In Pace Christi

Zanoner Simone

Zanoner Simone
Fecha de nacimiento : 20/10/1916
Lugar de nacimiento : Moena (TN)/I
Votos temporales : 07/10/1935
Votos perpetuos : 15/06/1940
Fecha de ordenación : 30/06/1940
Fecha de fallecimiento : 13/01/2000
Lugar de fallecimiento : Verona/I

P. Zanoner è stato il primo tra i comboniani ad entrare nella casa del Padre nel terzo millennio. E’ stato stroncato da infarto il 13 gennaio alle ore 18.00 mentre si trovava nel reparto ammalati di Casa Madre. Quando fu preso da dolori lancinanti al petto, accorse il medico con l’ossigeno e tutte le apparecchiature del caso, ma non ci fu niente da fare. Venne subito chiamato il “Pronto intervento”, che arrivò in pochi minuti, ma il Padre era già morto. Era andato a Verona in seguito a un incidente stradale avvenuto a Trento il 23 dicembre. Scendendo dalla corriera, attraversò la strada senza accorgersi che stava arrivando una macchina che lo investì. Ricoverato all’ospedale, le fu riscontrata una piccola frattura al malleolo. Gli ingessarono il piede e venne dimesso, sembrando che tutto fosse regolare.

Comunque il Padre, che apparteneva alla comunità di Arco, data anche l’età fu portato al Centro Ammalati di Verona. Il giorno 12, quello precedente alla morte, fu condotto all’ospedale per una generale visita di controllo. Gli fu fatto anche l’elettrocardiogramma e la visita al cuore. Fu trovato regolare. Il giorno dopo, il decesso improvviso e inatteso.

Era un ragazzino mite

Scrive il fratello Mario: “Eravamo otto fratelli, sei maschi e due femmine. P. Simone era settimo; io sono l’ultimo e ho presto 80 anni. Il papà, che si chiamava Simone, di mestiere era tagliapietra e scalpellino di un certo valore tanto che, prima della guerra del 1914, con suo padre ed altri, è andato a lavorare in diverse città dell’Impero austro-ungarico come Salisburgo, Monaco e Norimberga.

La mamma, che si chiamava Margherita Chiocchetti, faceva la sarta anche se, con tutta quella squadra, aveva poco tempo da dedicare al suo mestiere. Confezionava abiti su misura e rammendava. Possedevamo anche qualche appezzamento di terra, in genere coltivato a pascolo. Ma, trovandosi il paese a un’altitudine di 1.200 metri ed oltre, più che un po’ di erba non cresceva. Ciò ci consentiva di tenere qualche capo bovino. I due fratelli più vecchi, Vigilio e Luigi, tagliapietra come il papà, nel 1926 sono emigrati nell’America del sud. In famiglia si sentì molto questo distacco, ma le necessità della vita lo imponevano.

L’infanzia di Simone è stata normale come tutti i ragazzi di allora. La sua giornata, come la nostra, si svolgeva tra scuola, chiesa e lavoro che consisteva nel condurre al pascolo le mucche, e qualche aiuto in famiglia. Ho inteso dal suo maestro che a scuola Simone era bravo. Capiva subito le cose e le teneva a mente. Non era un ragazzo vivace, anzi era molto calmo, quasi timido, semplice e modesto.

Non so come gli sia venuta la vocazione: certamente è stato un dono del Signore. La nostra famiglia era profondamente cristiana. Si pregava e si praticava la religione. In paese passavano, di tanto in tanto, i missionari comboniani di Muralta e parlavano ai ragazzi. Certamente Simone è stato attratto dalla vita missionaria. Ricordo benissimo, anche se avevo solo sette anni, quando mia sorella Massenza, allora ventunenne, lo ha accompagnato dai Comboniani di Trento. Simone aveva appena terminato la quarta elementare. Partì contento ma gli occhi gli brillavano di lacrime, come del resto i nostri, perché ci volevamo molto bene”.

Tra i documenti nella cartella personale di P. Zanoner c’è la letterina con la quale il nostro Simone chiede di essere accettato in Istituto. Lo scritto, senza data, dice: “Reverendo Padre, dopo aver pensato e riflettuto, oso pregarla se può accettarmi nel suo Istituto. Io con l’aiuto di Dio e con la preghiera prometto di fare il mio dovere. Con stima la riverisco, sperando di essere esaudito. Mi firmo obbligatissimo Simone Zanoner di Simone”.

