In Pace Christi

Mariani Giulio

Mariani Giulio
Fecha de nacimiento : 21/09/1934
Lugar de nacimiento : Verano Brianza MI/I
Votos temporales : 09/09/1953
Votos perpetuos : 09/09/1959
Fecha de ordenación : 30/03/1963
Fecha de fallecimiento : 26/02/1993
Lugar de fallecimiento : Verona/I

"Carissima mamma, ti voglio tanto bene. Vorrei stare sempre con te. La vita mi è diventata insopportabile: mi pesa troppo, troppo. Non riesco a dormire e tutto mi pesa, come una montagna". A questo punto s'interrompe l'ultimo scritto di p. Giulio Mariani, perché colto dalla morte.

Queste tre righe rappresentano l'ultimo grido, stilato con grafia perfetta, che riassume e conclude in poche frasi il dramma di sofferenza che coinvolse l'esistenza, specie gli ultimi anni, di p. Mariani.

L'invocazione alla mamma, l'unica creatura che può dire una parola vera quando il dolore e la morte incombono, è rimasta sulla scrivania, a qualche passo dal corpo morto del figlio.

Qualche ora prima, su di un altro foglio, il Padre, consumato professore di filosofia, aveva descritto da par suo la propria situazione fisica e psicologica. La riportiamo:

"Il crollo è avvenuto in gennaio 1993.

1 - E' vero che sono crollato fisicamente a Kisangani, dopo aver voluto tener duro nonostante la salute che cedeva continuamente: ciò che mi sosteneva era l'ideale di costruire un filosofato valido: vivere per qualche cosa che mi dava gioia ed entusiasmo.

2 - Dopo il mio ritorno in Italia in agosto 1992, nonostante che il mio stato di salute fosse cattivo (epatite cronica che durava da dieci anni), ho lottato per guarire allo scopo di tornare in missione.

3 - In novembre mi sembrava di stare abbastanza bene e anche il medico curante mi aveva detto che sarei potuto tornare in missione.

4 - In dicembre, invece, le cose hanno cominciato a peggiorare. Ho cominciato ad avere male ai reni. Sono stato ricoverato al policlinico di Milano, e la biopsia ai reni ha rivelato che non funzionavano bene da dieci anni. Il consulto dei medici, visto il quadro generale della mia salute, mi sconsigliò ogni ritorno in Africa. E qui c'è stato il crollo.

5 - Da un lato mi sentivo fisicamente sfinito, sopportavo male le medicine contro l'ipertensione, e dall'altro mi sentivo confrontato con una situazione che non conoscevo e non potevo sopportare.

- Sono assente dall'Italia da quasi trent'anni.

- In questo tempo l'Istituto è enormemente cambiato, come pure le sue strutture.

- Il noviziato non è più come l'ho fatto io, e non lo capisco proprio.

- Non sono preparato a dare delle conferenze su materie che non conosco: vita del Comboni, storia dell'Istituto, vita comunitaria, ecc. ecc. Dovrei formare me stesso a queste realtà, prima di insegnarle".

Questa analisi, fredda come il bisturi di un chirurgo, ha bisogno di una spiegazione. Gliela dà p. Adriano Danzi che è stato compagno di missione di p. Giulio in Zaire:

"E' vero, Mariani aveva una sogno: formare un valido filosofato in Africa. Ma questo non era un capriccio suo. Questa era la risposta concreta al Piano del Comboni. Mariani voleva che i sacerdoti africani fossero ben preparati. Il carisma del Comboni, che p. Giulio possedeva in larga misura, è un dono di amore per l'Africa fino alla morte, un dono senza condizioni, un dono che diventa passione, che è ragione di ogni momento della vita". Questo sogno - dobbiamo dirlo - gli ha accorciato la vita fermandogli improvvisamente il cuore sottoposto a uno sforzo superiore alle sue reali possibilità.

Da quel simpatico vecchio cortile

Primo di quattro fratelli, Giulio Mariani è nato Verano Brianza il 21 settembre 1934 da papà Luigi e da mamma Giuseppina Colombo, ambedue operai tessili. L'abitazione si affacciava in uno di quei tipici cortili di paese, specchio della vita agricola di un tempo ormai scomparso, sempre animati dai gioiosi trilli dei bambini che giocavano e dalle voci delle mamme che richiamavano all'ordine or l'uno or l'altro.

