se stesso.

Emessi i Voti il 9 settembre 1964, partì il giorno dopo per Rebbio come assistente dei ragazzi. Vi rimase due anni dimostrando di essere molto sensibile nel saper percepire le esigenze e le crisi di quei futuri missionari nei quali vedeva se stesso quando era piccolo. Per questo li seguiva con una tenerezza tutta particolare. Sapeva farsi uno di loro e, nello stesso tempo, li educava considerandosi un fratello maggiore, un amico un po' più grande.

Quando nel settembre del 1966 partì per Venegono per gli ultimi due anni di teologia insieme ai suoi compagni, fu rimpianto da tutti.

"Passa molto tempo in chiesa - scrisse p. Angelini, superiore di Venegono. - Stima le Regole e si adatta volentieri alla disciplina". Quindi il superiore mette in risalto una nota che era stata rilevata anche da altri: "Si demoralizza facilmente, ma basta una parola per rimetterlo a posto. Ha bisogno di comprensione. Questo deve essere tenuto presente dai superiori. E' sempre un po' timido, ma retto, generoso e sincero".

E' stato ordinato sacerdote a Corticelle Pieve (Brescia) il 15 giugno 1968.

In Africa

Nel gennaio del 1969 troviamo p. Tomasoni Francesco in Zaire e precisamente a Rungu. Vi rimase fino al 1972 come coadiutore. Lo Zaire, a cinque anni di distanza dal martirio dei Comboniani era ancora bagnato dal sangue dei martiri, sangue che fu veramente seme di nuovi cristiani. P. Francesco, infatti, con i suoi confratelli raccolse manipoli abbondanti di anime.

Nel 1972 venne inviato a Isiro sempre come coadiutore, ma vi rimase solo sette mesi perché nell'ottobre di quello stesso anno divenne parroco a Tadu, rimanendovi fino al 1975.

Pur essendo ancora giovane, prese molto a cuore la situazione della missione. Scrivendo al p. generale da Isiro nel 1972 dà una relazione dettagliata della situazione politica e del ruolo che la Congregazione ha avuto ed ha in seno alla diocesi. Usa espressioni bellissime nei confronti del superiore provinciale chiamandolo addirittura "il vero salvatore della diocesi". Parla benissimo del vescovo, dei padri Domenicani e dei sacerdoti indigeni, dimostrando in questo un grande amore per l'Africa e gli Africani, proprio nello stile di mons. Comboni. P. Agostoni lo ringraziò per questo suo scritto che è una testimonianza di zelo missionario. Il p. generale conclude dicendo: "Soprattutto vorrei che il nuovo centro di Isiro diventi un centro di preghiera e di adorazione al Signore, perché se non costruisce il Signore la casa, invano lavorano coloro che si agitano a costruirla. Un centro di preghiera in una diocesi deve essere il centro della nostra attività e del nostro slancio".

I lebbrosi

In Zaire, e specialmente nella sua nuova missione di Tadu, p. Francesco venne a contatto con la dura realtà dei malati di lebbra. Vedeva questa povera gente, abbandonata anche dai propri familiari, vagare sperduta nel bosco in cerca di qualcosa da mangiare. Il suo cuore sensibile non poteva restare indifferente ad una simile situazione, per cui progettò di costruire alcune modeste casette per ospitare i malati di lebbra. Fece un progetto che presentò ai superiori. Questi, naturalmente, gli risposero che per compiere una simile opera era necessario avere i mezzi e la certezza che qualche "ente" ne assicurasse il mantenimento e la cura, non entrando questa specifica attività nel lavoro di evangelizzazione. Inoltre bisognava avere anche il benestare delle autorità civili che preferivano ignorare la presenza in loco della lebbra. Tale progetto ci mostra la grande umanità di quest'uomo che era riuscito ad incarnarsi con i più derelitti e abbandonati. Con la gente seppe instaurare vere amicizie che lo portavano ad intrattenersi con essa, ad ascoltarla senza mai mostrare fastidio o fretta, e alla fine sapeva dire la parola giusta che incoraggiava e sosteneva. Ebbe, naturalmente, anche qualche sofferenza dovuta soprattutto al suo carattere portato al facile abbattimento, alla mancanza di qualcuno che gli sapesse dire la parola di conforto nei momenti di difficoltà. Già il maestro, p. Zagotto, aveva scritto di lui: "Necessita di una guida che lo comprenda e lo sostenga con mano forte e chiara". Aveva visto giusto.

Nel novembre di quel 1975 p. Tomasoni fu destinato all'Italia come promotore vocazionale.

Mal d'Africa

Andò a Trento dove si mise subito di buona lena per cercare ragazzi che popolassero quel seminario ormai vuoto. Scrivendo a p. Ballan, provinciale dei Comboniani dello Zaire, disse: "Sento una fortissima nostalgia dell'Africa e anche una sottile amarezza per esserne lontano. Grazie anche per le copie dei verbali del Consiglio e per il Notiziario. Mi richiamano tante cose e mi fanno pensare al dolce Zaire".

