In Pace Christi

Hadrian Pio

Hadrian Pio
Geburtsort : Sennaar/SD
Zeitliche Gelübde : 19/03/1863
Datum der Priesterweihe : 16/06/1872
Todesdatum : 17/08/1873
Todesort : El Obeid/SD

            Lo storico benedettino d . Giovanni Lunardi di Subiaco, pubblicò nel 1972 un breve profilo di d. Pio Giuseppe Hadrian (Il Sacro Speco, 75, 169-174), da cui togliamo i seguenti particolari. "L'abate d. Pietro Casaretto, alla cui opera si deve l'esistenza della Congregazione Sublacense O.S.B., fu pervaso anche da un immenso entusiasmo per l'attività missionaria all'estero... Con il fine di reclutare giovani per il suo collegio monastico per le missioni straniere aperto a Subiaco, fin dal 1851 si era rivolto al sacerdote genovese d. Nicolò Olivieri, noto riscattatore di ragazzi negri schiavi, posti in vendita sui mercati egiziani, chiedendogli qualche suo protetto da avviare alla vita monastica e, in seguito, da mandare come missionario nei paesi d'origine... Nel 1853 due ragazzi africani entrarono nel monastero di S. Scolastica a Subiaco". "Hadrian era nato in una tribù della penisola del Sennar, presso il Nilo Azzurro. A circa 4 anni era stato strappato violentemente dalla famiglia da alcuni mercanti di schiavi e, dopo essere stato più volte venduto e rivenduto nella Nubia, condotto al Cairo venne finalmente riscattato da d. Nicolò O1ivieri. Condotto in Italia, fu affidato ai monaci di Subiaco. Il 24 giugno 1853 fu battezzato dallo stesso abate Casaretto; il 26 aprile 1856 fece la sua prima comunione, e il 18 ottobre successivo ricevette la cresima per le mani del card. D'Andrea, abate commendatario di Subiaco.

            Il 25 febbraio 1861 entrò in noviziato. Mentre, precedentemente, tutto era sembrato procedere senza difficoltà, qualche mese dopo si manifestò nel giovane una profonda crisi, la cui natura ci sfugge. Il 9 luglio abbandonò il monastero, con l’intenzione - ci fa sapere un breve appunto del maestro dei novizi - di deporre l'abito. In realtà, il breve soggiorno a Genova presso il monastero di S. Giuliano e, forse, il contatto con il suo antico benefattore d. Nicolò Olivieri, ebbe esito positivo. La crisi fu superata: il 13 ottobre successivo. infatti, faceva risolutamente ritorno a Subiaco.

            Ad illuminare parzialmente questo periodo, sono utili le note che il maestro, l'inglese d. Adalberto Sullivan, inviava mensilmente all'abate Casaretto. La salute del giovane 'moro' è sempre qualificata come buona; la sua osservanza della Regola e delle consuetudini, come esatta o esattissima; tra le virtù, si mettono in risalto particolarmente l'ubbidienza, la docilità e l'allegrezza; tra i difetti, si dice che è un poco leggero, alquanto sciatto.

            Il 19 marzo 1863 si consacrò al servizio del Signore con la professione semplice, assumendo il nome Pio Giuseppe. Riprese quindi gli studi. Le annotazioni di quei tempi ce lo presentano di una intelligenza non brillante ma sufficiente. Tutto procedeva senza gravi intoppi, quando, nel 1867, si manifestò in lui una malattia misteriosa, un deperimento organico progressivo, che fin dall'inizio apparve ribelle ad ogni rimedio, ad ogni cura, una malattia cronica sconosciuta all'arte medica. Tuttavia riuscì a trascinarsi fino al 1872. Il 26 maggio di quell'anno era ammesso agli ordini minori, nel Sacro Speco; il 2 giugno riceveva il suddiaconato, il 9 il diaconato, e, finalmente, il giorno 16 il sacerdozio.

            Ma il male continuava la sua inesorabile marcia. L'abate Casaretto ne era preoccupato; egli era convinto, però, che il giovane non avrebbe potuto vivere in un clima così rigido ed umido quale quello di Subiaco: solo il clima nativo avrebbe potuto ridargli vigoria e salute. Dello stesso parere erano anche i medici, i quali sostenevano che certo guarirà soprattutto entrando nelle sue terre ... Il Casaretto, proprio in quei giorni, aveva udito di un sacerdote veronese, il quale da alcuni anni era impegnato nell'apostolato missionario in Africa Centrale .... Il Comboni si trovava allora in Roma per definire con la Congregazione di Propaganda Fide le linee della sua attività in Africa. La proposta del Casaretto di affidare il giovane monaco a mons. Comboni, trovò non solo il consenso ma l'entusiasmo generoso di quest'ultimo".

