In Pace Christi

Biasin Antonio

Biasin Antonio
Fecha de nacimiento : 05/06/1908
Lugar de nacimiento : Arzignano (VI)/I
Votos temporales : 11/02/1929
Votos perpetuos : 11/02/1935
Fecha de fallecimiento : 27/08/1994
Lugar de fallecimiento : Verona/I

Per almeno quattro motivi sarebbe opportuno scrivere la biografia di questo nostro fratello che tutti i comboniani (e molti non comboniani) conoscevano e stimavano.

Primo motivo: la famiglia da cui deriva: quattro fratelli (due maschi e due femmine) tutti e quattro missionari comboniani.

Secondo motivo: ha realizzato in pieno il desiderio e il progetto del Fondatore a riguardo dei missionari laici (è stato istruttore di africani, costruttore e tecnico al servizio della missione).

Terzo motivo: è stato missionario laico autentico senza complessi e senza rimpianti, e religioso che ha percorso un costante cammino verso la santità.

Quarto motivo: insieme ad altri insigni Fratelli comboniani ha costituito una pietra miliare nella storia delle missioni in Uganda.

Non era farina da far particole

Antonio era il terzogenito dei coniugi Tarcisio Biasin, ingegnere, e di Chiminello Lina, casalinga, ma proveniente da una famiglia distinta.

Fin dall'età di cinque anni, il ragazzino manifestò la sua indole da Gianburrasca. Uno zio, avvocato e scapolo, lo portò con sé in una sua villa di campagna ripromettendosi di considerarlo come un figlio.

Il ragazzino andò e si dimostrò subito propenso a imparare le parolacce e altre cose sconvenienti che i contadini della zona gli ammannivano quotidianamente.

I genitori, ottimi cristiani (il papà collaborava nella fondazione del Partito Popolare accanto al Vescovo di Vicenza, era fabbriciere della chiesa e praticante di stretta osservanza; la mamma arrivava al punto di coprire gli specchi che aveva in casa perché le figlie, future suore comboniane, specchiandosi, non facessero atti di vanità...) riportarono a casa il ragazzino.

Dopo la scuola materna ad Arzignano (Vicenza), dove il 05 giugno 1908 era nato, frequentò le elementari, parte in paese, parte all'Istituto Don Bosco di Verona. Il diploma elementare fu rilasciato dalla scuola Gregorio Segala di Verona in data 23 luglio 1919.

Fr. Biasin raccontò come un giorno, insieme ai suoi compagni dell'Istituto don Bosco, arrivò fino alla casa madre dei comboniani per visitare il museo africano. Ne rimase affascinato e fin da allora sentì nel cuore una certa simpatia per l'Africa e per la missione. Rimase anche colpito dal racconto di alcune avventure africane che un missionario dalla lunga barba bianca raccontò a quei ragazzini. Ma il ritorno in famiglia dopo gli esami attutì un po' quel sentimento.

Prigioniero in soffitta

Ogni tanto lo zio avvocato, che aveva una simpatia particolare per il ragazzino (forse perché gli assomigliava) veniva a prenderlo e lo portava nella sua villa viziandolo con bei vestiti da marinaio, dolci, giocattoli e tutto quanto un giovinetto di quell'età potesse desiderare. Il guaio è che ad Antonio, questa vita piuttosto libertina, piaceva tanto.

Per toglierlo dall'occasione, il papà lo mise in un collegio di Montecchio Maggiore, ma l'intraprendente Antonio scappava regolarmente. Allora finì in un collegio di Oderzo. A Pasqua, un telegramma del rettore comunicava alla famiglia: "Antonio fuggito".

Poco dopo il fuggiasco era a casa con i pantaloni sdruciti tenuti su da un fil di ferro. Proprio come il figliol prodigo.

Solo che il papà, invece di uccidere il vitello grasso, chiuse il manigoldo in soffitta dove, con il cibo, riceveva le lacrime della mamma. La povera donna gli faceva lunghe prediche sulla brutta fine che fanno coloro che vivono la vita come la stava impostando lui.

Il ragazzo ascoltava, si commoveva anche, ma non dava convincenti segni di emendarsi.

