4 Ottobre: Veglie

Introduzione

Con un triduo di celebrazioni a Roma, la Famiglia Comboniana ha condiviso con la Chiesa Universale e con tutto il popolo di Dio la gioia e la riconoscenza per il grande dono della Canonizzazione del Fondatore Daniele Comboni, missionario dell’Africa Centrale.

Veglie di preghiera in sette lingue in sette chiese

Alla vigilia del grande evento della Canonizzazione di Daniele Comboni, l’intera Famiglia Comboniana, unita ai numerosi pellegrini venuti da quattro continenti, ha celebrato una veglia di accoglienza e di preghiera contemporaneamente in sette diverse chiese di Roma a seconda delle varie lingue, per poter dare a tutti i partecipanti la possibilità di elevare con il cuore la propria preghiera al Signore e sentirsi in comunione con il mondo intero.
Al caloroso benvenuto da parte degli organizzatori delle differenti veglie sono seguiti letture bibliche, stralci dagli scritti di Comboni, testimonianze di missionari/e e laici, canti e danze che hanno contribuito a creare un clima di festa. Un momento emozionante della celebrazione è stata la processione con il quadro di Daniele Comboni portato solennemente all’altare maggiore dalle persone dei diversi gruppi linguistici.

La prima parte della veglia ha sviluppato la memoria dell’opera di Dio nel tempo e, in particolare, di quell’opera di salvezza raccontata nella storia del popolo di Israele (Es 3,7-12) e nelle storie di santità di tante persone che hanno dato la vita per il Vangelo, soffermandosi in particolare nel ricordo della dedizione del nostro Fondatore (S 809, 926) e della sua fedeltà fino alla morte: “Abbiate coraggio in quest’ora dura, e più ancora per l’avvenire. Non desistete, non rinunciate mai. Affrontate senza paura qualunque bufera. Non temete, io muoio, ma l’opera non morirà.”

L’attualità del messaggio di Comboni è stata focalizzata nella seconda parte della veglia: il presente come “oggi di Dio”. Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre (Gv 10,7-18). Per la forza del suo amore di Buon Pastore risorto dai morti anche l’opera di Daniele Comboni ha un oggi e un futuro pieno di speranza (S 944, 2790, 3553).

Nella terza parte della riflessione, guardando al futuro, è stato sviluppato il dono del carisma comboniano, dono che cresce e si sviluppa nella Chiesa e nel mondo grazie all’azione dello Spirito che nelle diverse epoche ha suscitato nel cuore di tanti/e giovani il coraggio di seguire Cristo per annunciare il suo Vangelo ai più poveri e abbandonati di tutto il mondo (S 6655-6656). È lo stesso Spirito che ha animato e sostenuto Daniele Comboni e che ha fatto di lui un profeta della missione.

Veglia di preghiera in lingua italiana

Il gruppo di pellegrini di lingua Italiana si è riunito nella maestosa Basilica di San Paolo fuori le Mura dove il vescovo di Verona, Mons. Flavio Roberto Carraro, ha presieduto alla celebrazione sottolineando, nella sua omelia, il grande coraggio di Comboni.