            Prima di proseguire il racconto con le parole del Comboni, ecco una lettera de1l'Olivieri a d. Pio in data 13 aprile 1864:

            “Dilettissimo in Gesù Cristo,

Reduce da un lungo viaggio giunsi qui ieri, e trovai la vostra tanto gradita lettera, cui m'affretto come di dovere a rispondere ringraziandovi ben di cuore della buona memoria che di me tenete, assicurandovi che non passa giorno, che non v'abbia presente nelle mie deboli orazioni onde un giorno possiamo per Divina misericordia avere la bella sorte di farci compagnia nel santo Paradiso.

            Assai poi mi rallegro con voi della professione solenne che faceste, la quale però mi era nota, onde ora procurate di corrispondere alla bella grazia, che Iddio vi fece per quindi poi travagliare con zelo indefesso nella vigna del Signore e mettendo sulla strada del bel Paradiso tanti vostri connazionali che vivono nelle tenebre di morte; oh povere creature! Preghiamo frattanto per queste, e voi disponetevi all'impresa. Mi cagionò grande cordoglio la perdita che facemmo del vostro amatissimo compagno, che dava le più belle speranze, ma dovea essere un frutto maturo pel Cielo, e perciò chiniamo la fronte, e adoriamo i giudizi di Dio, dicendo sempre fiat voluntas tua. Perdonate, scrivo in tutta fretta dovendo rispondere a tante altre lettere, pregate però per me sentendomi poco bene. Presentate i miei più distinti ossequi ai vostri RR. Superiori ringraziandoli tanto tanto da par te mia di quanto hanno fatto e vanno facendo a vostro riguardo. Oh Iddio gli benedica e gli conservi a lunga stagione e faccia il Cielo che i miei voti siano esauditi, e voi figlio mio procurate di andare crescendo di virtù in virtù, facendo gran passi nella via della perfezione, e nel mentre vi auguro ogni sorta di bene credetemi sempre il vostro affmo prete Nicolò Gio.Batta Olivieri missionario Apostolico. Marsiglia, li 7 aprile 1864" (A/30/4). Morì a Marsiglia il 25 settembre 1864.

            Mentre era a Roma con don Squaranti, Comboni scrisse al Canossa il 15 maggio 1872: "Coll'aiuto di Dio sto benissimo, e potemmo ambidue pellegrinare a Subiaco, visitare il S. Speco di S. Benedetto, e passare due giorni con d. Pio moro, che è un angelo; benché malaticcio, ritornato in patria al Kordofan, certo si risanerà, essendo di ottima costituzione. Il Papa e Barnabò acconsentirono che si ordini prete appena che io avessi dato il definitivo consenso di accettazione. Ora che l'E.V. si degnò di accordare il suo venerato consentimento, in 15 giorni il nostro piissimo d. Pio, tanto stimato dal Papa e da molti, sarà prete a nostra disposizione. Ho veduto a Subiaco de' suoi lavori veramente ammirabili. È un bell'acquisto ... D. Pio sarà ordinato Titulo Missionis" (A/14/92).

            Il 6 ottobre 1872 il "Museo delle Missioni Cattoliche" pubblicava questa lettera del Comboni da Vienna, 28 agosto 1872, diretta all'Abate Generale della Primitiva Osservanza: "Sono lieto d'aver meco d. Pio (sacerdote novello, nativo d'Abissinia) che ha fatto un'ottima impressione in tutti a Verona e in Germania, e qui a Vienna fu veduto col più grande interesse. Nutro speranza che sarà la prima pietra dell'Ordine Benedettino osservante che porremo nel nostro vasto vicariato, e in seguito ella, mi preparerà altri Benedettini, che vengano a incivilire l'infelice Nigrizia. Questo sant'Ordine, che ha incivilito il mondo, deve compiere la sua opera nell'Africa Centrale e spandervi il suo santo spirito. Coll'aiuto di Dio, prepareremo case, terreni e il denaro necessario alle nuove fondazioni."

