In Pace Christi

Ramazzotti Bruno

Ramazzotti Bruno
Fecha de nacimiento : 11/09/1920
Lugar de nacimiento : Treppio di Sambuca (PT)/I
Votos temporales : 11/02/1939
Votos perpetuos : 07/10/1944
Fecha de ordenación : 29/06/1945
Fecha de fallecimiento : 27/01/1996
Lugar de fallecimiento : Negrar (VR)/I

Se si volesse definire con poche parole la personalità di p. Bruno Ramazzotti, basterebbe dire: "E' stato l'uomo della Parola di Dio". Per tutta la vita, il suo campo di lavoro è stato la Sacra Bibbia. Non solo l'ha studiata, l'ha approfondita, l'ha amata, ma l'ha insegnata e, soprattutto, l'ha vissuta e ha aiutato gli altri a conoscerla, ad amarla e a viverla. Generazioni di missionari, di sacerdoti e di laici hanno usufruito del suo insegnamento per apprendere il mistero della Parola di Dio.

Opportunamente si potrebbe applicare a p. Bruno ciò che il Vangelo di san Matteo dice al capitolo 5° versetto 19: "Chi osserverà questi precetti, anche minimi, e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli". In questo senso p. Bruno è stato un grande.

Infanzia tribolata

Nato a Treppio, frazione di Sambuca Pistoiese l'11 settembre 1920, Bruno venne battezzato lo stesso giorno della nascita. Ciò indica il temperamento spirituale della famiglia. "Credenti e praticanti", assicura il prof. Sestilio, fratello di p. Bruno.

Il nostro futuro missionario ebbe un'infanzia segnata dalla sofferenza. Primo di quattro fratelli, due maschi e due femmine, crebbe accanto al papà grande invalido di guerra.

Questi, che aveva fatto il servizio militare dai 20 ai 28 anni, partecipando anche alla guerra di Libia del 1911, venne ferito per lo scoppio di una granata di cannone proprio durante le ultime battute della guerra 1915-1918. Uomo forte e robusto - apparteneva al Corpo Artiglieria da Montagna - se la cavò, ma rimase segnato, e in modo grave, per tutto il resto della vita.

La pensione di guerra non bastava a mantenere la famiglia; inoltre il signor Vincenzo voleva dare ai figli qualche possibilità in più rispetto a quelle che poteva offrire il suo paesino sperduto sugli Appennini toscani.

Pertanto, nel 1927 portò la famiglia a Pistoia ed egli, con il secondogenito, Sestilio, si trasferì a Follonica con la previsione di tirarsi dietro la famiglia, cosa che fece più tardi. Qui, insieme ad alcuni suoi fratelli mise in piedi un negozio di oggetti di rame dei quali era anche abile riparatore. Un lavoro, come si vede, adatto alle sue limitate possibilità fisiche.

Le cose sembravano andare bene quando, il 2 novembre 1931, stroncato dalle conseguenze della guerra, morì. Aveva 40 anni.

Mamma Maria Giuntini, donna mite e volitiva, non si perse d'animo. Fiduciosa nella Provvidenza, prese il coraggio a due mani e cercò di risolvere il problema della propria famiglia così duramente provata.

Stringendosi tra le braccia Fiorella che aveva poco più di un anno e Brunetta di 5, sistemò Sestilio di 8 anni presso una colonia marina di Follonica. Bruno, di 11 anni, aveva appena terminato le elementari e stava frequentando l'avviamento, sempre a Follonica.

La vocazione

Bruno era un chierichetto intraprendente e vivace. Bravissimo a scuola, anche se amava più il gioco che lo studio (gli bastava ciò che l'insegnante spiegava in classe), passava i pomeriggi su di un improvvisato campetto col pallone tra i piedi.

Quante volte il papà, impressionato dalla passione del gioco al pallone del suo primogenito, e non vedendolo mai chino sui libri, lo raggiungeva sul campo e gli mostrava - solo gli mostrava - la frusta per fargli capire che bisognava piegare la schiena.

Un giorno Bruno, mentre si trovava in parrocchia dove era solito recarsi, incontrò p. Guido De Negri superiore del piccolo seminario comboniano di Carraia (Lucca).

Questi, nei suoi giri di animazione vocazionale, giunse anche a Follonica che allora era un paesetto di neanche 1.000 abitanti, povero e tribolato dalle zanzare. Il missionario parlò ai ragazzi, mostrò le proiezioni sull'Africa e sulla vita dei missionari, poi chiese se qualcuno volesse seguirlo.

Bruno, pur nella sua vivacità, era un ragazzo riflessivo e prima di dare una risposta voleva capirne le ragioni. Considerò a lungo la cosa, poi decise che quella poteva essere la vita adatta per lui.

P. De Negri parlò con mamma Maria e col parroco, e senza tanti indugi si portò via Bruno che avrebbe iniziato le medie nel seminario missionario di Carraia.

Il fratello Sestilio precisa: "Bruno non ha seguito la vocazione missionaria perché era senza babbo, ma per una scelta ragionata e consapevole. Anche da grande, accettava ciò che gli veniva detto solo se gliene davano i motivi, e se egli li riteneva validi".

Poi continua: "La nostra è stata una vicenda singolare. Praticamente noi quattro fratelli non siamo mai vissuti insieme. Ed anche quando io ho seguito Bruno sulla via della Missione, che poi ho lasciato, lo vidi sì e no per una mezz'oretta a Brescia, perché io arrivavo e lui partiva. Anche le poche vacanze che i superiori concedevano ai futuri missionari erano sempre sfasate.

Seminarista missionario

Ai primi di gennaio del 1931, a 11 anni di età, Bruno entrò nel seminario missionario di Carraia. Se quando era al paese riusciva nella scuola senza studiare, in seminario capì l'importanza della scienza che si acquisisce studiando. E si applicò con impegno.

Possediamo la pagella di fine anno: un solo 8 in italiano scritto. Il resto tutti 9 e 10. Nelle annotazioni della pagella è scritto: "Venne in seminario ai primi di gennaio 1931", quindi ad anno scolastico già iniziato da tre mesi. Poi c'è una seconda nota scritta in rosso: "Ottenne il primo premio". E così per gli anni seguenti.

Non eccelleva solo in scienza, il piccolo Bruno, ma anche in pietà e comportamento con i compagni. Da toscano genuino, era arguto nelle sue battute, ma non offendeva mai nessuno. Con i compagni aveva imparato che, per andare d'accordo, bisognava saper perdere. Ed egli perdeva, se pur con notevole sforzo. Non perché "non gliene importasse" o perché "non capisse che la ragione stava dalla sua parte, ma perché considerava la concordia con i compagni un valore superiore ad ogni ragione e così, coscientemente e con notevole sforzo di volontà, sapeva cedere".