Omelia di Mons. Flavio Roberto Carraro, Vescovo di Verona

È un segno duplice della fedeltà al Signore che vi ha parlato attraverso Daniele Comboni e dell’ansia missionaria che avete. In questo momento ci sentiamo uniti agli altri fratelli e sorelle che in varie parti della stessa Roma ma anche altrove, con un’altra liturgia e in altre lingue benedicono e ringraziano il Signore per il dono di Daniele Comboni fatto all’umanità e alla Chiesa.
In particolare vorrei ringraziare i fratelli e le sorelle che ho visto giungere in ritardo per i noti motivi* di ciò che sta avvenendo in questo territorio, in questo ambito di Roma, in questi giorni, in particolare questa sera. Ringraziarvi perché anche voi non avete desistito, non avete avuto paura; chissà che cosa succede, mi posso trovare dentro. Avete atteso, avete pazientato, avete camminato, siete arrivati. Il Signore vi benedica. Anche questo per noi è un segno che l’esempio, l’esortazione di Daniele Comboni sono ancora colti. Tantissime cose abbiamo sentito tutti in questi giorni e ancora ne udremo celebrando il Signore ed esaltando la sua opera in Daniele Comboni che ha trovato sempre disposto alla sua voce, sempre proteso a realizzare la sua volontà.
Permettete che sottolinei qualche aspetto che mi sembra particolarmente interessante per noi oggi. Credo che tutti rimaniamo colpiti per la costanza, l’insistenza con cui si è dato al Signore e ha chiesto la collaborazione delle persone.
Si è dato al Signore quando ha capito quale era la voce di Dio ed era disposto a dare, come abbiamo udito, non una vita ma mille vite.
Che cosa vuol dire avvertire la vocazione del Signore, ed essergli fedeli? Noi oggi viviamo in un tempo chiamato di pensiero debole, di fragilità psicologica, d’incapacità di costanza. Non credo che sia proprio tutto vero, però in parte sì, e in parte anche il vocabolario che conosciamo su quest’ambito della costanza, della fedeltà, del per sempre, assume per tanti giovani di oggi un significato diverso da quello tradizionale, da quello evangelico.
Per sempre fin che la va, per sempre fin che me la sento, per sempre finché non trovo ostacoli che mi facciano divergere dalla via che avevo intrapreso.
Daniele Comboni si presenta proprio come il dono di Dio, che ci aiuta a capire quanto il Signore è vicino a chi gli domanda la fedeltà. Abbiamo letto il primo brano del libro dell’Esodo dove, alle difficoltà di Mosè, Yawè risponde: “Io sarò con te”. Quante volte deve essere risuonato all’orecchio, al cuore, alla mente di Daniele Comboni questa voce di Dio: “Io sarò con te”. E mosso da questa presenza. ha avuto il coraggio di affrontare immense difficoltà. La vita è stata veramente erosa dal quotidiano. Fatiche in Africa, fatiche in Europa per contattare persone, per annunciare la Parola di Dio che chiama alla evangelizzazione, per scuotere “corti reali”, luoghi di comando, di governo, affinché la gente tutta e le istituzioni si aprissero seguendo la Chiesa che pure egli cercava di animare attraverso le sue strutture al bisogno di evangelizzare l’Africa.

