In Pace Christi

La casa della famiglia Galli, quasi addossata alla chiesa del paese, poteva essere confusa con l'oratorio parrocchiale per via di quei 13 bambini che, mattina, mezzogiorno e sera recitavano insieme ai loro genitori le preghiere e poi, quando non erano in campagna o a scuola, riempivano la piazza di trilli e grida.

Papà Antonio gestiva, in affitto, una fattoria in campagna nella quale trascorreva tutto il giorno "da sole a sole", quindi - in estate - dalle quatto del mattino alle 10 di sera.

Per sottolineare la religiosità della famiglia diciamo che il piccolo Giuseppe (come del resto i suoi fratelli) è stato battezzato il giorno stesso della nascita.

Dopo aver mandato a scuola i figli, anche mamma Lonati Fiora, tirandosi dietro i più piccoli, raggiungeva il marito in campagna.

Come i fratelli, anche Giuseppe era chierichetto. Ma lui, a differenza degli altri, chiacchierini, vivaci e intraprendenti, si teneva sempre in disparte e se ne stava sempre zitto quasi avesse paura di essere invadente. In compenso era sempre disponibile ad aiutare il parroco per le pulizie e per i vari lavoretti che sono necessari per il buon andamento del sacro edificio.

Tessitore

Giuseppe era il secondo di 13 fratelli. Terminate le elementari al paese, andò a lavorare in stabilimento come tessitore. Tra i suoi documenti c'è l'Attestato di Compimento del Corso Elementare Inferiore che lo dichiara "prosciolto dall'obbligo dell'istruzione elementare tuttavia gli consente di accedere alla quarta classe". Non essendoci altri documenti, c'è da presumere che il nostro Fratello si sia fermato alla terza elementare. Dalle sue domande per l'ammissione ai Voti e dalle formule delle professioni, unici documenti scritti da Fr. Galli, constatiamo che quella terza elementare equivaleva alla terza media di oggi, e forse anche di più.

Il suo stipendio come operaio tessitore era una manna per la famiglia così numerosa e costituita da gente che, al momento... era capace solo di sedersi davanti al piatto che doveva essere riempito tre volte al giorno.

Al ritorno dallo stabilimento, Giuseppe, dopo aver salutato il Signore in chiesa, correva in campagna a dare man forte ai genitori e ai fratelli. La mamma, guardandolo con compiacenza, gli diceva: "Giuseppe, tu non ti stanchi mai di lavorare".

Al sabato pomeriggio e alla domenica era all'oratorio parrocchiale dove coordinava le varie attività, specie dei più piccoli. Ma quando tutti se n'erano andati, era ancora Giuseppe che si fermava per mettere in ordine le cose e per fare le pulizie.

La vocazione

In parrocchia arrivava la stampa missionaria, e Giuseppe era un appassionato lettore. Di tanto in tanto passavano anche i missionari comboniani a parlare di Africa, di anime da salvare, di gente da aiutare.

Giuseppe assorbiva quelle parole e le meditava... Gli sarebbe piaciuto andare in Africa ad insegnare agli africani a lavorare la terra con metodi più moderni in modo da affrancarli dalla fame e dalle periodiche carestie. Lavorando avrebbe trasmesso loro ciò che aveva imparato alla scuola di catechismo, avrebbe raccontato gli episodi del Vangelo e della Sacra Scrittura così, un poco alla volta,  anch'essi avrebbero conosciuto Gesù e, con Gesù, la strada della salvezza eterna.

Parlò col parroco della sua vocazione. Don Elia era un prete che amava le missioni ma, onestamente, mise davanti al giovane la sua responsabilità nel mantenimento della famiglia.

"Siete ancora tutti piccoli e il tuo stipendio è importante".

"Quel Dio che nutre gli uccelli vuole che non pensi ai miei fratellini se io mi dono a Lui per farlo conoscere agli Africani... E poi, don Elia, tra qualche anno dovrò andare a fare il soldato e allora addio stipendio. Non è meglio sacrificarlo qualche anno prima per il Signore?".

Il parroco non seppe cosa rispondere. Quel suo giovane, che non andava in fabbrica senza aver ascoltato la messa delle cinque, che prima di rincasare alla sera, entrava in chiesa a fare una visita a Gesù, che, prima di coricarsi, recitava il rosario in famiglia, gli aveva dato dei punti.

"Ragioni bene, Giuseppe, ragioni da cristiano. Sì, tu sarai un bravo missionario e il Signore ti concederà una lunga vita per fare tanto bene".

In una lettera senza data, Giuseppe chiedeva ai superiori di Verona di essere accettato come missionario coadiutore e aggiungeva: "Il desiderio di farmi missionario lo coltivo nel cuore fin dalla mia infanzia, ma solo adesso posso portarlo a compimento".