Allegata alla domanda di Simone c’è “L’attestazione di moralità” del parroco scritta in data 18 settembre 1927 (Simone non aveva ancora 11 anni) nella quale si dice: “Il sottoscritto attesta che il giovinetto Zanoner Simone di Simone e di Margherita Chiocchetti, nato il 20 ottobre 1916, tenne sempre irreprensibile condotta religiosa e morale ed è, al riguardo, del tutto meritevole della superiore considerazione al fine di poter essere accolto nell’Istituto dei Padri del Sacro Cuore di Trento. In fede, sac. Giovanni Iori”.

Le pagelle scolastiche, sia quella di quarta elementare come quelle delle medie a Trento e del ginnasio a Brescia riportano bellissimi voti, tanto che spesso era esonerato dagli esami finali.

Prima di partire per il noviziato, che iniziò nel 1933, andò in famiglia per le vacanze. Al termine, il parroco, in data 11 settembre 1933, rilasciò la seguente dichiarazione: “Lo studente Zanoner Simone sarà costì il 16 corrente per poter poi incominciare a tempo gli Esercizi in preparazione al noviziato. Veramente dice di sentirsi ancora debole. Ad onor del vero devo attestare che Simone, durante questo periodo di vacanza, si è comportato non solo bene, ma ottimamente, per cui credo che la sua vocazione non abbia ricevuto alcuna scossa”.

Questa lettera ci fa capire che, al termine del ginnasio, Simone era stanco e debole. Ciò non fa meraviglia perché sappiamo come la vita nei seminari, allora, era piuttosto dura e il cibo, a seconda dei superiori e degli economi, poteva essere misurato.

Con due lauree in tasca

Zanoner fece il noviziato a Venegono Superiore dal 1933 al 1935. Emise i Voti il 7 ottobre e poi passò a Verona per concludere il liceo. Quindi fu inviato a Roma per lo studio della Teologia. Unica nota che ci resta di questo periodo di formazione, è la seguente: “Testa un po’ duretta a cedere al parere altrui. Ottimo in tutto. Appoggio rinnovo Voti”.

Sono interessanti i sentimenti espressi da Simone nelle richieste di rinnovazione dei Voti e nella richiesta per accedere agli ordini sacri. Scriveva nel maggio del 1940: “Qualunque sia la preparazione a questi grandi, decisivi atti che segnano definitivamente la scelta dello stato, non si potrà mai dire sufficiente. Quanto a me, sarei temerario nel dire che mi sento preparato, o che abbia fatto tutto ciò che sta in me per prepararmi, però posso dire di aver sempre amato la mia vocazione, di aver sempre fissato i miei occhi in quel giorno in cui mi sarei vincolato perpetuamente alla Congregazione con i santi Voti perpetui, e al servizio di Dio, alla salute delle anime e alla Chiesa con le sacre ordinazioni. Perciò le domando, Rev.mo P. generale, di essere ammesso ai Voti perpetui, al Suddiaconato, al Diaconato e al Sacerdozio…”.

Fu ordinato da Mons. Luigi Traglia nella chiesa del pontificio seminario maggiore romano il 30 giugno 1940. A Roma P. Zanoner aveva conseguito la Licenza in Sacra Teologia in vista dell’insegnamento in qualche seminario di missione.

Intanto era scoppiata la guerra e il Padre fu dirottato a Venegono Superiore, come insegnante dei novizi e studente e addetto al ministero. Nel 1945 venne mandato a Rebbio come insegnante e superiore della casa. Vi rimase fino al 1950.

Toccò proprio a lui accogliere per un primo dialogo il giovane neolaureato in medicina e chirurgia Giuseppe Ambrosoli che, ritornando da Milano con la laurea fresca nella cartella, si fermò dai Comboniani per parlare della sua vocazione.

Dal 1950 al 1953 divenne superiore della comunità di Fratelli che si trovava a Pellegrina, vicino a Verona. Essi lavoravano la terra cercando di specializzarsi in agraria. Dato che il Padre si trovò a contatto con la “nostra madre terra”, si sforzò di conoscerla a fondo. E per riuscirci nel modo migliore, dietro suggerimento dei superiori, conseguì una seconda laurea, in Scienze Agrarie presso l’Università degli Studi di Milano “con pieni voti assoluti e la lode” (summa cum laude). La data è 24 febbraio 1955.

A questa data, però, il Padre si trovava già a Sunningdale, in Inghilterra, per studiare la lingua in vista di una sua prossima partenza per l’Uganda, che ebbe luogo il primo luglio 1956.