Nel 1934 lasciò Carraia per Brescia dove, presso l'Istituto Comboni, c'era il ginnasio. Vi rimase fino al 1936 "crescendo in scienza, diligenza e pietà". I voti più bassi erano due 9, il resto tutti 10.

Novizio

Nel settembre del 1936 Bruno entrò nel noviziato di Venegono e fece la vestizione il primo novembre, festa di Tutti i Santi.

Tanto profitto scolastico a Brescia, frutto di un super impegno, non gli portò bene perché arrivò in noviziato con un solenne esaurimento in corpo. Ecco il giudizio di p. Antonio Todesco, maestro dei novizi:

"Grande esaurimento mentale. Avrebbe bisogno di un anno di completo riposo. Il medico dice che può guarire e rimettersi bene. Il novizio è buono e intelligente, quindi potrebbe essere un soggetto utile alla Congregazione.

Credo si dovrebbe, dopo i Voti, mandarlo a Carraia (è toscano) per un anno, senza studi e utilizzarlo in qualche lavoro manuale".

Ma sentiamo anche la lettera del dottor Mario Falciola di Como che visitò Bruno.

"Nulla di grave nel giovinetto. Di natura delicata, fisicamente misurato nelle resistenze alla fatica, incline alla esaurimento nervoso, presenta segni di una forma di esaurimento non grave, ma che mette in evidenza i punti più vulnerabili del visitato.

Da parte mia ritengo che il chierico non debba tralasciare gli studi, basterà che gli siano alleggeriti per quanto si possa".

Poi il medico gli ordinò una buona e sostanziosa dieta a base di uova, carne, frutta, zucchero e marmellata. Insomma, tra le righe si legge che i novizi alle volte tiravano la cinghia, o perché non ce n'era, o perché una forma errata di ascetismo imponeva digiuni assolutamente fuori posto, trattandosi di giovani in pieno sviluppo.

Il p. maestro dà anche un giudizio sul profitto e sul carattere di Bruno. "Il suo impegno e profitto sono continui. In generale si mostra troppo concentrato così da soffrirne nella salute. E' assai amante della preghiera. Il suo spirito religioso è molto buono. Ama il lavoro e il sacrificio.

Come carattere è troppo riflessivo e piglia le cose troppo sul serio. E' buono, di grande adattabilità ma molto impressionabile e trova qualche difficoltà ad aprirsi con gli altri".

Se il p. maestro vedeva come un difetto il fatto di prendere le cose troppo sul serio, significa che Bruno era veramente impegnato nel suo cammino di perfezione.

Nonostante la salute traballante, l'11 febbraio 1939 emise la professione temporanea nella Casa Madre di Verona dove, dal 1938 al 1940 fu studente di Liceo.

Considerando le date, vediamo che ha posticipato i Voti di alcuni mesi rispetto all'inizio del noviziato. Tale dilazione è stata causata da qualche incertezza derivata dalla salute, come afferma p. Capovilla in una sua nota: "Emise i Voti con alcuni mesi di ritardo sui suoi compagni per dubbi circa la salute". Tanto per ripeterci, diciamo che gli esami di liceo, fatti nel seminario diocesano di Verona dove aveva frequentato la scuola, si conclusero con una pagella sulla quale il voto più basso era 8. E ciò perché i superiori continuavano a ripetergli di studiare meno e riposarsi di più.

A Roma per la Teologia

A Verona, il 20 giugno 1940, Bruno conseguì l'Attestato di Infermiere e di Aiutante di Sanità nel Reale Esercito Italiano. Le lezioni erano state autorizzate dal Presidio Militare di Verona in modo da preparare i futuri missionari ad essere Aiutanti di Sanità in caso di chiamata alle armi. Tali lezioni, comunque, sarebbero servite anche per la vita missionaria in Africa per cui anche Bruno ne approfittò.

Terminato il liceo nel mese di luglio 1940, il nostro giovane ricevette l'ordine di trasferirsi a Roma per lo studio della teologia. Gli alunni che riuscivano meglio nella scuola e che, per la loro condotta, davano maggiori garanzie di riuscita, venivano inviati a Roma per studiare presso qualche Università onde conseguire il diploma o la laurea in vista di un possibile impiego nell'insegnamento in Italia o in missione. Bruno conseguirà la licenza in Teologia presso l'Università Urbaniana.

I primi tre anni di teologia andarono avanti lisci come l'olio, anche se l'esaurimento di tanto in tanto pareva volesse rialzare la testa. Gli studi erano impegnativi, senza fondo, come era senza fondo Dio al quale si riferivano. E p. Bruno non era mai contento; voleva saperne di più, voleva consultare il numero più grande di autori che avevano studiato quel dato argomento. Eccolo, allora, con pile interminabili di libri che leggeva e che "torturava" come per spremerne il senso più recondito.

Per essere in grado di accostare le fonti genuine, senza servirsi delle traduzioni, studiò tedesco, inglese, spagnolo, arabo ed ebraico che, unite al francese che già conosceva bene, fecero di lui un buon poliglotta.

La crisi

Solo i superficiali non hanno mai crisi. Bruno, che era tutto il contrario del superficiale, subì una profonda crisi, proprio al termine del terzo anno di teologia.

I superiori e i professori rimasero un po' sorpresi. Non si aspettavano un arresto negli studi da parte di un soggetto brillante come lui.

La salute? La paura di fronte alle responsabilità del sacerdozio imminente? Il pensiero della mamma - che amava moltissimo - rimasta praticamente senza alcun sostegno? Una crisi di identità? Forse tutte le cose insieme. Fatto sta che i superiori, dopo averlo ascoltato, lo mandarono a Pesaro come assistente dei ragazzi in quel seminario comboniano.

Quell'anno di pausa e di vita vissuta con i ragazzi con i quali giocava con la spontaneità e la gioia di un fanciullo, gli fece bene. Il 14 agosto 1944, sentendosi ormai libero interiormente, scrisse al p. generale:

"La prova di un anno da me chiesta e da lei benevolmente concessa in un momento assai critico e oscuro per me, ebbe il buon effetto, attraverso un complesso di circostanze, di produrre in me calma e serenità d'animo. E quindi, con una visione netta e precisa delle cose, presi liberamente la decisione di una dedizione totale alla salvezza delle anime, particolarmente degli infedeli dell'Africa, nell'Istituto dei Figli del Sacro Cuore.

Ora, nel chiedere come grande favore l'ammissione ai Voti perpetui, dichiaro nuovamente la mia determinazione di dedizione totale all'ideale missionario, non fondata su considerazioni umane, le quali tutte mi appaiono insufficienti per muovere a un atto così serio, ma unicamente su pensieri di fede i quali, come ora determinano la mia decisione, così sono convinto che mi daranno forza di essere fedele ai miei impegni.

Mi sembra, inoltre, di avere una assai precisa conoscenza dei doveri inerenti alla vita che ora domando di abbracciare definitivamente.

