La vita è un problema, un mistero? Né la vita né la morte si spiegano; e tanto meno quella di una persona di 45 anni: nella pienezza della vita, nella pienezza dei sogni. Dio è venuto a visi tarlo. Visita sconcertante, ma visita di Dio. Visita per lui, visita per noi.
Oggi parlando di P. Ettore non vogliamo spiegare niente; semplicemente metterci nell'orizzonte esatto dove noi lo incontriamo e dove Dio lo colloca davanti a noi, sapendo che "la vita non è un problema da risolvere, né una domanda da rispondere: la vita è un mistero da contemplare, ammirare e gustare". Anche la vita di Ettore è un mistero, non oscuro ma pieno di luce.
La vita è un mistero di amore e di luce. Così sento adesso la vita di Ettore.
Pellegrino della vita
I dati fondamentali: Ettore Adolfo Frisotti è nato a Foggia (I) il 5 aprile 1953. Ha fatto il noviziato a Venegono (1974-76), ha studiato teologia a Granada, Spagna (1976-79), ed ha passato 3 anni (1979-82) alla rivista Nigrizia. Nel 1983 è andato in Brasile, ed è rimasto a Salvador da Bahia fino al 28 maggio 1998, quando è ritornato a Verona per cure. Il 29 agosto alle 21:15, ora di Brasilia, abbiamo ricevuto la notizia del suo decesso. P. Ettore aveva 45 anni.
"Un cammino di vita corta", mi commentava una persona molto amica di Ettore. Così sembrava scritto nelle stelle, così come era scritto nel cuore di Dio.
Punti di incrocio
Nella vita ci sono degli incroci dove si decidono strade e indirizzi, dove la libertà e i compromessi vengono sfidati. Nella vita di P. Ettore non è stato diversamente. Vediamo alcuni di questi incroci o momenti decisivi, dove il progetto di Dio si rivela e mostra la via da seguire (cf. Is 55, 8-11).
Incontrai Ettore per la prima volta nella Pasqua del '75. In quell'epoca egli aveva già vinto almeno una prova. Un suo zio non voleva che diventasse padre missionario; gli offriva tutto: lavoro in banca, una macchina e mille altre cose. Ma lui, come Paolo, optò per un' altra causa, per altro tesoro, dove investire tutta la vita (cf. Fil 3,7-14).
Decise di partire e prepararsi per diventare missionario: Venegono, Granada, Verona e Salvador da Bahia. Qui ha voluto restare per sempre. È andato a S. Paulo per la laurea, ma ha continuato ad appartenere alla nostra comunità fino all'ultimo giorno; io e qualche altro siamo stati complici di questo.
La causa Afro, causa comune, ci ha coinvolti in molti momenti, facili e difficili; ma Ettore ci ha trascinati sempre dalla sua parte, cioè in favore della causa Afro. Le persone, come gli alberi, hanno le loro radici, ed Ettore le ha messe nel suolo Bahiano. Fuori di Bahia si sentiva "come pesce fuori d'acqua". Ha lasciato Salvador con l'impegno di curarsi e con il sogno di ritornare alla fine dell'anno . Aveva il biglietto di andata e ritorno, ma "il ritorno" l'ha fatto per un'altra strada, che non era nei suoi piani.
Ettore ha cercato vita e giustizia nelle strade che ha percorso, sia a Salvador come nel resto del Brasile: prima nella parrocchia di S. Giuseppe Operaio di Castelo Branco, dopo nella parrocchia di Nostra Signora Ausiliatrice, a Pau da Lima e Sussuarana. Nel gruppo Ginga, nel ISPAC, nella Commissione Giustizia e Pace, nel Centro per l'Evangelizzazione della Periferia di Salvador, nei gruppi e movimenti di entità Afro di Bahia e del resto del Brasile; con gli agenti pastorali neri e nere; nella catechesi, nelle visite e celebrazioni con le comunità, nelle sante missioni popolari, nell'assistenza ai corsi di formazione alle Comunità Ecclesiali di Base, nel dialogo ecumenico, insegnando nel ITEBA o nei corsi popolari dal Nordeste fino a Rio Grande do Sul; nell' amicizia con gli amici ed amiche . ..