La famiglia Mariani, come tutte quelle del caseggiato, era di solidi principi cristiani per cui, alla sera, spesso si sentivano le preghiere uscire dalle finestre aperte delle abitazioni per unirsi alle preghiere di altre famiglie, o si sentivano declamare ad alta voce le formule del catechismo di San Pio X, intercalate da qualche scappellotto sulla testa di chi protestava che "le sapeva già".

In quell'ambiente sereno, Giulio crebbe sano e buono. Quando raggiunse l'età giusta fece parte del corpo dei chierichetti e dell'oratorio. Anche se, come scrive il fratello Carlo "si mostrò sempre piuttosto timido e riservato rispetto ad altri più intraprendenti e vivaci. Il suo più grande amico era... nonno Elia con il quale si accompagnava alla chiesa e dal quale amava ascoltare i racconti e ricevere i consigli. Il nonno già vedeva in quel suo nipotino il futuro prete e, di tanto in tanto, esclamava: 'Se il Signore mi facesse campare fino alla tua ordinazione!'. Segno che fin da piccolo Giulio mostrava segni di vocazione sacerdotale".

Missionario

Già dalle elementari si notò in Giulio una particolare propensione allo studio, avvalorato da un notevole grado di intelligenza per cui i genitori, consigliati dalla maestra elementare, decisero di fargli proseguire gli studi.

Ed ecco che, dopo la quinta elementare, il ragazzino si recava tutti i giorni a Seregno (7 chilometri da Verano) dove frequentò la prima commerciale presso la Scuola Secondaria di Avviamento Professionale "G. Mercalli".

Un giorno passò dal paese un missionario che parlò con entusiasmo di Africa, di moretti da battezzare e di tante cose che affascinarono il piccolo Giulio.

Alla fine della conferenza arricchita da proiezioni, il ragazzo, superando la sua naturale timidezza, disse al missionario che gli sarebbe piaciuto diventare missionario, ma prima doveva chiedere ancora tante cose perché non gli piaceva andare avanti con la testa al buio.

P. Albertini - era lui il missionario - lo ascoltò e gli diede tutte le risposte che Giulio chiedeva e poi, insieme, andarono dal parroco e dai genitori.

Mamma Pina e nonno Elia accolsero la notizia come la risposta di Dio a uno dei loro desideri segreti più belli; papà Luigi, invece, buttò parecchia acqua sul fuoco. Forse aveva già qualche progetto su quel suo primogenito, o forse pensava che l'Africa, un giorno o l'altro, glielo avrebbe ucciso.

Ma Giulio non tornò sulle proprie idee per cui, nel mese di luglio del 1946, a 12 anni, frequentò il "mese di prova" ad Angolo e poi entrò nel seminario missionario di Crema. Il formatore scrisse di lui: "Elemento che pare dia garanzia. E' tenace ed è stato fedele alla sua vocazione nonostante molte difficoltà. Dà buon affidamento".

"Durante le vacanze - scrive il fratello Carlo - si recava nel campo ad aiutare il nonno. Ed era bravo: mite, riservato e gran lavoratore". Il parroco fa eco scrivendo: "E' di buono spirito. Di carattere buono e volitivo è presente alla messa tutti i giorni, ed è di buon esempio ai compagni. E' di aiuto in oratorio e per le pulizie della chiesa. Promette bene".

Novizio

Dopo le medie Giulio andò a Brescia per il ginnasio. P. Parodi prima e p. Calderola dopo, notarono subito la sua pietà, la sua modestia, la delicatezza con i compagni e la riservatezza in tutte le cose. Sostenne gli esami di ammissione al liceo presso l'istituto Arici di Brescia (1951) e poi partì per il noviziato di Firenze dove era maestro p. Giovanni Audisio.

Il primo impatto col nuovo ambiente fu buono: "Si è mostrato generoso fin dall'entrata in noviziato offrendosi per gli uffici più faticosi, uffici che continua a disimpegnare con vero spirito di sacrificio. Esatto e diligente anche negli altri suoi doveri, con naturalezza, spontaneità e umiltà Affabile con i compagni, alieno dal chiasso, sa passare il suo tempo di sollievo impegnato nel suo lavoro, da solo, senza rimpianti. Come carattere è energico ma senza durezze".