L'8 luglio 1926 il parroco, don Elia Balzarini, scriveva ai superiori di Verona in questi termini: "So che avete accettato Giuseppe Galli come fratello coadiutore. Come d'accordo, il giovane verrà giovedì 15 c.m. e speriamo che il buon Dio lo aiuti a diventare un bravo fratello  così che possa guadagnare una buona porzione della corona riservata ai zelatori della gloria di Gesù".

I genitori di Giuseppe acconsentirono "che nostro figlio Giuseppe di 19 anni segua quella vocazione per la quale si sente da Dio chiamato e dichiariamo di non opporci a qualsiasi disposizione dei Superiori a suo riguardo".

Africa in vista

Con in tasca una pagina della Civiltà Cattolica dietro la quale il suo parroco aveva scritto: "Reverendo Padre Superiore, una parola sola: se il Galli Giuseppe di Vanzago riesce ad entrare in codesto Istituto, io sono malcontento (sottolineato) perché perdo un mezzo braccio per la Chiesa e per l'Oratorio ove mi aiuta. Mi auguro, tuttavia, che il buon Dio susciti altri a prendere la medesima strada".

Entrato dunque a Venegono Superiore il 15 luglio 1926, fece la vestizione l'11 febbraio 1927 e cominciò il noviziato.

P. Carlo Pizzioli, maestro dei novizi, trovò Giuseppe "di buono spirito, con ottima disposizione di progredire nella virtù. Ama il lavoro e vi si applica con impegno. Apprende bene i vari lavori.

Si è impratichito bene in falegnameria e un po' anche in meccanica. Credo che in missione sarà un ottimo collaboratore.

E' di giusto criterio, molto equilibrato, come lo dimostra nei vari uffici affidatigli, molto applicato e pieno di buona volontà. Difetti rilevanti non ne possiede, per cui mi pare che potrà riuscire un utile soggetto per la Congregazione".

Con queste credenziali, Giuseppe formulò la sua domanda dei Voti dove, tra l'altro, disse: "Sento vivo desiderio di consacrarmi al Sacratissimo Cuore di Gesù, per non separarmi mai più da lui", e il primo novembre 1928 emise la professione.

Dopo alcuni mesi trascorsi a Verona come "sotto-cuoco", partì per l'Africa. Nel 1929, quindi a 22 anni, era ad Assuan come "fratello ad omnia", cioè a completa disposizione per il buon andamento della casa.

Il fratello Mario, l'ultimo della squadra, dice: "Quando Giuseppe partì per l'Africa, io avevo 4 anni e frequentavo la scuola materna. Mi ricordo appena di lui, ed era quasi un estraneo ai miei occhi perché, quando partì per il noviziato ero troppo piccolo. Mi prese in braccio e, siccome avevo quasi paura e mi veniva da piangere, la mamma mi diceva: 'E' tuo fratello, sai; è missionario e parte per l'Africa a predicare il Vangelo'. Ma io piangevo lo stesso perché quel prete (aveva la veste talare) per me era uno sconosciuto. Egli mi prese in braccio e mi diede un bacio, ma io mi sono girato verso la mamma. Poi ho pensato che forse, col mio pianto, gli ho rattristato la partenza".

Costruttore

Dobbiamo dire che, grazie all'umiltà che ha sempre accompagnato la vita del nostro Fratello, egli era a disposizione di tutti e per tutte quelle mille cose che occorrono in una casa. Inoltre non aveva bisogno che gli si dicesse che cosa c'era da fare, perché vedeva prima ciò che doveva essere fatto.

Una caratteristica che accompagnerà Fr. Galli in tutta la sua vita, è stato il silenzio. P. Faré, quando Galli era a Isoke nel 1952 scriverà: "Passa anche una settimana senza dire una parola, non perché sia arrabbiato, ché è sempre sereno, anzi sorridente, ma proprio perché non ha niente da dire. La sua sola presenza è, tuttavia, una valida partecipazione alla vita comunitaria".

Ad Assuan il nostro Fratello trovò il modo di impratichirsi anche nell'arte muraria. E vi riuscì così bene che, nel 1931, venne destinato a Khartum come muratore. Erano gli anni in cui con Laffranchi, Adani, Fanti Vittorio, Crivello e altri ottimi Fratelli, si dava inizio alla costruzione della cattedrale di Khartum.

Nel 1935 fu inviato a Juba, sempre come muratore e, con lo stesso incarico, andò a Kapoeta (1935), Okaru (1936), Isoke (1937), Kapoeta (1938), Palotaka (1938).

Questo continuo cambiamento di missioni sottolinea la disponibilità del nostro Fratello. Sempre pronto, sempre contento, andava dove c'era bisogno e per muoverlo bastava un cenno del superiore. Egli prontamente e senza rimpianti interrompeva un lavoro appena incominciato o non ancora finito, per iniziarne un altro che appariva più urgente.

Tappa in Italia

Nel 1940, dopo 11 anni di missione, tornò in Italia per un po' di riposo.

Dal 1940 al 1946 fu a Troia come portinaio. L'espansività dei troiani mal si coniugava con il carattere riservato di Fr. Galli, tuttavia si fece apprezzare per la sua bontà e la sua puntualità nel ricevere tutti e nel trasmettere gli ordini che riceveva.