Ha collaborato in varie organizzazione di assistenza legati al CEBI (Centro di Studi Biblici), CEDI (Centro Ecumenico di Documentazione ed Informazione), CEHILA (Commissione di Studi della Storia della Chiesa nell' America Latina); nel dialogo con le religioni Afro-brasiliane, particolarmente in Salvador ed altri Stati.
Frutto di tutto questo cammino sono diversi articoli e libri, per esempio: Beber no poço alheio:Religiões Afro-brasileiras.Caminhos de fé e libertação . Poi ci sono stati libretti e foglietti pubblicati come quaderni di ricerca durante l'anno 1992. Il primo: Communidade Negra, evangelização e ecumenismo. Il secondo: Optar com os Pobres. Observações sobre teologia e culturas na pratica eclesial no Brasil. Il terzo ha come titolo: O Cristo dos poderosos e o Jesus dos pobres. Procura de fontes para uma Cristologia negra no Brasil. Il quarto e ultimo della collezione: Fora das CEBs não ha salvação? Observações sobre Igreja, Dogma e Poder.
Alcuni anni dopo, come sintesi di un lavoro permanente e paziente di ricerca, lancia Passos no dialogo: Igreja católica e religiões afrobrasileiras. Questa pubblicazione corrisponde fondamentalmente alla sua dissertazione di laurea in teologia dogmatica nella facoltà di Nossa Senhora da Assunção, S. Paulo, difesa a dicembre '94 con il titolo Um olhar diferente. Questo è un libro significativo, sul quale commentava Terezinha de Jesus Barreto, un'animatrice della comunità di Pau da Lima: "Dobbiamo usare questo libro meraviglioso. Fu un'eredità che Ettore ha lasciato per tutte le comunità". Infatti, fu un'eredità preziosa per le comunità ecclesiali di base.
La passione di Ettore
Una grande passione alimentò la vita di Ettore: la causa dei Neri, causa che abbracciò con determinazione. Nel suo cuore, come quello di una madre, si annidarono altre cause o dimensioni della stessa causa: le comunità ecclesiali di base, il dialogo ecumenico inter-religioso - specialmente con il Candomblé -, il cammino con i movimenti neri, con il gruppo Ginga, con gli agenti pastorali neri (APN's), la formazione missionaria dei seminaristi e la riflessione costante sull'evangelizzazione inculturata da una prospettiva storica, antropologica, evangelica. Partecipava al gruppo Atabaque e con loro rifletteva il cammino del popolo nero, pubblicando queste riflessioni in varie riviste. Uno degli ultimi articoli: A dívida com a fé e a religião do povo negro, pubblicato nella rivista "Atabaque-Cultura Negra e Teologia", S: Paulo 1998.
Ettore ha seguito i nuovi sentieri del dialogo e solidarietà, ha percorso molte volte le strade della solitudine ed ha sofferto una certa incomprensione in questa ricerca costante nel mondo del dialogo inter-religioso. Ricordo ancora la frase con cui ci ha accolto a marzo del '89, e che rifletteva un po' il sofferto cammino di quell'epoca, soprattutto dei due ultimi anni, durante la campagna della fraternità ("A fraternidade e o Negro, 1998"): "Escolhe a morte com a qual vocé quer morrer!" ("Scegli di che morte vuoi morire").
Dalla propria bocca di Ettore ho ascoltato un giorno come una sua confessione: "Davanti alla vita stroncata violentemente di P. Ezechiele Ramin (Cacoal - RO, luglio 1985), per me è stato tutto chiaro: dedicherò tutta la mia vita alla causa Afro e per sempre!" A questa causa dedicò tutta la sua vita: i suoi studi, ricerche, solidarietà, sogni.
Egli ha dato vita alla Biblioteca Comboniana Afro-brasiliana (BCA). Sempre per la causa del popolo nero, ha collaborato con varie riviste missionarie; e fu un pioniere testardo nell'uso dell'Internet, dando una grossissima contribuzione per la creazione del POP-ZUMBI insieme ad una ventina di ONG di Bahia, connesso all’ UFBA, e nella valorizzazione di questo mezzo moderno di comunicazione e di potere al servizio delle comunità, dei poveri e dei movimenti popolari.
