In Pace Christi

Pasina Umberto

Pasina Umberto
Fecha de nacimiento : 20/09/1912
Lugar de nacimiento : Talamona CO/I
Votos temporales : 07/10/1931
Votos perpetuos : 07/10/1936
Fecha de ordenación : 27/03/1937
Fecha de fallecimiento : 25/01/1992
Lugar de fallecimiento : Lima/PE

"P. Umberto era una persona che, nonostante gli anni, dimostrava una gioventù perenne: nell'aspetto esterno, cordialità, allegria, scherzi, e con una preoccupazione costante per la vita della nazione e della Chiesa. Una preoccupazione accompagnata da proposte di soluzione ai problemi. Nel momento della sofferenza manifestò la sua statura di persona, di cristiano e di sacerdote, con una grande ricchezza spirituale. Inoltre abbiamo tutti ben presente il suo amore ai poveri e il bene che i poveri gli volevano. Questo funerale ne è una impressionante manifestazione". Sono parole di Mons. Alberto Brazzini, vescovo ausiliare di Lima, durante la messa esequiale per P. Umberto Battista Pasina, il lunedì 27 gennaio 1992.

La "fuga" dal seminario

Era nato a Talamona (Sondrio) in Valtellina, ricca di tradizioni cristiane e di vocazioni. Figlio di Giocondo e di Maria Gusmeroli, aveva quattro sorelle. Da ragazzo entrò nel seminario diocesano e a 14 anni cominciò a sentire il richiamo dell'Africa, quando un missionario del Sudan passò per di lì chiedendo rinforzi. Umberto ci pensò seriamente; più tardi fece un ritiro presso un santuario mariano e decise. Aveva 17 anni e finiva la quinta ginnasio quando il suo zelante arciprete, don Giuseppe Cusini, lo presentò ai superiori di Verona, in data 9 settembre 1929, perché fosse "ammesso al noviziato come aspirante alle Missioni Africane. Detto giovinotto ha fatto il ginnasio nel seminario vescovile di San Abbondio in Como, ma mi pare che agli esami finali sia caduto in francese e in latino, ma non rammento se a voce o in iscritto. II figlio è buono, pio e di costituzione sanissima, e certamente presenta segni buoni di una vocazione alle missioni". II rettore del seminario di Como coincide nel giudizio: "E' un buon figliuolo di integri costumi, umile docile e pio. E' alquanto limitato di intelligenza; però ritengo che nel raccoglimento della vita religiosa sia per dare maggiore risultato, sufficiente per la cultura necessaria missionaria". Il 23 settembre del '29 il Pasina entrò nel noviziato di Venegono Superiore. Ma tentò di interporsi il vescovo di Como, Adolfo Luigi Pagani, il quale voleva dare una anno di prova al buon Umberto. Intervenne però il suo arciprete per spiegare al vescovo il cammino di quella vocazione e per tranquillizzare il giovane, a base di canoni del nuovo C.I. e., sul suo diritto ad entrare in una congregazione anche senza il permesso del vescovo, non essendo ancora ordinato "in sacris".Il vescovo scrisse anche al Padre Maestro per spiegare la sua posizione, e "disapprovando la condotta dello studente Pasina", che non fece caso dell'ordine di attendere un anno e "se ne partì tranquillamente" ; ma conclude la lettera mandando la sua "benedizione all'Umberto facendo voti che in piena luce serva il Signore in spirito di sacrificio". Una risposta fine e chiara di P. Bombieri al vescovo chiuse l'incidente. Umberto fece i suoi due esami pendenti, iniziò il noviziato e continuò senza intoppi la sua formazione. Emise la prima professione il 7 ottobre1931 e i voti perpetui a Verona nel '36. Fu ordinato sacerdote il 27marzo 1937 da Mons. Girolamo Cardinale, vescovo di Verona, città dove concluse l'ultimo anno di teologia. Dopo una breve vacanza in famiglia per la prima Messa, e un mese e mezzo(luglio-agosto) a Riccione per aiutare nella parrocchia dei Comboniani come suonatore d'harmonium durante le cerimonie liturgiche, partì assieme a tre confratelli dal porto di Brindisi il15 agosto per l'Africa. Destinazione: Sudan-Bahr el Ghazal.