Il coraggio. Non ha risparmiato niente di sé stesso ma ha avuto anche un coraggio che talvolta ci manca nel manifestare la nostra fede. Quasi che ci vergogniamo o pensiamo chissà che cosa perché non siamo abbastanza convinti, forse, o non abbiamo riflettuto abbastanza che il Signore è con noi, e che se sentiamo una chiamata, se il Signore ci ha dato un percorso per questa vita terrena dobbiamo seguirlo sempre, nonostante le difficoltà che possiamo incontrare, perché Lui ci dice “Io sono con te”.
In una lettura, proclamata poco fa, abbiamo capito che era lo sguardo al Crocifisso che gli dava la forza di continuare, la forza per immolarsi a lui, la forza di darsi agli altri, come Gesù, dando anche la vita. Perciò quando siamo percorsi da una titubanza, da una paura, da una incertezza, sappiamo dove possiamo attingere.
Il Signore è lì per distribuire la sua misericordia, la sua forza, l’ispirazione della parola che dobbiamo pronunciare per aiutare le anime a comprendere e ad accettare l’evangelizzazione da farsi e l’evangelizzazione che si riceve.
Io credo che questo sia un passaggio molto importante per la vita della Chiesa. Guardiamo un momento all’opera che continua attraverso i figli e le figlie del Comboni. Quanti sono? Quattro migliaia, cinque migliaia. Comboniani: Sacerdoti e Fratelli, Comboniane, Consacrate Secolari, Laici che sentono particolarmente questa spiritualità. Ma che cos’è questo gruppo di persone di fronte al mondo, di fronte all’Africa?
Eppure l’Africa che noi conosciamo oggi non è già più l’Africa che ha conosciuto il Comboni. La sua opera ha inciso nelle strutture, nella mentalità, chiaro perché è l’opera di Dio, è la forza del Vangelo, è la presenza dello Spirito Santo ora invocato che fa cambiare le situazioni. Dobbiamo avere questo coraggio, non confidando nelle nostre forze, nelle nostre possibilità, ma essendo certi che il Signore ci accompagna.
Lui ha amato la gente dell’Africa affinché fosse amata da altri. Noi abbiamo una situazione particolare. Dobbiamo chiederci: cosa farebbe oggi il Comboni per noi che non andiamo in Africa, ma che notiamo, vediamo ogni giorno gli Africani che vengono a noi? Come dobbiamo vivere questa situazione, come affrontarla, che cuore manifestare, che coraggio anche di fronte alle difficoltà politiche, sociologiche, giuridiche per le leggi che abbiamo?
Dobbiamo avere il coraggio della carità, la certezza della forza di Dio che è in noi “Io sarò con te”.
Dobbiamo muoverci ma mai con prepotenza e sempre con benevolenza e costanza. Sempre sicuri che se noi ci proponiamo, la grazia di Dio scende e fa sì che il chicco che noi seminiamo diventi albero cresciuto. Non dobbiamo spaventarci, non dobbiamo desistere e come cittadini abbiamo il dovere, perché ne abbiamo il diritto, di esprimere anche la nostra sensibilità sui problemi che riguardano queste persone, quest’Africa che continueremo ad andare a trovare e che accetteremo sempre con gioia quando verrà tra noi.
Il Cuore del Buon Pastore. Per questo il Padre mi ama, perché io offro la mia vita per poi riprenderla di nuovo. Il Signore offre la sua vita per riprenderla. Muore ma ci dice che risorgerà. È il dono che fa anche a noi; darci la forza per offrire la nostra vita per i fratelli nella evangelizzazione, nelle opere della carità sapendo che ciò che ci attende è il dono del Signore nella vita eterna. Le ultime parole di Daniele Comboni rimangano come messaggio che il Signore propone a noi oggi, perché lo viviamo e lo proponiamo ad altri fratelli e sorelle. Il Signore è con noi.

Veglia di preghiera in lingua inglese

Nella Basilica di Sant’Andrea della Valle si sono riuniti i pellegrini di lingua inglese. Questa veglia è stata presieduta da Mons. Gabriel Zubeir Wako, Arcivescovo di Khartoum e primo successore sudanese di Mons. Daniele Comboni.

Veglia di preghiera in lingua francese

La veglia in lingua francese ha avuto luogo nella bella Chiesa della Traspontina. Mons. François Xavier Yombandje, vescovo di Kaga-Bandoro (R.C.A.) ha presieduto la celebrazione. Nella sua omelia il vescovo ha sottolineato due importanti aspetti della vita missionaria di San Daniele Comboni: la grande stima che egli aveva degli africani e il suo far causa comune con essi che egli vedeva come veri fratelli nella grande famiglia che è la Chiesa.

Veglia di preghiera in lingua portoghese

I pellegrini di lingua portoghese si sono riuniti nella chiesa di Santa Maria in Trastevere che si è dimostrata troppo piccola per accogliere tutti i partecipanti alla veglia. Mons. Gianfranco Masserdotti, comboniano e vescovo di Balsas, Brasile, ha presieduto alla celebrazione; era accompagnato da Mons. José Maria Pires, il grande vescovo afro-brasiliano, vescovo emerito di Paraiba, conosciuto per gli impegni in difesa dei diritti dei poveri, in particolare dei neri in Brasile.

Veglia di preghiera in lingua spagnola

Il Vicario Apostolico di Esmeraldas (Ecuador) Mons. Eugenio Arellano Fernández MCCJ, ha presieduto alla veglia in lingua spagnola che ha avuto luogo nella chiesa di San Gregorio VII. Erano presenti pellegrini dal Messico, Ecuador, Perú, Centro America, Cile, Colombia e Spagna.

