In Pace Christi

Ceriotti Enrico

Ceriotti Enrico
Geburtsdatum : 04/12/1904
Geburtsort : Busto Arsizio VA/I
Zeitliche Gelübde : 08/05/1927
Ewige Gelübde : 07/05/1933
Todesdatum : 21/04/1990
Todesort : Verona/I

Proveniente da una agiata famiglia di tessitori (il papà era imprenditore), Enrico sentì il desiderio di consacrarsi alle missioni fin dai primi anni della sua giovinezza. Dopo aver frequentato le scuole tecniche, manifestò, prima al parroco poi ai genitori, il desiderio di partire per l'Africa. La famiglia, profondamente cristiana, non si oppose, anche se su quel figlio, particolarmente sveglio e intraprendente, nutriva buone speranze per uno sviluppo dell'azienda. Alla visita di leva Enrico fu "riformato". Egli lesse questo avvenimento come un segno che il Signore lo voleva tutto per sé.

Papà Michele insinuò: "Se non sei buono per l'Italia pensi di esserlo per l'Africa?". La mamma, Carnaghi Giovannina, sottolineò che, per la causa missionaria, si deve fare assegnamento sull'aiuto del Signore, cosa che normalmente non succede per l'esercito. Tuttavia, se quel figlio piuttosto gracile fosse rimasto con lei sarebbe stata anche più contenta. Il parroco, don Paolo Cairoli, nella sua lettera di presentazione ai superiori, in data 20 novembre 1924, scrisse: "E' però sano". Quanto alle doti di bontà, di generosità e di impegno ecclesiale, gli aggettivi si sprecano. Poi aggiunse: "Il giovane pensa di entrare dopo Natale o ai primi dell'anno". Di fatto entrò l'8 gennaio 1925.

Con una bellissima grafia e un italiano forbito, Enrico aveva steso la sua domanda di entrata, che riportiamo per intero in quanto mette in risalto l'anima e i sentimenti di questo giovane generoso:

"Busto Arsizio, li 23 Novembre 1924

Reverendissimo Padre,

                     E' d'uopo finalmente ch'io mi decida a pregarLa d'accettarmi quale Novizio, e più precisamente quale Novizio catechista, in cotesto rispettabile istituto. Ormai sono quasi certo della santità della mia Vocazione. Non credo più possa essere un semplice capriccio il mio, perché un simile capriccio non può resistere tanto tempo, mentre invece questo desiderio di farmi missionario da più di due anni mi arde in petto e sento che solo servendo il Signore a questo modo io potrò essere felice.

Lo so, non sono molto intelligente né ho forza fisica; ma quel Dio che ha dato la sapienza agli ignoranti e la forza ai deboli, saprà ancora dare a me tutte quelle grazie che mi saranno necessarie per occupare il meno indegnamente possibile il posto che mi verrà affidato dalla Sua divina provvidenza. Quell'aiuto poi che mai mi è mancato dalla Mamma mia celeste non mi verrà certo meno in questo passo decisivo della mia vita. Ella mi sosterrà nei momenti di abbattimento e di sconforto, Ella mi consolerà nei momenti di dolore, Ella infine mi guiderà e mi farà da mamma lungo il cammino di mia vita.

Gesù mi ha invitato a seguirlo, ad imitarlo, a Lui voglio correre, a Lui voglio consacrare la mia giovane esistenza. Accetta, o Gesù, a mezzo del Rev.mo Direttore di cotesto rispettabile istituto di missioni, l'offerta ch'io Ti faccio di tutto me stesso. Porterò la tua parola ovunque Tu vorrai, sopporterò con gioia qualsiasi dolore, qualsiasi sacrificio mi sembrerà leggero per amor Tuo, ed anche perché Tu lo vuoi per il mio maggior bene e per la salute delle anime.

Speranzoso, Rev.mo Padre, di veder esaudito il mio desiderio, reverentemente le bacio la mano.

                                      Devotissimo servo in G.C.

                                           Ceriotti Enrico

Bellissime parole. Ma la cosa più bella é che, alla fine della vita, poteva dire di averle messe in pratica alla perfezione.

I lavori al "Castello"

Il 15 luglio 1925 fr. Ceriotti vestì l'abito dei Comboniani e iniziò il noviziato. Il maestro dei novizi, p. Alceste Corbelli, scrisse bene di lui trovandolo: "Molto buon giovane, di pietà soda, umile, docile, compìto e diligente nei suoi doveri. Criterio e ingegno buoni. Carattere sincero, aperto, gioviale. Quanto a salute è di costituzione debole, ma sembra sano".