Quanto alla famiglia, il pensiero mi fu per il passato di grave preoccupazione. Confido che essa pure saprà trovare nella fede la forza di compiere il duplice sacrificio e che la Provvidenza se ne prenderà cura amorosa, dato che me ne separo solo per un motivo di fede. (Il duplice sacrificio derivava dal fatto che anche Sestilio era tra i Comboniani a quel tempo n.d.r.).

In conclusione, sinceramente guardo con vero desiderio verso la professione perpetua e gli Ordini sacri che, dando alla mia determinazione un carattere stabilmente impegnativo, serviranno a irrobustire e rafforzare la mia volontà...".

Il 7 ottobre 1944 emise la professione perpetua con grande soddisfazione sua e dei superiori.

Che questa lettera sia stata pensata, pesata e pregata, ce lo dice un'altra lettera, scritta un anno dopo da Rebbio dove si era unito ai suoi compagni per il quarto anno di teologia, nella quale chiede di essere ammesso al presbiterato.

"Nell'imminenza della sacra Ordinazione, con una chiarezza insolita, mi si prospettano davanti alla mente, insieme con la grandezza della dignità del Sacerdozio, le gravissime obbligazioni di eccelsa santità personale e di dedizione alla santificazione degli altri. Inoltre percepisco quanto sia inadeguata la debolezza di una creatura a un onere così grande.

Pure, confidando nella potenza della grazia, vado incontro ai doveri inerenti allo stato sacerdotale coll'animo di attuarli integralmente, mosso dal desiderio di affrontare ogni sacrificio per le anime amate da Gesù Cristo fino a versare il sangue...".

Ordinato sacerdote da mons. Macchi, vescovo di Como il 29 giugno 1945, fu nuovamente inviato a Roma per conseguire anche la licenza in Sacra Scrittura presso il Pontificio Istituto Biblico.

Professore

Dal 1947 alla morte, p. Bruno Ramazzotti ha svolto il suo ministero come insegnante e formatore di futuri sacerdoti e missionari.

Eccone le tappe :

1947-1948 insegnante di Sacra Scrittura nello studentato teologico missionario di Verona.

1948-1965 insegnante di Sacra Scrittura nello studentato teologico comboniano di Venegono Superiore. (Nel 1948 a Venegono cessò il noviziato che venne trasferito a Gozzano, per lasciare il posto allo studentato teologico).

1965-1989 insegnante di Sacra Scrittura nello studentato teologico S. Zeno di Verona, sorto per iniziativa del Seminario Diocesano, del Seminario per l'America Latina, dei Camilliani, degli Stimmatini, dei Comboniani e di altri istituti della città.

1985-1993 insegnante a Langata (Kenya) presso gli Apostoli di Gesù. Contemporaneamente, però, continuava a tenere lezioni anche a Verona (sei mesi in Africa, sei mesi a Verona).

P. Bruno divenne insegnante per diversi motivi. Primo, perché era preparato e dotato di una fine e acuta intelligenza abbinata a una vera passione per lo studio; secondo, perché essendo di salute cagionevole, si pensava che non ce l'avrebbe fatta ad andare in missione... Invece, come gli uomini che vivono sempre in bilico sul filo del rasoio, divenne vecchio.

Il suo modo di fare scuola era impegnativo, per lui prima di tutto, e poi anche per gli alunni. P. Bruno non diceva una parola se non era documentato, se non l'aveva scritta... Ha scritto tonnellate di carta piene di annotazioni, di citazioni, di indicazioni di fonti. Senza parlare delle dispense che egli stesso preparava e che poi affidava a qualche studente perché le moltiplicasse in modo che ogni alunno ne fosse provvisto.

Per la verità questo metodo, che obbligava gli alunni a prendere continuamente nota di quanto l'insegnante diceva, richiedeva non poca fatica, anche perché il Padre parlava piuttosto in fretta e investiva la scolaresca con una valanga di parole.

Inoltre usava il metodo "dei circoli concentrici" in base al quale affrontava l'argomento da lontano e poi ci girava attorno fino ad arrivare al nocciolo. Ma quando arrivava al punto, molte volte gli scolari erano già stanchi.

Perché p. Bruno non seguiva un testo e sommergeva gli alunni con tutte quelle dispense, quelle note, quegli appunti? La ragione era semplice: egli concentrava nelle sue dispense e nei suoi appunti di aggiunta il "succo" (era una parola sua) di cento testi che egli aveva consultati. Alla fine, però, i concetti venivano fuori chiari e restavano impressi nella mente degli scolari.

Tanto esigente con se stesso, vorrei dire scrupoloso di non fare bene il proprio ministero di insegnante, p. Bruno era molto comprensivo con gli alunni nel senso che si accontentava di quanto uno aveva recepito. E se vedeva che la ricezione era troppo scarsa, ripeteva la lezione, senza dirlo, senza umiliare chi non aveva afferrato il concetto, ma quasi giustificandoli come se fosse stato lui a non esprimersi bene.

Anche agli esami era largo. Credo che non abbia mai bocciato nessuno. Con una delle sue solite battute - e ne aveva un sacco - diceva: "Sì, sì, sì... poi nella vita c'è anche lo Spirito Santo". Oppure: "Bene, bene, per quello che sai, hai detto anche troppo".

Le ultime lezioni dell'anno scolastico si trasformavano in un cataclisma. Il Padre aveva ancora troppe cose da dire che non  era riuscito a trasmettere. Allora riempiva una, due, tre lavagne scritte in piccolo, arrivando a scrivere anche sulle assi di sostegno con preghiera agli alunni di copiarle perché sarebbero potute servire in seguito, anche se egli non ne avrebbe tenuto conto agli esami.

Insomma p. Bruno era un uomo assillato dal dubbio di non compiere il proprio dovere fino in fondo, di lasciare qualche vuoto nella mente e nel cuore degli scolari. Questi dubbi non erano per niente condivisi dai diretti interessati: gli studenti.

Formatore

A Venegono p. Bruno faceva parte di un'equipe straordinaria di professori e di educatori che hanno fatto la bellezza e la fortuna dello scolasticato comboniano di Venegono.

Dobbiamo riconosce che il Padre, che ha sempre ricoperto la carica di Prefetto degli studi, ha costituito il pungolo, la coscienza dello scolasticato. Da dietro le quinte spingeva i superiori affinché lo scolasticato raggiungesse uno standard molto alto. Esigente, critico, analitico, testardo, era stimato, amato, ma anche temuto dagli scolari che lo chiamavano Chetubin, per il suo continuo citare testi biblici.

Un giorno annunciò che, con il nuovo anno, accanto allo studio dell'ebraico, ci sarebbe stato anche l'arabo. Gli studenti, già pieni di materie, arricciarono il naso e, qualcuno più intraprendente, girò tra i banchi, durante le ore di studio, per raccogliere i nomi di chi ci stava o non ci stava a quella materia in più.