Dopo il primo anno venne inviato in Inghilterra. Segno che dava serie garanzie di riuscita e che i superiori si erano accorti della sua intelligenza e capacità per l'apprendimento delle lingue.

Maestro era p. Agostino Baroni. "Buona osservanza e buon esempio; buon criterio e versatilità. Senso pratico e industrioso. Intelligente. Carattere vivace e affettuoso, sereno, sincero e costante. Un po' impressionabile. La sua salute è buona, ma non deve abusare. Dovrebbe riuscire un ottimo missionario".

Con queste credenziali emise la professione a Sunningdale il 9 settembre 1953. Sempre a Sunningdale trascorse i tre anni di scolasticato collezionando una lunga serie di diplomi.

Professore

Nell'ottobre del 1956 Giulio Mariani venne inviato a Roma presso la Pontificia Università Urbaniana per specializzarsi negli studi filosofici e teologici. Infatti conseguì la laurea in filosofia e la licenza in teologia. Su sette materie ci sono cinque 30 su 30, un 29 su 30 e un 28 su 30. Non occorrono commenti. Ma a questo profitto intellettuale si accompagnava un altro profitto, quello spirituale che lo preparava al sacerdozio.

"Prega molto - scrisse p. Ghirotto, superiore - si sottomette senza difficoltà agli ordini dei superiori anche se è uno che ha le sue idee, osserva esattamente e con amore le regole ed è perfetto nell'osservanza dei Voti. Sa sacrificarsi per gli altri. A volte è malinconico, di carattere piuttosto chiuso, un po' isolato". A queste osservazioni p. Gasparini, proprio alla vigilia del sacerdozio, aggiunse: "Grande dedizione per il bene della comunità. Lodevole, in special modo, per l'assistenza che presta come infermiere. E' sempre pronto e disponibile per tutte le commissioni".

Il 30 marzo 1963 venne ordinato sacerdote dal card. Clemente Micara a Roma nell'Arcibasilica Lateranense.

Solitudine

Tra le lettere di p. Mariani ce n'è una che ha un significato tutto particolare. Si tratta della risposta alle congratulazioni di p. Longino Urbani per la "summa cum laude" conseguita nella sua laurea. Questo scritto apre una finestra sul carattere del neo laureato e di come si vedeva con i propri occhi.

"Ho ricevuto le sue 'congratulazioni vivissime'. La ringrazio tanto per il suo gentile ricordo che ha portato un po' di calore e di luce alla mia abituale solitudine". Anche nelle note del noviziato è affiorato questo aspetto della solitudine che p. Mariani si è portato dentro per tutta la vita e che gli è stato motivo di non poche sofferenze.

La lettera poi continua con un tono che mette in risalto l'alta spiritualità di Giulio. "Devo ringraziare tanto la Congregazione che è stata con me una madre benignissima permettendomi di fare tutti questi studi, ma soprattutto dandomi la possibilità di arrivare al Sacerdozio. Può darsi che in seguito io faccia peggio degli altri - quod Deus advertat - ma fin d'ora il mio desiderio è di servire la Congregazione come posso e meglio che posso, secondo la volontà di Dio manifestata attraverso i superiori.

Sono disposto a continuare ancora gli studi, però non sia fatto ciò che voglio io, ma ciò che vogliono i superiori".

Sempre con i libri

Dopo le feste al paese per l'ordinazione, p. Mariani venne dirottato a Gozzano, dove c'era il secondo noviziato d'Italia, come insegnante di filosofia. I novizi notarono subito la preparazione, la scrupolosità e la precisione nel porgere la materia in modo che ognuno fosse in grado di assorbirla. P. Mariani era tormentato dal dubbio di non essere preparato abbastanza, di non dare tutto ciò che poteva e doveva ai suoi scolari. Le sue dispense erano specchi di precisione e di ordine. La sua stessa grafia - e questo fino al momento della morte - si può dire che facesse concorrenza alla macchina da scrivere.

Ai novizi fu di esempio anche per il suo modo di condurre la vita religiosa, per la sua delicatezza nel trattare e la disponibilità nel dare spiegazioni supplementari a chi arrivava un momento dopo.