Anche a Troia esercitò la sua arte di falegname e di muratore perché quella vecchia casa aveva continuamente bisogno di manutenzione.

A Troia c'era un piccolo seminario comboniano con tanti alunni. Spesso quei ragazzi, tanto attaccati alla famiglia, piangevano perché sentivano la lontananza dei genitori e dei fratelli. Allora il nostro Fratello, se li tirava vicino e raccontava che anche lui aveva lasciato ben 13 fratelli per seguire il Signore, ed ora era contento del passo che aveva fatto.

La sua testimonianza contribuì ad asciugare tante lacrime e ad infondere coraggio in quei ragazzini alcuni dei quali, oggi, sono ottimi missionari.

La guerra (1940-45) gli impedì di tornare in Africa come avrebbe desiderato e come i Superiori avevano stabilito. Quando nel 1946 si aprirono i mari, Fr. Galli fu uno dei primi a salire sull'incrociatore Montecuccoli, nave militare che si prestò anche per il servizio di trasporto dei missionari grazie all'interessamento di P. Giuseppe Castelletti che, per i cinque anni della guerra, aveva rivestito il compito di cappellano militare degli incrociatori, e si era fatto stimare dalle autorità e dalla Marina.

Nuovamente in Africa

Nel 1946, dunque, Fr. Galli raggiunse nuovamente Kapoeta, nel Sudan meridionale, per dedicarsi alle costruzioni, toccando ancora le altre missioni di Okaru e Isoke.

"E' un ottimo fratello per il suo attaccamento al lavoro, per le sue capacità. Esatto nelle pratiche di pietà ed esemplare nella vita comunitaria. Si fa ben volere da tutti: confratelli, autorità e africani ai quali impartisce, con semplicità e discrezione, lezioni di muratura. Nessuno lo ha mai sentito mormorare di chicchessia", scrisse P. Farè.

Non ripetiamo i giudizi degli altri superiori, perché sono tutti sullo stesso tono.

Non è facile, anzi è impossibile seguire gli spostamenti del nostro Fratello perché, ad un cento punto, gli addetti si sono dimenticati di registrarli. Il periodo 1946-1962 è chiuso in queste sei parole: incaricato delle costruzioni nel Sudan meridionale.

Ma è rimasto famoso il suo lavoro per la piantagione di caffè a Palotaka, ad un'altitudine di 1000 metri sul livello del mare. Con Fr. Zordan disboscò e arò il terreno. Dove scorreva il fiume impiantò due arieti che spingevano l'acqua fino alla piantagione nella quale c'era un immenso serbatoio-deposito. Il mulino macinava quintali e  quintali di granoturco, che cresceva benissimo, assicurando cibo in abbondanza per la gente della zona. Il lavoro, immenso, fatto con professionalità, che era costato grossi sacrifici doveva assicurare alle missioni quell'autonomia indispensabile al loro mantenimento e al loro sviluppo. Con questo lavoro, inoltre, si preparavano gli africani a fare da sé e a debellare lo spauracchio della fame che periodicamente incombeva nella zona.

Dopo una tirata di 17 anni, Fr. Galli tornò nuovamente in Italia. Andò a Barolo dove rimase dal 1963 al 1966. In quel paese del Piemonte c'era un piccolo seminario comboniano che ebbe vita difficile e morte prematura. Il nostro Fratello si dedicò alla casa.

Con gli Apostoli di Gesù

In quel frattempo tutti i missionari comboniani furono espulsi dal Sudan meridionale per cui, anche per Fr. Galli la strada del Sud Sudan era chiusa. Contrariamente a quanto indica Familia Comboniana che lo mette in Sudan meridionale dal 1966 al 1971, Fr. Giuseppe è stato in Uganda, assegnato alla regione di Gulu dal 1966 (a quel tempo il Sudan meridionale era chiuso ai missionari).

Dal 1971 al 1988 fu a Moroto nella Congregazione degli Apostoli di Gesù, con puntate nella missione di Amudat per aiuto nei lavori. Collaborò con mons. Mazzoldi e con P. Marengoni per la costruzione del seminario degli Apostoli di Gesù. Anche qui formò un bel gruppo di muratori africani molti dei quali, poi, continuarono il lavoro in proprio. P. Marengoni scrisse di lui: "Anziano, con un po' di mal di cuore. Ottimo in tutto".

Dopo 17 anni di servizio, quell'ottimo, poteva essere esplicitato con qualche altra parola in più, ma lo ha certamente fatto il Signore.

Nel 1977 il Fratello fu in Italia per un breve periodo di vacanza e per rimettersi in salute. Nella sua vita era stato colpito più volte dalla malaria che lo aveva seriamente provato. Una gamba era afflitta da frequenti flebiti per cui doveva essere controllata. Inoltre c'era il cuore che perdeva colpi.