Un giorno il papà, tornando da Vicenza, senti la gente dire:

"Ingegnere, suo figlio vuole ammazzarsi", e tutti erano col naso in su. Guardavano Antonio che passava da un tetto all'altro delle case servendosi di una corda, proprio come i più spericolati funamboli. Questa volta il fondoschiena di Antonio assaggiò la frusta di papà.

Mozzo di nave o missionario?

Qualche tempo dopo, la mamma sorprese il ragazzino che, furtivo, stava mettendo in una bisaccia un po' di roba. "Tu stai per fuggire anche da casa, figliolo; lo vedo sai!". "Vado a fare il mozzo di mare e poi farò il cercatore di pepite d'oro sui fiumi d'America". "In soffitta, giovanotto!", intervenne il papà al rientro dal lavoro.

Durante questo periodo p. Francesconi, nativo di Arzignano e amico dell'ingegnere (i suoi familiari avevano una fabbrica di trebbie e macchine agricole) andò al paese e si recò a trovare la famiglia dell'amico. L'ingegnere in quel momento era assente. Saputa la storia del prigioniero della soffitta, chiese alla mamma di andarlo a trovare.

Rimase con lui un paio d'ore e poi disse alla signora Lina: "Sa perché suo figlio è così irrequieto?".

"No lo so proprio, reverendo; me lo dica lei". "Perché ha la vocazione missionaria. L'Africa ci vuole per un tipo così!". "Oh, che dono del Signore!", esclamò la pia donna. "Sei ingenua a pensare che Antonio sia un tipo per fare il missionario", sentenziò il marito appena fu messo al corrente della cosa, e andò dritto alla casa di p. Francesconi. Discussero animatamente e, alla fine, il papà concluse: "Io ve lo do volentieri, ma non venite poi a dirmi che fa questo, che fa quello e che ne combina di tutti i colori". "Non te lo verrò a dire", tagliò corto il missionario.

Quasi sei anni a Thiene

Entusiasta di quella nuova prospettiva di vita, Antonio, all'età di 13 anni, (1921), entrò nel seminario comboniano per Fratelli a Thiene.

Quante volte p. Francesconi fu sul punto di rimangiarsi la promessa fatta all'ingegner Tarcisio! Le canagliate di Antonio minacciavano di danneggiare la disciplina del seminario.

Saliva sugli alberi dondolandosi sulle cime più alte, con grave pericolo per la vita. Se c'era da dare qualche risposta secca allo stesso superiore, non mancava di dargliela senza tanti complimenti. Un giorno, che questi voleva insegnare ai ragazzi il gioco del calcio, Antonio gli disse:

"Che se ne intende lei di calcio!". L'altro mandò giù amaro e fece finta di niente.

Il giovinetto, però, aveva anche belle doti: nessuno lo batteva nel disegno tecnico, e quando prendeva in mano un pezzo di legno ne ricavava un capolavoro. In quel settore la lezione non doveva essere spiegata due volte, e spesso Antonio arrivava alle conclusioni prima ancora che l'insegnante gli indicasse il percorso.

Anche con i compagni era generoso, sapendosi sacrificare per i più deboli e dando una mano nei lavori più faticosi. Cominciò perfino a gustare la preghiera e gli esercizi di pietà. Un passo alla volta, naturalmente.

Novizio

"Reverendissimo padre Generale, desiderando di essere ammesso nel Noviziato, chiedo il suo consenso per esservi mandato. Da cinque anni e mezzo mi trovo in questo istituto e con la grazia del Signore sento sempre più forte il desiderio di andare finalmente in quella tanto sospirata casa da dove spero di uscire un fervente missionario.

Padre, mi risponda con una risposta favorevole, se così a lei piace, perché è un figlio che gliela chiede, con ardente desiderio di andare avanti. Antonio Biasin. 27 febbraio 1927".

Il 10 ottobre 1927 iniziò il noviziato a Venegono Superiore. Il p. maestro non mancò di sottoporlo a qualche prova per vedere se il puledro che era in Antonio sentiva la briglia.

Il novizio stava imparando a suonare l'harmonium. Un giorno il p. maestro, all'ora riservata ad Antonio, mandò un altro senza avvisare l'interessato. Quando arrivò Biasin, il primo non volle cedere il posto dicendo che così erano gli ordini. Antonio andò dal p. maestro per far valere le sue ragioni e questi gli rispose:

"Per quello che sai suonare tu, puoi anche fare a meno di andarvi".

