La vocazione di p. Luigi fu all'insegna della croce. Scrive il suo parroco: "Povero Luigi! Ha sopportato per due anni prove a sangue per mantenere fede alla chiamata di Dio!"
Giovanotto ardente e sensibilissimo, aveva lasciato la sua parrocchia di Fontanelle appena terminate le elementari per entrare nel seminario di Mantova, dove rimase dal 1924 al 1926. Poi, in seguito a qualche malinteso sorto con i superiori, fu trasferito in quello di Guastalla. Ma vi rimase solo sei mesi. Intanto aveva perso qualche anno di scuola.
Il Signore probabilmente permise certe incomprensioni (che poi derivavano dal fatto che Luigi diceva quello che pensava) solo per fargli capire che la sua strada era quella della missione. Infatti terminò il ginnasio nel seminario comboniano di Brescia. Qui il giovanotto dimostrò ampiamente quali fossero le sue doti di mente e di cuore. P. Bombieri, che non era un uomo di manica larga, poté scrivere: "Nell'istituto comboniano di Brescia, dove era entrato con le più esaurienti attestazioni di buona condotta del suo parroco e del parroco del paese limitrofo, Luigi ha dimostrato di avere autentica stoffa di futuro missionario, sia come spirito di preghiera, sia come rendimento nello studio, sia come amore al sacrificio".
Non fu facile convincere i genitori a lasciare che il figlio entrasse in noviziato. "I genitori non ne volevano sapere. Incaricai anche il rettore di Guastalla perché li convincesse a lasciare libero il figlio nelle sue scelte", scrisse il parroco.
Pertanto, quando il 12 settembre 1930 Luigi poté mettere piede nel noviziato di Venegono, tirò un profondo respiro di soddisfazione.
Una difficile eredità
Nel gennaio del 1939 p. Luigi Pontoni era in Uganda, ad Arua. Sulle sue spalle pesava una grossa eredità: quella di p. Valcavi che in quelle terre aveva bruciato le sue forze migliori. Da quattro anni era in azione anche p. Bernardo Sartori, un altro che tirava e che costringeva gli altri a tenere un passo sostenuto. P. Vignato aveva lasciato spazio da appena tre anni a monsignore Angelo Negri, altra anima desiderosa di sempre più ampie conquiste.
P. Luigi si mise al lavoro senza esitazioni e senza calcoli. Le pagine di "La Nigrizia'' di quegli anni parlano anche di lui, dei suoi viaggi attraverso le tribù dei Logbara e dei Kakwa, e soprattutto rispecchiano la carica di amore che animava questo giovane missionario.
Riportiamo la cronaca del suo primo "safari". "Lo feci dopo un mese e mezzo di permanenza africana. Visitai la regione dei Kakwa, che sono soggetti alla nostra missione di Arua. Fu in questo primo viaggio che vidi e provai quello che fanno i missionari.
Dopo quaranta miglia di moto e tre buone ore di cammino fra le paludi del Nilo, giunsi più morto che vivo alla cappella catechistica. Ero oppresso da un terribile sentimento di scoraggiamento, forse io non riuscirò mai ad essere un buon missionario. Con questo peso sul cuore che mi avviliva, girai quella terra che da tanto tempo avevo sognato e desiderato e quasi quasi ora mi sentivo pentito di esservi arrivato. Ad accrescere la dose, verso sera venne anche la pioggia. Nella piccola cappella l'acqua scendeva dal tetto e dalle pareti e non sapevo come salvarmi da quel diluvio. Il mio letto da campo fu completamente inzuppato e, per potermi coricare, fui costretto a stendere sul materasso dei giornali che avevo portato con me, per non sentire il bagnato e poter riposare un po' perché, oltre ad essere avvilito, mi sentivo anche stanco morto".
20.000 cristiani da curare
Dopo sei anni di vita africana, p. Luigi scriveva: "Sono qui inselvatichito, dopo tanti anni senza comunicazioni con il resto del mondo. Ad ogni modo sono ugualmente felice perché si consumano gli anni più belli della vita a fare del bene alle anime".
E poi sì lamentava della scarsità di personale: "Bisogna che mandino aiuti. Come si può tener dietro ad una missione che ha più di 20.000 cristiani e più di 3.000 ragazzi nelle scuole? Io sono incaricato delle scuole, ma faccio anche safari, ammalati, istruzioni, ecc. ecc..".