Riuscì a rimettersi e a tornare dove avrebbe desiderato di lasciare le ossa. Nel 1978, mentre era a Moroto, celebrò il 50° anniversario dei Voti. P. Tarcisio Agostoni, Superiore Generale, gli scrisse: "Mi unisco a voi nel dare lode, gloria e onore al Signore per un traguardo che non a tutti è concesso superare.

Riandando a tutta la vostra vita, non avete che da ringraziare il Signore. La vostra vita è stata un filone d'oro per l'attività, la dedizione e l'amore al Signore e ai fratelli con cui l'avete vissuta. Il bene che avete fatto nella vostra vita, rimane come un biglietto d'ingresso in Paradiso, a suo tempo naturalmente.

Vi auguro di continuare a vivere la vostra vocazione, migliorandola sempre, e prego il Signore di darvi lunga vita per lavorare sempre di più e sempre meglio per Lui. La vocazione di Fratello è una vocazione molto esigente e per questo avrà una ricca ricompensa".

Queste parole costituirono il programma di vita di Fr. Galli per gli anni che il Signore gli avrebbe concesso.

Così, uno dopo l'altro, passarono altri 10 anni. Anni pieni di meriti, di opere buone e di ore e ore di preghiera e di adorazione davanti al tabernacolo.

Nell'ottobre del 1987, il superiore provinciale d'Uganda, P. Vittorino Cona, mandò in Italia il nostro Fratello perché urgeva di controlli e cure. Il sospetto di neoplasia al retto, riscontrata in Africa, fu confermata a Verona dove il Fratello era approdato come ospite del Centro Assistenza Ammalati. L'operazione di asportazione chirurgica, eseguita all'Ospedale civile di Verona ha avuto esito soddisfacente. Il Fratello, però, divenne portatore di colostomia, e questo per quasi 10 anni. Anche il cuore, abbastanza compromesso, registrò un discreto miglioramento tanto che il Fratello sperava di poter ritornare alla sua missione. Ma ormai gli ottanta erano suonati e con quel disturbo che si portava dietro, era pura illusione.

L'anno dopo, nel 1988, ecco la lettera di P. Pierli, nuovo Superiore Generale:

"Caro Fratello, so che vivi nella serenità del cuore abbandonato nelle mani di Dio con quella grande confidenza che sempre caratterizzò Daniele Comboni.

Sei tornato dall'Uganda in situazioni di salute non facili. Ed ora il Signore ti sta chiedendo di partecipare alla missione più con la croce che attraverso l'attività esterna.

Dio ti ha dato la grazia di un lungo periodo missionario, a cominciare dall'Egitto, poi nel Sud Sudan, in Italia ed, infine, in Uganda per un lungo periodo.

Tante comunità cristiane hanno goduto della tua dedizione, industriosità, impegno quotidiano e tenace, e sono state animate dal tuo buon esempio.

Siano rese lodi a Dio per quanto ti ha aiutato a fare. Tutti questi semi di fede lanciati nelle varie parti del mondo, ora li puoi innaffiare con la tua preghiera e la tua sofferenza. Questo è quanto il Signore chiede a te. Fallo con gioia e con speranza.

Dato che ora ti trovi nella provincia italiana e non è prevedibile un tuo ritorno in Uganda, sia per la situazione di guerriglia, sia per la tua salute, dal 1° luglio 1988 appartieni alla Provincia d'Italia.

Questa assegnazione potrebbe forse dispiacerti un po', ma tu sei uomo di fede. I confratelli dell'Uganda ti sono infinitamente grati, così pure gli Apostoli di Gesù. Tutti si aspettano la tua preghiera e l'offerta delle tue sofferenze. Anch'io confido molto nella tua preghiera, nell'intercessione tua e di San Giuseppe per il bene dell'Uganda, per il bene degli Apostoli di Gesù, e per nuove e sante vocazioni di Fratelli nell’Istituto comboniano".

Gioiosa attesa

La lunga permanenza a Verona di Fr. Galli fu una gioiosa attesa dell'arrivo del Signore. Intanto si rendeva utile come meglio poteva dando un aiuto ai confratelli più ammalati di lui. "E sovente - dice il superiore di Casa Madre - aiutava anche quelli che stavano meglio di lui. Imboccava coloro che non riuscivano a mangiare da soli e non gli importava se arrivava tardi ai suoi pasti.

Dedicava alcune ore ogni giorno al lavoro nell'ufficio propaganda, preparando il materiale delle giornate missionarie, e nell'ufficio spedizioni. La voglia di lavorare non lo ha mai abbandonato. Diceva che doveva guadagnarsi il pane che mangiava. Intorno a sé spandeva serenità e ottimismo".

Scrive Fr. Zabeo, responsabile del Centro: "Sempre uguale a se stesso, puntuale, silenzioso e col volto che esprimeva serenità interiore. Come è vissuto è anche morto. Infatti è stato colpito da infarto sabato 8 febbraio alle 21.30. Se n'è andato senza disturbare, come era vissuto. Nei 10 anni di permanenza al Centro Ammalati, Fr. Giuseppe non ha mai dato segni di abbattimento o di sconforto; anzi ha sempre glorificato Dio per la sua situazione e ciò si manifestava nel suo ringraziare il Signore e i confratelli e il personale che lo assisteva.

