In Pace Christi

Boschetti Lelio

Boschetti Lelio
Geburtsdatum : 29/11/1913
Geburtsort : Santorso VI/I
Zeitliche Gelübde : 07/10/1934
Ewige Gelübde : 07/10/1938
Datum der Priesterweihe : 16/04/1939
Todesdatum : 10/06/1976
Todesort : Schio VI/I

P. Boschetti da qualche settimana era rientrato in patria dall'Uganda, per le vacanze quinquennali che stava passando a Schio presso la sorella, unica superstite della famiglia. La sua salute, che aveva subito gravi scosse, sembrava riprendersi bene tanto da dargli speranza di poter ritornare presto in Africa. Data la difficile situazione dell'Uganda, e «la politica del nostro Istituto di un progressivo alleggerimento del personale» in quelle missioni, egli aveva espresso al Padre Generale il desiderio di andare in Kenya, e «dare una mano, in quantum possum, alla Congregazione degli Apostles of Jesus che ha grande necessità di personale insegnante. Lei capisce che questo, evidentemente, sono disposto a fare non certo per turismo, per divagare, e che so io, ma per motivi superiori». La sera del 9 giugno si festeggiava in casa della sorella un compleanno e il Padre, con la caratteristica giovialità e allegria che sempre dimostrava in simili occasioni, aveva cantato e suonato al piano per oltre mezz'ora e poi aveva intrattenuto i suoi ospiti con racconti della sua vita missionaria e descrizioni dell'Africa fino a tarda notte. Alle tre del mattino era vittima di un collasso cardiaco. Trasportato all'ospedale di Schio, passava alla Casa del Padre alle 6.30. Aveva 63 anni. Parecchi Confratelli si riunirono a Schio il pomeriggio dell'11 giugno per la S. Messa e funerale, presenti anche una bella corona di Sacerdoti diocesani, parenti e conoscenti. Nelle parole di Omelia-commiato P. Marchetti ricordò il buon spirito religioso e la serena allegria di P. Lelio, la sua continua disponibilità alla Missione e le tappe principali della sua vita di consacrazione alle Missioni.

Preparazione alla missione

P. Lelio Boschetti era nato a Santorso (Vicenza) il 29 novembre 1913. Compiuti gli studi ginnasiali nella nostra Scuola apostolica di Brescia, entrava in noviziato a Venegono nel 1932. Fatta ivi la prima professione il 7 ottobre 1934, fu mandato immediatamente a Carraia (Lucca) a fare da prefetto in quella Scuola apostolica. Completò la teologia a Verona e fu qui ordinato sacerdote il 16 aprile 1939. Gran parte della sua vita sacerdotale sarà spesa nella formazione di futuri sacerdoti sia nei seminari della Congregazione come in quelli di missione. Dal 1939 al 1945 fu insegnante e Vice Rettore a Padova, dove alla scuola del grande P. Abbà il suo entusiasmo missionario maturò e s'accese ancor di più. Dedicava volentieri il tempo che gli rimaneva libero dall'insegnamento e dall'assistenza dei ragazzi, al ministero e all'animazione (= giornate missionarie). Faticò molto durante quegli anni a causa delle ristrettezze imposte dalla guerra e i bombardamenti sulla città che obbligarono i Superiori a trasferire i ragazzi a Luvigliano, e fu una grazia di Dio perché nel 1944 alcune bombe distrussero buona parte del nostro seminario di Padova. L'anno scolastico 1945-46 lo passò a Firenze, dove frequentò un corso di lingua inglese. Non era dotato di grandi capacità mentali, ma l'impegno che mise nello studio dell'inglese gli permise, col tempo, di parlarlo correttamente e di insegnarlo nei seminari d'Uganda. Nel novembre 1946 raggiungeva, via Cairo e Khartoum, il seminario di Okaru (Bahr el Gebel) dove fu addetto all'insegnamento e alla direzione spirituale, ma un grave collasso nervoso lo obbligò a ritornare in Italia nell'aprile 1948. Dopo un anno di riposo a Firenze (riposo per modo di dire, perché non riusciva a rinunciare al ministero sacerdotale), la sua salute sembrò abbastanza ristabilita, e fu mandato a Stillington (Inghilterra), dove s'era appena trasferito il juniorate aperto nel gennaio 1948 a Sunningdale.

