Celebrazione della solennità di san Daniele Comboni alla Curia generalizia a Roma

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Giovedì 11 ottobre 2018
Ieri la comunità della Curia generalizia a Roma ha celebrato con i suoi amici e benefattori il 10 ottobre, giorno della solennità del padre e fondatore dell’Istituto, san Daniele Comboni. La personalità di Comboni e la sua opera sono ancora, più che mai, luce e ispirazione per tutti i Comboniani e le Comboniane, religiosi e laici, che da lui hanno imparato a essere credenti e missionari e a guardare con gli occhi di Gesù, Buon Pastore, il mondo e ogni persona. L’Eucarestia è stata presieduta da Mons. Giuseppe Franzelli, vescovo della diocesi ugandese di Lira, e concelebrata da Mons. Damiano Giulio Guzzetti, vescovo di Moroto (Uganda), dai sacerdoti residenti e dai comboniani che stanno facendo il Corso Anzianità a Roma.

“Come famiglia comboniana – ha detto P. Jeremias dos Santos Martins, vicario generale dei Comboniani, durante l’omelia – siamo chiamati a vivere la nostra vocazione e missione con gli occhi fissi nel Cuore trafitto del Buon Pastore, sui passi di S. Daniele Comboni, quale famiglia di fratelli e sorelle, camminando per le vie del mondo, insieme ai popoli ai quali ci invia il Signore”.

È seguita un’agape fraterna.

Omelia nella solennità di san Daniele Comboni
pronunciata da P. Jeremias dos Santos Martins

Mi piace cominciare questa condivisione della Parola di Dio e del significato di questa festa con le parole del messaggio del CG per questo giorno:

“Celebrare la memoria della vera nascita di san Daniele Comboni ci introduce nel grande mistero della vita del Buon Pastore dal cuore trafitto che ha donato la sua vita perché tutti abbiano vita e vita in abbondanza, soprattutto…, i più poveri e abbandonati, perché diventino un solo gregge e un solo pastore”.

In questa stessa linea, celebrare Comboni significa vivere la gioia di essere missionari comboniani; prendere coscienza più profondamente della ricchezza e dell’attualità del nostro carisma; assumerci la responsabilità di attualizzare e far conoscere il nostro carisma nella Chiesa e nella società.

La gioia di essere comboniani

La cosa più bella quando visito le nostre circoscrizioni è vedere non solo il lavoro immenso che è stato fatto dai missionari comboniani e che viene fatto ancora oggi (ospedali, chiese, scuole, officine, progetti…), ma soprattutto constatare la dedizione, la capacità di sacrificio e di donazione, la gioia di essere missione e di evangelizzare, di stare in mezzo alla gente e di essere segni profetici di speranza e di amore. La EG parla del “piacere spirituale di essere popolo, di essere vicino alla gente”. È la gioia del buon pastore di cui parla il vangelo, che conosce le pecore, le chiama per nome, dà la vita per loro. Il pastore che cerca quelle pecore che non appartengono ancora al gregge di Cristo, un lavoro che va oltre i limiti di una parrocchia. Nelle visite alle comunità dei confratelli anziani e ammalati, vediamo come fanno memoria della gente che hanno conosciuto, della missione e come continua vivo in loro il desiderio di ri-partire, anche se sono consapevoli del fatto che non è più possibile. La mia domanda è: c’è ancora in me questo desiderio di uscire?

Rendersi conto della ricchezza e attualità del nostro fondatore e del suo carisma missionario

Sottolineo una caratteristica fondamentale di Comboni: l’apertura universale della sua persona e del suo Istituto al mondo e alla Chiesa e il sogno del Cenacolo di apostoli.