Il noviziato di Venegono, aperto nel 1921, era in fase di ristrutturazione. Da vecchio maniero fatiscente, doveva trasformarsi nella sede accogliente e bella che ammiriamo oggi. I novizi fratelli, insieme ad altri fratelli (ricordiamo Lanfranchi, Arosio...), sotto la direzione dell'ing. Mombelli e di p. Meroni, si sottoposero a un lavoro assiduo. Insieme al lavoro vero e proprio c'era anche la parte teorica, in modo che si pigliassero i classici due piccioni con una fava. Cioè si mandavano avanti i lavori e i fratelli imparavano il mestiere di muratore, lattoniere, falegname... Ceriotti divenne un bravo falegname. Il p. maestro lo riconosce affermando: "Da alcuni mesi è in falegnameria. Sembra che apprenda bene".

Intanto i mesi passavano e giunse il momento della professione temporanea. Fr. Enrico emise i Voti l'8 maggio 1927. Guardando le date si può constatare che gli furono "scontati" più di due mesi di noviziato. Segno che il soggetto era ben maturo.

Tipografo

Dopo la professione Ceriotti spasimava di partire per l'Africa, come gli altri, ma la sua salute non era florida. Il medico diagnosticò una certa debolezza ai polmoni con pericolo di tisi.

Invece di un luogo con aria salubre, cibo abbondante e poco lavoro, i superiori gli assegnarono la tipografia a Verona. Che sarebbe come dire: "O la va o la spacca". Si sa, infatti, che i vapori di piombo, l'odore d'inchiostro e la polvere della carta, non sono propriamente indicati specie per chi ha i polmoni deboli. Ma allora andava così.

Ceriotti superò brillantemente la prova e imparò il mestiere di tipografo. E' da tener presente che l'inverno del 1929 è stato tristemente famoso per il gelo rigido che ha fatto morire tante piante e ha fatto scoppiare le vigne dell'orto. Ciò nonostante Ceriotti andava e veniva portando pacchi di carta, componendo gli articoli, mettendo i caratteri di piombo uno accanto all'altro con pazienza certosina, e quando occorreva portava le riviste alla stazione in bicicletta e poi con il carretto trainato dall'asino. Sono storie d'altri tempi.

Dal 1930 al 1931, lo troviamo a Venegono come portinaio. Scrive p. Castelletti: "Allora per aprire la porta all'ospite che suonava, bisognava scendere la gradinata fino al cancelletto che si trova a metà salita. Aprire, chiudere, e poi ritornare ad aprire per il nuovo arrivato. Un lavoro estenuante, una ginnastica degna del miglior sportivo. Eppure, mai un gesto di impazienza, mai un 'uffa!', ma sempre il sorriso sulle labbra e tanta cordialità nei modi".

Conoscitore di uomini

Fr. Ceriotti era molto furbo e capiva al volo le cose e le persone. Già dal primo approccio intuiva cosa l'ospite desiderava, così preparava la risposta o il modo di comunicare la cosa al superiore. Allora non c'era il telefono per cui, per portare gli ordini, doveva fare un'altra camminata con relative ricerche dell'interessato. Ma sempre col sorriso, con molta affabilità e disponibilità. Le sue battute in dialetto milanese servivano a diradare qualche nube che poteva addensarsi, per cui tutti se ne andavano dalla casa soddisfatti.

Era anche incaricato di suonare la campanella che regolava la vita della comunità. Quindi si alzava prima degli altri e andava a letto per ultimo, senza concedersi la siesta al pomeriggio. Tutti sono d'accordo nel riconoscere che era "affidabile e inappuntabile".

Senza disgustare i fioristi e gli incaricati dell'orto, procurava i fiori per la cappella e anche, nei giorni di festa, per il refettorio.

Con i suoi bei modi di fare riusciva ad avvicinare durante il silenzio grande (cosa inaudita) perfino il nuovo maestro dei novizi, p. Bombieri, per comunicargli qualcosa. E se alle volte arrivava qualche rabbuffo lo stornava con il suo immancabile sorriso. Con la stessa serenità nascondeva rammarichi, contrarietà e disappunti. Sembrava indifferente a tutto, invece era fortemente preoccupato di ciascuno. Novizi e anche professi ricorrevano volentieri a lui quando avevano bisogno di qualcosa, sicuri che avrebbero trovato un aiuto o una risposta cortese.

A Venegono s'interessò anche della sartoria e della lavanderia. Dava una mano al confratello sarto per preparare vesti, camiciotti da lavoro, berretti... Con altrettanta precisione s'interessava perché tutti i capi di biancheria fossero lavati, stirati, confezionati in pacchi e distribuiti ai legittimi proprietari.