Il ventennio africano

In una pagina di ricordi P. Pasina stesso ci fa la descrizione del suo primo incontro con l'Africa: "Arrivati a Khartoum, ci imbarcammo sul battello in camerini di prima classe, dato che il Card. Hinsley aveva protestato per il tipo di classe dove viaggiavano i missionari, che era la bassa, assieme al popolo comune. Il difficile fu quando, dopo il lago No, il capitano si perdette e non sapeva quale canale imboccare, cosicché, senza saperlo, arrivammo fino a Meshra. Dovemmo tornare indietro ancora fino al lago No e cercare il Bahr el Gazal che ci portasse a Wau. Finalmente lo trovò grazie a un arabo, che seppe guidare il battello. D'altronde non era cosa facile, trattandosi di paludi senza confine, piene di papirus. Solo un albero ci accompagnava a distanza, e sempre ci sembrava di tornare allo stesso punto. Arrivammo prima a Gogrial, dove ci accolse P. Arturo Nebel con un camioncino Ford, di eroica data; e ci portò a Kuajok. Lì passammo la notte. Io, ingordo e allo stesso tempo felice di trovarmi coi piedi in terra ferma, feci festa e mi mangiai una goaiava con semi e tutto. Passai male la notte con il ventre in rivoluzione. Venne il mattino e nella chiesetta, su un altarino malsicuro, celebrai la prima Messa in terra di missione. La chiesetta era a tre navate, dato che i puntelli che sostenevano il tetto formavano tre corsie. Il giorno seguente, con lo stesso camioncino, arrivammo a Wau (il 1° ottobre), accolti da Mons. Orler e dai confratelli che ci fecero grande festa con un pranzetto di pastasciutta. Cominciai a far conoscenza con confratelli nuovi, gente con molti anni di lavoro in missione: il vescovo Orler, P. Benetti Pacifico, Fr. Gatti, P. Violini, Fr. Ferracin ... e aspettavo di vedere il Provinciale, P. Gaetano Briani, dal quale sarebbe dipesa la mia prima destinazione". Dopo qualche giorno P. Briani se lo portò con sé come coadiutore a Mbili, fra i Giur, dove P. Pasina rimase fino a marzo del '46. Fr. Giovanni Criste1e trascorse più di tre anni a Mbili assieme a P. Pasina durante la guerra. Lo ricorda come un "gran lavoratore, con una passione per i cristiani, molta carità, zelo e una fracca di pazienza. Ci teneva molto ai catechisti: li radunava per ritiri e corsi di formazione. Si interessava molto dei catecumeni e dei cristiani che avevano la moglie ancora pagana e lavorava perché anch'esse si facessero cristiane. Quando battezzava fuori nei villaggi, invitava anche il capotribù alla festa. Ma un giorno un capo rifiutò l'invito, 'perché - diceva – voi cristiani avete un brutto sistema: una moglie sola ... Forse prima di morire... vedremo'. P. Pasina le provava tutte per fare un po’ di bene", conclude Fr. Cristele. Finalmente, dopo nove anni d'Africa, la prima vacanza in Italia e un anno a Londra per il 'colonial course'. Tornato in Sudan, lavorò per 11 anni a Kuajok, fra i Denka, come superiore, parroco e direttore della scuola tecnica. Imparò bene la lingua, che utilizzava anche per traduzioni di testi sacri. Questo periodo missionario lo segnò profondamente: del suo lavoro fra i Denka parlava spesso e con ardore. Dai rapporti dei superiori provinciali di quegli almi emerge un giudizio globale altamente positivo nei riguardi della gestione di P. Pasina a Kuajok, sottolineando in particolare il suo zelo apostolico, l'osservanza religiosa, l'interesse e fiducia nei confratelli; un po’ meno, invece, le sue capacità amministrative. Umberto era un uomo schietto e a volte impulsivo nel dire la sua opinione. Mi raccontava che "negli anni '50 il vescovo Mason era fortemente impegnato nella costruzione della cattedrale di Wau e verso questo obiettivo convogliava gli aiuti che ricevevano i singoli missionari. Durante una riunione dei padri con il vescovo, mi alzai a dirgli che per il solo fatto di avere lo zucchetto rosso non poteva fare da carta assorbente sui nostri conti. Mons. Mason, che era un galantuomo, incassò il colpo, sciolse la seduta. Andai a chiedergli scusa e si ristabilirono subito le buone relazioni". Nelle persone dal cuore grande non c'è posto per i rancori. Di scatti simili ne avrà anche altri nella sua vita: erano parte del suo carattere franco e impaziente, ma generoso. In mezzo a quelle paludi dei Denka, la salute del padre ne risentì, con problemi intestinali di origine amebica, di cui portò le conseguenze per il resto dei suoi anni. "Fortunatamente, -mi raccontò più tardi - i confratelli del Bahr el Ghazal mi mandarono come delegato al Capitolo del '59; così ebbi modo di iniziare delle cure in Italia. Il governo del Sudan non dava più permessi di entrata a nuovi missionari e non permetteva il ritorno a chi partiva. Date le mie condizioni di salute e per non privare la missione di un altro missionario, pensai di chiedere ai confratelli di mandarmi al Capitolo. Mi costò molto concludere così oltre 20 anni di missione africana".