Quando il Padre si accorse di ciò che stava succedendo, "calma - disse - studiare o non studiare una materia non è come prendere parte o non prendere parte a una partita di pallone". E si studiò l'arabo. Anche se all'esame si accontentò del solo segno della croce in quella non facile lingua.

Negli scrutini per i Voti o per l'ordinazione sacerdotale degli scolastici, il giudizio più tagliente, più profondo, più maturo, più ragionato era sempre quello di p. Ramazzotti. Non era solo il professore, ma anche l'educatore.

Un Ramazzotti fa sempre bene

Sempre puntuale alle pratiche di pietà della Comunità, disponibile al ministero domenicale nei paesi (eppure stava su di notte per prepararsi le lezioni), caritatevole con i confratelli, era di buon esempio a tutti. Scusava, scusava, scusava sempre e metteva avanti gli aspetti positivi delle persone e degli avvenimenti. Tanto era rigido con se stesso, quanto era largo e incoraggiante per gli altri, allo scopo di dare fiducia, di infondere speranza. Per cui tutti gli volevano bene.

La sua affabilità, la sua delicatezza e il suo parlare piacevolmente arguto, facevano di lui un uomo col quale ci si trovava a proprio agio. Sembrava che si spersonalizzasse per aiutare gli altri, per capirli, per giustificarli. Giocando sul suo cognome, i confratelli dicevano: "Un Ramazzotti fa sempre bene".

Non confondiamo affabilità e delicatezza con debolezza. No! P. Bruno era un carattere forte, un lottatore che cedeva solo di fronte alla validità degli argomenti o, da buon religioso, accettando l'obbedienza in spirito di fede. In una sua lettera, tuttavia, precisò: "Nella mia vita non ho mai lottato contro qualcuno o contro qualcosa, ma sempre PER".

Sempre apostolo

Il fratello Sestilio afferma: "P. Bruno esercitava un grande apostolato tra i parenti e gli amici. Ha aiutato generazioni di parenti: padri, figli, nipoti. Ho visto una lettera scrittagli da un nostro parente. Gli diceva: 'Ti ringrazio di averti incontrato sulla mia strada, e per questo ringrazio il Signore'. Anche in treno attaccava discorso per fare apostolato. Del resto, preparato com'era, non aveva paura di essere messo in minoranza. Ultimamente ha fatto un viaggio Bologna-Verona. Stava già male, perciò gli telefonai chiedendo come era andato il viaggio. 'Benissimo - mi rispose - ho sempre parlato'. Si adattava ai vari problemi e alle varie persone. Al bimbo parlava in modo da essere capito dal bimbo, al giovane dal giovane, al grande dal grande, al letterato dal letterato all'umile dall'umile. Davvero si faceva tutto a tutti.

A Follonica, terra arida spiritualmente, mise in piede una specie di gruppo di Animazione Missionaria. E come era seguito!

La moglie di un cugino, gli espresse la sua riconoscenza per aver fatto sì che suo padre, ateo e massone, morisse con i sacramenti e in pace con Dio. Per Bruno era gioia l'apostolato.

Quando andava a Follonica, un cugino in pensione lo portava di qua e di là a trovare parenti e amici. Il suo scopo era l'evangelizzazione. Insomma, era un seminatore evangelico".

Scrittore

Nella sua carriera di professore, p. Bruno ha pubblicato una trentina di libri, tutti di carattere biblico e in particolare su San Paolo di cui era uno specialista. Scrisse fino agli ultimi giorni della sua vita. Non si contano gli articoli pubblicati su riviste specializzate. E non pubblicava storielle, ma roba da occupare ore e ore di lavoro.

Nel 1992 è uscito a Nairobi il suo "The spirituality of the Pierced Heart of Jesus" che attirò presto l'attenzione di competenti in materia. In una voluminosa busta sono state trovate una quarantina di lettere ricevute in questi anni da p. Bruno. Ci sono lettere, a proposito del libro citato, di alcuni cardinali quali Shotte, Martini, Saldarini, Otunga, e di vescovi; del superiore dei Gesuiti e di diversi altri competenti in materia; di Gianfranco Ravasi, p. Tessarolo, ecc. Da uno dei Gesuiti il libro è stato definito: "il capolavoro e la corona del suo apostolato con la penna".

P. Pietro Gasparotto, nel suo libro "A scuola dal beato Daniele Comboni" fa una dedica speciale a p. Bruno: "In memoria di p. Bruno Ramazzotti MCCJ, innamorato del Buon Pastore dal Cuore trafitto, appassionato studioso di San Paolo e ardente missionario in Africa". Parole ben dette.

Un regalo di San Paolo

Nel luglio e agosto del 1969 p. Bruno compì un viaggio in Oriente "sulle orme di San Paolo". Fu un momento gratificante per il Padre. In quell'occasione ebbe modo di incontrare il Patriarca Atenagora.

Nel 1970 celebrò il 25° di sacerdozio. Per la felice circostanza scrisse: "Mi pare che a questo punto della mia vita sacerdotale posso prendere come parola-guida quanto S. Paolo scrive ai suoi diletti Filippesi: "Quelle cose che per me erano vantaggi, io le ho stimate, a motivo di Cristo, iattura. Considero anzi ogni cosa come iattura a confronto del vantaggio sovreminente che è la conoscenza di Cristo Signore mio... Non che io abbia già raggiunto il fine o sia perfetto; proseguo bensì la mia corsa per vedere di afferrarlo, perché anch'io sono afferrato da Cristo Gesù. Fratelli, io non reputo di aver raggiunto la meta; una cosa sola: dimenticato ciò che è dietro a me e tutto proteso verso ciò che mi sta innanzi, corro alla meta, al premio della superna chiamata di Dio in Gesù Cristo".

Insieme a san Paolo, agli Atti degli Apostoli e alle Lettere degli Apostoli, approfondì lo studio della teologia e spiritualità del Sacro Cuore

Anche su Comboni approfondì significativi aspetti. Un suo ultimo lavoro, scritto si può dire sul letto di morte in collaborazione con p. Gasparotto, rappresenta un omaggio del figlio verso il Padre e Fondatore.

Lo Zenonianum: grande idea

Quando nel 1965 p. Bruno lasciò Venegono per Verona come professore nel seminario diocesano nel quale confluivano anche i Comboniani, caldeggiò l'idea di uno studio teologico che doveva competere con quelli di Roma e di Milano. Quanti colloqui, quante lettere con mons. Carraro, vescovo di Verona, e con i superiori dei vari istituti religiosi della città che erano ormai tutti carenti di personale qualificato e avevano un numero limitato di studenti.

L'argomento forte di p. Bruno era il seguente: "Se ogni istituto mette a disposizione qualche insegnante qualificato, il migliore, noi avremo un corpo didattico di prim'ordine, a vantaggio degli alunni che, messi insieme, formeranno classi 'nutrite', e più facilmente otterremo riconoscimenti accademici da Roma.

