In Pace Christi

Bertoli Pietro

Bertoli Pietro
Geburtsdatum : 29/06/1820
Geburtsort : Venezia/I
Todesdatum : 26/12/1872
Todesort : El Obeid/SD

            È il primo morto in Africa tra i missionari del Comboni. Il suo nome non compare nello SPV, ma Rolleri scrive in quello del Cairo: "Frat. Pietro Bertoli, falegname ed infermiere, veneto, arrivò a l Cairo in novembre 1870. Partì per l'interno della missione il 26 ottobre 1871. Morì ad El Obeid il 26 dicembre 1872 a 42 anni" . E aggiunge in nota : "Questi fin dal 1867 si era portato a Marsiglia, assieme agli altri, per recarsi in Egitto; lui poi, per certe ragioni, ritornò in patria, e vi venne poi" (SPC , 16).

            Sbrogliata la controversia con Castellacci a Roma, Comboni partì con le 12 morette e arrivò a Marsiglia la sera del 25 novembre, ripartendo per l 'Egitto il pomeriggio del 29. Scrisse quello stesso giorno al Canossa: "Eccone una. Pietro Bertoli, il laico che venne a Marsiglia coi padri, ha f atto tribolare i medesimi . Manca di spirito : fu tale l'impressione prima che mi fece a Roma, e l'E.V. n 'è testimonio. Le includo una lettera scrittami. Dopo fervida preghiera a Gesù, e serie considerazioni, abbiamo deciso di rimandarlo indietro; e a tal e oggetto l 'ho provveduto di denaro fino a Verona, ove certo non ritornerà. È un gran sacrificio all'amor proprio: ma in missione sarebbe l 'ostacolo alla pace di noi, che abbiamo un cuor solo. Fiat ! Spero che il nostro venerato padre approverà la nostra determinazione. Or Bertoli mi prega piangendo di venire con noi: il mio cuore ne è commosso; ma la coscienza non consentirà mai" (A/14/46).

            A conferma, Comboni scriveva al Canossa da Messina il 1. dicembre 1867: "Le dirò che mi trovo sempre più soddisfatto e. contento di aver presa l a ferma determinazione di rimandare il laico Bertoli: è uomo di buoni costumi, di buonissimo cuore, fornito di capacità medico-flebotome ecc. e di buon criterio: ma la dose del suo orgoglio ed amor proprio era troppo grande per essere compatibile coll'umiltà e docilità necessaria in una difficile missione. Il buon p. Zanoni mi ripeté più volte: "Se io sono il Giona , gettatemi nel mare". Fui irremovibile nel volerlo rimandare. La sera del giovedì, e la notte, si gettò il Bertoli ai miei piedi, si gettò ai piedi degli altri, pianse, chiese perdono , tutta la notte bussò alla mia camera, faceva spavento e compassione, perché bramava assolutamente venire. Dio sa quanto ha sofferto il mio cuore nel persistere al rifiuto; ma il dovere della coscienza e la gloria di Dio deve essere superiore a tutte le esigenze del cuore. Noi andiamo a fondare una missione e nuovi stabilimenti in paesi, in cui la stessa virtù sarà criticata e attaccata: guai se il veleno della discordia entra in mezzo a noi: è duopo che le prime impressioni della novella missione in Egitto sieno buone, è duopo che campeggi l'onore, il rispetto, e che gli interessi della gloria di Dio sieno trattati con tutto il decoro e la santità del ministero; dal principio, dalla felice e buona iniziativa dipende tutto; ho chiuso il cuore alla compassione, e decisamente l'ho rimandato, fornendo il Bertoli del denaro necessario fino a Verona" (A/14/47).