Superiore a Corella (Spagna)

Dopo il Capitolo e un breve periodo a Rebbio, il "Briandit", come lui chiamava, secondo lo stile Denka, il nuovo generale P. Briani, lo inviò in Spagna come superiore del seminario di Corella, dove rimase dal '60 al '64.Così, a 48 anni, P. Umberto entrava, con una certa difficoltà, in una nuova lingua e in una nuova cultura, che lo avrebbero accompagnato fino alla morte. Ma l'Africa ce l'aveva nel cuore e sapeva comunicarne la passione ai seminaristi e alla gente. Giungeva a Corella in un momento delicato per definire la nostra presenza in Spagna, che alcuni (tanto sul posto come a Verona), vedevano legata allo sviluppo del Collegio-seminario di Corella, mentre altri, capeggiati da P. Enrico Farè,  puntavano sull'animazione missionaria a livello nazionale attraverso la rivista Mundo Negro e le visite ai seminari diocesani. P. Pasina non intervenne direttamente in questo problema, cercando di capire la nuova situazione in cui si trovava e di creare un clima di buoni rapporti all'interno della comunità locale. E ci riuscì. Fu proprio a Corella che io ebbi la fortuna, direi anzi la grazia, di conoscerlo. Vi arrivai, pretino novello, nel settembre del '61 con l'incarico assegnatomi dal P. Generale di far scuola di francese nel seminario-collegio. Pasina fu per mc veramente un padre e un consigliere saggio. "Quelli sono i progetti di Verona", mi disse. "Nel primo anno di Messa bisogna imparare a indossare bene la pianeta, rilassarsi dopo gli anni di studio. Quindi adesso impara lo spagnolo con i ragazzi e l'anno prossimo vedremo". Mi insegnò subito a guidare l'auto, gli feci passare anche qualche brivido. Lo accompagnavo nelle giornate missionarie in Navarra, a Bilbao, Logroiio, Santander ... E mi confidava tante vicende della sua vita missionaria. Potei così apprezzare il suo grande amore alla Chiesa, a Comboni, all'Istituto, ai confratelli, alla gente. Discutevamo spesso, tanto in Spagna come negli ultimi anni a Lima, su temi di teologia, avvenimenti della Chiesa e del mondo, problemi sui quali si manteneva aggiornato con assidue letture di libri c riviste.