Questo progetto non incontrò subito l'adesione entusiasta di tutti. Anzi, ci furono delle forti riserve, e qualche Ordine non lo accettò mai. Si sa, i cambiamenti fanno sempre un po' paura. Ma ormai la storia camminava in quel senso e bisognava adeguarsi anche per la scarsità di vocazioni in ogni singolo Istituto. P. Bruno lo capì subito e divenne un sostenitore accanito di tale iniziativa.

L'inizio dei dolori

P. Bruno, data anche la sua particolare sensibilità, ebbe molto da soffrire. L'inizio dei dolori cominciò con la morte della mamma. P. Bruno si trovava a Pesaro per un po' di vacanze (passate insieme a una pila di libri che si portava anche al mare) quando una telefonata del fratello comunicò la morte della mamma. P. Bruno ebbe uno schianto e cominciò a piangere. Partì immediatamente, giungendo a sera tardi al paese.

"La mamma - dice il fratello Sestilio - era il punto di riferimento per lui. Mancandogli la mamma si sentiva come un naufrago in balia delle onde".

Il Padre possedeva una vecchia borsa di cuoio, tutta rattoppata, nella quale metteva i suoi appunti e qualche libro.

"Perché non cambia quella borsa!", gli disse un giorno un confratello.

"Me l'ha cucita e ricucita più volte la mia santa mamma. Come potrei separarmi da essa?", rispose.

Durante il funerale della mamma di un confratello, p. Bruno sviluppò alcuni pensieri sulla mamma. Vedeva la mamma come il sacramento che rende presente, sensibile ed efficace l'amore di Dio per l'uomo. Nessun altro amore, fuori di quello della mamma per i suoi figli, è più simile di quello di Dio per la sua creatura.

La morte della mamma costituiva il primo dei dolori che stavano per abbattersi sulle spalle di p. Bruno.

Kenya all'orizzonte

Nel maggio del 1982 si cominciò a parlare, a livello di Direzione Generale, di un "erigendo Centro di Alta Teologia a Nairobi". Era anche il tempo in cui la "rotazione" tra i membri della Congregazione andava di moda. P. Masserdotti, consigliere generale, scrisse a p. Bruno: "Per settembre 1982 ti attendono in Kenya. Sei mesi in Africa e sei mesi allo Zenonianum di Verona. In altre parole, ti confermo il piano che già ti è stato prospettato da p. Pierli. So che questa proposta esige da te molto sacrificio".

P. Bruno aveva 62 anni con una salute minata dall'asma che lo costringeva ad andare in giro con una pompetta in tasca per farsi le aerazioni in gola per poter respirare. Inoltre da ormai 35 anni era fisso nell'Alta Italia (Verona, Venegono, Verona). La previsione del distacco, perciò, gli suonò amara.

Egli espose le sue ragioni, specialmente la non perfetta conoscenza dell'inglese, per cui i superiori pensarono, per il momento, di soprassedere alla sua partenza. Tuttavia gli fecero balenare la possibilità di una sua partenza per il Messico, della quale poi non si tenne più conto.

La vecchia cappella

Ma ecco che, nel 1984, si fecero avanti altri motivi di cruccio per p. Bruno. Il secondo piano della Casa Madre, riservato agli ammalati, non era più sufficiente a contenere il loro numero sempre crescente, per cui si pensò di dimezzare la cappella, che in altezza occupava due piani, per ricavare una dozzina di stanze.

P. Bruno, sembrandogli quello uno scempio a un cimelio della Congregazione, sparò tutte le sue cartucce per impedire i lavori.

Scrisse portando argomenti che a lui sembravano determinanti (è la cappella dove tanti comboniani hanno fatto i loro Voti, è il santuario a Comboni, è la memoria della Congregazione...). Si rivolse alla Commissione Diocesana di Arte Sacra, alla Sovraintendenza ai Beni Ambientali, raccolse una ventina di firme di confratelli anziani che la pensavano come lui... Ma la cappella di Casa Madre non poteva interessare né l'Arte Sacra, né i Beni Ambientali perché non aveva ancora 50 anni, essendo stata costruita nel 1936 quando ci fu l'ampliamento della Casa Madre.

Gli altri opponevano le ragioni dei confratelli che avevano bisogni di stanze e che la cappella, così alta, era sempre fredda durante l'inverno.

La lotta "per il mantenimento della cappella" fu lunga. Ma alla fine il Padre dovette cedere. Accettò il volere della maggioranza e dei superiori con spirito di fede, non senza aver ribadito le sue ragioni.

La biblioteca di Casa Madre

Intanto il p. provinciale lo incaricò di organizzare la biblioteca teologica di Verona. Lavorò di giorno e di notte, sottraendo il tempo al sonno e agli ormai ridottissimi momenti di svago. Per esempio, seguiva con interesse i problemi della politica italiana. Andava alla televisione al momento del telegiornale, ma stava in piedi sulla porta. A chi gli diceva: "Venga dentro e si sieda", rispondeva: "Mi basta il sommario all'inizio, poi ho altre cose da fare".

Per la biblioteca aggravò la sua situazione sanitaria, Quanta polvere ha respirato! Quante tonnellate di libri ha trasportato, ordinato, catalogato! Quante lettere ha scritto a destra e sinistra per completare le collane, per scambiare i doppioni con altre biblioteche! Un lavoro massacrante che lo occupò per un paio di anni. Alla fine ne uscì un capolavoro di grandissimo valore.

Come Abramo

L'idea di una sua rotazione tornò a galla. In Kenya avevano bisogno di lui, di un professore di Sacra Scrittura per la Congregazione degli Apostoli di Gesù.

Bisogna dirlo: il Padre vide questa decisione dall'alto, del resto preparata da lunghi dialoghi, come una mazzata in testa e quasi come un castigo per la sua precedente lotta pro cappella.

Intercorsero lettere, tante lettere. Ma alla fine l'obbedienza e la fede ebbero l'ultima parola. Una lettera del p. generale del 6 agosto 1984 dice: "Facendo assegnamento alla tua disponibilità per un servizio alla missione, secondo quello che era già stato programmato e proposto da tempo, ti assegno alla Provincia del Kenya a partire dal 1° gennaio 1985". Poi aggiunge: "Sarebbe da incoscienti non pensare che questo trasferimento, alla tua età, non richieda un grosso sacrificio...".

Commenta il fratello Sestilio: "Quando intesi che sarebbe partito per l'Africa, mi spaventai e gli dissi: ammetto il tuo desiderio di andare in missione (il fratello pensava che fosse stato p. Bruno a insistere per il trasferimento n.d.r.) ma come farai se ogni volta che ti muovi ti porti dietro una borsa di pompette e di medicine antiasma?".

Ecco una caratteristica di p. Bruno: mai parlò con gli esterni, neanche col fratello col quale aveva molta confidenza, delle sue grane all'interno dell'Istituto. Su questo era riservatissimo.