Un pizzico di Vangelo
Ettore aveva come ideale il sogno di José Maria Pires e di tutto il popolo nero del Brasile e dell'Africa: "Sogno il giorno in cui potremo vedere rispettato il nostro modo di essere nero, la nostra maniera di celebrare, il nostro modello socioeconomico. E questo è quello che anche gli Indios desiderano; fu questo che l'apostolo Paolo ha difeso per i 'gentili' del suo tempo: per seguire Gesù non avevano bisogno di diventare giudei, cioè, dover accettare la cultura e la religione giudaica. Allo stesso modo basterebbe conoscere un po' la nuova cultura che si è radicata in Brasile, con gli schiavi portati dall'Africa, per capire che c'è un pizzico di Vangelo nelle cose del Nero" (Dom José Maria Pires, Joao Pessoa, PB.)
Ed Ettore molte volte ha sentito quel pizzico di Vangelo nelle cose del Nero! Pizzico caratteristico: di cibo, di festa, di vita, di giustizia, di solidarietà, di condivisione, di dialogo ... "Il futuro deve essere Nero", diceva con forza e resistenza, solidale con il gruppo Ginga, con gli agenti pastorali neri, con il gruppo Atabaque, ed in tanti momenti di riflessione e di condivisione.
"Questo è un'ingiustizia!"
Chi ha conosciuto Ettore, sa quanto fosse forte il suo senso di giustizia e solidarietà con i piccoli. Ricordo una volta, al termine di una telefonata, in cui era stato invitato ad un simposio di Mariologia per dare una conferenza. Appena finita la chiamata commentò: "Questo è una ingiustizia". Io non riuscivo a capire a che cosa si riferisse. Mi spiegò che l'invito era di parlare di "Maria nella religiosità popolare", e che gli avevano offerto un viaggio aereo di andata e ritorno per la conferenza. "Ma non vedi - insisteva lui - che questo è troppo? Andare là in aereo per parlare appena un'ora? Questo è un'ingiustizia!" Mi limitai a domandare: "E tu cosa pensi, hai un'altra alternativa?" Ed aggiunse: "Io chiederò che la conferenza sia seguita da un dibattito sull'argomento. Andare là solo per la conferenza non vale la spesa; però se c'è un dibattito, allora sì è un'altra cosa!"
So che Ettore ha partecipato a quel simposio di Mariologia (S. Paulo, 22-26 luglio '96), e che è piaciuto ai partecipanti di sentir parlare di Maria nell'universo teologico popolare. Egli ha saputo trasmettere il messaggio nella conferenza e nel dibattito. Questo l'aveva imparato nella scuola del popolo, nell'università delle comunità.
Sulla strada del dolore
Negli ultimi mesi Ettore ha avuto davanti a sé un'altra sfida: quella del dolore e della sofferenza. Egli ha sofferto molto nei tre mesi in cui la malattia si manifestò con forza.
Antonietta, sorella di Ettore che l'ha accompagnato a Verona negli ultimi mesi, un giorno mi diceva: "Ettore ha sofferto tantissimo; però non si è mai lamentato. Trasmetteva molta pace. Avevo l'impressione - continua la sorella - di vedere il Cristo sofferente, condannato a morte, anche se per ragioni diverse. E penso anche che Cristo fu rifiutato dai propri amici. Ettore no!"
Più tardi, facendo memoria di quelle settimane accanto ad Ettore, Antonietta scriverà: "Ettore era sempre animato da tanta speranza! Ettore fu sempre buono ... , ma adesso c'era qualcosa di speciale in lui ... come un certo profondo equilibrio, una sintesi di valori quasi perfetta. Questa unione di lotta ed abbandono in Dio, nella sofferenza di Ettore, mi affascina. Quanta forza e serenità, quanta dolcezza nei suoi occhi." E ricorda la fede ed il coraggio della mamma, signora Pina, che "capisce" che il Signore lo vuole portare con sé, "nella pienezza della vita, perché in un altro momento non sarebbe pronto."
E Sr. Luisa Campostrini per telefono mi disse: "Giustino, il nostro amico ci ha lasciato un grande esempio di fortezza e serenità. È rimasto sereno fino all'ultimo minuto. Era cosciente fino alla fine. Trasmetteva fede e speranza quando lo visitavamo. Dica questo alle persone che lo conobbero, lo dica alle comunità."