Superiore regionale in Ecuador

Nel luglio del 1964 fu nominato superiore dei Comboniani di Esmeraldas, dove arrivò in ottobre, ben accolto dal vescovo Barbisotti e dai confratelli. Oltre al suo servizio lavorava volentieri nella pastorale, soprattutto a Las Palmas e, dopo il suo mandato come superiore, a San José Obrero dal 1970 al '73, con particolare cura dei catechisti. In questa parrocchia di 30.000 neri poveri, "mi sento davvero realizzato e felice del lavoro pienamente missionario, con i movimenti apostolici secolari. Ho anche in ballo la costruzione della chiesa parrocchiale e di due cappelle nelle zone fuori città, ed anche la collaborazione con opere popolari civili". Così scriveva al P. Generale nell'aprile del '73."Ho conosciuto P. Pasina nel Capitolo del '69", scrive Mons. E. Bartolucci. "Subito facemmo amicizia. Un'amicizia che poi io dovetti pagare cara, perché ho sempre avuto il sospetto fondato che sia stato lui a suggerire ai confratelli di porre il mio nome nella terna per la successione di Mons. Barbisotti. Quando arrivai a Esmcraldas 1'8 settembre 1973 P. Pasina era qui ad aspettarmi. Ricordo che allora mise a soqquadro tu la sua parrocchia di San José Obrero per accogliermi con il massimo scalpore possibile. Egli trascorse una decina d'anni qui in Esmeraldas. Noi lo ricordiamo con gratitudine e gli chiediamo di continuare a 'disintossicarci' con il suo ricordo e la sua intercessione ogni volta che la malizia dei tempi, i disagi del clima, i contrattempi della vita tentassero di rattristarci. Poche settimane dopo il mio arrivo, P. Pasina lasciava Esmeraldas. In Perù, dove era iniziato il processo di mutuo avvicinamento tra i comboniani FSCJ e i comboniani MFSC, cercavano un confratello capace di dialogo e comunione. Non avrebbero potuto trovarne uno migliore". Infatti P. Agostoni, in aprile del '73 ,chiedeva a P. Umberto di accettare una nuova responsabilità: "essere rappresentante del Padre Generale nel Perù, che abbiamo deciso di distaccare da Esmeraldas ... Sono sicuro che lei farà questo sacrificio per il bene dei confratelli, della Congregazione e della Chiesa". Risponde subito alla "inaspettata e indesiderata" lettera del P. Agostoni, e, "sempre con rispetto", gli manifesta perché non desidera affatto mettersi "ancora in lavori di ufficialità": ha sessanta anni colla corrispondente salute; ha un grosso lavoro in parrocchia; funge da delegato del Pro-Vicario apostolico ed è vicario della pastorale nel Vicaria to. Ma conclude: "So bene che tutto questo non basta perché abbia il diritto di pensare a me stesso, dato che lei termina la sua con parole troppo gravi. Per cui, se lei dice che è sicuro che farò questo sacrificio, faccia di me quanto crede". E venne la conferma di P. Agostoni: "Pcnso che, nonostante la sua età, possa fare il lavoro per il quale lo chiamiamo a Lima, anzi è proprio per la sua età di uomo, per la sua esperienza e saggezza che la desideriamo con il gruppo di Padri giovani nel Perù... Le assicuro che anche a Lima, nella nostra parrocchia troverà un ambiente di poveri, e senz'altro sarà aperto anche a lei il lavoro missionario e pastorale ... So che le chiedo un sacrificio, ma sarà molto contento. Le posso dire già in anticipo che i confratelli sono contentissimi di averla con loro".

Il ventennio in Perù

Il 21 settembre 1973 P. Pasina iniziò il suo servizio peruviano, con sede per quasi 20 anni nella parrocchia dei "Dodici Apostoli" a Chorrillos, nella periferia sud di Lima. Tutte le previsioni di P. Agostoni si avverarono: l'utilità dei suoi saggi consigli, un ampio lavoro pastorale c la piena accettazione dei confratelli, sia del ramo 'italiano' che 'tedesco'. Credeva e lavorò per la 'riunione', culminata nel Capitolo del '79, favorendo tutte le iniziative che portassero ad una mutua conoscenza, attraverso incontri di studio, ritiri, inviti a pranzo, passeggiate. Nel libro-memoria dei 50 anni dei Comboniani in Perù scrive: "Personalmente, devo ringraziare il Signore che mi ha permesso di vedere con i miei occhi questo meraviglioso cammino verso l'unità. Ricordo molto bene gli stati d'animo, a volte tesi, che si diluivano a poco a poco grazie alla reciproca comprensione. Fu una vera opera dello Spirito Santo che faceva cadere le divergenze, per far emergere sempre più le convergenze che, come missionari, portiamo dentro noi stessi. Oggi la nostra provincia peruviana è cresciuta molto 'di merito e di numero'. Benedetto il Signore!" . P. Umberto era il punto di riferimento per tanti confratelli (consigli, confessioni ... ) e per tanti problemi nella vita provinciale, anche dopo aver lasciato ogni incarico ufficiale .Immancabile alle assemblee, ritiri, esercizi spirituali, incontri sia diocesani che comboniani, sapeva stare con tutti. "Oltre alle attività parrocchiali, sempre a servizio degli altri, specialmente degli ammalati, - afferma P. Mario Mazzoni - trovava il tempo per leggere molto ed era aggiornato su tutti gli avvenimenti attuali. Amava tanto la Chiesa e si rattristava ogni volta che la vedeva compromessa con il potere politico o lontana dai poveri e dall'ideale evangelico. Così pure si rallegrava per il bene. Lo ricordo con il suo sguardo semplice, pieno di quel senso umano che era la sua caratteristica, perché aveva un profondo concetto di Dio Padre misericordioso. Fumava beatamente il suo sigaro toscano, che gli amici in arrivo dall'Italia non gli facevamo mancare. La sua amicizia, arricchita dalla stima che aveva di ognuno, favoriva un dialogo sincero e faceto. Rideva con piacere delle barzellette. Gli piaceva fare qualche giretto e godeva delle bellezze del creato. La missione era il suo grande amore. Il passo da bersagliere è stato il suo ritmo fino all'ultimo. Considero una grazia di Dio aver passato al suo fianco sette anni a Chorrillos". Si muoveva molto e a piedi nel territorio della parrocchia, sia nella matrice che nelle succursali in piena periferia. Lavorò in varie cappelle: Armatambo, Marcavilca, S. Juan Bautista, Sagrado Corazón, Huertos de Villa, ecc. "Passava anche ore a conversare con una persona, e mai di sciocchezze- scrive P. Gianni Pacher -. E 'incredibile come lavorava : formazione dei catechisti, riunioni con gruppi di preghiera, ritiri, Messe nelle varie cappelle e soprattutto confessava. Le confessioni erano la sua passione e la gente andava volentieri da lui, sia per i suoi saggi consigli che per la sua bontà e comprensione. Aveva una mentalità giovane e aperta. Aveva una gran fiducia in noi giovani e più di una volta l'ho sentito dire: "Adesso tocca a voi, il nostro futuro è nelle vostre mani". E spesso ci metteva in guardia dal cadere nel paternalismo o nell'assistenzialismo. 'Questi - diceva- sono errori che abbiamo commesso noi in Africa anni fa e che voi non dovete ripetere' . In una cappella dove ha lavorato negli ultimi anni aveva organizzato un refettorio popolare per 200 bambini al giorno, più un centro sociale per le riunioni della comunità. E tutto con pazienza, esigendo che fosse la gente stessa a responsabilizzarsi dei lavori e dell'organizzazione. Lui si limitava a stimolare; economicamente non aiutava più dello stretto necessario. Aveva anche i suoi difetti: aveva scatti di impazienza, si innervosiva quando doveva aspettare. Forse erano residui di carattere autoritario, che per altro era ben riuscito a dominare" .

