Venerdì 5 dicembre 2025
«In Africa il futuro non è un orizzonte lontano: ha il volto giovane di una generazione che corre più veloce delle sfide che la inseguono». Con queste parole il compianto padre Alberto Dal Fovo, missionario comboniano e docente del Dipartimento di studi religiosi e filosofia dell’Università di Makerere (Kampala, Uganda), condensava una visione che oggi appare ancora più attuale. [...]
Chi scrive ebbe modo di intervistarlo a metà degli anni Novanta, consapevole di trovarsi davanti al successore del professor John Mbiti, che gli aveva affidato la cattedra di filosofia del prestigioso ateneo africano. In quell’incontro padre Dal Fovo intuì con chiarezza il ruolo cruciale delle giovani generazioni africane, destinate a collocarsi in un contesto sempre più globale e interdipendente: dinamiche demografiche, trasformazioni economiche, mutamenti culturali e ridefinizioni geopolitiche ne avrebbero plasmato il futuro.
Negli ultimi due secoli la popolazione mondiale è cresciuta in modo esponenziale: da un miliardo nel 1800 agli oltre 8,2 miliardi odierni, con una previsione di superare i 10 miliardi entro il 2050 (UN/Desa, 2022). In questo scenario l’Africa rappresenta la regione demograficamente più dinamica. Con circa 1,5 miliardi di abitanti — meno di un quinto del totale mondiale — il continente è destinato a ospitare quasi un terzo della popolazione globale entro la metà del secolo, raggiungendo i 2,5 miliardi nel 2050 e oltre 3,2 miliardi nel 2070 (World Bank, 2023). Questa espansione è trainata da alti tassi di fertilità, da un graduale miglioramento degli indicatori sanitari e da un forte population momentum: condizione che rende la popolazione africana una delle più giovani del pianeta, con 7 persone su 10 al di sotto dei 30 anni.
Tale potenzialità, se da un lato alimenta l’idea di un possibile «secolo africano», dall’altro si scontra con fragilità strutturali già emerse in precedenti stagioni di ottimismo, come il periodo post-indipendenza o la narrativa dell’Africa Rising nei primi anni Duemila. Permangono, infatti, elementi critici quali la dipendenza dalle esportazioni di materie prime, una debole industrializzazione, istituzioni fragili e una forte vulnerabilità agli shock esterni, inclusi quelli climatici e geopolitici (Collier, 2007, African Development Bank, 2021).
La domanda cruciale è se le giovani generazioni riusciranno a trasformare questo potenziale in un dividendo demografico o se, al contrario, rischieranno di essere intrappolate in processi di marginalizzazione economica e sociale. La letteratura sul cosiddetto youth bulge (modello demografico in cui una percentuale sproporzionatamente grande di una popolazione è costituita da giovani) mostra come un rapido aumento della popolazione giovanile, non accompagnato da opportunità economiche adeguate, possa generare disoccupazione, frustrazione sociale, aumento dell’emigrazione e, in alcuni casi, instabilità politica. In Africa ogni anno oltre dieci milioni di giovani entrano nel mercato del lavoro, mentre la creazione di posti formali rimane largamente insufficiente. A questo si aggiunge l’avanzare dell’urbanizzazione: entro il 2050 più della metà della popolazione vivrà in città spesso caratterizzate da crescita disordinata, servizi insufficienti e disuguaglianze marcate (UN/Habitat, 2020). La combinazione di crescita demografica, urbanizzazione rapida e inclusione carente rischia di ampliare la distanza tra le aspettative dei giovani e la capacità degli stati di rispondervi.
Parallelamente, il continente sta vivendo una vivace trasformazione culturale. Il boom delle industrie creative — musica, cinema, moda, design — ha dato ai giovani africani una nuova visibilità globale e contribuito a un’immagine del continente più dinamica e plurale. Tuttavia, l’impatto economico del settore resta insufficiente ad assorbire la massa crescente di giovani in cerca di lavoro.
Tra gli interventi più urgenti si colloca la riforma dell’istruzione. Non basta ampliare l’accesso alla scuola: occorre una profonda revisione della qualità educativa, rinnovando curricula, metodologie e percorsi formativi per rispondere alle esigenze di un’economia basata sulla conoscenza. Le esperienze dell’Asia orientale mostrano come l’accumulo di capitale umano sia stato decisivo nei processi di sviluppo (Stiglitz & Yusuf, 2001). In Africa, però, persistono ampie disparità territoriali, scarsa formazione degli insegnanti e una forte discriminazione di genere nell’accesso all’istruzione, soprattutto nelle zone rurali.
Il deficit infrastrutturale rappresenta un ulteriore ostacolo. In molti Paesi africani l’accesso all’elettricità è ancora discontinuo, con conseguenze negative sulla produttività industriale e sullo sviluppo del settore digitale, sempre più centrale nelle economie globali (Iea, 2022).
Nonostante il continente stia emergendo come polo di innovazione nel fintech e nelle tecnologie mobili, questo dinamismo rischia di rimanere isolato se non integrato in strategie industriali e politiche pubbliche coerenti (Imf, 2023). Un ruolo strategico può essere svolto dal settore agricolo, che impiega ancora una quota significativa della forza lavoro africana. La sua trasformazione in senso agro-industriale — con una maggiore integrazione nelle catene del valore — potrebbe offrire opportunità rilevanti, soprattutto per i giovani delle aree rurali. Tuttavia la scarsa meccanizzazione, la limitata disponibilità di acqua e l’assenza di infrastrutture logistiche limitano ancora il potenziale del settore (Fao, 2021).
In questo complesso scenario, l’impegno della Chiesa cattolica in Africa rappresenta un elemento significativo, benché spesso poco considerato nelle analisi socioeconomiche. Attraverso le conferenze episcopali nazionali e il Simposio delle conferenze episcopali di Africa e Madagascar (Secam), la Chiesa esprime da anni una profonda preoccupazione per il futuro delle giovani generazioni. Nei suoi documenti pastorali sottolinea come la mancanza di lavoro, la migrazione forzata, la vulnerabilità ai conflitti e l’indebolimento delle reti familiari mettano a rischio la dignità e il benessere dei giovani (Secam, 2019). Questa marginalizzazione non è soltanto un problema economico ma una sfida antropologica e spirituale, capace di minare la coesione sociale (Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, 2016).
La Chiesa, che gestisce migliaia di scuole, ospedali e centri di formazione professionale, insiste sulla necessità di un’educazione integrale capace di coniugare competenze tecniche, formazione civica e sviluppo etico (Caritas Africa, 2020). Particolare attenzione è rivolta ai fenomeni migratori: molti vescovi denunciano il dramma dei giovani costretti a partire per mancanza di prospettive, esposti a tratta, violenze e sfruttamento lungo le rotte migratorie (Conferenza episcopale di Angola e São Tomé, 2021). Allo stesso tempo diverse conferenze episcopali, come l’Amecea, che riunisce i vescovi dell’Africa orientale, evidenziano il ruolo della fede e delle comunità religiose come fattori di resilienza in contesti segnati da conflitti, povertà e disuguaglianze.
Solo interventi coordinati, riforme strutturali e investimenti di lungo periodo permetteranno all’Africa di trasformare il proprio patrimonio demografico in un motore di sviluppo sostenibile. Se stati, attori economici e comunità religiose sapranno collaborare, le giovani generazioni africane potranno diventare il cuore pulsante di una nuova fase di prosperità e integrazione globale.
Padre Giulio Albanese – L’Osservatorio Romano