Missionario in quattro fasi

I quarant’anni di missione in Uganda di P. Zanoner possono essere divisi in quattro periodi segnati, ognuno, da “un segno dei tempi” che determinava la fine di un periodo per entrare nel seguente. Merito di P. Simone è stato quello di capire questi segni con i conseguenti cambiamenti e di adeguarsi di buon grado.

Appena giunto in Uganda, venne incaricato della scuola del seminario di Lacor. Fu insegnante, vice rettore e poi rettore. Vi rimase  fino al 1967. Il suo superiore, P. Marchetti, nel 1957 scrisse di lui: “Professore attento, minuzioso, mai stanco di prepararsi, scrupoloso nella correzione dei compiti e nel seguire gli alunni, anche singolarmente, se ce n’è di bisogno. A parte la sua quasi eccessiva calma è un ottimo religioso, conciliativo, pronto a tutto. Come vice rettore del seminario maggiore se la cava bene. Nei momenti liberi dal suo lavoro si dedica con passione alla cura dell’orto e della campagna. Altrimenti, che cosa ne farebbe della sua laurea in agraria?”.

Uomo metodico qual era, avrebbe mantenuto il suo ritmo chissà fino a quanto tempo se, nel 1965, non fosse intervenuto il primo fatto che gli fece cambiare modo di essere missionario. In quell’anno, infatti, ci fu la nazionalizzazione delle scuole per cui il Padre fece con generosità il salto e chiese di essere assegnato al ministero in qualche missione.

In una lunga lettera al Padre generale dell’ottobre 1965 disse: “Due mesi fa ho chiesto a P. Bertinazzo di poter, ad anno scolastico terminato, andare a lavorare in parrocchia… dopo 25 anni di scuola”. E poi spezzava una lancia in favore degli studenti universitari della Congregazione dicendo che bisognava lasciarli liberi dal ministero, altrimenti le lauree andavano avanti “anche per 10 anni con tasse, viaggi, spese ed esaurimenti”.

Ecco, allora la seconda fase: essere missionario in prima linea. Cioè esercitare quel tipo di ministero che aveva sognato per tutta la vita. Come ogni passaggio, ogni cambiamento di vita e di metodo di lavoro, però, non fu indolore specialmente per P. Zanoner che, quando si impegnava in una cosa, si buttava dentro anima e corpo.

Dal 1968 al 1970 fu parroco a Kitgum, ma nel 1970 fino al 1971 dovette prestarsi nuovamente come professore nel seminario di Lacor. Questa esperienza lo aiutò ad entrare in contatto con l’ambiente dei seminaristi. Dal 1971 al 1973 fu addetto al ministero a Madi Opei e dal 1973 al 1975 a Lacor. Contemporaneamente, però, fu anche professore nel locale seminario.

A questo punto, precisamente dal 1975, scattò la terza fase del suo ministero missionario. Il Padre, non solo prese contatto con la lingua Acioli, ma soprattutto con il mondo Acioli. E cominciò a guardare dietro le quinte, a rendersi conto del come e del perché di tante cose che molti confratelli davano per scontate. In una delle infinite lettere che scrisse, tre grandi casse piene dei suoi scritti, disse:

“Mi sono accorto che la gente è cristiana alla domenica e pagana durante la settimana”. Qualcuno avrebbe potuto obiettare che succede lo stesso anche con tanti cristiani d’Europa e d’Italia, ma P. Zanoner non si accontentò e aggiunse:

“Ci vuole un’approfondita conoscenza della cultura di questo popolo, ma non in senso etnologico come farebbe un ricercatore laico, bensì in senso pastorale come deve fare il missionario evangelizzatore. E’ indispensabile, insomma, cogliere il valore di idee, costumi, riti per annunciare il Vangelo con piena conoscenza della gente”. E qui cominciarono gli studi del Padre, studi minuziosi, approfonditi, continuamente soggetti a correzioni, ad aggiornamenti, quindi mai pronti per una pubblicazione. Quanto ha lavorato, quanto ha interrogato, quanto ha scritto!

Dal 1975 al 1995 tornò definitivamente nel campo del ministro diretto con la gente con le seguenti destinazioni: 1975 - 1983 parroco a Gulu città; 1984 – 1988 parroco a Padibe;

Prigioniero

Nel 1987 subentrò la quarta fase del ministero del Padre, un ministero più radicale e anche questo forzato dagli eventi del tempo. In tutta la zona dell’Acioli orientale, soprattutto quella verso i confini del Sudan, imperversava la guerriglia del LRA (l’esercito di Alice Lakwena). Il 15 marzo del 1988, P. Simone, con altri due confratelli, furono prelevati dalla missione e fatti prigionieri. Il Padre diede relazione dei fatti al superiore generale in questi termini:

“Kitgum 22.03.88. Dato che l’elicottero che doveva evacuare le famiglie dei dottori non è arrivato ieri, ho l’occasione di scrivere poche righe… Non starò a raccontare i dettagli dell’avventura che ci ha portato a vedere di persona Severino Lokoya, padre della famosa Alice Lakwena, un perfetto commediante che si dice Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. Lo dice muovendo i bulbi oculari in modo ridicolo. Dopo di lui abbiamo incontrato il futuro primo ministro d’Uganda e gli altri ministri, tra cui un ragazzo di 15-17 anni.