Scrivendo al suo amico p. Giacomo Andriollo. riconosceva che: "Nonostante abbia battuto il record del Vicariato quanto a febbri, ho sempre l'anima al di là di ogni ostacolo. Dove sono io non c'è malinconia affatto... I missionari devono bruciare di zelo per le anime ed avere il cuore di fratello con gli uguali, il cuore di figli con i superiori, il cuore di padre con i giovani. La nostra vita è gioia. Noi raccogliamo ciò che i nostri predecessori hanno seminato tra tante tribolazioni".
La guerra aveva chiuso le frontiere e i missionari erano privi dì notizie sia dei familiari come dei superiori d'Italia. "I missionari devono avere anche la vocazione alla solitudine; quella che manca a me... Quanto mi costa andare in safari da solo! Uno solo non può più ormai far fronte a tutto il lavoro...
Dopo undici anni di questa vita, ricca di consolazioni e di fatiche, p. Ponzoni ritornava in Italia per un po' di vacanza e per rimettersi in salute. Era l'aprile del 1950.
100 miglia per una birra
Scrive p. Menghini: "A Padova, dove lo conobbi verso il '50 durante le sue vacanze, mi fu possibile ammirare la grandezza del suo cuore. Non si risparmiava per trovare libri e romanzi per i suoi confratelli in missione, a ciascuno secondo i gusti o le necessità. Stanco ed ammalato com'era, si prestava volentieri per la predicazione di giornate missionarie o per conferenze ai giovani. Era felicissimo quando gli venivano assegnati corsi di predicazione nel mantovano. Amava immensamente la famiglia e così poteva fare una scappata dai suoi, che avevano capito il suo spirito missionario e lo veneravano. Egli era di una gentilezza e riconoscenza a tutta prova. Sapeva perdonare sempre ed era prontissimo nel chiedere scusa quando avesse, anche involontariamente, offeso qualcuno. Era allegro e di grande compagnia. Con lui era impossibile essere tristi. Commovente questo particolare che raccontava con forza e gioia tutta sua, accompagnando le parole con la mimica delle mani e degli occhi.
Saputo che un suo confratello, ormai spacciato, aveva manifestato il desiderio di bere una birra prima di morire (erano in missione), egli percorse cento miglia con la moto per procurargliela. E riuscì a portargliela. E aggiungeva: ‘Sarei andato anche a Mombasa pur di vedere un mio confratello morire contento. E il suo sorriso fu per me la più bella ricompensa'. Questo era p. Ponzoni!"
Dio è grande
Nel marzo del 1952, essendosi ristabilito in salute, p. Luigi poté ritornare in Uganda, a Lodonga, come incaricalo delle scuole. "Aveva un dono tutto particolare di trattare con i giovani - scrive un confratello -. Sapeva ascoltare, rifletteva su quanto gli veniva detto. Partiva dal presupposto che ognuno, prima di chiedere una cosa, avesse le sue buone ragioni per chiederla. La sua disponibilità sempre e con tutti lo resero amabile. Ponzoni era l'uomo dell'amore, l'uomo dal cuore grande. 'Dio è grande' era il suo motto. Ed egli cercava di imitare questa grandezza di Dio. Quanti cuori ha consolato! E sempre sapeva nascondere i suoi guai per far felici gli altri".
Dopo quattro anni di intensissima attività, un'attività sfibrante come è quella scolastica, rimpatriò nuovamente. Ma sei mesi più tardi, nel marzo del 1957, era nuovamente al suo posto di lavoro. Fu superiore e direttore della scuola tecnica di Ombaci fino al 1966. E con quell'anno si concluse la "carriera" africana di p. Luigi.
Venegono, Rebbio, Como lo videro attivissimo propagandista e addetto al ministero anche se la sua salute perdeva colpi. Dal novembre del 1969 alla fine del 1971 fu a Londra come assistente spirituale degli studenti africani.
A Londra p. Ponzoni fece del bene e difese anche dei confratelli che attraversavano momenti di prova. Ciò gli costò non poche contraddizioni da parte di altri. Egli accettò tutto con una grandezza d'animo ammirabile, ma non per questo smise di adoperarsi per il bene dì chi era nella sofferenza.
Essere preghiera
Sofferenze morali: "È la prima volta in vita mia che mi pare di insistere con i superiori. Ma io non sono un eroe né un martire, perciò aiutami a lasciare questo posto. I miei limiti di sopportazione sono agii estremi e non ne posso proprio più... Mi sono attaccato alla preghiera, altrimenti sento troppe ribellioni interiori e temo di esplodere"... si aggiungevano disturbi fisici... "in questi ultimi tempi ho avuto tre coliche renali''. Eravamo nell'aprile del 1970.