Poi riporta una lista di cose che ha mandato in missione, specialmente colori per decorare qualche chiesa, segno anche questo del suo attaccamento alla missione, e conclude chiedendo le filmine sulla martire zairese suor Clementina Anuarite da mostrare nelle parrocchie durante i suoi giri di animazione vocazionale tra i ragazzi.

A Trento ha potuto anche mettersi in contatto con la Radio Libera Cattolica dove si recava di tanto in tanto per portare la sua testimonianza missionaria.

Affrontare con fede

Col primo giugno 1979 p. Tomasoni venne destinato al Centrafrica. Nel comunicargli la notizia, il p. generale (Agostoni) ringrazia anzitutto il Signore "per la disponibilità che hai dimostrato in questi anni di servizio alla Congregazione e alla casa di Trento". E poi conclude: "Ti faccio i miei migliori auguri per il lavoro che ti attende. Ogni missione ha i suoi problemi; sono sicuro che affronterai tutto con fede, coraggio e gioia, quella gioia che ci viene dalla certezza di essere nell'amore del Padre e nella sua volontà".

Un grande dolore, intanto, venne a battere alla porta della sua anima sensibile: la morte nello stesso anno, 1980, del papà, in gennaio, e della mamma, in novembre. Nel 1971 gli era morto un fratello in un incidente sul lavoro e nell'87 e '89 rispettivamente due nipoti. P. Francesco abbracciò queste croci con grande sofferenza ma con una fede ancor più grande.

L'obbedienza lo dirottò, poi, nel Tchad. Svolse il suo ministero a Moissala e poi a Bedjondo, dove sorella morte lo attendeva.

Come un seme

Da qualche tempo p. Francesco conduceva una vita molto intensa per darsi a tutti senza mai perdere il suo buon umore, il suo sorriso e senza far pesare la sofferenza della sua libera decisione, che aveva preso nella preghiera e nel dialogo con i superiori, di lasciare Bedjondo, dove si trovava pienamente realizzato e contento, per trasferirsi nella missione di Doba, a 40 chilometri di distanza.

Il Padre aveva optato per quella soluzione in quanto gli sembrava che là, in quel momento, ci fosse maggior bisogno. Il Signore, però, aveva stabilito diversamente. E la serata di festa in casa di un amico della missione, si trasformò in un addio.

Quando la gente del grosso villaggio seppe della morte del Padre, cominciò ad accorrere per vedere la salma. Il corpo era stato esposto all'interno della casa dei Padri ed è stato vegliato per tutta la notte tra i canti e le preghiere. Al mattino venne trasportato nella chiesa parrocchiale. Intanto si radunarono dai villaggi intorno catechisti, responsabili di comunità, membri del movimento di Azione Cattolica, autorità civili e militari e una folla immensa.

Scrivono i confratelli di Bedjondo: "P. Francesco se n'è andato ma il suo spirito resta in mezzo a noi. Diamo grazie a Dio perché la sua presenza ha dato frutti di unità, di donazione, di lavoro senza riserve al servizio di Dio e del suo Regno in mezzo agli uomini".

Mons. Mattia Ngarteri, amministratore apostolico della diocesi di Sarh, volle vegliarlo per tutta la notte e, il giorno dopo, ha presieduto la celebrazione eucaristica. Erano presenti anche mons. Enri Veniat, vescovo emerito della stessa diocesi e mons. Michele Russo, vescovo di Doba.

P. Francesco Tomasoni era molto amato dalla sua gente e molto stimato in diocesi. Il vescovo lo riteneva tra i migliori dei suoi sacerdoti. A Doba era atteso dai confratelli e dalla gente che già lo conosceva e lo stimava.

Il 10 ottobre 1989, anniversario della morte di mons. Comboni, aveva fatto questa preghiera: "Domando al Signore che mi mantenga fedele per tutta la vita alla mia vocazione missionaria qui in Africa, e che il buon Dio mi dia la grazia di morire in Africa e di esservi sepolto".

Il suo corpo è stato sepolto il 5 giugno alle ore 15 e riposa nel cimitero della parrocchia di Bedjondo in mezzo ai cristiani che lo hanno preceduto.

La sua tomba, a detta dei confratelli, è continuamente meta di visite da parte della gente che sosta in preghiera ed esprime al caro Padre ed amico le sue richieste, sicura che saranno ascoltate in cielo.

Uomo mite e silenzioso, schivo e sempre sorridente, ha costellato la sua breve esistenza, 50 anni, di tanta preghiera e di tanto amore per gli Africani che ha veramente sentito come suo popolo, come sua preziosa eredità. Sicuramente dal cielo pregherà per le missioni e per la Congregazione, e da quella terra africana sarà seme fecondo di vocazioni per la Chiesa del Tchad.        p.L.G.

Da Mccj Bulletin n. 173, gennaio 1992, pp. 42-47