            Il giovane religioso poi, primo sacerdote dell'Africa Centrale, di colore nero, ma di singolare pietà e candore, scriveva in italiano, lo stesso giorno, queste righe, che esprimono il suo affetto alla santa Congregazione: "Oggi ho visitato il Cardinale Arcivescovo di questa città( Vienna) e si è consolato che io sia sacerdote e benedettino. Domani mi presenterò a Sua Maestà Imperiale, poiché egli è il protettore delle missioni dell'Africa Centrale, e un altro giorno andrò a visitare il Nunzio Apostolico benedettino presso a Sua Maestà, che si trova fuori Vienna in villeggiatura. Ella preghi sempre per me e faccia pregare, perché il Signore mi faccia degno suo ministro" (A/16/8/99).

            D. Lunardi, nel citato articolo, ci dà questi altri particolari presi da lettere di d. Pio:

            "Partimmo da Verona, mons. provicario Comboni ed io soli, per Trieste, il 18 settembre mercoledì alle 6 pomeridiane, ed arrivammo a Trieste il giorno seguente di mattina alle 8, per accomodare i preparativi per la partenza. Alloggiati siamo presso la casa del canonico vicario del duomo un certo Giuseppe Schneider, in aspettazione della carovana dei missionari che erano per venire da Verona. Il numero totale di quella era di 14 individui, cioè mons. Comboni, 4 sacerdoti, un chierico, 4 more, una signorina viennese, e tre laici ortolani secolari" (A.B.P., n. 2, p. 45, dà i nomi dei singoli , ma le "more" sono soltanto 3, e non accenna alla signorina viennese). "Salpammo sul Trebisonda del Lloyd Triestino venerdì 20 alle ore 12.30 di notte per Alessandria .... In questo lungo tragitto di mare, grazie di nuovo e sempre a Dio, nulla ho patito o sofferto. Io non so come e perché sia in me questo felice effetto; so questo solo, che fra quasi tutti che sono stati malati per il mal di mare, non eccettuato mons. Comboni, che dice esser ciò per lui la prima volta ... io sto bene .... Sbarcati adunque la mattina, siamo andati ad alloggiare nel convento dei Francescani, ove siamo ospitati caritatevolmente per 3 o 4 ore . Alle 2 pomeridiane dello stesso giorno, 26 settembre partimmo pel Cairo, ove arrivammo alle 7.30."

            "Non descriverò il gaudio, contento, e festa che ci fecero le more ed i mori dei due istituti per il nostro arrivo. Poveretti, avevano molta ragione di farlo, essendo presso un anno e mezzo che aspettavano mons. Comboni, e 5 mesi che aspettavano di vedere un prete moro. Anche qui canti, musiche, tragedie ( !) e commedie non sono mancate".

            Ma c on l ' arrivo al Cairo incominciava ormai il lungo e penoso calvario che avrebbe condotto il giovane monaco alla morte. I primi giorni fu costretto a letto. Il 17 novembre 1872 scriveva: "Sono da 4 o 5 giorni che io non mi sento bene, e che sono più del solito malato" (ivi, 171-172). Il 20 ottobre però, sentendosi un po' meglio, poté fare da padrino, e 1'8 dicembre amministrare un battesimo (A/24/3). Don Losi scriveva il 26 gennaio 1873 : "Mons. Comboni volle che questa funzione fosse celebrata da don Pio, affinché cominciasse così ad esercitare il ministero cui è chiamato.... D. Pio dava a conoscere che ben sapeva quanto importante fosse l'atto che stava per compiere. Chi l'osservava gli leggeva sul volto la gioia di essere giunto al fine in persona a liberare un'anima della sua patria infelice. Mons. Comboni non gli potea fare grazia più gradita" (A.B.P. 3, 11-15).