"Il mio albero di avocado"
Le persone sono come gli alberi: vive, uniche, gioiose. Nell' orto del mio vicino c'era un albero di avocado. Grande, vigoroso, bello! Era la gioia dei ragazzi, soprattutto in certe epoche dell'anno quando era pieno di frutta . Un bel giorno hanno deciso di tagliarlo, ramo per ramo ... ed un'esplosione di luce apparve davanti alla mia casa. Quel albero di avocado così familiare, così accogliente, non c'era più. Ma tante volte all'uscire ed entrare in casa, mi sembra ancora di vedere quel albero di avocado trasformato "in assenza-presenza", trasformato in luce.
Oggi Ettore assomiglia al mio albero di avocado, compagno di cammino per 9 anni. Ed adesso sento quella presenza come molte persone che l'hanno conosciuto e lo amano, come un'assenza-presenza, fatto luce, sorriso, giocherellone. Le persone più intime percepiscono una presenza nuova, viva, diversa: fatta di luce e di gioia, come una visita di luce viva, forte, marcante, portatrice di pace, gioia, auguri, conforto, solidarietà ... In una parola: VITA NUOVA! Ed i luoghi sembrano diventare piccoli per lui. Gente di Jardim Cajazeiras, di Lauro di Freitas, di S. Marcos, di Santa Rita ... e di tanti altri quartieri, sentono una presenza molto forte e viva di Ettore. Luoghi e famiglie così diverse, e tutti sentono la stessa presenza nuova del Dio della vita, lo stesso "Dio presente" nella persona di colui che è considerato oggi amico, fratello, figlio dalle persone con le quali ha vissuto in queste terre di Bahia. "Mio albero di avocado, nostro albero di avocado Vivente, Invisibile! Ettore, come Cristo, vive ed è Vita, Luce, Presenza, Presenza, Sorriso, "Scherzo". Giocherellone come lui sapeva essere quando lasciava che il cuore parlasse. Ettore giocherellone!
I semi daranno frutto
Ettore, amico, fratello, compagno di viaggio: tu sei stato il primo nella fila, ti "sei messo avanti nella fila", come direbbe il nostro buon amico William del Centro di Evangelizzazione della Periferia di Salvador-Penha, dove Ettore ha collaborato con l'équipe dei sussidi popolari per le comunità. Tu hai seminato i semi della vita, solidarietà e dialogo. La tua eredità è grande. Di te parlava anche Antonio de Jardim Cajazeira, conosciuto come il "Calvo": "Voi ci avete insegnato a camminare con i nostri piedi".
Molte persone e comunità potrebbero testimoniare altri semi e parole della vita di Ettore. Abbiamo ricordato alcune tappe, alcuni momenti che illuminano la direzione e il suo compromesso fino alla fine. I semi daranno frutto qui, là ... dove Dio vorrà.
Mi resta da dire una cosa soltanto: tante grazie, Signore, per la vita di Ettore; egli è stato un regalo di Dio per le comunità, per il popolo nero, per il mondo. Egli è stato un missionario che ha cercato di portare la Buona Novella del Vangelo, e allo stesso tempo si è lasciato evangelizzare dai poveri; per questo è arrivato ad affermare con convinzione ed esperienza: "Il popolo ci evangelizza"!
Signora Pina ed Antonietta, rispettivamente madre e sorella di Ettore, "hanno saputo donare questo figlio e fratello alla missione, alla causa del Regno, per la gioia dei poveri ed esclusi", commentava Raquel Rodrigues dos Santos, una giovane ingaggiata nella comunità sin dall'età di 13 anni. "L'hanno ricevuto adesso come Maria ai piedi dell' albero della Croce: nella malattia e nel dolore. Nella fede han saputo contemplare il mistero di una vita donata per amore."
Il nostro sentito grazie alla famiglia di Ettore: famiglia mia, famiglia nostra. Questo mi dissero stamattina sua madre e sua sorella: "Siamo della stessa famiglia; eravamo e continueremo ad esserlo" (1 settembre 98).