Nel 1965 fu inviato a Sunningdale, sempre come insegnante e nel giugno del 1966 partì per il Canada dove affrontò altri studi a livello universitario, facendo contemporaneamente l'assistente dei giovani e il professore a Cap Rouge dove un gruppo di congregazioni avevano un seminario collettivo. Dopo un anno Cap Rouge fu chiuso e p. Mariani passò come insegnante nel seminario di St. Jean. Quando alcuni anni dopo questo seminario divenne liceo pubblico, p. Mariani continuò ad insegnarvi fino al 1974, rinnovando il contratto ogni anno. Aveva anche acquistato la cittadinanza canadese.

In Africa

Durante la sua visita in Canada, il p. Generale propose al Padre un'esperienza in missione, sempre come insegnante di filosofia in qualche seminario del Kenya.

"Non rifiuto la possibilità di insegnare in Africa. Solo che, dopo sette anni che insegno in francese, preferirei continuare con questa lingua, anche perché i testi che possiedo sono tutti in francese".

Il p. Generale, quindici giorni dopo, gli propose il Sudan, dove avrebbe aperto il seminario filosofico. Padre Agostoni parla "della grande attività del Padre nell'iniziare un'opera, un lavoro pionieristico".

Col sorriso sulle labbra p. Mariani risponde: "Non riesco a capire dove abbia scoperto queste mie qualità". Sinceramente dobbiamo dire che p. Mariani poteva essere tutto eccetto che un pioniere. P. Sergio Contran, Provinciale, scrisse di lui: "E' timido, fa fatica a riambientarsi, ha il terrore di non sapere che cosa fare se cambia lavoro e desidera informazioni dettagliate  su quando va, dove va, cosa fa, quando incomincia, ecc. Ha, inoltre, una grande paura di disturbare, per cui la sua discrezione e delicatezza alle volte mettono in imbarazzo".

Il rettore del St. Jean testimoniò: "Ammiro p. Giulio perché ha saputo adattarsi e amare il Canada, si è donato totalmente alla causa comboniana e ha fatto moltissimo per piantare la Congregazione. Se l'Uganda acquista un ottimo missionario, il Canada piange la sua perdita. E' un uomo che sarà difficile rimpiazzare. E' stato un testimone della missione presso i giovani. Personalmente gli devo molto perché mi ha illuminato nel mio cammino vocazionale".

Quest'uomo, incerto tra il Kenya e il Sudan, finì in Uganda nel seminario di Alokolum (Gulu), dove si parlava inglese e acioli, si viveva praticamente nel bosco e si doveva fare il pioniere. Fino a quel momento, infatti, in Uganda c'era un unico seminario nazionale di filosofia nel Sud. Con l'inizio del 1973 ne venne aperto un secondo. P. Mariani lavorò fianco a fianco con p. Miotti e p. Di Francesco alle dipendenze di un rettore africano.

In Uganda la sua attività non si limitò al solo insegnamento. Nei giorni festivi e durante le vacanze andava nei villaggi a trovare la gente, a parlare, a evangelizzare. Dato il suo temperamento mite, la sua pazienza, la sua calma nel rispondere, si fece benvolere da tutti.

Nel 1978, in occasione delle sue vacanze in Italia, chiese di frequentare un corso biblico presso l'Institut Catholique di Parigi. "Dopo la mia ordinazione, nel 1966 - scrisse - non ho fatto nessun corso di aggiornamento in teologia e ne sento la necessità". Gli fu concesso e poi tornò in Uganda dove riprese il suo lavoro con maggior vigore.

C'è da dire che già in Canada doveva controllare ogni sei mesi la salute, in particolare i polmoni. In Africa gli acciacchi non sparirono, per cui dovette cominciare a riguardarsi con più attenzione.

In Zaire

Il desiderio espresso anni prima di andare in una nazione africana dove si parlava francese, trovò il suo esaudimento nel 1980.

"Sii il benvenuto nella provincia dello Zaire - gli scrisse p. Ballan. - Qui c'è bisogno di un professore di filosofia in un seminario maggiore, anzi in due: quello di Kisangani e quello di Kinshasa. E' solo questione di scelta...".

