Padre Davide De Guidi, comboniano nel Mozambico: “Come una famiglia”

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Venerdì 14 gennaio 2022
Padre Davide De Guidi, comboniano, accoglie e cura centinaia di uomini, donne e bambini che provano a sfuggire alle violenze che da anni si stanno consumando a Cabo Delgado. «Negli anni scorsi — ricorda il missionario — a Nampula gli sfollati arrivavano anche a gruppi di duemila ogni settimana. La nostra parrocchia non ha esitato ad aiutarli dando loro calore umano e beni di prima necessità. Non ci siamo tirati indietro neanche quando la durezza della pandemia ha costretto a chiusure totali e generalizzate. In gente così provata abbiamo riconosciuto la carne di Cristo».

Gioventino non è un giovane fortunato. Figlio unico in uno Stato dove le famiglie numerose sono una regola granitica, ha perso i genitori molto presto. Vive in una piccola casa di paglia nella quale ha pianto la sua compagna portata via da una terribile malaria cerebrale e dove, per l’ultima volta, ha tenuto la mano alla sua tenera bambina uccisa dalla povertà estrema. La fortuna non è stata sorridente nemmeno con il suo Paese. Il Mozambico, Stato dell’Africa orientale ricco di materie prime che fanno gola a governi e investitori stranieri, si colloca quasi in fondo alla classifica dell’indice di sviluppo umano stilata dal Fondo monetario internazionale. Il 60 per cento della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno e deve fare i conti con un’aspettativa di vita che non supera i 54 anni. Eppure Gioventino si sente un uomo sereno. Il suo cuore, devastato e in preda al dolore, ha trovato uno sprazzo di tranquillità quando ha ascoltato le parole di un missionario comboniano. E le ha messe in pratica aprendo le porte di paglia della propria abitazione ad alcuni sfollati della provincia di Cabo Delgado.

Quel missionario al quale Gioventino si è aggrappato per non farsi inghiottire dal buio della disperazione si chiama padre Davide De Guidi e si prodiga per accogliere e curare centinaia di uomini, donne e bambini che provano a sfuggire alle violenze che da anni si stanno consumando proprio a Cabo Delgado. Anche adesso che il suo lavoro pastorale è concentrato soprattutto nella parrocchia di Santa Cruz, situata nella grande città settentrionale di Nampula, padre Davide non ha strappato il legame con quei migranti dei quali conosce ogni paura e ogni speranza. Quando può li accudisce e li salva, con qualsiasi mezzo. «Dopo aver accolto i profughi nella sua casa, Gioventino mi ha detto una frase che mi ha toccato l’anima: io ho perso tutto ma questi sfollati sono diventati la mia famiglia, sono veramente diventati parte di me», racconta, commosso, De Guidi. Gioventino, un povero tra i poveri che accoglie chi non ha più nulla, non è il solo “frutto” dell’amore del missionario comboniano di origini italiane. «Negli anni scorsi — ricorda — a Nampula gli sfollati arrivavano anche a gruppi di duemila ogni settimana. La nostra parrocchia non ha esitato ad aiutarli dando loro calore umano e beni di prima necessità. Non ci siamo tirati indietro neanche quando la durezza della pandemia ha costretto a chiusure totali e generalizzate. In gente così provata abbiamo riconosciuto la carne di Cristo».

Anche i parrocchiani di don Davide non si sono tirati indietro e, seguendo l’esempio dei sacerdoti, hanno offerto un tetto e una ciotola di riso a tutti coloro i quali avevano negli occhi l’orrore della guerra che dal 2017 coinvolge bande armate che a Cabo Delgado tentano di mettere le mani sugli immensi giacimenti minerari. «In un solo anno e mezzo — afferma il sacerdote — abbiamo soccorso circa tredicimila sfollati. Con loro abbiamo fatto un lavoro straordinario, ma è il Signore che ci ha guidato. Abbiamo organizzato l’accoglienza, le cure sanitarie, la distribuzione di aiuti. E pensare che all’inizio avevamo solo cinque sacchi di farina». La Chiesa in Mozambico è presente anche nei campi profughi allestiti dalle autorità governative nei quali sono ospitate migliaia di persone. «Finora gli sfollati sono più di ottocentomila e ancora non possono far ritorno a casa. La Chiesa si preoccupa di fargli riacquistare la dignità perduta, violentata in molti modi», aggiunge il missionario.

Da tre anni la parrocchia di Santa Cruz si è posta anche l’obiettivo di formare i giovani e aiutare i detenuti di Nampula facendo incontrare due mondi che prima erano distanti. Anche tre volte al mese, padre Davide porta i giovani della sua parrocchia in carcere affinché possano conoscere la realtà delle persone recluse: «Il Vangelo che noi annunciamo ha fatto riacquistare la speranza a molti. Uno di essi, assiduo nella preghiera, un giorno mi ha confidato: sono entrato in carcere che ero libero fisicamente ma schiavo dentro. Qui ho sofferto tanto ma, conoscendo Gesù, ho recuperato me stesso. Sono diventato una creatura nuova». Il religioso, poi, aggiunge un piccolo, significativo dettaglio: il Mozambico, tra i Paesi più poveri del pianeta, genera costanti e continue vocazioni: «È bello vedere giovani di famiglie indigenti donare la propria vita al Signore. Ed è meraviglioso sapere che le loro famiglie povere sanno donare il tesoro più importante, e unico, che possiedono: i figli».

Padre Davide De Guidi, missionario comboniano a Nampula / Mozambico.

Il conflitto in Mozambico: dal 2017 un’area senza pace

Quasi quattromila persone sono fuggite dai loro villaggi nell’ultimo mese per l’intensificarsi degli attacchi jihadisti nella provincia settentrionale di Cabo Delgado, mirati a conquistare fette sempre più ampie di territorio. È solo l’ultimo evento del dramma che colpisce quest’area del Mozambico dall’ottobre del 2017, anno in cui è iniziata l’insurrezione dei fondamentalisti che hanno messo a ferro e fuoco intere città e villaggi, con oltre seicento donne rapite e ridotte in schiavitù. Elevato tasso di analfabetismo, disuguaglianze, malnutrizione infantile, crisi dei valori etico-sociali e tensioni etniche e religiose sono tra le tante emergenze che affliggono il territorio. Una situazione che ha spinto recentemente i leader religiosi della provincia, ispirati dal Documento sulla fratellanza umana di Abu Dhabi, a sottoscrivere una dichiarazione in cui viene ribadito il rifiuto di ogni tipo di violenza e la strumentalizzazione della religione per commettere atti terroristici. La strada della salvezza è, quindi, nell’impegno «a dialogare con le altre confessioni, superando diffidenze e favorendo la conoscenza reciproca».

[Federico Piana – L’Osservatore Romano]