Veglia di preghiera in lingua tedesca

I pellegrini di lingua tedesca venuti dalla Germania, Austria e Sud Tirolo hanno avuto la gioia di avere con loro il Cardinale Walter Kasper il quale prima di essere chiamato in Vaticano era stato vescovo della Diocesi di Rottenburg-Stuttgart alla quale le comunità di Ellwangen appartengono e dalla quale molti pellegrini sono venuti a Roma. Nella sua vivace omelia il cardinale ha focalizzato la grande importanza di Comboni per il mondo e per la cristianità oggi. Alla fine della celebrazione i pellegrini hanno avuto la sorpresa di essere invitati ad un’agape fraterna nei locali della Chiesa Nuova dove si era tenuta la veglia, celebrando così la loro comunità di pellegrini comboniani con la condivisione del pane e del vino.

Homilie bei Kardinal Walter Kasper

„Ich habe das Elend meines Volkes in Ägypten gesehen“. Daniel Comboni begegnete dem Elend des Volkes in Afrika erstmals als er mit 17 Jahren einem Afrikaner begegnete, der auf einem Sklavenmarkt in Afrika losgekauft wurde. Da erfuhr er erstmals konkret das Afrika des 19. Jahrhunderts mit dem Sklavenhandel, den Stammesfehden, den Streitigkeiten der europäischen Mächte um Vorherrschaft, die Ausbeutung durch die Kolonialmächte. Damals legte er sein Versprechen ab, sich ganz der Evangelisierung Afrikas zu widmen.
Er tat es mit unglaublicher Kraft und Konsequenz und Leidenschaft. Eine Reise auf dem Rücken eines Kamels von Ägypten nach Khartum war damals eine ganz andere Sache als heute. Viele Missionare wurden bereits in ihren besten Jahren von Krankheiten erfasst und hinweggerafft. Es bestand die Gefahr das Missionsprojekt für Afrika aufzugeben. Ihn konnte keine Mühe und kein Misserfolg abschrecken. Bei Tag und bei Nacht, bei Regen und Sonnenschein, immer wollte er bereit sein, Menschen in Afrika, Armen und Reichen, Jungen und Alten, Gesunden und Kranken zu helfen. Er hielt durch und ermahnte noch auf dem Totenbett seine Mitbrüder ihrer missionarischen Berufung treu zu bleiben. Afrika oder Tod, war sein Motto. Die Bekehrung Afrikas war die Leidenschaft seines Lebens.
Er motivierte andere, begeisterte sie für die Mission, machte Reisen in fast alle Länder Europas, gründete verschiedene Institute, sammelte Freundeskreise, schrieb in Zeitungen, wandte sich an die Kongregation für die Mission, an den Papst, an die Konzilsväter des I. Vatikanischen Konzils. Er hatte eine Vision für Afrika und seine Wiedergeburt. Er wollte, dass Afrika einen Platz hat in der Kirche, im mystischen Leib Christi. So wurde er Apostel, Vater und Freund der Afrikaner. Sie sollten nicht mehr Objekt anderer sein, sondern selbst Subjekt, Menschen mit eigener Würde, Menschen mit einer großen Zukunft. Deshalb wollte er Afrika mit Hilfe der Afrikaner retten.
„Ich habe das Elend meines Volkes gesehen“. Dieses Wort erinnert mich an meine eigene Reise in den Sudan vor etwa 10 Jahren und an viele andere Reisen nach Afrika. Afrika leidet bis heute. Besonders der Sudan ist seit Jahren von einem schrecklichen ethnischen und religiösen Konflikt heimgesucht. Das Herz tut mir noch heute weh, wenn ich daran denke, was ich damals gesehen und gehört habe. Seither ist nichts besser geworden. Der Sudan und ganz Afrika brauchen auch heute noch Männer und Frauen wie Daniel Comboni. Männer und Frauen, welche die Afrikaner gerne haben und sich für sie einsetzen. Afrika braucht gute Hirten nach dem Vorbild Jesu, die ihr Leben hingeben für die Sache der Afrikaner.
Damit sind wir schon bei einem zweiten Punkt. Warum tat Comboni das alles? Warum lud er sich all diese Anstrengungen und Strapazen auf? Er tat es nicht als Philanthope, Forschungsreisender, Händler, Politiker oder Wirtschaftler, sondern – wie er in seinem Plan zur Wiedergeburt Afrikas 1864 schrieb – „im Geheimnis des gekreuzigten Christus“. „Ich bin mit Christus für Afrika gekreuzigt“, sagte er oft. Er sah für die Afrikaner nur einen Weg zu ihrer Würde: Der Glaube an Christus.