Dopo il dovuto discernimento p. Mariani fu inviato a Kisangani nel Philosophat St. Augustin, cioè nel seminario maggiore dove confluivano gli alunni di nove diocesi. Con lui insegnavano i padri Pietro Gasparotto e Manuel Fernandez. A Kisangani c'era pure una comunità comboniana che serviva la parrocchia di St. Camille, a cinque chilometri dal seminario. Ciò dava la possibilità ai professori di poter esercitare un po' di ministero sacerdotale, cosa che piaceva molto a p. Mariani e agli altri confratelli.

P. Danzi dice di lui: "L'ho conosciuto uomo dalla parola misurata, molto sensibile e attento agli altri. Non sprecava parole, forse perché nella sua vita ne ha dovute dire tante, tantissime. Sempre più di trenta ore di insegnamento settimanale.

L'esperienza della scuola di filosofia in preparazione della teologia gli ha fatto maturare l'idea di un filosofato per i postulanti comboniani africani. Li voleva formati bene, non voleva confratelli non preparati perché aveva un grande concetto della nostra vocazione sacerdotale e missionaria, anche questo per quell'amore all'Africa che lo ha sempre caratterizzato.

La formazione intellettuale, filosofica e teologica degli africani è stata la ragione di essere della sua vita. E lo faceva da prete, da missionario, con una cura meticolosa.

Alla domenica andava a celebrare la messa in una cappella della brousse in bicicletta. Quando tornava a casa c'era un convento di suore che aspettava la sua omelia scritta minuziosamente per farne oggetto di meditazione.

Sfogliando i corsi di esercizi che ha lasciato sul tavolo, ho ripensato a quando, qualche anno fa, era andato a darli alla comunità dello scolasticato Fratelli di Kinshasa. Preparava tutto con estrema diligenza. La parola per lui era sacra, doveva dire qualcosa che valeva, che era Qualcuno".

Persecuzione e percosse

"Con gli studenti era esigente - prosegue p. Danzi - ma lo era di più con se stesso. Non insegnava solo con la parola, ma ciò che diceva era sudato, sofferto, vissuto. Era coerente fino a spaccarsi, coerente anche a costo di farsi rifiutare, coerente anche a costo di essere percosso.

Quello che insegnava agli studenti nelle lezioni di filosofia politica dello Zaire lo portò a scendere in piazza, per le strade, con la gente che reclamava giustizia e democrazia. Così, ben due volte fu picchiato dai soldati e fu picchiato più degli altri perché era un bianco in mezzo ai neri. Egli non cercò di fuggire o di giustificarsi: era solidale con il suo popolo, specie quando c'era da pagare di persona.

La sofferenza del cuore

Le botte da parte dei soldati fanno male, ma sono sopportabili. La sofferenza, invece, che viene da chi condivide la mensa, è più amara. Dal 1990 al 1992 la vita a Kisangani si complicò parecchio. P. Mariani si occupava del filosofato intercongregazionale fin dalla sua fondazione, otto anni prima. Si era dato anima e corpo a quest'opera convinto di rendere un valido servizio ai vari istituti religiosi. Era anche incaricato della direzione del filosofato, ma doveva occuparsi anche della biblioteca e di tante altre iniziative. Siccome i giovani che frequentavano la scuola dipendevano anche da altri formatori, tra questi sorse qualche diversità di punti di vista. "Sarebbe bello - scrisse - che si sentisse la necessità di discutere a livello comunitario il sistema di formazione per i giovani del postulato, l'ammissione dei nuovi candidati sia al postulato che al noviziato. Mi sembra troppo riduttivo insegnare, correggere i compiti, interrogare, dare il voto. Mi pare che potrei dare qualcosa di più. E ciò non sarebbe una indebita intrusione nel campo altrui".

Nel 1992 gli avvenimenti politici dello Zaire obbligarono alla chiusura del filosofato. Gli studenti degli istituti religiosi furono inviati nel seminario diocesano affrontando un sistema pedagogico molto diverso (che aveva obbligato, anni prima, a staccarsi dal seminario). La malaria e l'epatite, intanto, si accanivano contro p. Mariani. Il suo carattere piuttosto solitario e le incomprensioni nel sistema educativo contribuirono ad isolarlo dagli altri per cui la sofferenza causata dal male era anche più acuta. Tuttavia p. Mariani scrisse: "Ciò che conta è preparare bene i futuri sacerdoti per la Chiesa dello Zaire, per cui io sono disposto ad andare avanti nel mio non facile servizio".