  • Del suo Istituto dice che non è tedesco, né italiano né spagnolo ma cattolico, ossia universale. In un mondo che si chiude sempre di più e che costruisce muri, la figura di Comboni è un invito costante ad aprirsi alla diversità, alla multiculturalità e all’interculturalità a livello interno ed esterno. La prima lettura ci parla di questa apertura ai popoli, soprattutto i miseri, i poveri, i feriti, gli afflitti, gli schiavi ai quali è portato il lieto annuncio della loro liberazione. La grande sfida è la compassione, il lasciarsi sorprendere dal nuovo, dall’altro per andare al suo incontro.
  • Inoltre, Comboni parla dei membri del suo istituto, piccolo cenacolo di apostoli, come dei “raggi per illuminare e riscaldare”. È il sogno di una comunità di fratelli, di discepoli missionari. I nostri Missionari, siano Sacerdoti o Laici, vivono insieme da fratelli nella medesima vocazione, … senza gare o pretensioni, pronti a tutto quello che viene loro ordinato di fare, disposti a compatirsi e aiutarsi vicendevolmente (S 1859). Vivere oggi la fraternità è una grande sfida. Ascoltare, accogliere, integrare, sono verbi che devono essere coniugati da tutti in questo mondo globale. Per noi comboniani, la fraternità è anche il primo modo di annunciare il vangelo. Siamo così diversi (nazioni, razze, culture, lingue,…). E non possiamo far finta di non vedere le differenze o peggio ancora chiudersi a queste. Significherebbe morire. A volte possono esserci problemi, incomprensioni, tensioni, o possiamo ritenerci gli uni superiori agli altri. È importante riscoprire la dimensione del cenacolo di apostoli, luogo di comunione dove uomini e donne, fratelli e sorelle, sacerdoti e laici siano nel mondo e per il mondo segno profetico della nuova umanità. È il progetto di Gesù secondo il vangelo di Giovanni: “un solo gregge e un solo pastore” per il quale Gesù ha dato la vita.

Assumerci la responsabilità di far conoscere Comboni

Dopo il 5 dicembre 2003, giorno della sua canonizzazione, Comboni appartiene a tutta la Chiesa. È diventato punto di riferimento e ispirazione non solo per i comboniani, ma per tutti. Ed è una grande gioia sentire come Comboni sia conosciuto in Africa, tra i nuer, i dinka, gli shiluk, i madi, gli acioli, i makua…

Il Capitolo riconosce questo fatto quando dice che “le vocazioni africane e il rapido diffondersi della devozione a san Daniele Comboni sono un chiaro segno dei tempi che testimonia di un continente grato per il dono della fede e desideroso di aprirsi alla missione” (AC 2015, 16). E di questo noi siamo testimoni anche in altri continenti in cui siamo presenti. La sfida che abbiamo davanti è conoscerlo noi stessi di più, innamorarci di lui e fare di lui un compagno di viaggio, un interlocutore, una guida. Lasciarsi attirare dallo sguardo e passione di Comboni è la sfida che abbiamo davanti.

La seconda lettura, lettera di Paolo ai Galati, sottolinea la presenza della croce nella missione di Paolo: “per quanto mi riguarda, Dio voglia che non mi vanti di niente all’infuori della croce del nostro Signore Gesù Cristo”… “D'ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: difatti io porto le stigmate di Gesù nel mio corpo”.

La Croce è il punto di partenza e di arrivo della missione. Paolo e Comboni sono esempi di questo. Una settimana prima di morire, il 3.10.1881, Comboni scrive al Card. Giovanni Simeoni di Propaganda Fide: “Mio Dio! sempre Croci! Ma Gesù dandoci la croce, ci ama; e tutte queste croci pesano terribilmente sul mio cuore; ma ne accrescono la forza ed il coraggio nel combattere le battaglie del Signore, perché le Opere di Dio nacquero e crebbero sempre così”. La croce è sempre presente nella vita del discepolo e missionario di Gesù.  È punto centrale del nostro carisma e della nostra spiritualità. Non una croce virtuale ma reale, concreta, alle volte pesante, e che, abbracciata con Cristo, diventa: “il vero conforto, il sostegno, il lume, la forza delle anime giuste” (S. 1673).

Nella nostra vita concreta la croce si traduce in spirito di sacrificio, nel vivere situazioni missionarie difficili, nell’accogliere lo sconforto; a volte si manifesta nella sofferenza della malattia o dell’età; altre volte nell’abbandono o nella separazione da quello che ci è caro come luoghi, incarichi o persone a cui vogliamo bene (amici, familiari). La Croce può essere anche i risultati scarsi del nostro lavoro dopo tanta fatica e dedizione o il rifiuto dei nostri progetti o piani per il Regno.

Al fine di mantenere viva la passione per la missione e il desiderio di offrire generosamente la nostra vita per il Regno, Comboni ci invita a guardare al Crocifisso: “si formeranno a questa disposizione essenzialissima con tener sempre gli occhi fissi in G.C. amandolo teneramente e procurando d’intendere ognora meglio cosa vuol dire un Dio morto in Croce per la salvezza delle anime”. (Regole 1871, X).

Come famiglia comboniana siamo chiamati a vivere la nostra vocazione e missione con gli occhi fissi nel Cuore trafitto del Buon Pastore, sui passi di S. Daniele Comboni, quale famiglia di fratelli e sorelle, camminando per le vie del mondo, insieme ai popoli ai quali ci invia il Signore.