Durante le vacanze Venegono godeva della presenza di p. Vianello e di p. Meroni (generale). Toccava a Ceriotti accudirli. Cosa che faceva con dedizione sua e soddisfazione degli interessati.

In Africa

Col Capitolo del 1931 le cose cambiarono anche per Ceriotti. Ottenne il permesso, davvero sospirato, di partire per la missione. Ma la sua destinazione fu il Cairo. Sempre Africa era, e lasciò contento l'Italia. Il suo incarico fu quello di "fratello ad omnia", cioè tuttofare. Infatti fu sacrestano nella chiesa del Sacro Cuore, portinaio della casa e spenditore. Erano anni duri, anche per la presenza di un superiore esigentissimo e difficile da accontentare, p. Ribero. Solo Ceriotti e Bonomi resistettero per tre anni con lui. Nei momenti liberi studiava l'arabo colloquiale, apprendendolo bene, data la sua versatilità per le lingue.

Dal 1933 al 1935 fu ad Assuan, sempre come fratello ad omnia.

Ma ecco che nel 1935 si riscontrò in lui un principio di tubercolosi, la malattia che era sempre in agguato e che non aveva mai potuto debellare radicalmente. Inviato a Verona per le vacanze, vi fu fermato. Ancora tipografia e, in più, ufficio Nigrizia. Molto lavoro, moltissima pazienza e... poche cure. Dopo il lavoro, trovava ancora il tempo per recarsi nella chiesa di San Tomio per il rosario e la benedizione, dando una mano come sacrestano a p. Zanta, impegnatissimo nelle confessioni. L'unico suo rammarico fu quello di non saper suonare l'harmonium. Suppliva con la sua bella voce intonando e sostenendo i canti. In questo suo ministero era sovente accompagnato da fr. Viviani, portinaio e infermiere. Due anni di questa vita lo rimisero in forma tanto che poté partire nuovamente per l'Africa.

La lunghissima giornata africana

Salvo alcuni brevi periodi di vacanze in Italia, fr. Ceriotti restò nella terra di Comboni (a Khartum e ad El Obeid) dal 1937 al 1983, 46 anni. E sempre in buona salute: segno che il Signore lo voleva proprio lì.

Appena giunse a Khartum, p. Baroni gli affidò l'economato e la cancelleria-libreria del Comboni College. Con la sua bontà e col suo "savoir faire" riuscì ad ammansire le pretese dei Fratelli Canadesi che insegnavano nel Collegio e che avevano preso un po' la mano. Inoltre, sembrava a tutti che Ceriotti fosse proprio  adatto per stare con gli studenti e con i professori. Conosceva già l'arabo e, in poco tempo, seppe cavarsela molto bene con il francese e l'inglese. L'ordine e la precisione con cui gestiva la libreria e la cancelleria divennero proverbiali.

Diede anche una mano ai confratelli Achille Brigadoi ed Eleuterio per le costruzioni nel Collegio Comboni. Fratel Lanfranchi ricorreva a lui per i conti amministrativi. Dopo la stasi imposta da mons. Silvestri, che aveva bloccato l'impulso scolastico, ci fu la ripresa voluta da mons. Bini. Nei primi tempi ci furono difficoltà non comuni con i protestanti. Il Gordon College vedeva il Comboni College come un concorrente, anzi un rivale. Ceriotti si mise in mezzo, un po' pigliandole da tutte e due le parti - ma dimostrò di avere spalle buone - un po' riuscendo a fare da paciere. Quando le croci sembravano schiacciarlo, si appellava a Comboni che, proprio in quel luogo, ne aveva subite di più pesanti, e tirava via.

Quegli archi troppo stretti

Nelle anime grandi, anche saper sorridere di se stessi e dei propri errori diventa esercizio di virtù. Venne affidata a Ceriotti la costruzione in cemento armato degli undici archi del colonnato del Comboni College, che dovevano essere collocati sui capitelli corinzi delle colonne. Sotto la direzione di Brigadoi, approntò il tutto ma, quando si trattò di metterli sulle loro sedi, ci si accorse che solo uno era fatto su misura. Fr. Laffranchi tirò fuori i disegni dei dieci che dovevano essere leggermente maggiorati rispetto al primo. Purtroppo quei disegni erano rimasti nel cassetto di Brigadoi per cui, i dieci archi finirono per ornare i bordi delle aiuole che Ceriotti aveva già progettato per il cortile interno dei professori. La faccenda terminò con una risata e un buon brindisi.