Si mostrò sempre soddisfatto del cibo e delle cure. Se esprimeva qualche piccolo lamento era solo per il dolore che di tanto in tanto dava fitte lancinanti, ma si riprendeva subito e ringraziava la Provvidenza anche di quelle sofferenze che offriva per la missione, per l’Istituto che amava moltissimo e per le vocazioni.

Ci ha lasciato un grande esempio di devozione alla Madonna che onorava con innumerevoli rosari. Non chiedeva mai niente tanto che, per sapere quali fossero i suoi bisogni, era necessario spronarlo ad esprimerli. Nel silenzio e nel nascondimento che ha caratterizzato tutta la sua vita, ci ha lasciati, chiamato dal Signore."

Certamente nella mano stringeva quel biglietto per il Paradiso di cui gli aveva parlato P. Agostoni quasi 20 anni prima, quando aveva celebrato il 50° di professione.

Lavoro, silenzio e preghiera

Fr. Cattaneo fa eco: "Credo che questo Fratello non sia mai caduto nel minimo pettegolezzo in tutta la sua vita: per lui esisteva solo il lavoro, la preghiera, la vita di comunità. Sempre sereno, sempre contento, regolato in ogni sua azione.

Era falegname, meccanico e muratore. In Sudan, ad Isoke, ha costruito il tetto della chiesa nel 1955-56; a Namalu, in Karamoja (Uganda) ha impiantato la fattoria, una grande fattoria ai confini col Kenia, in vicinanza dei monti, quindi dove le piogge erano abbondanti. L'ideatore di quest'opera è stato P. Tupone, una figura di missionario di prim'ordine che aveva capito ancor prima del Concilio Vaticano II che l'evangelizzazione si accompagna con la promozione umana.

Con una potente ruspa cingolata il Fratello sfidava il sole e la stanchezza per ripulire dalle piante e dagli arbusti vasti appezzamenti di terra che poi venivano arati col trattore e coltivati ad arachidi, patate dolci, granoturco, miglio, durra, piante da frutto, verdure di tutti i tipi e fieno per le mucche. Il Fratello aveva la capacità di trasformare una boscaglia in un giardino, in un paradiso terrestre, dove scorrevano perfino torrentelli di acqua.

A Juba, in Sudan, ha fatto i pavimenti della cattedrale. Ha sempre lavorato bene e soprattutto in silenzio, nel senso che non ha mai suonato la tromba davanti a sé. Il premio che si è meritato, Dio glielo ha dato tutto".

Alla messa funebre P. Bruno Novelli ha detto: "Fr. Galli ha realizzato la beatitudine 'beati i miti'. Egli era proprio un mite, un uomo paziente. E con queste virtù ha costruito molto. Ha istruito tanta gente col suo esempio, non solo nel mestiere, ma ad essere cristiani autentici. Sapeva far di tutto e lo faceva bene. Moroto era un'oasi di pace, ed era stato lui a creare quel paradiso trasformando una montagna selvaggia.

Coltivò la vite. Un anno ha fatto più di 700 bottiglie di vino. Quando i confratelli passavano ne offriva un bicchiere e diceva: 'Questo non è per la messa, ma per i vesperi'.

Ha vissuto il giuramento che Comboni ha scritto per i Fratelli: 'Io di mia propria libera volontà, mi obbligo con giuramento a Dio, di servire in perpetuo la missione dell'Africa centrale. E prometto di servirla in perpetuo in quei luoghi e in quegli uffici che dall'obbedienza mi verranno destinati, senza mai retrocedere da questo mio proposito neanche in faccia alla morte, abbandonandomi interamente nelle braccia della Provvidenza di Dio sotto la guida e il comando dei superiori'.

Fr. Giuseppe ha vissuto questo giuramento totalmente e in pieno. Anche lui era determinato a servire Dio nelle missioni fino alla fine della vita. Egli voleva morire laggiù. E fu pure l'uomo dell'obbedienza. Per questo è un grande missionario, un grande uomo di Dio, un grande fratello degli Africani che ha amati veramente. Per gli Africani ha dato la sua vita ed anche nel periodo di grande pericolo che abbiamo corso tutti, non è andato via, egli è rimasto là a sfidare anche la morte. Ricordiamolo con serenità e chiediamo di dare a noi la sua serenità, la sua mitezza, la sua pazienza".

Dopo il funerale in Casa Madre, che ebbe luogo l'11 febbraio, festa della Madonna di Lourdes e giornata dell'Ammalato, la salma è stata traslata a Vanzago dove è stata sepolta accanto alle tombe dei genitori e dei fratelli. Nella chiesa di S. Maria del Suffragio, di fronte al cimitero, per le ultime esequie, c'era tutta la popolazione.