            Giunto a Marsiglia la sera del 25 novembre, Comboni apprese dai Camilliani la loro opposizione ad accogliere fr. Bertoli tra i partenti, opposizione assai decisa, specialmente da parte di p. Zanoni, che praticamente pose un "aut aut", Comboni, che non aveva il tempo di fare un esame approfondito della sua vocazione o idoneità, accettò la decisione dei Camilliani, pur con tanto suo cordoglio. Ma qual'era la causa dell'avversione, in particolare di p. Zanoni, contro fr. Bertoli? La fa capire p. Stanislao Carcereri nella sua Cronaca per il 1867: "Il fratel Pietro Bertoli, ch'era stato per molti anni nostro Oblato a Mantova, nel medesimo giorno (25 ottobre 1867) partì per Mantova a pigliare il p. Zanoni, che pareva un po' indeciso. A notte avanzata di quel dì ci trovammo tutti uniti in un albergo di Genova... " E riferiva la partenza da Marsiglia dei membri della spedizione, "meno il fr. Bertoli, che per una questione impegnata da lui col p. Zanoni in fatto di medicina, si vide necessario di rimandarlo ad istanza specialmente del medesimo p. Zanoni" (A/17/7/5-6). E il 15 dicembre 1867 lo stesso Carcereri scriveva al provinciale p. Artini: "Rimandammo in domum suam il fr. Pietro, perché poverino dichiarava di non voler per nulla in seguito star soggetto al p. Zanoni e a nessuno, ma fare da sé, e quasi direi, tentar fortuna, indipendentemente dal nostro scopo".

            Quale sarà stata la "questione impegnata da lui col p. Zanoni in fatto di medicina"? Rivalità di mestiere, di competenza? Non sarà stato uno stinco di santo il povero Bertoli, e avrà mancato di rispetto, soggezione, o addirittura indipendenza riguardo a quello che era stato suo superiore a Mantova. P. Zanoni avrà rincarato la dose parlandone a Comboni, ed ebbe, naturalmente, partita vinta. Ma non è da escludere qualche risentimento o avversione anche da parte del padre, specialmente tenendo conto di quanto avverrà in seguito. Sembrano significative queste parole del Comboni, scritte dal Cairo a Canossa il l febbraio 1868: "Il padre Zanoni è l'anima dell' interno della casa , ed esercita una grande carità cogli ammalati all'esterno. Egli inoltre è il medico di casa, il maestro falegname, fabbro ferraio, ingegnere, muratore, pittore, tutto: pieno di abilità, pazienza, attività, egli è dappertutto e per tutto. Non so spiegare in verun modo l'antipatia che nutriva contro di lui Pietro Bertoli, che ho decisamente rimandato da Marsiglia; certo fu una gran dose di orgoglio che ha dominato quel cuore" (A/IS/51). La descrizione che fa Comboni del p. Zanoni ricorda quella di qualche altro padre "fratello" di tempi più recenti. Ma sappiamo anche come tutta questa facciata appariscente dello Zanoni crollò miseramente poco dopo. E allora, era tutta colpa del Bertoli?

            Per ora, prendiamo atto di quanto scrisse Comboni a suo merito nella citata lettera al Canossa: "Bertoli è uomo di buoni costumi, di buonissimo cuore, fornito di capacità medico-flebotome etc. e di buon criterio". Queste sue doti devono aver influito nel farlo riaccettare sia dai Camilliani che dal Comboni