La guerra

Tra il 1940 e il 1945 i confratelli del Comboni College vennero confinati. Alcuni subirono la deportazione. Baroni, Lunardon e Ceriotti furono relegati in Collegio con i poliziotti inglesi alla porta. In quella situazione riuscirono a cattivarsi la simpatia dei loro carcerieri, tanto da accogliere in casa rifugiati italiani e altri borghesi di nazionalità diverse. I locali del Comboni College, occupati da truppe inglesi, furono sempre puliti e rispettati per la deferenza e la stima che i padroni, prigionieri, avevano saputo suscitare.

Grazie a questa cordialità e stima reciproca, la liberazione dei confratelli venne anticipata. Tornarono i p. Tupone e Pasetto, arrivarono Di Profio, Castelletti, Vecelli, Gottardi e la scuola poté riprendere. Toccò a Ceriotti scovare le stanze per 28 comboniani più quattro fratelli, sistemandoli anche due per stanza.

Ceriotti ed Eleuterio accettarono il sacrificio più grosso di passare le notti nei dormitori degli allievi interni, come sorveglianti, cercando di riposare su di un lettino in un angolo. Fr. Ceriotti avrà una stanza propria solo dopo molti anni. Col caldo africano, per una breve siesta dopo pranzo, usò la libreria nella quale stendeva una sedia a sdraio.

Una dura giornata

La levata era alle 4,30 per la preghiera e per preparare i paramenti in sacrestia. Poi doveva allestire per ben quattro volte sette altari sopra i quali 28 sacerdoti dovevano, a turno, celebrare la messa. Preparava, inoltre, le ostie, il vino, la biancheria... Era svelto e preciso in modo che tutto potesse svolgersi velocemente e nel massimo ordine.

Alle 6,30 prendeva un leggero caffè, poi in libreria fino alle 10. Qui inseriva la colazione, quindi una seconda tirata fino alle 13,30, ora del pranzo. Nuovamente al lavoro fino alle 19,30. Dopo la cena faceva una passeggiata con gli studenti. Era il momento dei dialoghi amichevoli, dei suggerimenti saggi che metteva lì sommessamente, e che tanto bene facevano a quei giovani. Alle 21,30 si ritirava per il rosario e le sue preghiere. E finalmente il riposo, per ricominciare il giorno dopo ad accontentare i 700 allievi che avevano bisogno di cento cose. Non solo, ma riusciva a riparare penne, matite, calcolatrici e orologi. Tutti ricorrevano a lui ed egli accontentava tutti con la sua straordinaria capacità e col sorriso. Per le operazioni di entrata e di uscita non usava mai calcolatrici. Faceva tutto a memoria, e non c'era pericolo che sbagliasse. La sua libreria brillava per ordine e precisione. Ogni settore aveva la sua etichetta, per cui si trovava tutto in un batter d'occhio e si sapeva quando il materiale stava esaurendosi.

In assenza di qualche professore, si prestava per tenere la disciplina nelle classi finché gli alunni facevano qualche esercitazione. Aveva una speciale predilezione per gli esperimenti di fisica, chimica e biologia. Dava volentieri una mano ai confratelli De Nicolò e Vecelli in laboratorio, e con competenza.

Con le sue belle maniere era riuscito ad ottenere il permesso di farsi mandare direttamente dall'estero i libri, senza passare attraverso le librerie della città. Non solo, ma aveva ottenuto la licenza di aprire la sua libreria al pubblico.

Potresti diventare sacerdote

Ammirati per la bontà, la disponibilità, la capacità di accostare la gente, alcuni confratelli fecero a Ceriotti la proposta di diventare sacerdote.

"La vostra cultura è più che sufficiente - gli dissero. - Basta un po' di filosofia e di teologia e tutto è fatto. In questo modo potreste raddoppiare le possibilità di fare il bene. Vedete come i giovani si confidano con voi e vi espongono i loro problemi".

La risposta, in dialetto milanese, fu questa: "Zitto Gesuitùn. La mia strada è quella dei carretti sull'acciottolato, non quella delle auto sull'asfalto". Voleva vivere, lavorare, morire da operaio.

Un altro settore nel quale si dedicò con tutte le sue forze fu quello degli sport, specialmente quello del pallone. Faceva anche da portiere ed era un vero gatto quanto a sveltezza. Si preoccupava che l'acqua delle piscine fosse debitamente cambiata e disinfettata. Impiegava i quindici giorni di ferie per ripulire e mettere a punto le macchine da scrivere dei confratelli. Un suo motto, un po' scherzoso ma che racchiudeva una profonda spiritualità, diceva: "La mano all'opra, l'occhio e cor lassù".