A questo punto, altra commedia. Dopo averci dato da bere e da mangiare fegato di mucca e polenta di sorgo, ci hanno impartito una ‘lezione di politica’ spiegandoci il perché combattevano il governo, con quali mezzi lo combattevano, quale il programma una volta arrivati al potere centrale.

‘Non vi abbiamo portati qui per farvi del male - hanno detto - ma solo per spiegare il nostro Movimento perché ci sembra che voi lo osteggiate, come appare dalla lettera di Quaresima, e di fare giusto funerale al nostro colonello Kalama’.

Quando venne il tempo del dialogo, un ragazzo venne ad annunciarci: ‘Arrivano i soldati’. In pochi secondi tutti sparirono e restammo soli. Poco dopo, una sparatoria di pochi minuti, quindi silenzio. Alle ore 15.00 diciamo un rosario e scendiamo tra capanne in fiamme e ci incontriamo con i soldati che ci accolgono e vogliono sapere come ci hanno trattati. Via radio annunciamo il nostro ritrovamento, poi ci riposiamo mentre i militari bevono il tè e bruciano l’accampamento spezzando pentole e anfore ancora piene di carne. Ripartiamo alle 16.00 e alle 17.00 arriviamo ad un villaggio dove viene seppellita una ragazza. Alle 18.00 si riparte: P. Pizzi, robusto, a piedi; P. Fortuna ed io portati a spalle dai soldati su due letti di ferro trovati in quel villaggio. Così per 3 ore attraverso sentieri che erano fossi resi ancor più pericolosi dal buio. Finalmente incontriamo la Land Rover di P. Frigerio, partito anche lui con una colonna di soldati a piedi. Alle 10.30 siamo finalmente a casa, accolti con gioia da tutti.

Quando il P. Cona ci disse di lasciare la zona, dopo una nuova invasione di guerriglieri, abbiamo risposto che preferivamo restare con la gente. Imprudenza? Protezione dall’Alto? Piuttosto questa. P. Cesario, prete Acioli infermo, ripeteva: ‘I padri non ci abbandoneranno, lo sento’, e mostrava il rosario che recitava tutto intero ogni giorno. Questo è un primo ragguaglio della nostra prigionia”.

Dopo questa avventura, il Padre prestò il suo servizio in altri luoghi: 1988 - 1989 fu addetto al ministero nella cattedrale di Gulu; 1989 - 1990 venne incaricato del ministero a Kitgum; 1990 - 1994, sempre come addetto al ministero fu inviato a Pajule. Tutti questi cambiamenti non disturbavano il Padre, anzi lo favorivano per le sue continue ricerche e limature di quanto andava annotando sui suoi quaderni. In particolare volle approfondire, attraverso i riti della gente, cos’era la morte, com’era la risurrezione di Cristo e di ogni individuo e anche quella di un intero popolo che in quegli anni vedeva la morte in faccia ogni giorno.

E vide la luce il suo catechismo sui morti, cioè sul mondo dell’Oltretomba, sugli Spiriti ed i riti a loro riguardo. Il titolo è “Cristo Oto, Cristo Ocer” cioè “Cristo è morto ed è risorto”. A questo punto sarebbe opportuno affrontare l’enorme mole degli scritti del Padre. In un breve necrologio è una cosa impossibile, comunque sarebbe fuori posto perché l’opera di P. Zanoner merita un lavoro più organico e fatto da chi è addentro negli argomenti trattati. Mi limito a citare i titoli, solo i titoli, di una ricerca che il Padre ha fatto:

“Scopo di questo mio scritto è quello di esprimere ciò che penso a riguardo dell’attaccamento dei cristiani alle pratiche e tradizioni pagane. Ma prima di esporre le mie considerazioni vorrei porre delle domande: Quanti di noi hanno cercato di ricercare le ragioni del fenomeno? Quanti di noi hanno cercato il metodo che aiuti i nostri cristiani a superare queste attitudini e di accettare il Vangelo?”. E poi si avvia nella sua esposizione di quanto ha scoperto in proposito, richiamandosi all’abitudine, alla paura, alla mancanza di conoscenza delle medesime pratiche, e, di conseguenza, alla mancanza di proposte alternative in senso cristiano…