"Se non ci vado, come faccio a imparare? E poi quella era la mia ora, e basta". Parlò con un tono tale per cui il p. maestro, alla sera, gli disse di preparare le valigie, aggiungendo:

"Abbiamo studiato il tuo carattere e abbiamo visto che non sei fatto per fare il missionario".

Antonio si fece triste e protestò che quella era la sua vocazione e che non andava via. Al mattino seguente condusse il p. maestro al cancello della casa, afferrò le sbarre di ferro con tutte e due le mani e disse:

"Io lascerò questa casa quando lei mi avrà tagliato i polsi per staccarmi dal cancello".

"Ciò che ti ho detto ieri sera è stato per metterti alla prova. Vai avanti, ma attento alla lingua!".

Tappa a Brescia

L'11 febbraio 1929 fr. Antonio Biasin emise i Voti che lo consacrarono missionario. Aveva 20 anni. I superiori lo destinarono a Brescia come falegname. Era nel pieno della sua attività quando, un giorno, passò dall'istituto Comboni p. Antonio Vignato. Parlò con Antonio, osservò come lavorava e poi gli disse:

"Tu adesso andrai da tuo padre per fare un po' di pratica di disegno e poi verrai con me in Uganda".

"Io sono figlio di obbedienza, Padre".

"Non preoccuparti, sistemerò io le cose".

Infatti Antonio trascorse qualche mese nella sua casa di Arzignano e poi partì per l'Uganda. Era il primo luglio 1930.

Il suo incarico fu quello di "addetto alle costruzioni". Ma non disdegnò neanche la caccia, anzi, dovette perfino essere richiamato dai superiori per il pericolo di "spopolare l'Africa".

56 anni d'Africa

Con due scarne date: 1930-1986 la cartella personale di fr. Antonio Biasin liquida 56 anni di vita missionaria. Noi ci auguriamo che i confratelli che hanno lavorato con lui si facciano avanti per rimpolpare questi 56 anni, che sono stati i più importanti nella vita del nostro Fratello, e che, al momento presente, sono privi di particolari.

Possiamo sottolineare un pena che pesò sulle spalle di Biasin e di altri generosi fratelli come lui: la mancanza della conoscenza della lingua inglese.

"Che umiliazione - diceva un giorno - essere in Africa e dover trattare con le autorità inglesi senza conoscere una parola della lingua di coloro che, volere o no, erano i padroni di casa! Perché i superiori non hanno pensato a questo?".

Biasin sentiva il disagio di questa situazione specialmente per uno come lui che, dovendo trattare di costruzioni, per forza aveva rapporti con gli ufficiali inglesi. Intanto passarono 7 anni di missione.

Dopo un anno a Verona come autista (1937-1938) venne inviato in Inghilterra, a Sunningdale, come falegname. Approfittava di ogni occasione per imparare qualche parola di inglese. Avrebbe anche voluto frequentare una scuola regolare, magari serale, ma il superiore di allora, la buon'anima di p. Cotta, era del parere che ai fratelli bastasse saper fare la polenta o poco più.

"Io mi alzavo di notte - raccontò un giorno fr. Biasin - e mi scrivevo una lista di nomi che, la mattina dopo, mi facevo tradurre dagli operai cercando di comprenderne la pronuncia. Il tutto veniva fatto alla chetichella, di nascosto dal superiore. Eppure p. Vignato mi aveva detto: 'Ti mando in Inghilterra a imparare l'inglese'. Fortunatamente che con l'arrivo di p. Negri, come superiore, le cose cambiarono radicalmente e si poté frequentare una vera scuola".

Dal 1938 al 1940 fu alla scuola tecnica di Gulu come insegnante. Aveva un buon metodo, ma alle volte pretendeva che gli alunni apprendessero con più velocità le cose.

Dal 1940 al 1941 finì anche lui nel campo di internamento come quasi tutti i missionari d'Uganda. La guerra tra Italia e Inghilterra li fece considerare nemici da quest'ultima.

Dal 1941 al 1943 fu alla scuola tecnica di Arua e dal 1953 al 1954 a quella di Layibi.

E qui ci furono le seconde vacanze in Italia. Le trascorse a Thiene come istruttore nell'anno scolastico 1954-1955. E dal 1955 al 1956 fece un salto in Spagna per dare una mano nelle costruzioni. Ma l'anno dopo era nuovamente in Uganda.