Quando compì i 70 anni, si arrampicò su una colonna del porticato e, giunto alla sommità, si tenne con un braccio mentre con l'altro salutava gli alunni che applaudivano ammirati da tanta agilità.

Tra gli scorpioni di Dilling

Racconta p. Castelletti: "Nel 1956 venne con me a Dilling, a 1.200 Km. da Khartum, nella missione aperta da p. Corbetta, sulla via di Kadugli. La missione consisteva in una tettoia di zinchi aperta a tutti, anche alle iene, ai leopardi, alle serpi e agli scorpioni. Suo primo lavoro fu quello di cucinare. Ricavava il fuoco dalla paglia e dallo sterco di cammello seccato al sole. Dopo pranzo si dormiva su di un'amaca assicurata a due piante spinose. Vita da pionieri del Far West. Oltre ai disagi, musi lunghi con gli inglesi del campo militare vicino alla missione. Una sera Ceriotti mi chiama:

'Fa' presto, Padre. Nel campo c'è l'alzabandiera!'. Prendo la cornetta e, mentre lo stendardo inglese si alza, con tutto il fiato che ho nei polmoni intono 'God save our gracious Queen'. L'effetto fu travolgente. La stessa sera il colonnello ci fece visita e da quel momento tra italiani (noi due) e inglesi ci fu grande amicizia.

Ceriotti, però, fu colpito da un forte attacco di malaria per cui dovette abbandonare quel posto avanzato nel deserto. Al suo posto arrivò fr. Cariani, altro campione, che scavò il pozzo e fece un sacco di bei lavori".

A El Obeid

Nel 1967, dopo le vacanze in Italia, fr. Ceriotti fu inviato a El Obeid. Fr. Farina aveva preso il suo posto in libreria. La partenza di Ceriotti dispiacque agli alunni. Qualcuno gli disse:

"Avrete certamente un aumento di paga!".

"Certamente. Il doppio!"

"Cioè?".

"Prima prendevo zero. Ora due zeri". E partì con il solito sorriso sulle labbra e tanta allegrezza in cuore.

Si adoperò per la stampa di libri, giornali, catechismi in varie lingue, dando un valido aiuto a fr. Sergi e a p. Ciappa.

Il parere dei confratelli, di tutti i confratelli che ebbero a che fare con lui, è unanime: "Versatile in ogni opera bella, sempre entusiasta, comunicava elettricità a tutti noi. Nessuno ebbe mai da criticarlo, da contestarlo. Ed ora che è in cielo, certamente lo segue la stima e la preghiera di ogni missionario comboniano in terra".

In Italia

Nel 1983 - la salute ormai perdeva colpi - fr. Ceriotti venne in Italia per le sue solite vacanze. Dopo un po' ci si rese conto che, forse, non era più opportuno un suo ritorno in missione. Con un po' di amarezza in cuore pronunciò ancora una volta il suo "Fiat". Scelse Venegono che lo aveva visto giovane ardente e pieno di speranze missionarie. "La giovinezza che aveva in cuore - dicono i confratelli di Venegono - sprizzava in tutta la sua vita e s'intonava perfettamente a quella dei novizi. La sua presenza fu una testimonianza di come renda felici la vita missionaria e di quanto sia bello donarsi al Signore. Siamo sicuri che l'esempio di Ceriotti, sempre sorridente, sempre allegro, sempre disponibile per fare ciò che le sue deboli forze gli permettevano, ha fatto molto bene ai novizi che lo amavano davvero. Era impossibile, infatti, non amare Ceriotti".

Nel 1988 l'arteriosclerosi cominciò a progredire, per cui si dovette portarlo a Verona, presso il Centro Assistenza Ammalati per le cure del caso. "Quando uno è buono dentro - ha detto l'infermiere - vedi la sua bontà anche durante la malattia, soprattutto durante la malattia, anche se la sua mente non è più limpida". A Verona, magari inconsciamente, continuava a sorridere, ad essere gentile con tutti e pieno di carità, finché il Signore venne a prenderselo. Da fr. Ceriotti ogni comboniano, specie fratello, deve imparare la laboriosità, la disponibilità ad ogni costo e lo spirito di servizio offerto sempre in allegrezza e col sorriso sulle labbra. E' stato sepolto nella tomba dei Comboniani a Verona. Che dal cielo ottenga alla Congregazione tanti fratelli del suo stampo.                  P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 169, gennaio 1991, pp. 91-98