Valore di un incoraggiamento

Non dobbiamo pensare che i tutti i confratelli si siano spellate le mani per applaudire il metodo missionario di P. Zanoner, anzi! Molti dicevano che, chi batteva le vie tradizionali, aveva ottenuto buoni risultati, con cristiani convinti tanto da affrontare anche il martirio. Altri dicevano che la conversione è opera della grazia, quindi i metodi umani hanno un’importanza relativa: “Dio sa cavare figli di Abramo anche dalle pietre” e via di seguito.

Ma ecco che, nel 1991, P. Zanoner fu raggiunto da una lettera del Padre generale (P. Pierli) il quale gli disse: “Esprimo la mia profonda gratitudine per quanto hai fatto e stai facendo in questo settore. Forse non tutti approfittano del tuo contributo ed è anche vero che certe iniziative vengono capite solo dopo. Il Signore ti dia energia per portare avanti altre iniziative simili. Questo contributo resterà un punto di riferimento anche per il futuro”. E’ proprio così: alle volte una parola di incoraggiamento da parte dei Superiori toglie dal dubbio chi cerca strade nuove e facilita il lavoro anche a chi batte quelle già esperimentate. E un incoraggiamento costa poco!

Le autorevoli parole del Superiore generale scesero come balsamo sull’anima del Padre, lo tolsero dal senso di isolamento dal quale si sentiva circondato e gli infusero nuovo incoraggiamento. Il Padre curò un “Rituale per le famiglie” con 60 azioni di benedizione, il “Catechismo dei sacramenti visto dagli Acioli”, il “Catechismo su Dio, gli Spiriti, i Sacrifici, la Morale”. Ultimamente stava tentando di far tradurre in inglese, espandendolo, il manoscritto di P. Malandra “Vita Acioli e religione”.

Ma intanto gli anni si erano accumulati sulle spalle, sempre piuttosto fragili, del nostro Padre. La vista non funzionava più come una volta, ed egli aveva un gran bisogno degli occhi per le sue ricerche; si aggiunse un persistente mal di testa che gli rendeva penosa la giornata e inquiete le notti. Ma il Padre tirava avanti.

Nel 1995 ebbe una breve esperienza come economo a Patongo interrotta dal suo rientro in Italia (luglio 1995) per malattia. Fu curato inizialmente a Verona poi, dal 1996 al 1999, ad Arco fino al suo ricovero a Verona dove lo colse la morte.

Una sfida al cristianesimo africano

Capire le culture per evangelizzarle è stato il programma della vita e dell’attività missionaria di P. Zanoner nell’ultima parte della sua vita. Per questo la sua figura entra nella scia di alcuni altri comboniani, non molti per la verità, che hanno dedicato la loro esistenza a questo compito non facile e non ricco di immediate gratificazioni e molte volte incompreso.

P. Varesco nell’omelia alla messa ha ricordato in particolare l’apporto di P. Zanoner alla conoscenza degli Acioli e della loro cultura. “La sua presenza così impegnata, così dedicata, così cosciente del lavoro sacerdotale missionario ha lasciato un’impronta indelebile. Il lavoro che ha iniziato e portato avanti, non finirà con lui, perché è un lavoro difficilissimo e impervio che sfida tutti i sacerdoti africani. Sono pochi i missionari che si sono dedicati in una forma così profonda nel lavoro di coscientizzazione per far sì che il popolo che viveva nelle tenebre dell’errore potesse piano piano cominciare la vita cristiana.

P. Zanoner è una di quelle persone imbevute di Spirito Santo che hanno capito la bellezza della loro vocazione, hanno creduto al dono di Dio, hanno creduto al Comboni che si è dato anima e corpo per salvare l’Africa. Zanoner ha visto il lavoro missionario non solo come la salvezza di un singolo, ma della società nella quale il singolo vive”.

P. Varesco ha sottolineato la semplicità, l’umiltà e il grande rispetto che rasentava la venerazione di questo confratello nell’accostare le popolazioni Africane e le loro culture. E poi ha aggiunto: “Il suo zelo per la salvezza degli uomini è uno stimolo agli altri per continuare in questo ministero. Credere alla propria vocazione missionaria vuol dire credere all’Africano, essere convinto che può mettersi in cammino con la propria cultura, le proprie tradizioni. I sacerdoti africani, per i quali Zanoner ha lavorato, sono la speranza del futuro. Senza di essi l’Africa rimane a terra.