I superiori, che in un primo tempo pensavano di inviarlo come parroco nella parrocchia presso la casa generalizia dell'EUR, decisero di mandarlo a Gordola come superiore. P. Luigi, pur dichiarandosi disponibile all'obbedienza, rispondeva: "Sono già stato superiore per quasi 20 anni e penso che basti. Io sono disposto a lavorare, a cooperare, non a dirigere, II mio sacerdozio ha un grande significato per me. È la mia vita. Se posso esprimere un desiderio andrei volentieri a Venegono per lavorare come animatore missionario facendo qualche giornata missionaria e per vivere la vita di comunità, cosa che mi è mancata completamente a Londra. Sento un grande bisogno dei miei confratelli, che mi vogliono bene, che mi aiutano ad essere un bravo missionario. Da parte mia cerco di vivere e di essere preghiera per i superiori e per i confratelli che amo di vero cuore".
Dopo quasi due anni di lavoro a Venegono, i superiori tornarono alla carica. "Abbiamo pensato di mandarti a Gordola come superiore di quella comunità di anziani e di malati. È un lavoro che richiede molta carità e comprensione. E di queste ne hai una sovrabbondante porzione. Ti sentiresti di accettare questo servizio? Pensaci e facci avere la risposta...".
La risposta di p. Ponzoni è magnifica: "Nonostante mi paia di fare un salto nel buio, credo nell'amore e nell'aiuto dei miei confratelli, ed accetto... Te lo dico anche se subito ho provato un certo turbamento, ma dopo cinque minuti ero sereno come prima".
Il superiore generale, si limitò a rispondergli: "Luigi, tu sei sempre grande".
A Gordola p. Luigi diede un'ottima prova di sé, come coralmente testimoniano i confratelli. Si adoperò anche per avere le suore. Cosa che non gli riuscì, per mancanza di personale.
Fedele ed obbediente
Dopo sei anni come superiore a Gordola, doveva cambiare comunità. "Noi missionari siamo soldati e andiamo dove l'obbedienza ci invia. Se posso esprimere un desiderio andrei a Limone dove p. Bertuzzi mi accoglierebbe volentieri. Sarò fedele ed obbediente e non sarò un problema”.
La sua partenza da Gordola fu mollo sentita dalla popolazione. Il giornale "IL SEGNO" scrisse: "... ci ha voluto bene, tanto bene, perché è stato l'uomo del servizio e del sacrificio a qualunque costo, perché ha avvicinato tanti di noi al Signore con la sua fervida parola, con il suo paterno consiglio, con la sua inesauribile bontà, con la sua presenza al letto di morte dei nostri cari, perché ci ha dato l'esempio luminoso di fortezza cristiana e di autentico amore di Dio quando la malattia e la sofferenza l'hanno obbligato a subire penosissimi interventi chirurgici e lunghe cure ospedaliere. Il suo bene per noi è stato esercitato sempre con il più assoluto disinteresse. Le anime aspettano di incontrare sacerdoti come p. Luigi, vere immagini di Cristo".
Grande amore ai Fratelli
Sfogliando le numerose lettere scritte da p. Ponzoni ai superiori maggiori risalta immediatamente una grandissima stima per i nostri fratelli. Fa anche i nomi di alcuni di loro elencando le loro doti e le loro virtù. Mai un difetto o una critica. In una lettera del 1966 dice: "I Fratelli sono grandi ed ho una prova in più che dimostra la loro sensibilità e bontà... Come vorrei aver fatto di più per i nostri fratelli, parte eletta della Chiesa di Dio. Essi danno alla Chiesa più di quanto abbia dato io, benché prete e già avanti negli anni...".
Altrove si nota quanto insista presso i superiori perché i Fratelli che vanno in vacanza abbiano cure mediche ed aiuti vari in modo che si trovino a loro agio e possano rimettersi bene in forze.
Il cammino della croce
Abbiamo cominciato col dire che la vocazione di p. Ponzoni è nata all'insegna della croce. Si doveva concludere all'ombra della croce, proprio da vero seguace di mons. Comboni.
Nel 1979, mentre era ancora superiore a Gordola, fu operato all'ospedale di Bellinzona per un tumore alla vescica. Sei mesi dopo subì un secondo intervento, in seguito al quale dovette adottare una busta urinaria. Una penitenza non indifferente. Ma ciò sarebbe stata cosa da poco se non si fossero aggiunte frequenti febbri con temperature sempre oltre i 40 causa le inevitabili infezioni che quell'impianto precario provocava.