Daniel Comboni war ein von Jesus Christus Ergriffener, ein von Jesus Christus Überzeugter, ein von Jesus Christus in Dienst Genommener, und von und mit Jesus Christus ließ er sich unter das Kreuz stellen. Es war eine Theologie und Spiritualität des Kreuzes. Er, der Prophet, war zugleich ein Martyrer, ein guter Hirte, der in der Nachfolge Jesu sein Leben hingeben wollte für die Seinen. Deshalb schreckte er vor nichts und vor niemand zurück. Sein Leben war ein langes Martyrium. Nach seinem Tod brach dann ein blutiges Martyrium für seine Missionare und Missionarinnen an. Es dauert heute für viele afrikanische Christen und Europäer, die in Afrika noch missionarisch tätig sind, fort. Doch er wie diejenigen, die sich ihm anschlossen, waren und sind überzeugt: Im Kreuz ist Heil. Allein im Kreuz ist Heil. Das Blut der Martyrer ist der Samen für neue Christen.
So muss uns dieser neue Heilige aufschrecken und aufrütteln aus einem bequem gewordenen bürgerlichen und oft verbürgerlichten Christentum, das um das Kreuz einen großen Bogen macht, das ein Christsein zu herabgesetzten Preisen will, das opferscheu und schnell entmutigt ist, wenn Widerstände auftreten. Wenn das Samenkorn nicht in die Erde fällt und stirbt, bringt es keine Frucht.
Noch ein Letztes. Für Daniel Comboni war das Christsein kein Privatbesitz, kein frommer Seelengarten, keine rein italienische, deutsche, europäische, provinzielle Angelegenheit. Er wusste: Christus hat sich am Kreuz für alle hingegeben und er hat seine Jünger in alle Welt hinausgesandt. Das Christsein ist universal, international, weltweit. Als Christen müssen wir in einer weltweiten und weltoffenen Perspektive denken und handeln. Als Christ muss man sich senden lassen. „Die Kirche ist ihrer Natur nach missionarisch“, sagte das II. Vatikanische Konzil. Und Papst Johannes Paul II, der Daniel Comboni morgen heilig sprechen wird, hat in einer großen Missionsenzyklika davon geschrieben, dass dieser Missionsauftrag heute keineswegs erledigt ist. Er dauert fort. Ja, er ist heute ganz neu aktuell.
Aktuell ist der Missionsauftrag noch immer in Afrika, noch mehr in Asien und nicht zuletzt bei uns in Europa selbst. Täuschen wir uns doch nicht: Deutschland ist Missionsland geworden. Neuevangelisierung heißt deshalb das Programm, das der Papst uns immer wieder ans Herz legt. Aber was tun wir? Sind wir nicht viel zu sehr mit uns selbst beschäftigt? Kreisen wir nicht viel zu viel um uns selbst? Richten wir uns nicht viel zu sehr in unseren eigenen Gemeinden und Ordensgemeinschaften ein? Interessieren uns wirklich die anderen, die draußen sind? Gibt es eine missionarische Leidenschaft und Bereitschaft? Haben wir überhaupt noch den Mut uns als Christen, als Katholiken zu bekennen, andere auf den Glauben anzusprechen, oder verstecken wir uns nicht? Sind wir vielleicht selbst nicht mehr so ganz von unserer Sache überzeugt und riskieren wir vielleicht deshalb nichts mehr?
Der Missionsauftrag gilt allen. Das hat Daniel Comboni schon damals entdeckt und betont. Er gilt nicht nur den Priestern und Ordensfrauen; er gilt ebenso den Laien. Comboni war einer der ersten, der die Bedeutung der Frauen für die Mission erkannt und ihren Dienst gefördert hat.
So will diese morgige Heiligsprechung uns allen einen neuen Elan, einen neuen Schwung, eine neue Begeisterung für Jesus Christus und seine Sache geben. Es ist die Sache Gottes und die Sache der Menschen. Es ist die Sache des Reiches Gottes und die Sache der Gerechtigkeit und des Friedens in der Welt. Es ist die Sache der Liebe ohne Grenzen. Möge vom morgigen Tag ein Funke neuer Begeisterung ausgehen und unser Herz treffen. Seliger, heiliger Daniel Comboni bitte für uns. Amen.