            P. Stanislao Carcereri scriveva dal Cairo 4.10.1869: "Bertoli non ha mai cessato di instare per venire a noi - anche ultimamente ne ha scritto al vescovo, e ne ha fatto scrivere a d. Daniele - il vescovo pare che non sarebbe lontano dal dargli il consenso - e a certi patti forse cederemo anche noi - ma necessita in primis che si disponga a fare di tutto, e a lasciarsi reggere con tutta la dipendenza - altrimenti sarebbe un intrigo" (A/19/2/3). Scrisse infatti Carcereri dal Cairo al suo provinciale p. Artini il l0 dicembre 1869: "Al Bertoli, da cui riavemmo una lettera di domanda, ma non quale ci era stata promessa, risposi io ai 16 dello stesso mese: gli ho fatto conoscere il suo torto reale, gli ho spiegato che umile posizione gli sarebbe preparata nella nostra missione, gli accennai le doti che gli sarebbero necessarie per essere utile, e gli feci sperare di essere accettato qualora facesse le debite proteste di dipendenza e umile soggezione. Ora stiamo attendendo la sua decisione finale, dopo aver letto con soddisfazione il giudizio di V.P.M.R. su questo particolare" (A/17/9/1/l30). E il 3 aprile 1870: "Bertoli assai probabilmente sarà dei nostri; prima di partire certo glielo significherà" (A/17/9/138). In una successiva "notizia" sulla Missione Camilliana, Carcereri scriveva: "Nel 1870 ... il fr. Pietro Bertoli e il fr. Giacomo Rossi , già vecchi oblati della nostra casa di Mantova, avevano raggiunto i due padri" (A/19/2/4).

            P. Carcereri, nel comunicarne la morte, scrisse da El Obeid il 29 dicembre 1872 : "Fr. Pietro Bertoli era ammalato di vecchiaia; già da due mesi la sua gamba non lo lasciava uscire dalla sua stanza, ed una vecchia bronchite lo andava consumando . Egli era preparato alla morte da tempo; negli ultimi giorni aveva distribuito fra noi le sue cosette; erasi confessato e comunicato, e ci aveva incaricati di dare a sua madre e sorella la notizia della sua morte , aggiungendo che moriva contento di aver servito come poteva questa nostra missione. Quando lo trovammo morto era ancora caldo: la sera antecedente aveva cenato come il suo solito, e non dava il minimo sospetto di una crisi repentina. Egli dovette morire placidissimamente, mentre la posizione, in cui fu trovato, era di un dormiente ... Egli era nato a Venezia il 29 giugno 1820" (A. B.P. 3, 43-45). Aveva quindi 52 anni alla morte (non 42 come scrive Rolleri). '

            Gli A.B.P. dopo averne annunciata la morte, danno questi particolari (oltre la data di nascita): "Entrò come Oblato nell'Ordine dei Ministri degli Infermi il 6 ottobre 1857 (a 37 anni dunque), e vi stette fino al 13 giugno 1867. In questo lasso di tempo, esercitò la virtù della carità, di cui era pieno il suo cuore, in pro degli ammalati dello spedale di Mantova, ove spiegò un'attitudine straordinaria specialmente per le cure chirurgiche. In vista di ciò venne in breve costituito capo infermiere. Per questa sua carità ed intelligenza nell'esercitare l'officio suo, egli godeva la stima e l'amore non solo degli ammalati, ma dei signori medici primari di chirurgia e di medicina, e del capo farmacista, i quali, prima della sua partenza, di proprio moto vollero rilasciargli amplissimi onorevoli attestati.... Anzi, il chirurgo primario fece ogni sforzo per trattenerlo, facendogli anche larghe profferte. Più tardi lo fece ricercare, e si esibì di pagargli le spese del viaggio, ed un conveniente emolumento perché ritornasse a Mantova. Ma non ne fu nulla; egli preferì di menare una vita stentata, mendicare il pane, anziché servire fuori della dipendenza religiosa. Il R.P. Modena dello stesso ordine nel 1867 lo ritrovò in Roma in condizione veramente miseranda. Serviva da custode della chiesa di S. Cesario. Viveva delle scarse mance che gli davano i forestieri che visitavano quel luogo, e di qualche povera offerta che gli contribuivano i cultori di quelle deserte ortaglie in riconoscenza di qualche cura medica o chirurgica che esercitava verso di loro . Per luogo di abitazione aveva un misero tugurio, e per letto un giaciglio di paglia. Il prefato padre fu commosso a quella vista, e fece pratiche presso il p. Alfieri generale dei Fatebenefratelli, perché lo accogliesse in qualche suo istituto; il quale lo ricevette di buon grado , e vestitolo, lo mandò a Jesi. Poco dopo don Daniele Comboni passando di là lo condusse seco a Verona e quindi al Cairo. Finalmente nel 1871, colla compagnia dei primi esploratori parti pel Kordofan, ove lasciò la terra per andare a cingere la corona dovuta ai suoi meriti in cielo" (A.B. P., 3, 45-46) .