Luigi non si lamentò mai. Con il suo "Dio è grande" risolveva ogni difficoltà.
In queste condizioni, dopo un periodo di riposo a Limone, accettò l'obbedienza di essere superiore della comunità di Arco. Una comunità di malati e di sofferenti. Ma chi più dì lui poteva capirli, assisterli ed aiutarli?
Di tanto in tanto si aggiungevano forti attacchi di malaria, residuo della vita africana, con bronchiti che lo costringevano al ricovero nell'ospedale di Arco.
In questo esercizio di sofferenza continua, p. Luigi affinava il suo spirito e si preparava all'incontro col Signore. Fr. De Gasperi che, insieme alle suore, lo assisteva, dice: "Povera creatura! Avrebbe avuto ben ragione di sentirsi stanco di vivere, ma lui era il capo in questa casa di sofferenti e, come un capo, doveva dare l'esempio di fortezza cristiana e di religiosa rassegnazione. Io devo dire che aveva un cuore grande, che aveva tanta gente che gli voleva bene, che gli telefonava. Anche i suoi fratelli lo veneravano e venivano spesso a trovarlo e a confortarlo. Amava tanto noi e il personale che veniva nella nostra casa. Sulla sua bara ho visto tanta gente piangere; anche le suore comboniane della vicina casa di riposo, che si servivano del suo ministero sacerdotale e che egli non rifiutava mai anche quando il suo volto era tirato dalla sofferenza... E la festa che faceva quando qualche comboniano passava da Arco e veniva a salutare i malati... Sì, si è preparato proprio bene all'incontro col Signore col quale alle volte parlava a bassa voce come se lo avesse vicino. Io vorrei dire ancora tante cose, ma non so esprimere ciò che sento dentro. Dico solo che sento forte la sua mancanza... Che dal paradiso guardi giù e ci sia sempre vicino con la parola, con il sorriso, con l'incoraggiamento del suo motto 'Dio è grande' per aiutarci a portare la croce come ha saputo portarla lui".
Intanto altri guai si aggiungevano a quelli che aveva già. Ricoverato a Brescia per arteriopatia degli arti inferiori, p. Luigi venne curato, ma con scarsi risultati, per cui in seguito fu trasportato all'ospedale di Borgo Roma, a Verona, dove si tentò, a rischio, una serie di by-pass. Nel corso dell'operazione, per sopravvenute complicazioni, non è stato possibile portare a compimento l'intervento.
Il padre, consapevole che la sua fine era prossima, chiese di tornare ad Arco, nella sua comunità. Poco dopo dovette essere ricoverato presso l'ospedale locale per un'accentuata cardiopatia. Dopo alcuni giorni di inutili cure, spirava serenamente con quello spirito di accettatone che lo aveva sempre caratterizzato.
Vieni, Signore Gesù
P. Luigi è morto invocando il Signore e chiedendogli che venisse a prenderlo. Di tanto in tanto si rivolgeva al Comboni dicendogli: “Presentami tu al Sacro Cuore”.
Nella sua offerta occupava il primo posto l’Uganda dove aveva passato 27 anni.
Scrive p. Agostoni: "Padre Luigi è vissuto amando e ha fatto della sua vita un esercizio di amore cristiano. Ha amato i suoi confratelli per i quali aveva tutte le premure e cure ed ai quali non ha mai lasciato mancare nulla, sia che fossero membri della sua comunità, sia che fossero ospiti.
Ha amato gli africani per i quali ha affrontato disagi e malattie. Ha sempre aiutato tutti con amore di padre. Sua caratteristica era l'ottimismo che affondava le radici nel suo moto-programma 'Dio è grande'. Vedeva questa grandezza rispecchiata in ogni uomo, fosse anche l'ultimo della missione, ed in ogni uomo scorgeva l'impronta di Dio che in tutti crea il bene e il vero.
P. Luigi ha molti meriti come missionario, non solo perché ha evangelizzato e convertito molti ugandesi, ma anche perché ha professionalmente preparato maestri e studenti che oggi occupano posti di responsabilità nella nazione ugandese.
P. Luigi vive in cielo e continua a vivere anche in terra, in tutti coloro che da lui hanno ricevuto l'impronta di Cristo da conservare e testimoniare".
Il corpo di p. Luigi, dopo i solenni funerali ad Arco dove ha voluto spirare, è stato trasferito al suo paese natale, Fontanella Grazioli, nella tomba di famiglia, e lì attende il giorno della risurrezione. P. Lorenzo Gaiga
Da Mccj Bulletin n. 157, aprile 1988, pp. 67-73