Lasciò Verona il 4 marzo 1986. La mattina precedente celebrò la messa per la comunità di Casa Madre. All'omelia sviluppò questi quattro argomenti. (Chi scrive era presente e prendeva nota perché, proprio il giorno prima, il Padre gli aveva confidato: "Vado in Africa a morire").

1° Parto come Abramo, quasi settantenne, con lo spirito del pellegrino.

2° Ho cercato di insegnare la Parola di Dio a tanti confratelli.

3° Mi sento in compagnia di San Giuseppe e della Madonna che è madre e sorella.

4° Ho la certezza che Gesù non si allontana mai "Nolite timere, vobiscum sum".

Tra scuola e ospedale

Dei primi sei mesi in Kenya, ne passò buona parte in ospedale, tuttavia riuscì a portare a termine il suo programma. Un altro guaio si aggiunse: i programmi scolastici erano combinati in modo che sia quando era a Verona sia quando era in Kenya il Padre si trovava nella stagione invernale

In una sua relazione sul suo lavoro in Kenya, scrisse: "Sono docente di Bibbia e direttore spirituale di un bel gruppo di studenti filosofi e teologi. Il problema più grave è quello della coesistenza tra le varie nazionalità, e poi c'è quello economico. Raggiunto l'autogoverno, gli Apostoli di Gesù sono rimasti privi degli aiuti che arrivavano dall'estero.

Quanto alla mia situazione personale, il problema più serio è la mia salute assai precaria in connessione con una forma cronica di bronchite asmatica che rende abitualmente penosa la respirazione specialmente durante la lunga stagione piovosa e fredda dell'altipiano kenyano, che dura praticamente da marzo/aprile a dicembre.

Il fenomeno, oltre a creare costante disagio respiratorio, mi obbliga a prendere in continuità farmaci vari, e varie volte ha richiesto il ricovero all'ospedale. Inoltre comporta la deossigenazione dell'organismo che provoca senso abituale di spossatezza e stanchezza, e rende difficile il lavoro.

I superiori di Roma e di qui hanno incoraggiato un mio rientro temporaneo annuale in Italia per analisi e cure intensive, generalmente all'ospedale".

Davvero fu un rischio forte la missione per un uomo della sua età che portava costantemente la sciarpa e tossicchiava in continuazione.

Sapeva l'inglese ma, facendo scuola, non doveva parlarlo in qualche modo. Per insegnare concetti esatti, senza il pericolo di essere frainteso, bisognava possedere la lingua in modo perfetto, usando il vocabolario. Per i primi anni p. Bruno scrisse tutte le lezioni dalla prima all'ultima parola, consultando il vocabolario e la grammatica, rubando sonno e sfruttando tutti i momenti liberi. Davvero ci voleva un caparbio come lui per farcela.

I laici Fidei Donum

A contatto con la vita di missione, p. Bruno maturò il progetto "di promuovere la iniziativa di un servizio di laici teologi tipo Fidei Donum che si affiancherebbe al servizio tradizionale dei preti Fidei Donum.

"L'idea e l'iniziativa - scrive p. Bruno - sono nate in connessione con alcuni miei articoli sull'urgenza di una collaborazione tra le Chiese sul piano della formazione spirituale e teologica a vantaggio della moltitudine dei seminaristi africani".

Tale iniziativa venne assunta dal CEIAS, un organismo della CEI, con sede a Verona ma in pratica, colui che faceva tutto era p. Bruno. E poi la cosa svanì nel nulla anche se, per portarla avanti, il Padre si sobbarcò a una pesante scuola serale per laici durante i sei mesi di permanenza a Verona.

Per cinque anni p. Bruno andava e veniva regolarmente dall'Africa all'Italia per fare scuola sia agli Apostoli di Gesù, sia ai teologi dello Zenonianum.

Questa spola, snervante, ma portata avanti con entusiasmo, gli fece venire un'altra idea, un altro progetto: gemellare lo Zenonianum col seminario degli Apostoli di Gesù in Kenya.

Ma anche di questa iniziativa, l'anima era p. Bruno e rimase solo. Gli altri, dopo qualche vaga espressione di incoraggiamento, non se la sentivano di impegnarsi di persona. Anzi, in una lettera del Rettore dello Zenonianum in data 17 luglio 1989, si dice: "Riconosco che l'idea poteva inizialmente apparire interessante, ma di fatto non si andò oltre un'ipotesi generica e non si arrivò a reciproci impegni. Bisogna riconoscere che p. Bruno ha sempre sostenuto con grande convinzione e ammirevole entusiasmo tale idea, qualche volta forse enfatizzando, come gli ho più volte fatto presente. Allo stato attuale non vedo  molte possibilità di sviluppo di tale progetto, almeno da parte dello Zenonianum".

Su questi argomenti esiste una nutritissima e abbondante documentazione, perché p. Bruno le cose le meditava, le vagliava, le studiava, sempre però con quel pizzico di utopia e di idealismo, proprio alla Comboni.

Un collega nell'insegnamento afferma: "Schivo, introverso, apparentemente chiuso, coniugava molto bene un'estrema semplicità con un'altrettanta estrema umiltà, un profondo senso critico, espresso con fine umorismo. Ma era un idealista, dai grandi progetti, che sembrava non tenesse conto, o non si accorgesse, della limitatezza dei 'compagni di viaggio'".

Una pugnalata al cuore

Partendo per l'Africa, la biblioteca messa insieme con tanti sacrifici da parte di p. Bruno, fu data in consegna al superiore del Centro Culturale Comboniano (CCA). Questi, un bel giorno, anzi un brutto giorno, avendo bisogno di spazio per mettere i libri che dovevano servire per l'animazione missionaria, senza passare parola a nessuno, fece venire alcuni camion e, in due e due quattro, fece caricare i libri della biblioteca e li mandò al macero... Bel Centro Culturale!...

Quando p. Bruno tornò dal Kenya (1987) e vide lo scempio, per poco non cadde stroncato da infarto. Se uno, in quel momento, gli avesse inferto una pugnalata, non sarebbe uscito neanche una goccia di sangue, tanto il povero Padre era rimasto impietrito. Ma ormai non c'era più niente da fare e al Padre non restò che andare avanti e indietro per i corridoi di Casa Madre gesticolando come un'anima in pena.

Il cacio sui maccheroni

Si dice che il missionario tanto più vale quanto più in fretta riesce a rendersi inutile nel luogo e con la gente con cui ha lavorato. Ma questo "sentirsi inutile" costituisce una gran brutta botta in testa.

Al seminario di Verona p. Bruno aveva lavorato bene. Già sette dei suoi alunni erano andati a Roma e si erano diplomati in Sacra Scrittura per cui la curia generalizia dei Comboniani comunicò alla Zenonianum "che per l'anno scolastico 1989-1990 lo Studio Teologico San Zeno dovrà programmare i suoi corsi senza contare sull'insegnamento di p. Ramazzotti".