Ricordando questo impegno e tanta dedizione, resta la domanda: chi assumerà adesso questa causa e questa bandiera? Noi sappiamo che lui ha avuto un momento speciale, quel pomeriggio, quando stava vedendo nel giardino della Casa Madre di Verona "una festa di Neri", che ballando a migliaia sembrava che l'accompagnassero nell'ultimo viaggio di colui che ha sempre accompagnato il popolo nero in questi ultimi decenni. Egli iniziava la danza, la danza definitiva del nuovo Quilombo, del Quilombo della Risurrezione, dove potrebbe rispondere con Pedro Casaldaliga davanti alla domanda conclusiva: "E quel giorno mi domanderanno se ho amato. Ed io, senza parlare, mostrerò il mio cuore pieno di nomi". P. Justino Martínez Pérez mccj
Da Mccj Bulletin n. 203, luglio 1999, pp. 64-69
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Per delineare il breve profilo di questo nostro confratello, stroncato da tumore a 45 anni, partiamo dai suoi ultimi giorni passati al Centro Ammalati di Verona. Furono giorni di dolore, di affinamento spirituale, illuminati dalla presenza della mamma e della sorella, Maria Antonietta. Il papà era morto a 44 anni, il figlio lo seguiva a 45: uno strano destino, dunque, per questa famiglia legatissima da vincoli di intenso affetto. Lasciamo parlare mamma Giuseppina:
“Essendo ministra dell’Eucaristia nella mia parrocchia, l’incaricato del Centro ammalati mi chiese di portare la comunione a mio figlio. Accettai con molto piacere l’invito anche perché il gesto, per me mamma, assumeva un significato tutto particolare.
Nei primi di agosto, ero appena venuta da Foggia, andavo alle quattro del pomeriggio, poi abbiamo stabilito che, dopo la messa delle 18,30, prendevo la pisside e mi recavo nella camera di Ettore dove c’era anche la sorella. E tutti e due ricevevano la comunione. Uno dei ricordi più belli è stato quello accaduto il 27 agosto, santa Monica, mamma di Sant’Agostino.
“Sarà l’ultima comunione - pensavo - perché Ettore è ormai alla fine. Invece arrivò anche al giorno dopo, in cui si celebrava sant’Agostino. Ma Ettore ormai non capiva più, non rispondeva alle domande. Io portai la comunione a Maria Antonietta. Ella, però, mi disse: ‘Mamma, mettiamoci vicine a Ettore, forse ci seguirà mentre tu mi porgi il Signore’. Fu un momento di grazia perché, mentre recitavamo il Padre nostro, Ettore cominciò a sillabarlo lentamente, ma pronunciando tutte le parole complete. Da qualche giorno non sentivo più la sua voce per cui rimasi molto meravigliata. Noi ci adeguammo al suo ritmo recitando tutta la preghiera. Poi, come tutte le sere, recitammo la preghiera del Comboni. Ettore aprì leggermente gli occhi e alle parole ‘per Cristo nostro Signore’, rispose ‘Amen’.
A questo punto gli misi in bocca un pezzettino di particola che si sforzo di deglutire aiutato da un po’ d’acqua. Fu la sua ultima comunione. Poco dopo, infatti, mentre facevamo insieme il ringraziamento per quell’ultimo dono, spirò serenamente”.
Una famiglia dove ci si voleva bene
Il papà di Ettore si chiamava Lorenzo, era capo ufficio all’INAM. Alla sua morte lasciò due bambini: Ettore che aveva 9 anni e la sorellina, Maria Antonietta che ne aveva 7. L’ufficio lo aveva tenuto in costante contatto con i malati e con i sofferenti, e questo lo aveva aiutato a raffinare sempre più il suo spirito e a renderlo sensibile nei confronti del prossimo.
La mamma, che aveva 38 anni, trovò la forza di andare avanti nella fede, nella preghiera, nella messa ed Eucaristia quotidiane. Sia lei che il marito erano allenati a guardare le cose con l’occhio di Dio perché, fin da giovani, avevano militato nell’Azione Cattolica.
“L’infanzia di Ettore, fino a 9 anni è stata felicissima - dice la mamma. - Col marito si viveva come fossimo due fidanzati, quindi c’era un clima di affetto, di amore, di serenità che i figli hanno assorbito in pieno. La morte del padre è stato un duro colpo per lui che era tanto sensibile, ma riuscì a superare il trauma proprio in forza dell’atmosfera di amore in cui si viveva. Anche con la sorella furono un cuor solo e un’anima sola. Ancor oggi è depositaria di tante confidenze del fratello.
