Lunedì 15 gennaio 2024
Si è tenuta, presso il centro di accoglienza “Bakara” delle Suore Oranti, l’annuale assemblea della Delegazione del Ciad dall’8 al 12 gennaio 2024. Alcuni confratelli non erano presenti a causa di impegni precedenti.

I primi giorni, dedicati a riflessione e discussione sulla Formazione permanente, sono stati animati da padre Enrique Rosich Vargas, della comunità di Bodo, diocesi di Doba, e da suor Pilar Justo, della comunità delle comboniane che lavorano presso l’ospedale di Bébédja, nella stessa diocesi. Nei successivi due giorni, ci si è concentrati sugli aspetti pratici della vita della Delegazione: si sono ascoltati i rapporti dei segretariati e si è fatta la programmazione annuale.

Padre Enrique ha fatto una chiara distinzione tra formazione permanente “ordinaria” e formazione permanente “straordinaria”. La prima è sostenuta dalla responsabilità personale di ciascuno dei confratelli, che devono tutti avvertire il costante bisogno di nuove letture e riflessioni e di tessere contatti con le persone con cui vivono, cercando di capire le differenti situazioni sociali riscontrate nel proprio ministero missionario. Si tratta di una modalità di apprendimento discreta, che richiede pazienza e curiosa apertura al nuovo.

La FP “straordinaria”, invece, è l’insieme di iniziative pianificate – ritiri spirituali, seminari, sessioni di studio preparate per la comunità locale, corsi e convegni, corsi di aggiornamento, studi post-universitari, corsi di aggiornamento – che coinvolgono il gruppo, impedendo al singolo di pensare la propria formazione come un fatto puramente privato e da gestire secondo economie del tutto soggettive. La FP, infatti, è sia autoformazione che formazione ricevuta dagli altri e proprio grazie al rapporto interpersonale

L’aspetto più interessante dell’intervento di padre Enrique è l’aver ripercorso il cammino formativo di San Daniele Comboni. Comboni, sin da giovane, mostrò una forte curiosità culturale per l’acquisizione di idee e nozioni in vista della missione. In questo, egli fu aiutato dalla sua intelligenza capace di assimilare molto: studiò le lingue già da seminarista presso l’Istituto Mazza, apprese nozioni di medicina, divorò testi di geografia (soprattutto africana) e di storia… con una finalità ben precisa: prepararsi il meglio possibile ad accostare i popoli dell’Africa, non con la prosopopea dell’esploratore ma con l’umiltà, la pazienza e l’empatia dell’apostolo.

Suor Pilar, nei suoi in-put, ha sottolineato le modalità quotidiane di una vita comunitaria alla luce dell’espressione “Cenacolo d’apostoli». Cosa significa ciò? Come vivere in luoghi concreti (le comunità) sempre più internazionali e interculturali? Il riferimento comboniano sono le Regole, scritte da Comboni nel 1871, per la vita quotidiana dei membri dell’istituto da lui fondato. È stata posta, in modo provocatoria, la domanda se esse siano tuttora valide, è la risposta è “sì”, perché esse sono come “il cuore della comunità comboniana”, sebbene abbiano bisogno di aggiornamenti.

Suor Pilar ci ha ricordato come il senso di appartenenza sia da vivere, da un lato, verso la famiglia comboniana, dall’altro, verso i laici, le persone con cui viviamo e a cui annunciamo il Vangelo della gioia e della liberazione. I limiti umani (il carattere personale, i pregiudizi, il timore di essere “assorbiti” da un gruppo più numeroso, la formazione tradizionale comboniana…) vanno riconosciuti e il cammino da compiere va deciso in modo da poterli superare, al fine di “fare comunità”, innescando dinamiche inclusive e attente alle singole persone.

Consentitemi di esprimere un brevissimo commento personale circa i due interventi. Quello presentato da padre Enrique m’è parso un richiamo fatto a ciascuno di noi di assumere la formazione permanente come occasione di crescita personale, spirituale e missionaria. Quello di suor Pilar, invece, può essere avvertito come un “incitamento a maggiore impegno” verso la “costruzione dinamica”, avendo lei richiamato in modo chiaro i fondamenti di una comunità comboniana alla ricerca e pratica quotidiana della fraternità.

I giorni seguenti sono stati occupati dall’ascolto dei rapporti dei vari segretariati della Delegazione, dai quali è emersa una delegazione impegnata nell’evangelizzazione e formazione nelle varie realtà locali. Ancora una volta, si è lamentata la cronica scarsità di personale che condiziona l’apostolato. Tuttavia, sono stati evidenziati due fatti positivi: l’età della maggioranza dei confratelli è compresa tra i 35 e i 50anni; i comboniani in provincia sono quasi esclusivamente africani. Si può, pertanto, dire che in Ciad il sogno del Comboni di “salvare l’Africa con gli africani” è una realtà ben radicata.

Fratel Enrico Gonzales, mccj
Ndjaména