La gente di Vanzago considera Fr. Giuseppe un secondo protettore del paese e, davanti alla sua tomba, ci sono sempre fiori freschi e persone che pregano. Noi gli chiediamo che ci dia un po' del suo spirito. E' lo spirito genuino del beato Comboni.                         P. Lorenzo Gaiga, mccj

Da Mccj Bulletin n. 197, ottobre 1997, pp. 71-79

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The Galli house was right next to the Church, and could have been mistaken for the parish centre: 13 children said their morning and evening prayers there with their parents, and played happily in the square. A further proof of the devout character of the family is that fact that they were all baptised on the day they were born.

Antonio, the father, worked a rented farm outside the village, spending long hours in the fields, especially in Summer, when "from sunrise to sunset" could run from 4 a.m. to 10 p.m. His wife Fiora (Lonati), after sending the older children to school, went off with the smaller ones to work alongside her husband.

Weaver

Giuseppe was the second child. When he left school he went to become a weaver in a factory. There is a Certificate among his papers that says he completed the third Elementary class, and was free of further obligations, though free to enter the fourth year. Since there is no other indication, one would imagine that he did not go back to school. However, his requests to be admitted to the Vows and the written formula of his Profession, which are the only documents of his that we have, show a standard that is worthy of third year Secondary today!

His salary was a God-send for such a numerous family. And, when he returned from the factory, after a visit in church he would run off to the fields to give a hand to the others. On Saturdays and Sundays he helped out in the Oratorio, especially with the younger children, coordinating their activities.

His vocation

Missionary magazines arrived in the parish, and Giuseppe read them avidly. Occasionally a Comboni Missionary came to talk about Africa, the souls to be saved, the people to be helped. Giuseppe reflected... He would like to go to Africa, to share his knowledge (modern agricultural methods and weaving) with the people, along with his faith. He went to talk to the PP. Don Elia loved the Missions, but in all honesty he called the young man's attention towards his responsibility to help the family.

Giuseppe had thought about it: "If God looks after the birds, will He not think about my brothers and sisters if I offer myself to go and tell the Africans about Him? ...and then, I would be called up in a couple of years, and lose my wage just the same. Better to sacrifice it two years sooner, for the Lord's sake!" The PP had no answer.

In an undated letter, Giuseppe asked the superiors in Verona to be admitted as a Brother, adding: "I have felt the desire to be a missionary since I was a boy, but I am able to do it only now".

On 8 July 1926, the PP, don Elia Balzarini wrote to Verona: "I know you have accepted Giuseppe Galli as a Brother. As agreed, he will arrive on Thursday the 15th. We hope the good Lord will help him to make a fine Brother, and gain a good portion of the crown reserved for those who work to make the name of Jesus known". Giuseppe's parents also wrote - and both signed - a letter giving their formal consent.

On the way to Africa

The PP gave him a final note, on the back of a flyer of "La Civiltà Cattolica": "Rev. Father Superior, just one word: if Giuseppe Galli of Vanzago makes it into your Institute, I am discontented, because I am losing half an arm in church and in the parish centre where he helps. However, I hope the good Lord will send others to take the same road".

So Giuseppe entered Venegono on 15th July 1926. He received the habit on 11 February 1927 and started the Novitiate, un Fr. Carlo Pizzioli. The Novice Master found Giuseppe a man "of good spirit, very well disposed to progress in virtue. He loves work and applies himself completely. He learns all kinds of work very quickly. He has become good at carpentry, and has some idea of mechanics. I think he will be a first-class collaborator in the missions.

The right amount of common sense, well-balanced, as he shows in the various responsibilities given him. Sticks to his work and is full of good will. No outstanding defects: I think he will turn out a useful member of the Congregation".

With these credentials, he made his application for the Vows, writing: "I have a lively wish to consecrate myself to the Most Sacred Heart of Jesus, and never be separated from him any more." On 1 November 1928 he made his first Vows.

A few months as assistant cook in Verona, and then he was on his way to Africa. In 1929 (at the age of 22, then) he was the "ad omnia" (jack of all trades) brother at Asswan, looking after the house.

Builder

With his habitual - and life-long - humility, being "ad omnia" meant he was ready to turn his hand to anything needed around the house, usually without having to be asked.

He was silent by nature, all through his life. Fr. Faré wrote in 1952, when Bro. Galli was at Isoke: "He sometimes goes a whole week without saying a word, not because he is grumpy - indeed, he is always serene and smiling - but simply because he has nothing to say. But his presence alone is a valid participation in the life of the community".

At Asswan Bro. Galli added bricklaying to his skills. He became so good at it that in 1931 he was sent to Khartoum as a builder. They were the days of Laffranchi, Adani, Fanti Vittorio, Crivello and other great Brothers, and work on the construction of Khartoum cathedral was in hand.