Per attutire il dolore di quella morte improvvisa, misi la corona del rosario del papà, sotto il suo cuscino perché dal cielo intercedesse presso la Madonna grazie e benedizioni per i suoi bambini. So che Ettore ha sempre conservata quella corona e l’ha recitata tutti i giorni della sua vita”.
Da piccolo Ettore frequentò le elementari dai Giuseppini che gli diedero un’ottima preparazione intellettuale e morale. Le medie in un istituto privato e poi, presso l’Istituto geometri di Foggia, frequentò i corsi di geometra. Era studioso, riflessivo, seriamente impregnato e di condotta ineccepibile, tanto che il direttore della scuola esonerò la mamma dai periodici incontri con i professori. “Non c’è bisogno, signora; Ettore va benissimo”, le aveva detto. Tutti i giorni, prima di andare a scuola, faceva la visita al Santissimo nella vicina chiesa e i suoi discorsi con i compagni erano improntati a serietà anche quando toccava i problemi politici, economici e sociali. Mai escandescenze o imprecazioni o battute pesanti.
La vocazione
Dopo il diploma si iscrisse all’Università de L’Aquila per diventare ingegnere. Intanto, però, frequentava gli incontri missionari tenuti da p. Francesco Lo Valvo e lì maturò la sua vocazione missionaria.
“Prima di darmi la notizia che sarebbe partito per il noviziato, attese tre giorni perché pensava di darmi un dispiacere - dice la mamma. - Invece per me fu una grande gioia, anzi gli dissi che se non avessi avuto la figlia, me ne sarei andata con lui. Mi aveva dato questa bella notizia alla sera tardi quando Maria Antonietta era già andata a letto. Mentre mi parlava mi teneva la mano. Egli certamente non si aspettava la mia risposta e la mia gioia. A questo punto gli dissi: ‘Ora, Ettore andiamo a pregare e ringraziamo il Signore di questo grande dono’. Devo dire che dal gruppo missionario animato da p. Francesco uscirono anche altri missionari che, pur restando a casa loro, con la loro professione e con la loro famiglia, fanno un bene immenso.
“Quando Ettore è partito, non mi sono impressionata, non mi è dispiaciuto, sia perché sapevo che andava a compiere il disegno che Dio aveva tracciato su di lui, sia perché ero convinta che l’Eucaristia ci avrebbe tenuto uniti comunque. Le dirò di più: quando lo abbiamo accompagnato a Venegono per il noviziato - mia figlia allora non era ancora sposata - abbiamo detto: ‘Perché non ci facciamo missionarie laiche anche noi?’. Ma poi Maria Antonietta ha trovato un ottimo giovane e io... sono diventata nonna di due bravi ragazzi”.
Nella sua formazione teologica è stato anche in Spagna
A Verona con Nigrizia
E’ arrivato a Verona, sacerdote novello, in un momento in cui la rivista Nigrizia passava un momento difficile. Il nuovo direttore arrivava dall’Africa e si sentiva un po’ spaesato, quello precedente era già partito. P. Frtisotti non si perse d’animo e cominciò il suo nuovo incarico con impegno, con spirito di sacrificio, con costanza. E riuscì a portare la rivista fuori dal punto morto.
La malattia
Fino agli ultimi giorni si interessava di missioni e sperava di ritornarci. Volle, per esempio, che la mamma gli mettesse i numeri alla sua biancheria. Cercava una Bibbia in cd rom per la sua parrocchia.
Il suo punto di vista era quello della gente. Come la gente vede la missione? come intende l’evangelizzazione?
Tutte le mattine, prima della preghiera delle lodi, leggeva il Vangelo degli uccelli del cielo e dei gigli del campo, per sottolineare il protagonismo di Dio nell’opera missionaria e la fiducia che il missionario deve riporre in lui. Un’altra preghiera che recitava spesso era quella di Charles de Foucould. “Signore fa’ di me ciò che ti piace... Sono pronto a tutto, accetto tutto”. Sentiva forte la paternità di Dio, rivelata in Gesù e quindi era certo che da Dio ci si poteva aspettare solo del bene, anche se questo bene veniva sotto forma di malattia. “Insomma - ha detto p. Mazzola che è andato a celebrare la messa in camera durante la sua malattia - vedeva Dio maternamente padre. Di fronte al problema della sofferenza, non si domandava del perché della sua sofferenza, ma piuttosto di quella degli altri”.