            Comboni trovò Bertoli "in povere condizioni presso la chiesa di S. Cesario dei Fatebenefratelli in Roma" (non parla di Jesi) e ne scrisse al Canossa il l0 aprile 1870: "Il fratel Bertoli sta in Roma, e noi al Cairo, per parte nostra, l 'abbiamo accettato, ma vi vuole la sanzione del vescovo, il quale sta in bilico. Mons. Cavriani me ne fa grandi elogi, e me lo raccomanda; ma io bramerei il di lei giudizio. Se ella approva la sua vocazione all'apostolato, penso io a risolvere la controversia. Dunque la prego di espormi coscienziosamente il suo giudizio per mia norma" (A/14/36/22). Si vede dunque che la presenza di Bertoli non era più un pericolo per la comunità, specialmente dopo l'abbandono di p . Zanoni, e che presentava sufficienti garanzie di buona riuscita, nonostante l'età e le passate vicende. Anche se non sembra p. Carcereri ne fosse proprio entusiasta. Scriveva infatti a Comboni il 27 agosto, prima di partire pel Kordofan, che non intendeva prendere seco "il beccamorti fr. Bertoli" (A/1/10/16/3-4) . Però, nel suo rapporto al Comboni da El Obeid del 12 febbraio scriveva: "Partii secondo i suoi ordini col p. Giuseppe Franceschini e coi fratelli coadiutori Pietro Bertoli, medico e farmacista, e Domenico Polinari, catechista e agricoltore" (A/17/18/29) .

            Nella sua Cronaca , per il 1872, Carcereri scrive: "Si giudicò opportuno di lasciare a Khartum fr. Bertoli, che era partito malato in una gamba, ed il viaggio, le cadute da cammello, avevano reso bisognoso di riposo" Anch'egli raggiunse El Obeid poco dopo: "Il p. Franceschini ed il fr. Bertoli ebbero il merito principale di tutte queste fatture, che per El Obeid furono tante meraviglie" (fabbriche, portone della missione, campanelle, ecc. (A/17/7 /l3, 15).

            Sempre nella Cronaca, Carcereri scriveva per il 1873: "Il fr. Bertoli, come dissi, venne dall'Italia malaticcio - in Cairo gli si sviluppò un male cronico al ginocchio .... fece del le cure inutilmente, e volle partire con noi ad ogni costo. Le fatiche del viaggio influirono forse ad abbreviare i suoi giorni: la mattina del 26 dicembre 1872 fu trovato cadavere" (A/17/ 7/16).

            La sua morte, continua p. Carcereri nella sua del 29 dicembre 1872, "ha fatto fare un acquisto necessario alla nostra missione. Noi avevamo chiesa, ma non cimitero.... Dopo la morte di fr. Pietro, ne feci domanda al governatore. Fu trovato il luogo chiesto essere proprietà del figlio dell' antico re del Kordofan, sultano Congiara Calif. Io chiesi di comperarlo. Il sultano venne in casa nostra; gli si offrirono venti talleri. Egli rispose: l'uomo ha diritto di andare in terra dopo morte, mentre è fatto di terra; la terra è di Dio e pei morti; voi farete un'opera pietosa, ed io voglio prendervi parte .... vi dono per sempre il terreno. Sono 2500 metri quadrati, a poca distanza dalla città ... Ivi è sepolto per primo il nostro caro Pietro" (A.B .P. 3, 44-45).

Da P. Leonzio Bano, Missionari del Comboni 3, p.11-16