Omelia del Cardinale Walter Kasper

“Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto”. Daniele Comboni vide per la prima volta la miseria del popolo in Africa a 17 anni, quando incontrò un africano che era stato riscattato su un mercato di schiavi. Conobbe così, per la prima volta, concretamente l’Africa del diciannovesimo secolo, con il commercio di schiavi, le faide tribali, le lotte delle potenze europee per il predominio, lo sfruttamento da parte delle potenze coloniali. E fu proprio allora che decise di dedicarsi completamente all’evangelizzazione dell’Africa e lo fece con forza, coerenza e passione incredibili.
Viaggiare dall’Egitto a Khartoum era a quel tempo tutt’altra cosa che ai nostri giorni, perché si viaggiava in groppa al cammello. Molti missionari furono colpiti da malattie e strappati alla loro missione ancora in giovane età. Vi era il pericolo di abbandonare il progetto missionario per l’Africa. Comboni non si lasciò abbattere da nessuna fatica e fallimento. Di giorno e di notte, con la pioggia o sotto il sole, volle sempre essere pronto ad aiutare tutti gli africani, poveri e ricchi, giovani e vecchi, sani o malati. Perseverò fino alla fine e anche sul letto di morte esortò i suoi confratelli a rimanere fedeli alla loro vocazione missionaria. ‘Africa o morte’ fu il suo motto: la conversione dell’Africa fu la passione della sua vita.
Egli motivò altri e li entusiasmò alla missione; compì viaggi in quasi tutti i paesi europei, fondò i suoi Istituti, raccolse gruppi di amici, scrisse per i giornali, contattò Propaganda Fide, andò dal Papa, incontrò i padri conciliari durante il Concilio Vaticano I. Ebbe una visione per l’Africa e per la sua rigenerazione. Volle che l’Africa avesse un posto nella Chiesa, nel Corpo Mistico di Cristo. Così divenne Apostolo, padre e amico degli Africani che non avrebbero più dovuto essere oggetti degli altri, ma persone con una propria dignità e un grande futuro. Per questo volle “Salvare l’Africa con l’Africa”.
“Ho osservato la miseria del mio popolo”: questa frase mi riporta al mio viaggio in Sudan di circa dieci anni fa e di molti altri viaggi in Africa. L’Africa soffre ancora oggi. Il Sudan, in particolare, è tormentato da anni da un orrendo conflitto etnico e religioso. Ancora oggi mi fa male al cuore quando penso a quello che ho visto e sentito. La situazione non è migliorata da allora. Il Sudan e l’Africa intera hanno ancora bisogno di uomini e donne come Daniele Comboni. Uomini e donne che vogliano bene agli Africani e si impegnino a loro favore. L’Africa ha bisogno di pastori buoni, che donino la vita, secondo l’esempio di Gesù, per gli africani.
Perché Comboni fece tutto questo? Perché si fece carico di tutti questi sforzi e strapazzi? Di certo, non fece tutto questo come filantropo, esploratore, commerciante, politico o economista ma lo fece, come scrisse nel suo Piano per la rigenerazione dell’Africa del 1864, nel mistero di Cristo Crocifisso. “Io sono crocifisso con Cristo per l’Africa”, egli disse, e vide solo una via per dare dignità agli Africani: la fede in Cristo.
Daniele Comboni fu afferrato da Gesù Cristo, fu persuaso da Gesù Cristo, fu preso da Gesù Cristo per il Suo servizio e da e con Gesù Cristo si lasciò mettere ai piedi della Croce. Questa è la teologia e la spiritualità della Croce. Comboni, il profeta è stato allo stesso tempo un martire, un buon pastore che nella sequela di Cristo volle donare la sua vita per i suoi. Per questo non indietreggiò di fronte a nulla e a nessuno.