Gli Africani vivono in gran parte sotto una grande paura, sono combattuti da una dicotomia: Dio e gli Antenati. Chi è che vale di più? Cristo salvatore mandato dal Padre o gli Antenati che tengono soggiogato il popolo ancora oggi con le loro credenze, le loro superstizioni? P. Zanoner, con umiltà, senza pressioni, avvicinando uno ad uno questi Africani, con una pazienza infinita, senza precipitare le cose e le conclusioni, attraverso il contatto perseverante e pieno di carità è riuscito a conoscere l’anima dell’africano. La sua vita è stato un cammino alla ricerca dell’anima africana, in particolare degli Acioli. Un lavoro fatto per aiutare i sacerdoti nella loro evangelizzazione.

Dov’è l’anima africana? Come recuperarla? Come redimerla? Che vie battere? Il Vangelo è troppo alto? Troppo difficile? Ecco le domande che si poneva P. Zanoner.

‘Se uno semina in una boscaglia, o sulla strada sassosa, non può illudersi di raccogliere la messe. Anche il messaggio più bello, più confortevole, più ricco di contenuti resterebbe senza risposta’, disse un giorno ai suoi confratelli P. Simone.

Ecco quindi il difficile compito di preparare le persone a ricevere il messaggio. Era questo il punto difficile, reso ancora più aspro in seguito alla situazione sociale, agli attacchi dei ribelli, alla guerra, alle vendette che rendevano la riconciliazione, il perdono, la pacificazione, difficili.

Come far capire agli Acioli che anche loro erano figli di Dio, che anche l’altro era figlio di Dio? Come fare capire che il battesimo non è semplicemente una cerimonia per assegnare un nome, ma una nuova vita? Cosa vuol dire comunione, santa messa… P. Zanoner cercava di sminuzzare il catechismo classico in piccole domande che potessero essere comprensibili a tutti, anche ai bambini che venivano dal bosco e che non sapevano né leggere né scrivere. Il Padre sentiva di essere stato mandato proprio a questi poveri, agli emarginati che magari non sapevano perdonare… Un lavoro lungo, appena iniziato che non ha ancora prodotto i sui effetti nella società africana”.

“Mi auguro - ha detto P. Varesco - che tutti i Vescovi africani continuino e approfondiscano lo studio iniziato da P. Zanoner. Anzi la Congregazione stessa, in qualsiasi popolo si trovi a lavorare, deve fare il lavoro iniziato da P. Zanoner. Far cristiani non vuol dire riempire i registri di nomi di battezzati, è qualcosa di più profondo. Per questo occorre il contatto individuale, personale, come ha saputo fare il nostro confratello con umiltà, con tanta preghiera, consapevole che certi doni vengono solo da Dio”.

Ma non capiscono!

Scrive P. Bruno Novelli, che è un ricercatore sulla linea di P. Zanoner:

“Quando ho sentito della morte di P. Zanoner, mi è venuto il pensiero di mandare qualche cosa su di lui per il Bollettino, dato che negli ultimi due anni ho avuto una fitta corrispondenza riguardante i capitoli del mio libro sulla religione tradizionale dei Karimojong, che gli mandavo per un suo parere a mano a mano che li scrivevo. Mi decido ora a farlo perché ritengo che P. Simone avesse una sensibilità particolare in questo campo che non tanti dei nostri dimostrano di avere.

Si interessava della cultura della gente non per fini accademici, ma pastorali. A mio modo di vedere era uno dei pochi ad aver capito che le possibilità del Vangelo di incarnarsi nella vita della gente - diventando così la loro visione della vita - sono legate al processo di innesto del cristianesimo nel tronco della cultura e religione tradizionale.

Il Concilio ha ribadito ancora una volta che i valori positivi in esse contenuti sono dono di Dio, che si è rivelato in questo modo ai suoi figli, in attesa del completamento della rivelazione che avviene attraverso suo Figlio.

Il dualismo religioso che caratterizza il cristianesimo africano, è dovuto principalmente a questa mancanza di dialogo. La religione tradizionale rimane sostanzialmente quella che è e il cristianesimo vi si pone accanto, molto spesso nella veste occidentale nella quale è stato presentato. Il documento finale del Sinodo Africano ha messo chiaramente in luce questo fenomeno. Ed è evidente che, delle due religioni, quella che esercita l’influenza maggiore, è quella a loro più familiare.

Molti credono che interessarsi di queste cose significhi fare della archeologia, sia cioè cosa che non ha connessione con il presente. E così vanno avanti ignoranti delle realtà profonde della gente. Le conseguenze sono sotto i loro occhi, ma non capiscono.