Vita di missione
“Era l’uomo della libertà interiore - ha detto il p. provinciale. - In missione si è subito impegnato per la formazione dei catechisti poiché vedeva nei laici il futuro di quella Chiesa e poi, ad imitazione dei grandi missionari quali Matteo Ricci in Cina e Roberto De Nobili in India nel 1500, cercò il dialogo con i riti afro brasiliani.
Il martirio di Ezechiele Ramin costituì una svolta decisiva nella sua vita missionaria. Da quel momento decise che la sua vita, le sue forze, tutte le sue capacità dovevano essere impiegate con gli afro del Brasile, in particolare con i più poveri ed emarginati. Sapeva che questo suo nuovo orientamento gli avrebbe causato sofferenze e incomprensioni.
Scrisse un libro sul dialogo tra chiesa cattolica e religioni afro brasiliane nel quale mette illustra le linee forza che ha cercato di portare avanti che lo hanno sostenuto. E concluse: “Ciò che appare impossibile agli occhi di molti a motivo delle barriere innalzate da relazioni conflittuali e discriminatrici, dalla autorità culturale e religiosa, da identità di storie distinte, è possibile per chi ama”.
Carisma comboniano
Dopo la messa funebre ha preso la parola anche il prof. Romanato, autore di una biografia su Comboni, che aveva conosciuto il Padre in un suo viaggio in Brasile, precisamente a Bahia, quando il suo studio su Comboni era soltanto all’inizio. E’ stata anche la sua prima esperienza della vita, vissuta dall’interno, di una comunità comboniana.
“Non ho più dimenticato quei giorni - disse il professore - e p. Ettore è uno dei comboniani che ricordo e che ringrazio nell’introduzione del mio libro. Non avrei mai pensato di ringraziarlo nella circostanza della sua morte.
In quella mia visita alla comunità ho notato tre cose che amo ricordare oggi. Tutte e tre ci rimandano al carisma comboniano: il suo spirito di ospitalità innanzitutto. Mi accolse a braccia aperte, mi mise a disposizione la poverissima casa in cui viveva, mise se stesso e i confratelli a mia totale disposizione.
La seconda cosa che notai fu lo spirito di apertura culturale. Questa mi colpì profondamente e credo che su di essa molte comunità comboniane avrebbero molto da riflettere. Non era solo apertura nei confronti della religiosità afro-brasiliana e dei riti afro-brasiliani, ma era disponibilità e apertura nei confronti dell’ambiente bahiano e del modo di vivere del Salvador. Quella di p. Ettore era veramente una comunità aperta all’ambiente circostante. Questa apertura si manifestava nello stile di vita, nelle letture continue, nello studio del popolo e dei suoi usi e costumi e che ha lasciato su riviste, su saggi e nella partecipazione a conferenze e a convegni anche fuori del Brasile.
La terza cosa che notai e che mi colpì fu il suo spirito di povertà. La sua vita, il suo stile personale e la casa in cui viveva erano veramente di una povertà francescana. Questo fu il mio primo impatto con una comuità comboniana e fu un valore che ho sempre tenuto presente e di cui qualcosa è rimasto e ho trasferito nella biografia di Comboni.
Vidi p. Frisotti dieci giorni prima della morte. La notizia della sua malattia era stata un’autentica mazzata per me, per cui volli salutarlo. Mi riconobbe, scambiammo alcune parole, mi disse che aveva iniziato a leggere il mio libro nel quale c’è anche qualcosa di lui e che non era riusvcito andare avanti perché le forze stavano venendo meno. Per questo motivo oggi ho sentito il dovere, anzi la necessità di essere qui”.
Sono arrivati telegrammi di partecipazione da Verona, dalla Spagna, da mons. Masserdotti, dall’Ecuador e, naturalmente, dal Nord-Est del Brasile, la sua missione.