Later he did a round of missions as a builder: in 1935 he was sent to Juba, then went on to Kapoeta (1935), Okaru (1936), Isoke (1937), Kapoeta (1938), Palotaka (1938). This constant moving showed his great readiness and willingness. Always "on call", always content, he went wherever he was needed, and to get him moving a simple hint from the superiors was enough. He would leave an unfinished job without any fuss, to start on another that was considered more urgent.

A pause in Italy

In 1940, after 11 years in the missions, he returned to Italy for a bit of rest. He spent the next six years as doorkeeper at Troia. The "Troians" are an expansive lot, whereas Galli was always reserved. Nevertheless, he won a lot of friends through his goodness and his efficiency in welcoming people and carrying out his duties with precision.

He had plenty to do as a carpenter and builder too, because the old house in Troia needed constant maintenance.

There was a junior seminary there at the time, with a good number of boys. Naturally, some of them became home-sick and would be weepy and downcast. The Brother would console and encourage them, telling how he himself had left his parents and a dozen brothers and sisters to serve the Lord, and that he was really glad to have taken that step. Some of the lads who were "bucked up" by him are now happy and fulfilled missionaries.

It was the War that held him up all those years. As soon as the seas became open again, Bro. Galli - with the superiors' consent, of course - was one of the first to set sail, on the cruiser Montecuccoli. It was one of the navy ships that transported missionaries thanks to the efforts of Fr. Giuseppe Castelletti, who had been a chaplain on cruisers throughout the war.

Back in harness

So, in 1946, Bro. Galli was back in Kapoeta, getting back to building work, and taking in the missions of Okaru and Isoke.

"He is a first-class brother, hard-working and capable. Exact in his devotions and a good example in community life. Everyone likes him: confreres, authorities and the people. Simply and without fuss, he is teaching some of them bricklaying. Nobody has sever heard him complain". (Fr Faré). All the other superiors are in tune with their remarks, so there is no need to quote others.

It is practically impossible to trace his movements, because not all were noted in the diaries of the day. The whole of the period from 1946 to 1962 is summed up: "Entrusted with construction works in Southern Sudan".

He was particularly famous for his coffee plantation at Palotaka, at 1000 metres above sea level. Along with Bro. Zordan he cleared and dug over the area. Down at the stream he put in two hydraulic rams to pump water up to the plantation, where they had build a huge water-tank. There was also a mill to grind the maize which grew plentifully, providing food for a good number of people in the area. The whole vast project would have ensured a good level of autonomy for the mission, and at the same time imparted the principles of self-sufficiency to the people, since the spectre of famine was never far away when they followed traditional methods of cultivation.

After 17 years, Bro. Galli returned to Italy once more. He was posted to Barolo from 1963 to 1966, looking after the buildings of that Comboni junior seminary, which had a rather short and difficult existence.

With the Apostles of Jesus

In the meantime, all the Christian missionaries were expelled from Southern Sudan, so the way back was shut to Bro. Galli. But he found a place in Uganda, and worked in the area of the diocese of Gulu from 1966 to 1971.

There followed another 17-year stint: from 1971 to 1988 he was at Moroto, resident with the Congregation of the Apostles of Jesus, and helping out with the work in the mission of Amudat. He helped with the building of the seminary of the AJ, at the service of Bishop Mazzoldi and Fr. Marengoni. Here too he built up a good group of skilled bricklayers, some of whom became self-employed. Fr Marengoni noted: "Getting old, with a bit of heart trouble. Excellent in everything." Maybe the father could have let himself go a bit more, after 17 years of service... but the Lord certainly had a record.

In 1977 the Brother went back to Italy for leave and medical treatment. The frequent bouts of malaria had left their mark. He had a number of attacks of phlebitis in one leg, and needed attentions. And then there was the heart which, as noted above, was not running on all cylinders.

However, he managed to get fit enough to return to where he wanted to lay down his bones. He celebrated the Golden Jubilee of his vows at Moroto in 1978: Fr. Tarcisio Agostoni, the Superior General, wrote: "I join you in giving praise, honour and glory to the Lord for this milestone that is not granted to everyone.

Looking back over your life, you have so much to thank God for. Your life has been a rich seam of gold: your work, your dedication, your love of God and of the brothers and sisters with whom you lived. All the good you have done will be a ticket into Heaven - when the time comes, of course! I wish you continued life in your vocation, always getting better; and I pray that the Lord will give you many years to work ever more and better for Him. The Brother's vocation is very demanding, and so will be richly rewarded." These words were like a programme for the remaining years of Bro. Galli. They went by, one after another, until he had accumulated another ten, full of merits, good work, hours of prayer and adoration.

In October 1987 Fr. Vittorino Cona sent Brother to Italy for urgent tests and medical attention. A tumour of the rectum was suspected, and the tests in Verona confirmed it. Bro Galli was admitted to the CAA (Centre for Sick Confreres) in the Mother House, and operated on successfully in one of the city hospitals. However, he had to put up with the discomfort of a "bag" for the next ten years. Even his heart showed a lot of improvement, and for some time the Brother thought he might be allowed to return to his mission. But he was past 80, and his medical problems meant that it was out of the question. In 1988 the Superior General, Fr. Pierli, wrote to help him face the new situation:

"Dear Brother, I know you are serene, putting yourself in God's hands with the great trust that was characteristic of Daniel Comboni. You came back from Uganda with a rather difficult health problem. Now the Lord is asking you to share in the Mission more through the Cross than through physical activities.