            La sosta in Cairo fu di appena 4 mesi. "Il 26 gennaio 1873 lasciò il Cairo colla grande carovana guidata dal suo capo, e dopo novantanove giorni di penosissimo viaggio sul Nilo e attraverso il deserto, giunse a Khartum. Dopo un mese ripartì col provicario per il Kordofan, giungendo ad El Obeid il 20 giugno. Dopo circa un mese di dimora in questa nuova missione, ove l'aria è salubre, si ridestò vigorosamente l'antica sua malattia, e declinando sensibilmente, aggravato da violenta dissenteria, conseguenza di una cronica affezione all'intestino contratta da anni, dopo 20 giorni di acuti dolori, sostenuti con cristiana allegrezza ed edificante rassegnazione, pose fine ad una vita immacolata ed eminentemente religiosa, con la morte del giusto, lasciando nel dolore i suoi diletti confratelli, che non potranno mai dimenticare questo primo fiore del sacerdozio dell'Africa Centrale, abbellito dalle fulgide virtù della più preclara tra le cenobitiche famiglie della Chiesa". (A.B.P. 6, 44). Ecco come Comboni ne dava l'annuncio da El Obeid il 20 agosto 1873:

            "Col più vivo dolore dell'anima nostra ci affrettiamo ad annunziare che il R. D. Pio Giuseppe Hadrian, sacerdote benedettino della primitiva Congregazione Cassinese e Miss. Ap. dell'Africa Centrale, dopo lunga malattia cronica, sconosciuta all'arte medica, contratta da parecchi anni in Europa, munito di tutti i conforti religiosi, con edificante rassegnazione e coraggio cristiano, volò agli eterni riposi ai 17 agosto 1873 alle 8.30 antimeridiane nell'eta di circa 26 anni in El Obeid del Kordofan".

            Questo scritto era accompagnato da questa lettera del Comboni : "Nel darle il doloroso annunzio della morte di D. Pio le prometto di scriverne i dettagli per mezzo della Propaganda. È andato diritto in paradiso. Siccome ai 18 agosto dell'anno scorso io l'avea associato ad una congregazione a Verona, ho dato al presidente l'annuncio, perché gli vengano celebrate più di 600 (seicento) messe di diritto. Non le posso dire quanto sia grande il mio dolore: ma sia fatta la SS.ma volontà di Dio! " (A/l/8/l/k).

            Abbiamo letto sopra come Comboni, entusiasmato dalla vocazione sacerdotale e missionaria di questo benedettino africano, sognasse un futuro apostolato di Benedettini nel Sudan. L'anno dopo, don Losi, giovane e in un estro poetico, descrive così la sua visita alla tomba di d. Pio in El Obeid il 25 aprile 1874:

            "Parea si dicesse per solo volo poetico quando eravamo ancora nell'Istituto di Verona, che un giorno saremmo sepolti sotto la sabbia in qualche deserto. Per i primi nostri compagni che già soccombettero pel loro zelo verso l'infelice Nigrizia, già si è verificato in realtà.

            La prima domenica dopo il mio arrivo in Obeid mi feci accompagnare coi mori al cimitero, soprattutto per visitare la tomba del p. Pio, già mio compagno e amico personale. Ci volle non poco tempo a sortire dalla citta, che è immensamente grande per ogni verso, e dopo aver fatto un mezzo miglio tra ossami verdi e secchi di bestiame e qualche corpo ancor pascolo dei cani, delle aquile e delle iene, giungemmo in una spianata, a vista d'occhio, di sabbia rossa con alcune pietre poste ad intervalli, che andavano in giro del piccolo deserto, e alcuni rialzi di sabbia qua e là senz'ordine. Mi fu detto essere questo il cimitero: la "torba": le pietre segnare i confini e i rialzi di sabbia le tombe dei fratelli. Mio Dio, dissi, qui bisogna proprio far conto appena dell'anima: il corpo convien rassegnarlo all'avventura delle circostanze e luoghi in cui moriremo. Vi fu quindi chi mi indicò la tomba dell'amico compagno, morto sul verde delle sue e nostre speranze, e non si distingueva in nulla dagli altri rialzi, se non che da un capo era mezzo rovesciato e si comprendeva il segno di un attentato fatto qui per andar sotto. E mi dissero tosto i mori essere l'attentato del marfain (iena) che di notte suole andare in cerca di cadaveri e scava talora fin sepolcri di pietra. Ma la tomba del p. Pio mi dissero fu assicurata bene di dentro, attorniando tutta la cassa di spine. Convien dunque raccomandarci alle spine, se no non siamo sicuri neanche in morte. O spine! Che foste la salute dell'anima, lo sapeva, ma che foste la salvezza anche del corpo non l'avea mai immaginato" (A/27 /19/11; A/2l/4).

Da P. Leonzio Bano, Missionari del Comboni 3, p. 34-40