P. Zanoner capiva profondamente tutto questo e si dava da fare per trasferire sul piano pastorale i risultati della sue ricerche augurandosi di poter ‘muovere le acque’ piuttosto stagnanti delle nostre metodologie pastorali”.

A questo punto P. Novelli cita alcune lettere che il Padre gli scrisse a proposito del suo lavoro. Ne citiamo qualche brano:

“(30 agosto 1999). Da lettere da Patongo e da Padibe vengo a sapere che certe pratiche sono ancora quelle della tradizione. Come mai? Io penso che gli agenti di pastorale non discutono il problema con i vecchi cristiani nelle piccole comunità cristiane. Ma esistono? Del problema ho scritto su Dialogo novembre ‘96 n.219. Mah!”.

“(18 maggio 1999). Assicuro ricordo e preghiere per la tua salute e per il tuo apostolato presso i confratelli e la gente che può approfittare ora di una visione corretta della propria tradizione e vivere in comunione filiale nello spirito di Cristo con Akuj. So che a Gulu stanno stampando ‘Riti Acioli e Sacramenti’, ma  se non è letto e discusso nelle piccole comunità cristiane (esistono poi?) non porterà frutti, dato che è stato fermo negli scaffali delle parrocchie come ciclostilato per 17 anni!”.

“(26 febbraio 1999). Ti mando fotocopia della lettera di P. La Braca. E’ un documento di una situazione missionaria eccezionale. Bravo! Che il Signore gli dia salute e grandi frutti! In Uganda stanno stampando due libretti Acioli: un catechismo dove riti Acioli e riti cristiani sono messi a confronto, e un altro con riti-preghiere cristiane per aiutare i cristiani a fare i loro riti tradizionali senza la parte non compatibile con il Vangelo”.

“(16 dicembre 1998). Continua a dare il tuo contributo non solo di cultura, ma del modo di inserire il Vangelo nelle cultura. Fai bene. Ci sono quelli che ti seguono?”

“24 novembre 1998). L’evangelizzazione dei Karimojong pone problemi immensi. Sono contento che P. Elia Pampaloni ‘scuota’ l’inerzia in questo campo e sia attivo nel proporre un’approfondita conoscenza della cultura locale in funzione dell’evangelizzazione. Proprio come fai tu”.

Fino alla fine

P. Zanoner quando si trovò in Italia ammalato, non smise mai di essere missionario, di pensare unicamente alla missione. Dice Fr. Emilio Rebellato: “Non voglio dire una parola brutta, ma per sottolineare il suo zelo lo vorrei chiamare un fanatico per la missione, tanto che io lo criticavo un po’ per questo suo zelo che mi pareva esagerato. Rinunciava a tutto per scrivere una lettera, per approfondire e limare i suoi studi con quegli occhi che ormai non ci vedevano più.

Come uomo, poi, era uno che non voleva essere di peso a nessuno. Lo ha dimostrato quando è andato a confessare la vigilia di Natale: mi sono offerto per portarlo, dato che ci vedeva poco, ma egli non ha voluto assolutamente.

‘Ci sono i mezzi pubblici, le corriere che sono così comode’, ha detto ed è partito come un soldato. Non ci vedeva troppo, aveva altri disturbi, quindi aveva mille motivi per farsi portare. Andava a fare ministero, ad aiutare per le confessioni.

Il punto principale, però, è un altro: era un uomo umile. Tra me e lui ci tagliavamo i capelli, accettava che io gli facessi piccoli servizi come tagliargli le unghie, lavargli i piedi… mentre altri, guai! Se poteva mi aiutava, anche nelle piccole cose:

‘Fratello, posso darvi una mano?’, mi diceva; e questa sua disponibilità mi commuoveva. Sì, ti dico che se il Signore lo ha chiamato a sé così improvvisamente e senza dolori, è perché era pronto ad andare in paradiso”.

A proposito del suo attaccamento alla missione, vediamo come la intendeva - da ammalato - quando ricevette la lettera del Padre generale che lo fermava per sempre in Italia.

“Epifania 2000. Reverendissimo e caro Padre, scrivo oggi, festa missionaria per eccellenza, per ringraziarla della sua del Natale 1999 con la quale mi comunica che la mia vita missionaria in Uganda prende un nuovo nome: vita missionaria in Italia. Ma io desidero che continui sulla linea dell’evangelizzazione, anche se in altro modo.