Il capolavoro di Antonio

Scrive p. Calvi: "Alla notizia della morte di fr. Antonio Biasin sono andato a sfogliare il mio diario e ho trovato il paragrafo intitolato: 'Il capolavoro di Antonio', cioè la cattedrale di Gulu. Il 24 dicembre 1947, p. Russo ed io eravamo arrivati a Gulu via Sudan. Era venuto a prenderci a Juba p. Urbani. Lungo il viaggio ci aveva portati a visitare Regiaf e Loa e poi, in un saliscendi continuo di colline e valli, tra paludi e praterie in fiamme e boschi fioriti eravamo arrivati a Nimule, in Uganda.

Al tramonto eravamo a Gulu. Ed era Natale. Ci attendeva fr. Amedeo Salvadori, una di quelle figure di missionario con cui certamente la casta sacerdotale deve condividere il merito dell'evangelizzazione dell'Africa.

Celebrammo il Natale tra le mura possenti di una cattedrale 'artigianale' di cui ogni mattone era stato lavorato dalle mani dei catecumeni.

L'ideatore e il capomastro era stato un altro di quei laici eccezionali per la loro bravura, che avrebbero lasciato un'impronta duratura nella storia della Chiesa locale: fr. Antonio Biasin".

A proposito di questa cattedrale, quando fr. Biasin inviò a suo padre ingegnere i disegni e i calcoli, questi non modificò né una linea, né un numero: tutto era esatto. In quell'occasione l'ormai vecchio ingegnere disse:

"Ora sono convinto che mio figlio ha davvero la vocazione missionaria". Ci volle una cattedrale per convincere il buon vecchio!

Dall'Africa, Antonio bombardò il fratello Giuseppe, allora insegnante presso la scuola apostolica di Thiene, affinché piantasse tutto e si facesse fratello missionario. Né lasciò in pace le sorelle, indicando loro la strada della missione. Insomma, quando si è pienamente contenti della propria vocazione è facile diventare efficaci animatori vocazionali.

Testimonianze

I confratelli sono concordi nel ritenere fr. Antonio Biasin un grande missionario in tutti i sensi. Ci piace riportare anche le testimonianze dei superiori sul suo conto. Cominciamo dal 1951 con la testimonianza di p. Cesana:

"Fr. Biasin Antonio è capace organizzatore e lavoratore attivo e svelto. Ed è stimato come tale dalle autorità. Ma deve ancora camminare, perché alle volte il suo fare esterno ha del secolare, con qualche tendenza ad essere indipendente. Si dà forse troppo alla caccia, ma di questo è stato avvisato. E', però, sincero, leale, corretto nel tratto con gli indigeni e con gli esterni. Ha animo molto buono ed è regolare nel compiere le sue pratiche religiose.

Di salute sta benino, ma è un po' debole per cui avrebbe bisogno di riposo".

Nel 1952 p. Urbani aggiunse: "Come lavoratore e organizzatore è ottimo; come religioso è discreto. Osserva bene i Voti e se ha da dire una parola, la dice, anche ai superiori".

Nel 1957, il giudizio di p. Romanò ci assicura che fr. Biasin ha saputo camminare nella via della perfezione religiosa:

"Ottimo, bravo, attivo, aperto e sincero. Col suo esempio è di aiuto ai confratelli anche nel cammino verso la perfezione religiosa". E p. Santi sottolineò la parola "ottimo".

Ormai per Biasin tutta l'Uganda era diventata la sua missione. Egli andava prontamente dove c'era da fare; essendo rabdomante scopriva le vene d'acqua e indicava il posto esatto dove scavare il pozzo, e quando gli ospedali presero piede, si specializzò nella manutenzione delle macchine per raggi X.

Divenne così capace in questo settore che, nel 1972, mons. Aldo Gerna lo chiamò in Brasile, nell'ospedale di Nova Venecia, allora diretto dalla secolare comboniana dott.ssa Teresa Lazzarotto, per riparare l'apparecchio radiologico.

P. Roberto Cona, che in quei giorni era ricoverato in ospedale, scrisse: "Tutti rimasero ammirati dallo spirito religioso e dallo zelo missionario di questo nostro Fratello umile, laborioso e capace, eppure altrettanto modesto e riservato. Eseguì alla perfezione il suo lavoro e poi tornò in Uganda da dove era venuto".