Il Rettore dello Zenonianum rispose che "diversamente dal passato, oggi, ringraziando Dio, non abbiamo difficoltà per quanto riguarda l'insegnamento della Sacra Scrittura".

Questi discorsi venivano fatti nel luglio 1989. Sembra che p. Ramazzotti non sapesse niente se, da una sua lettera del 22 settembre dello stesso anno, dal Kenya, faceva richiesta allo Zenonianum dei programmi di insegnamento per l'incipiente anno scolastico.

Non si è trattato di uno sgambetto, ma di un semplice disguido postale. Infatti, in data 14 settembre, il p. generale aveva comunicato a p. Ramazzotti "una decisione dolorosa. Una decisione di cui si erano sentiti i rumors già da tempo ma che oggi sta diventando definitiva". E gli comunicava la decisione presa dallo Studio teologico di Verona di servirsi dei propri insegnanti.

Un motivo era anche che "portare avanti il corso concentrato in poco tempo con gli esami non incontra gradimento negli studenti". Ma c'era anche un'altra cosa che non venne detta a p. Bruno, e che si trova in una lettera: "Il metodo di insegnamento del Padre, appare superato".

Il p. generale, comunicandogli il cambiamento, si soffermava su argomenti di fede e di metodologia missionaria. "Non considerare la decisione come un'espulsione e un irriconoscente calcio. Lo Zenonianum ha tenuto conto che sei alla vigilia dell'età pensionabile, e poi il missionario è l'uomo che pianta una Chiesa e poi la consegna in altre mani e lui se ne va a fondarne un'altra... Comprendo molto bene cosa vuol dire per te il distacco da Verona; ma è proprio il distacco un aspetto tipico della croce del missionario, la trafittura del Cuore di Cristo che Egli ci invita a condividere".

C'è anche da dire che questo duplice impegno Verona Nairobi era diventato pesante per p. Bruno. Il p. generale concludeva la lettera chiedendo al Padre di dedicarsi totalmente agli Apostoli e di venire pure in Italia periodicamente per le sue cure.

In data 4 ottobre 1989, il rettore dello Zenonianum informava p. Bruno del suo cessato impegno "pur considerandolo sempre come uno di famiglia".

E' facile immaginare quanto sia stata salata tale decisione, eppure il Padre l'ha accettata con quello spirito di obbedienza e di fede che l'ha sempre caratterizzato.

Gli restava la speranza

Nel giugno del 1993 p. Bruno fu accolto in dermatologia nell'ospedale di Borgo Trento per accertamenti allergologici e cure per una vasta micosi ai piedi. Dopo la cura ripartì immediatamente per il Kenya.

Nel 1994 rientrò in Italia definitivamente. Aveva 74 anni e una salute fortemente minata. Tuttavia non mollava i suoi studi e continuava a scrivere. Uscì, in questo periodo "Spiritualità del Cuore di Gesù; aspetti fondamentali". Teniamo presente che fu proprio p. Ramazzotti a coniare l'espressione "Cuore trafitto del Buon Pastore" che attualmente trova così vasta risonanza nella Congregazione comboniana e costituisce una base della sua spiritualità.

La sua vita, intanto, diventò un dentro e fuori dall'ospedale. "Notiziario" di marzo 1994 registra: "P. Bruno Ramazzotti fu accolto nel reparto di Chirurgia Plastica per un intervento sul sistema linfatico. Il periodo post operatorio fu disturbato da seri problemi respiratori dovuti all'anestesia e il Padre fu trasferito in Pneumologia per cure più appropriate. Ora è rientrato in Casa Madre, ma persistono problemi sia respiratori che di drenaggio linfatico".

Il suo male era l'inizio del tumore che lo avrebbe portato alla tomba. Ma il Padre, da buon lottatore qual'era sempre stato, continuava a voler guarire per tornare in Africa. E intanto studiava, pregava, scriveva e si applicava alle traduzioni come aveva sempre fatto.

Quando il tumore, da un puntolino insignificante, si diffuse in tutti gli organi, il professore tentò un'altra operazione. Era il 28 ottobre 1995. Il malato fu aperto e chiuso.

"Può vivere un giorno, una settimana, un mese, sei mesi - disse il professore. - E' umanamente chiaro, tuttavia, che questa malattia è senza ritorno".

Ciò che disturbava il Padre erano le bestemmie e i turpiloqui che sentiva in ospedale. Di questo si lamentava, non del suo male che progrediva inesorabilmente. All'ospedale di Negrar, dove passò l'ultimo periodo della vita, il clima era più respirabile per cui p. Bruno poté dedicarsi alla preghiera e all'offerta delle sue sofferenze.

Nelle ultime settimane dovette essere assistito giorno e notte. Nella mezza incoscienza continuava le sue lezioni in inglese, ormai diventato parte della sua mentalità.

Si è spento senza dolore, consumato dal male che lo aveva preso dappertutto. Le sue ultime parole furono: "Sono nel Cuore di Gesù; di qua o di là la salvezza verrà". E' stata l'ultima rima coniata sul letto di morte, lui che amava fare battute in rima, anche per memorizzarle con più facilità.

I funerali in Casa Madre videro tantissimi sacerdoti, comboniani e diocesani, che lo avevano avuto come professore. Alla fine della messa vennero letti messaggi di condoglianze dei Vescovi di Verona (quello in carica e quello emerito), del p. provinciale il quale sottolineò: "Moltissimi fra noi e molti sacerdoti italiani e africani sono debitori a p. Bruno dell'amore alle Sacre Scritture inculcato nei suoi lunghi anni di insegnamento. Ha trasmesso questo amore anche attraverso pubblicazioni liturgiche e scolastiche. Un particolare grazie gli è dovuto per aver sempre incoraggiato - fino agli ultimi giorni - con la parola e con lo scritto la devozione al Cuore di Cristo, sorgente della missione e buon Pastore". Intervennero anche i laici che erano stati suoi scolari e il rettore del Seminario. P. Paolo Longo tenne il discorso funebre. Fu un coro di riconoscimenti e di gratitudine.

Possiamo dire che p. Bruno Ramazzotti, carattere ferreo  ma con una insospettabile ricchezza umana, è stato uno dei nostri grandi Comboniani da mettere sullo stesso piano di altri confratelli che sono stati grandi nello studio delle lingue africane, degli usi e dei costumi dei popoli (Nebel, Crazzolara, Santandrea, Giorgetti...). P. Bruno corona la tradizione della prima generazione comboniana da un punto di vista culturale.

Attraverso la sua mente e il suo cuore ha trasmesso il carisma della passione per la Sacra Scrittura che chiamava "la Lettera che Dio scrive all'uomo". Come Comboni, ha "rigenerato" i "più necessitosi" mediante la Parola di Dio fonte di liberazione, di evangelizzazione e di promozione umana.