Di nuovo in Uganda?

Proprio in quei mesi c'era urgente bisogno di un professore di filosofia nel seminario di Jinja, in Uganda. I superiori pensarono di inviarlo là. Con la solita disponibilità p. Mariani si accinse a preparare i bagagli per la partenza anche se era molto attaccato allo Zaire.

Il 24 luglio 1992 lasciò Kinshasa e rientrò in Italia per un po' di cure prima di affrontare il nuovo campo di lavoro. Il p. Provinciale dello Zaire, p. Giorgio Aldegheri, che stimava il Padre, scrisse: "Spero che possa rientrare in Zaire verso la fine di settembre per continuare il suo servizio missionario".

Nella visita di controllo all'ospedale di Negrar (Verona), i sanitari trovarono che la situazione sanitaria era più grave di quanto si pensasse. Epatite virale trascurata, o non sufficientemente curata, reni molto sofferenti, attacchi persistenti di malaria ...

"Mi hanno detto che per il momento non posso tornare in Africa. Andrò in famiglia per qualche settimana facendo le cure prescrittemi e poi spero di poter partire. Se la cura si prolunga vorrei frequentare il corso di aggiornamento perché, dopo tanti anni di missione, ho bisogno di rifarmi anche spiritualmente".

La permanenza in famiglia si protrasse per più di quattro mesi. P. Mariani si fece vedere dal medico del paese che lo aveva curato altre volte e poi dai medici del Policlinico di Milano.

"Dopo il consulto medico - scrive in data 26 gennaio 1993 - ho avuto la risposta che non mi aspettavo: il fegato e i reni sono definitivamente compromessi. Questa risposta mi ha sconvolto. Non riesco ad accettare di non poter più tornare in Africa... Ho il morale a terra e il futuro mi è diventato improvvisamente buio. In questi mesi ho dato un aiuto al mio parroco che è pure malato. Ma ormai sento il bisogno di entrare in una nostra comunità perché è la Congregazione la mia famiglia. Ma non voglio stare in una casa senza far nulla. Dalla mia ordinazione non ho fatto che insegnare filosofia. Cosa potrei fare d'altro al di fuori di un po' di ministero? Tuttavia, visto che i medici non sono infallibili, spero ancora di potermi rimettere".

Con questa prospettiva s'interessava dell'inizio dell'anno scolastico a Kisangani e dell'impostazione dell'anno scolastico. Il progetto Uganda era definitivamente tramontato.

Uno sprazzo di gioia

Ormai p. Mariani si trovava nel reparto infermeria di Casa Madre. Stava male, ma la speranza di tornare in missione lo sosteneva e gli dava coraggio.

La sera del 20 febbraio 1993 p. Mariani volle essere presente ad Arcole, Verona, all'ordinazione sacerdotale del confratello p. Vincenzo Todesco. Il viaggio e la cerimonia piuttosto lunga costituì per lui una fatica notevole. Al ritorno era distrutto.

"Mi ha fatto bene questa ordinazione, anche se mi ha affaticato", disse al ritorno. Poi fu preso come da uno strano torpore al confine tra il sonno e lo svenimento. Di tanto in tanto diceva: "Manca molto all'arrivo?". Finalmente si giunse a casa.

Al mattino, incontrando un confratello, suo coetaneo, che stava per recarsi a Limone, gli disse: "Dimmi cosa posso fare. Non ne posso più, proprio non ce la faccio più". Il confratello s'intrattenne con lui un po' di tempo e, alla fine, gli disse: "Pregherò mons. Comboni perché ti aiuti, ti dia forza e coraggio. Sai, quel coraggio che lui ha suggerito ai suoi prima di morire".

P. Mariani ringraziò commosso.

Mistero di sofferenza

Dato il carattere piuttosto chiuso ed estremamente sensibile di p. Giulio, tutta la sua vita fu soffusa dalla sofferenza. Alla fine questo aspetto si accentuò. I dottori gli avevano detto che tra qualche anno avrebbe dovuto sottoporsi a dialisi. Ciò avrebbe definitivamente ucciso in lui la possibilità di tornare in Africa, quell'Africa per la quale ormai viveva. Perdendo l'Africa, gli pareva di perdere tutto, di sentirsi svuotato.