Voltar pagina

Nel 1986 fr. Biasin rientrò in Italia perché la salute decisamente lasciava a desiderare. Affrontò alcuni interventi, tornò in missione, ma dopo un po' dovette rientrare. Quando giunse agli 80 anni il p. generale gli scrisse:

"La vita ha le sue stagioni ed è volontà di Dio che le accettiamo. C'è la stagione dell'attività, dell'azione, della creatività che per te è durata molti anni. La tua presenza ha marcato la storia dell'evangelizzazione dell'Uganda per più di 50 anni. Ora questa stagione dell'attività ha voltato pagina e il Signore vuole che tu continui la tua presenza in missione non fisicamente, dato che la salute te lo proibisce, ma spiritualmente attraverso la preghiera e la sofferenza.

La Chiesa d'Uganda e le comunità cristiane che hai contribuito a fondare, sono ormai alberi abbastanza robusti. Tu, come 'nonno' di queste missioni, come 'padre' di tanti africani continua a sostenerli con la preghiera e con l'offerta delle tue sofferenze.

Perciò ti assegno alla provincia italiana dal 1° luglio 1988.

So che questo passaggio di appartenenza dall'Uganda all'Italia ti può recare un po' di dispiacere, però fa parte della vita del missionario accettare anche questi fatti concreti dell'età e della salute".

Il boccone fu amaro, ma il Fratello lo accettò con fede e senza recriminazioni. Avrebbe voluto mettere a riposo le sua ossa in Africa, ma sapeva che un missionario malato può essere di impedimento a coloro che hanno tanto da lavorare.

Visse i suoi ultimi anni nella preghiera, nell'offerta e cercando di rendersi utile il più possibile. Scrive p. Calvi:

"Grande uomo quando lavorava; grandissimo quando pregava. Vedendo a Verona fr. Biasin in chiesa "fuori tempo" mi edificavo e mi vergognavo. Così pure quando, dopo i pasti, lui anziano, si prodigava in cucina ad asciugare le posate... Grazie Signore per questi fratelli che ci hai dato. E' l'unica cosa che riesco a dire pensando alla sua morte".

Uno degli ultimi

Tra le sdrucite carte del Fratello abbiamo trovato una preghiera, scritta da lui, che recitava tutti i giorni e che esprime molto bene i sentimenti di questo missionario. La riportiamo:

"O Gesù, che avete voluto farvi uomo e morire sopra una croce per salvarmi... O Gesù che avete pensato di nutrirmi con lo stesso vostro Corpo e Sangue nell'Eucaristia... O Gesù che mi avete mostrato il vostro Cuore per assicurarmi della vostra ardente carità... io credo al vostro amore e ripongo in voi tutta la mia confidenza. Accetto volentieri ogni vostra disposizione. Desidero di fare la vostra volontà".

Una delle nostre collaboratrici nell'ufficio Nigrizia mi ha detto: "Se scrive qualcosa su fr. Biasin dica solo questo: amava la gente ed era riamato. Ci mancherà".

Davvero il senso di umanità che in Biasin era grandissimo, corroborato dalla grazia di Dio accumulata con una vita in continua tensione verso la santità, ha fatto un gran bene alla gente che ha avvicinato.

Si può dire che ha lavorato fino agli ultimi giorni della sua vita poi, colpito da disturbi cardiaci di origine infartuale, venne ricoverato all'ospedale di Borgo Trento. Sembrò riprendersi, invece altri attacchi ischemici che gli procurarono notevoli sofferenze, gli aprirono la porta della Casa del Padre.

A fr. Biasin si applicano a pennello le parole del Vangelo: "Vieni servo buono e fedele, entra nel gaudio del tuo Signore". Con lui scompare una delle ultime figure di anziani Fratelli che hanno esaltato la missione e la Chiesa con il loro lavoro, la loro testimonianza di vita e anche con la loro sofferenza, dato che gli interventi subiti gli avevano causato tanti fastidi.

Ci auguriamo che chi l'ha conosciuto non manchi di inviare i suoi ricordi e la sua testimonianza.     P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 186, gennaio 1995, pp. 92-99