"Introverso, schivo, chiuso, caparbio - disse p. Longo all'omelia - è stato un grande perché aveva in sé la forza di un grande ideale: far conoscere Cristo Gesù e i suoi misteri. Come san Paolo, ha consumato tutta la sua vita per la Parola di Dio perché ha creduto fino in fondo alla sua efficacia nell'ordine della salvezza".

Noi riconosciamo che p. Bruno è stato un grande dono alla famiglia comboniana e alla Chiesa missionaria. Il carisma di Comboni, che non si è esaurito in Comboni, vive e si amplifica nella famiglia comboniana e nei suoi membri che ne sviluppano un particolare settore. P. Ramazzotti ha vissuto il carisma comboniano sotto l'aspetto della Parola di Dio trasmesso e comunicato alle genti. Nella comunione dei santi, che costituisce la forza della famiglia comboniana, con Comboni e con i grandi missionari, c'è di sicuro anche p. Bruno. Che dal cielo faccia sentire a tutti noi il gusto della Parola di Dio.E' sepolto nel cimitero di Verona, nella Cappella Giardini.                P. Lorenzo Gaiga, mccj

Da Mccj Bulletin n. 193, ottobre 1996, pp.82-93

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Just a few words might sum up the whole persona of Fr. Bruno Ramazzotti: . His whole life revolved around the Holy Bible. Not only did he study it and live it, but he taught it and, above all, lived it and helped others to know it, love it and live it. Generations of missionaries, priests and lay people have profited from his teaching for their ministry of the Word of God. We could quote as an epitaph the words in Matthew, 5:19 - .

Infancy

Born in Treppio, a district of Sambuca Pistoiese, on 11 September 1920, Bruno was baptised the same day - which illustrates the spiritual attitude of the family: , as his brother Sestilio puts it.

The first of two boys and two girls, Bruno grew up in the shadow of his father's ill-health. He had been a soldier for eight years, fighting in Libya in 1911, and being seriously wounded in the final days of the 1914-18 war, aged 28.

His pension was not enough to bring up a family; besides, Vincenzo wanted to give his children a good start in life. First off, he moved the family from the little village up in the Appenines of Tuscany and moved to Pistoia (1927). He himself set up a little shop for the sale and repair of brass objects in Follonica: he was good at it, and his handicap was not an obstacle.

Things seemed to be going well when he died on 2nd. November 1931, at the age of 40. Maria Giuntini, the mother, was left to raise the family. She did not lose courage, but took on the task with determination. At the time the baby, Fiorella, was just over a year old, and Brunetta was 5; Sestilio (9) was found a place for his schooling in Follonica, where 11-year-old Bruno had just finished his primary education.

Vocation

Bruno was an altar server, and an active, lively boy. He was very good at school, even though he loved games (it was enough just to hear once what the teacher said in class), and spent a lot of time at football. His father used to go out and wave a stick - he only waved it, mind - to try to get him to study more.

One day a missionary from the Comboni seminary at Carraia (Lucca) came to the parish, and Bruno met him there. Later, the missionary's animation work brought him to Follonica, which had barely 1000 inhabitants at the time. The missionary talked to the children, showed them slides about Africa and missionary life, then asked if anyone wanted to follow him. Bruno, though a bright spark, would also think things over, and had a lot of questions to ask first. He though it over carefully, then decided that it could be his kind of life.

The superior talked with his mother Maria and the Parish Priest, and it was agreed that Bruno would start his secondary education in the missionary seminary at Carraia.

Missionary seminarian

Bruno entered Carraia at the beginning of January 1931, still aged 11. And though he had managed to do well at school without effort while he was at home, he now realised that it is possible to learn a lot more by studying! He got down to some serious work. And his year-end report shows a single 8 in written Italian, with 9 or 10 in all other subjects. A note says:  - so with the school year already three months old. There follows a second note in red ink: . This set a pattern for the following years.

Bruno was not only an excellent student; he was pious, and his conduct was outstanding. Like a good native of Tuscany, he had a sharp wit, but never wounded anyone. And he learned to give way, even when he was in the right, and even when it cost him considerable effort.

In 1934 he moved on to the higher classes in Brescia, in the Comboni Institute. At the end of his last year, 1936, he collected two nines - the other marks were all 10.

Novice

Bruno entered the Novitiate at Venegono in September 1936, and the clothing was on 1st November. But his hard work at Brescia had left him exhausted. The Novice Master, Fr. Antonio Todesco, noted that the doctor was sure that he would recover completely. .

The doctor's view was not so radical: , but they should be lightened as much as possible.» The doctor then ordered a more substantial diet, with eggs, meat, fruit, sugar and jam... maybe the hard times meant that the diet for young men still growing vigorously was a bit scarce...

The Novice Master also noted the progress made by the novice, and remarked on his character: them a bit too seriously. He is good, very adaptable, but quite impressionable, so is rather retiring.»

Despite his rather shaky health, Bruno made his First Profession in the Mother House at Verona on 11th February 1939. He had moved there in 1938 to continue his studies. The delay in making his first Vows was caused by doubts over his health. But he got back into the swing, and got high marks in his final exams. Fr. Capovilla noted that he got 8 in some subjects because the superiors kept telling him to take things a bit easier!

Theology in Rome

Bruno obtained his Certificate in Nursing and Health Assistant in the Royal Italian Army in June 1940. This document would cover clerical students if they were called into the army, and would also be useful in the Missions.

When he completed his Humanities in July, he was told to go to Rome for Theology. The most promising of the students were sent to study at a University in Rome. Bruno eventually gained a Licence in Theology at the Urbanian University.

The first three years went by very well, though nervous exhaustion threatened from time to time. The studies took a lot of effort and, being about God, were virtually inexhaustible. Bruno, in his thirst for knowledge, was always looking for more facts, reading more authors, trying to grasp exactly what they were saying. In order to get as close as possible to his sources, he studied German, English and Spanish, Arabic and Hebrew. He already knew French quite well.

Crisis

Only superficial people never suffer any crisis. Bruno, the opposite of superficial, went into a profound crisis at the end of the third year of Theology, taking his superiors and university professors completely by surprise.

Health? Sudden awe at the responsibilities of the priesthood, which was very close? Anguish that his mother, whom he loved dearly, should be left without support? Crisis of identity? It could have been any or all of those reasons. The fact is, the superiors, after listening to him, sent him off to Pesaro as assistant of the junior seminarians there. And the year living with the lads, sharing their days, playing with them, did him the world of good. On 14th August 1944, finding himself free and self-possessed once again, he wrote to the Superior General:

"The year off which I requested and you so kindly granted, in such a critical time for me, has had the desired effect, and my serenity and peace of mind have returned. And so, with a clear and precise vision of all that is entailed, I have come to a free decision to dedicate myself totally to the salvation of souls, especially of those in Africa who lack the Faith, in the Institute of the Sons of the Sacred Heart.

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