La sua fede era diventata passione per l'Africa e gli africani, fino alla morte.

P. Venanzio Milani, nuovo p. Provinciale dei Comboniani d'Italia, certamente nel tentativo di dare un po' di speranza a un confratello così depresso, gli scrisse una lettera nella quale diceva: "Ho già parlato con il p. Generale e ti posso assicurare che ci sono diverse possibilità per il tuo servizio di insegnante in Africa, con la possibilità di curare la tua salute. Coraggio, ti ricordo sempre con amicizia e stima".

Si erano trovati insieme in Zaire e si capivano. Ma ormai p. Giulio era consumato e il male aveva preso il sopravvento sulla sua volontà. Certamente sentiva prossima la fine per cui, venerdì mattina, volle andarsi a confessare. Poi passò la mattinata camminando lentamente lungo il corridoio tenendo stretta nelle mani la corona del rosario... "Prega per noi adesso e nell'ora della nostra morte", diceva. Per quanta acqua bevesse, la sete lo bruciava. Nel pomeriggio tentò di coricarsi, ma non trovava quiete. Allora si alzò, si sedette al tavolo e pensò alla mamma. Le scrisse un pensiero che era invocazione d'aiuto, quasi come il grido di Cristo al Padre sulla croce, e poi il suo cuore, oppresso da tanta sofferenza, cessò di battere.

Dopo i funerali in Casa Madre, la salma fu traslata al suo paese natale.

Testimonianze

Il gruppo missionario di Verano Brianza scrisse sul manifesto murale: "Padre Giulio ha scelto Cristo; Cristo l'ha voluto presto al suo fianco. La sua vita è stata come un diario, una vita di gioie e soddisfazioni, di scoraggiamento e solitudine, di lavoro e di disagi.

Dimenticarlo sarebbe un danno per noi e per la nostra fede, significherebbe che ci siamo chiusi nel nostro piccolo mondo, nei nostri piccoli problemi, che abbiamo rifiutato la fraternità con tutti i popoli della terra.

Nelle terre lontane Giulio era segno della nostra comunità viva, fervente seguace di Cristo".

Dall'Africa arrivarono meravigliose testimonianze che mettono in risalto la semplicità, la dedizione, la capacità, l'amore agli africani, la modestia, la metodicità, la chiarezza nell'insegnamento, l'attenzione alle singole persone, specie a quelle che non afferravano subito i sillogismi filosofici, di p. Mariani. "La sua non era una scuola per diplomati, ma di pensiero cristiano, di uomini competenti e capaci di avere idee chiare e sicure, capaci di fare una sana critica, di prendere le loro responsabilità nella vita...".

"E' stato un uomo che in trent'anni di insegnamento non ha mai fatto una vacanza, perché le vacanze erano trascorse nelle biblioteche alla ricerca di nuovi testi, o in studi severi per approfondire la sua cultura. Come Edith Stein poteva dire: 'La ricerca della verità è stata la mia sola preghiera'. P. Mariani è stato un vero filosofo, non nel senso corrente e un po' ironico di chi vive tra le nuvole o che riduce il mondo alla misura di se stesso, ma un amico della saggezza e della verità, capace di interrogarsi continuamente e di aprirsi all'Infinito. Ormai la Verità, la Bontà, la Bellezza sono sua eredità per l'eternità".

Qualche altro mette in risalto la capacità del Padre di dimenticare se stesso e la sua malattia per dedicarsi agli altri. Per la sua malattia, ogni nuovo giorno era un passo verso la morte.

"Quando abbiamo festeggiato i suoi 57 anni, egli ci ha detto che stava preparandosi all'incontro con Dio che sentiva vicino".

La Congregazione, oltre ad un missionario estremamente preparato per realizzare il Piano del Comboni "Salvare l'Africa con l'Africa", ha perso un confratello buono, mite, semplice, che con la sua vita intessuta di sofferenze ci insegna come la croce faccia parte integrante della vita missionaria.       P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 180, ottobre 1993, pp.62-70