Esiliato

P. Boschetti arrivò a Stillington nel settembre 1949 e vi restò fino all'agosto del 1953. Il suo ufficio era quello di Padre Spirituale dei ragazzi e della comunità. Si dedicò con diligenza e costanza al suo lavoro. Era fedelissimo nel dare ai ragazzi la meditazione del mattino e il pensierino della sera. Il suo inglese non era perfetto (qualche volta faceva qualche gaffe, per esempio «I am the way, the truth and the wife», con conseguente ilarità degli uditori!); ma non gli mancavano i gesti e le espressioni del viso per farsi capire, ed era ammirabile per lo sforzo che faceva per progredire nella lingua. Si guadagnò presto la confidenza, il rispetto e l’amore dei seminaristi che volentieri andavano da lui per consiglio e confessione "e per sentirsi parlare delle missioni. Parlava sempre con entusiasmo, spesso in tono oratorio, con un eloquio esuberante che poco si confaceva allo stile inglese, ma che certamente teneva viva l'attenzione e anche la curiosità. Insegnava anche religione nelle prime classi e filosofia agli Scolastici addetti all'assistenza dei seminaristi. Faceva sfoggio della sua voce forte (“Se non mi vedete - era così piccolo di statura! -, mi sentirete!»). E difatti lo si sentiva molto bene anche nelle chiese più grandi senza bisogno di amplificatore, e quando insegnava filosofia agli Scolastici - erano due, o anche uno solo - si potevano seguire le sue lezioni da ogni angolo della casa. Non rifiutò mai, ma anzi cercò impegni di predicazione e di ministero fuori casa, assistenza domenicale alle parrocchie, anche lontane, predicazione di ritiri e corsi d'esercizi, conferenze missionarie. Ardeva dal desiderio di ritornare in missione, e quando si sentì ristabilito in salute scrisse ai Superiori perché ponessero termine al suo «esilio». Scriveva spesso articoletti per il «Piccolo Missionario» e durante una permanenza piuttosto lunga nella parrocchia di Bridlington per vincere la solitudine e la monotonia invernale scrisse un romanzetto missionario edito poi da Nigrizia. Nell'autunno del 1953 fu richiamato in Italia e assegnato al difficile compito dell'animazione missionaria nei seminari diocesani e, nello stesso tempo, a tenere i contatti con le varie organizzazioni missionarie d'Italia, incluse le Pontificie Opere Missionarie. P. Boschetti ebbe modo in quei due anni di dare sfogo al suo entusiasmo missionario, ma il suo desiderio di ritornare in missione lo rendeva sempre più impaziente, finché non fu accontentato nel 1955. Destinato al Sudan, si trasferì al Cairo nell'attesa del permesso, ma dopo molti mesi di attesa - spesi aiutando nel ministero parrocchiale a Zamalek - fu amaramente deluso: il permesso per il Sudan non venne ed egli ritornò in Italia ad insegnare nella Scuola apostolica di Sulmona.

In Uganda

Finalmente, nel 1958 si aprì per lui una porta, l'Uganda, e un nuovo periodo della sua vita. Dal dicembre di quell'anno fino alla vigilia della sua morte egli realizza il suo sogno. Sono 17 anni - ad esclusione di brevi intervalli di vacanza e convalescenza spesi in Italia - che egli vive in piena dedizione, con entusiasmo giovanile, la sua vocazione all'Africa. Nonostante ripetuti collassi nervosi e un infarto, sofferti durante quegli anni, poté tirare avanti grazie alla sua metodicità e costanza che gli permetteva di svolgere un'attività non indifferente, anche se limitata ad occupazioni meno faticose. Fu insegnante e Vice Rettore nei Seminari di Lacor (Gulu) dal 1958 al 1966, Aboke (Lira) nel 1967, e di nuovo a Lacor (1968-1970). Chi è vissuto con P. Boschetti nei vari seminari di missione, ricorda, oltre alle qualità già menzionate, il suo amore per gli africani (ne parlava sempre con rispetto e per essi si sacrificava senza riserve; scrisse anche un libretto di meditazioni per le loro vacanze), la sua giovialità e vivacità, la sua schiettezza, direi quasi rudezza, nel manifestare il suo parere anche quando poteva essere contrastante con quello dei superiori, il suo impegno in ogni suo ufficio, la sua osservanza religiosa e la sua ingenuità qualche volta irritante, ma più spesso disarmante. Durante le sue vacanze in Italia prestò generosamente i suoi servizi a Carraia e alla Curia. Ritornato in Uganda nel 1971, passò gli ultimi 5 anni a Kampala aiutando nel ministero parrocchiale e nel disbrigo della corrispondenza regionale. Ultimamente si stava dedicando, con fin troppo impegno, alla preparazione di un piccolo testo di letteratura inglese; si riprometteva, infatti, di ritornare dopo le vacanze ad insegnare in un seminario o l'altro, pronto ad iniziare un'altra delle sue «campagne». Ma chi gli era stato vicino gli ultimi anni dubitava assai che la sua salute, già tanto provata, potesse permettergli di ritornare.

“Bisogna andare”

E qui ci pare di cogliere il messaggio della vita di P. Lelio: un carattere forte (lo diceva lui stesso, scusandosi di scatti o di piccoli incidenti), con volontà di sopravvivere, metodico anche se un po' strano e un po' particolare, ma molto attaccato alla vocazione missionaria, così come poteva viverla nelle sue condizioni di salute, preoccupato anche, come tanti altri, per certi atteggiamenti e svolte moderne anche in seno alla Congregazione e soprattutto per un’apparente diminuzione di preghiera. Ma il suo punto centrale era quello di essere disponibile, non solo a un servizio generale a lui confacente, ma proprio a un servizio qualificato in campo di missione. Sentiva fino in fondo il dovere di essere «missionario», sia che stesse pazientando nei tempi di cura a Verona e altrove, sia che stesse attendendo il rientro in Sudan dal Cairo. Doveva e voleva ritornare in Missione. E questo nonostante le batoste già avute. Si potrebbe quasi parlare di cocciutaggine nel voler restare in missione, proprio perché lì sentiva di rispondere al proprio carisma missionario. Insomma, un missionario che sente sempre - nonostante le avverse circostanze - il richiamo della vocazione, la necessità della partenza reale e della dedizione al proprio carisma. E infine le sue ultime parole. Soccorso dalla sorella e cognato, pienamente cosciente della fine imminente, in preda a fortissimi dolori, chiedeva loro scusa di averli disturbati a quell'ora della notte e domandava perdono a tutti. «Avvertite i Comboniani di Thiene, ma non disturbate il parroco a quest'ora. Già non occorre che venga per la mia confessione: mi sono confessato sabato scorso, come ho fatto tutti i sabati della mia vita. Il Signore mi perdonerà». Era ancora la sua caratteristica semplicità, che pur conoscendo i suoi difetti, conservava la massima fiducia in Colui che aveva amato e servito costantemente tutta la sua vita.

Da Bollettino n. 114,settembre 1976, pp. 57-60