La sua vita fu un lungo martirio. Dopo la sua morte, scoppiò un martirio di sangue per i suoi missionari e missionarie, che continua ancora oggi per molti cristiani africani ed europei impegnati in attività missionarie in Africa. Ciononostante egli e tutti coloro che si unirono a lui erano convinti che nella Croce c’è la salvezza. Il sangue dei martiri è il seme per nuovi cristiani.
Questo nuovo santo ci deve svegliare e scuotere da un cristianesimo diventato sempre più borghese, che evita la Croce, schiva il sacrificio e si scoraggia in fretta quando sorgono difficoltà. Se il chicco di frumento non cade in terra e non muore, non porta frutto.
Un’ultima constatazione. Per Daniele Comboni, essere cristiano non era una proprietà privata o un pio giardino dell’anima, non era una faccenda puramente italiana, tedesca ed europea. Egli proclamava che Cristo si è offerto per tutti sulla Croce e ha inviato i suoi apostoli in tutto il mondo. Il Cristianesimo è universale, internazionale, mondiale. Come cristiani dobbiamo pensare e operare in una prospettiva mondiale e aperta al mondo. Come cristiani dobbiamo lasciarci inviare. “La Chiesa è per sua natura missionaria” proclamò il Concilio Vaticano II, e il Papa Giovanni Paolo II, che domani proclamerà santo Daniele Comboni, ha scritto in una grande enciclica missionaria che l’incarico missionario non è in nessun modo concluso. Esso continua e oggi è nuovamente attuale. È attuale in Africa e ancor di più in Asia e, non ultimo, anche da noi nella stessa Europa. Non illudiamoci, la Germania è diventata terra di missione. Per questo si chiama ‘nuova evangelizzazione’. È il programma che il Santo Padre ci affida continuamente. Che cosa facciamo noi? Non siamo forse troppo occupati con noi stessi? Non ruotiamo troppo intorno a noi stessi? Non ci installiamo troppo nelle nostre comunità? Ci interessano veramente gli altri che sono fuori? C’è una passione e disponibilità missionaria? Abbiamo ancora il coraggio di dichiararci cristiani e cattolici e di parlare agli altri della fede o ci nascondiamo? Forse noi stessi non siamo più così convinti della causa e non rischiamo più proprio per questo?
L’apostolato missionario è un dovere di tutti, non solo dei presbiteri e delle religiose ma anche dei laici. Questo lo aveva già scoperto e sottolineato Daniele Comboni. Egli è stato anche uno dei primi a riconoscere il valore della donna per la missione e ha sempre apprezzato il suo servizio.
La canonizzazione di domani vuole darci un nuovo slancio, un nuovo entusiasmo per Gesù Cristo e la Sua causa. È la causa di Dio, è la causa dell’Uomo, è la causa del Regno di Dio, è la causa della giustizia e della pace nel mondo. È la causa dell’amore senza confini. Possa accendersi, domani, una scintilla di nuovo entusiasmo e colpire i nostri cuori. Beato San Daniele Comboni, prega per noi. Amen.

Veglia di preghiera in lingua polacca

Nella chiesa di Santo Spirito in Sassia si sono riuniti i pellegrini di lingua polacca. Ha presieduto alla veglia P. Manuel Ramón Torres Gómez MCCJ, rappresentante del Superiore Generale in Polonia.
4-5-6 Ottobre 2003