Assicuro che lo farò. In questi ultimi quattro anni, da quando una retinite mi obbligò a lasciare Patongo, non ho cessato di interessarmi, attraverso lettere ai confratelli delle missioni dove ho lavorato di una cosa fondamentale per me: qual è la volontà dei cristiani di staccarsi dalle loro credenze e pratiche pagane… Sono una ventina le pubblicazioni su questi argomenti. In questo modo mi sento ancora missionario evangelizzatore anche se ormai non mi resta che lasciar fare agli altri e mettermi in chiesa e chiedere al Missionario Gesù che ci pensi lui”.

Queste non erano solo parole. P. Zanoner era un uomo di intensa preghiera e di grande zelo per la salvezza delle anime. Teniamo presente che la morte lo ha colto mentre, anziano, malato, quasi cieco, si accingeva ad andare ad aiutare un parroco nel ministero delle confessioni natalizie. E andava con mezzi comuni, da vero povero. P. Guido Oliana, superiore provinciale d’Uganda, ha scritto: “P. Zanoner è stato sulla breccia fino all’ultimo. E’ un grande, ricordato da tutti. Ha lasciato un segno tra gli Acioli”. E P. Felice Centis: “Era un uomo buono e semplice che amava la sua gente ed era ansioso che i confratelli conoscessero bene gli Acioli per poterli veramente aiutare. E’ per noi Comboniani, un esempio da imitare”.

La strada dell’evangelizzazione

Prima della lettera al Superiore generale, P. Simone aveva scritto anche a P. Felice Centis facendo come un riassunto delle sue idee sugli argomenti che tanto gli stavano a cuore. Sentiamo qualche brano:

“Arco, 5 novembre 1999. Caro P. Centis, come sai sono un fissato in un punto che per me è cardine nel nostro apostolato, quello della persistenza delle tradizioni pagane tra i cristiani. Noi dobbiamo far di tutto per conoscerle e per aiutare i cristiani ad essere davvero convertiti. E non vivere una doppia vita: cristiani in chiesa, pagani a casa. Tu conosci il libro Cristo Oto Cristo Ocer che tratta delle credenze e dei riti sui morti. Non ho echi sull’uso eccetto il commento di un catechista di Patongo e di una suora di Pajule che mi dicono: ‘Molti leggono il tuo libro, ma non mettono in pratica ciò che suggerisci’. Cosa fare? La lettura privata non porta a conclusioni pratiche. Secondo me, solo una discussione tra adulti può portare a decisioni concrete che hanno un influsso sul comportamento dei cristiani, come ho fatto qualche volta a Padibe.

Secondo le informazioni avute ho saputo, per esempio, che una donna, moglie di un catechista, dopo aver partorito un bimbo difettoso era spinta dai familiari a disfarsene. Un catechista di Pajule mi disse che una donna di una sua cappella lo fece tre volte. Bisogna far capire che queste loro tradizioni non possono andare d’accordo con la vita cristiana.

Anche il problema degli stregoni è attuale. E qui hanno scritto anche altri nostri confratelli. Non si deve solo interessare gli agenti pastorali di questo fenomeno, ma bisogna trattarlo nelle comune riunioni di adulti, mettendo in luce gli imbrogli degli stregoni demolendo, così, la credulità della gente. Chi è lo stregone? Che ne dice la Scrittura? Che cosa insegna il catechismo? Che ne dicono gli stregoni convertiti? Ho scritto su questi argomenti ma bisogna commentarli in raduni di adulti altrimenti gli stregoni avranno sempre l’ultima parola”.

P. Zanoner affrontò tanti altri argomenti di attualità per il ministero missionario in Africa, facendo un servizio non solo ai missionari europei ma anche al clero indigeno e ai vescovi che, data la loro formazione in seminario, non sempre sono a conoscenza delle usanze e credenze della loro gente.

Considerando la mole di lavoro di questo nostro confratello, alla continua ricerca dell’autentica anima africana, diciamo che la morte è venuta a coglierlo troppo presto. Ma i piani di Dio sono diversi da quelli degli uomini.

P. Simone, dopo il funerale in Casa Madre, è stato portato al paese, Moena, dove riposa accanto ai suoi cari. A noi resta la sua preziosa eredità che va studiata, approfondita, valorizzata perché il seme evangelico sparso con tanto sacrificio dai missionari non cada sulla strada o tra le spine, ma in un terreno ben preparato dove porterà il centuplo. Accomiatandoci, gli diciamo grazie per il suo lavoro e lo preghiamo perché, dal cielo, susciti altri confratelli che si mettano sulla sua strada.       P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 206, aprile 2000, pp. 126-137