God has granted you the grace of a long time as a missionary, starting in Egypt, then in S. Sudan, then Italy and finally many years in Uganda. Many Catholic communities benefited from you dedication, hard work, tenacious daily commitment; and they were built up by your good example.

May God be praised for what he has helped you to accomplish. All these seeds of faith, broadcast in various parts of the world, can now be watered by you through prayer and suffering. This is what the Lord is asking of you. Do it with joy and hope.

Since you are in the Italian province, with no likelihood of a return to Uganda, both because of the guerrilla warfare and of your health, you will belong to the Province of Italy as of 1 July 1988.

This assignment might hurt a bit, but you are a man of faith. The confreres in Uganda are immensely grateful to you, as also the Apostles of Jesus. They all hope you will pray and offer your sufferings for them. I too trust in your prayer - in your intercession and that of St. Joseph for the good of Uganda, of the Apostles of Jesus, for new, holy vocations of Brothers in the Comboni Congregation".

Waiting with joy

The long wait in Verona was a time of peace and joy. He made himself useful as best he could, assisting those who were worse off than himself, "and often," says the superior of the Mother House, "those who were a lot better than he was. He would feed those who could not feed themselves, and did not worry if it made him late for meals. He helped in the missionary animation office for a few hours each day, filling envelopes; and in the despatch office, too. He never lost the desire to work: he said he had to earn the bread he ate. And he spread light and optimism all around".

Bro Zabeo, in charge of the Centre, writes: "Always the same, punctual, quiet, serene. That is how he died. He had a heart attack on 8 February at 21:30, and went as he had lived, without troubling anyone. During his 10 years in the CAA. Bro. Giuseppe never showed any sign of low spirits or discouragement. He just praised God for everything, and the confreres and staff for their assistance.

He never complained about food or treatment. Occasionally he mentioned the pain, when it was severe; but shortly afterwards would thank Providence for his sufferings, which he offered for the Mission, for the Congregation he loved so much, and for vocations.

He left us a great example of devotion to Our Lady, whom he honoured with countless rosaries. He did not ask for anything, and it was often necessary to push him to express his wishes. His life was silent and hidden, and that is how he went, when the Lord called."

He must surely have been holding the ticket mentioned by Fr. Agostoni 20 years earlier!

Work, silence and prayer

Bro. Cattaneo echoes the thoughts of many: "I think this Brother never spoke ill of anyone in all his life: for him there was only work, prayer, community life. Always serene, always content, moderate in all his actions.

He was a carpenter, a mechanic and a builder. In Sudan he made the roof for the church in Isoke in 1955-6; at Namalu in Karamoja (Uganda), he developed a big farm on the border with Kenya and near the mountains, so there was enough rain. The idea came from Fr. Tupone, another great missionary, who saw the value of development alongside the Gospel a long time before Vatican II.

He ignored the sun and fatigue as he cleared tracts of land with a huge bulldozer. They were then ploughed and planted with groundnuts, sweet potatoes, maize, finger milled and giant millet, fruit trees and vegetables. And there was grass to be cut for hay. He was able to transform rough woodland into a Garden of Eden... where even water flowed.

At Juba he made the floor of the cathedral. And he always did good work, in silence - in the sense that he never blew his own trumpet. So whatever reward he deserved, God has given him the whole of it!"

At the Requiem Mass, Fr. Bruno Novelli said: "Bro Galli lived the Beatitude `Blessed are the meek'. He was mild and patient. And he achieved a lot with these virtues. He instructed a lot of people by his example, not only in a skill, but in authentic Christian living. He could turn his hand to anything. Moroto was an oasis of peace, and he had made it so, taming the wild mountain.

He planted a vineyard. One year he made more than 700 bottles of wine, and would offer a glass to confreres, saying  He lived the promise Comboni wrote for the Brothers: `Of my own free will, I bind myself with an oath to God, to serve the mission of Central Africa in perpetuity. And I promise to serve it forever in those places and those tasks that will be assigned to me by obedience, never turning back from this promise of mine even in the face of death, but abandoning myself entirely into the arms of the Providence of God, under the guidance and the orders of the superiors'. Bro Giuseppe lived this oath totally and fully."

After the Requiem in the Mother House on 11 February, the feast of Our Lady of Lourdes and Day of Prayer for the Sick, the body was taken to Vanzago, and buried near the graves of his parents and close relatives. For the final rites in the church of Our Lady of Perpetual Succour, the whole population gathered.

Brother Giuseppe is like an extra patron for the people of Vanzago. There are always flowers on his grave, and people in prayer. We ask him to give us some of his spirit: it is the genuine spirit of Blessed Comboni.