L’ora della prova: il tumore

A 74 anni esplose il male che lo avrebbe portato alla morte. "Alla fine di aprile dcll'86 – ricorda P. Mazzoni - siamo all'ospedale di Sondrio. Il primario mi chiama nel suo ufficio e mi dice che P. Umberto ha un tumore maligno alla gola e deve essere operato immediatamente. Lui mi aspettava fuori. Gli bastò guardarmi per capire tutto. Mi disse: 'Mario, abbiamo predicato tutta la vitala risurrezione, ed ora che tocca a me devo lamentarmi? Viva il Signore!'. Nella vita di P. Pasina il capitolo più importante è certamente quello della sua fede". Condivido pienamente questa affermazione. Ci ha contagiati un po’ tutti con la sua fede durante tutta la sua vita, soprattutto negli ultimi anni del dolore. Lo vidi sempre sereno quando andai a trovarlo più volte, durante le mie vacanze, all'ospedale di Borgo Roma, a Verona, nei giorni dell'operazione e poi in Casa Madre. Perse le corde vocali, rimase muto per sempre; ma si sforzava con tenacia di articolare dei suoni o metteva i suoi messaggi per iscritto. Poi cominciò a seguire un corso per supplire le articolazioni vocali. La tracheotomia e un piccolo apparecchio a pile appoggiato alla gola gli permisero una comunicazione con vibrazioni metalliche. Gli costò certamente adattarsi alla nuova realtà, ma non lo dimostrava. "Sono nella mani del Padre e mi sento in pace" diceva. L'importante per lui adesso era poter comunicare, farsi capire, e così poter tornare in missione per continuare ad annunciare: "partire, camminare ancora, come ci ha ordinato il Signore", scriveva in quel tempo a P. Pierli. Rimase in Italia, fra Verona e Rebbio, per due anni, durante i quali ci fu uno scambio di corrispondenza spirituale con il Padre Generale. "Con quella immagine del Cuore di Gesù trafitto, sempre davanti agli occhi, che lci mi mandò, con senso profondo di fede e di amore, ha colpito nel centro del mio cuore, insegnandomi la cosa migliore, insuperabile per me in questi momenti. Mi pare di vivere, en vivo y en directo, qualche cosa del sacrificio di Gesù che ho la grazia di celebrare nella Messa. Francamente, ebbi momenti in cui pensai giunta l'ora di andare al Padre ... E poi eccomi qui a Verona, trattato dai confratelli proprio nel modo migliore". Ne1l'87, in occasione del 50° di sacerdozio, P. Pierli si congratula per il bene operato e lo incoraggia: "Ora tu stai portando una croce pesante, perché non puoi parlare. Offrila e offriamola tutti assieme sull'altare in questo50° anniversario. Anche se manca la voce, parla il tuo esempio, la tua serenità, la tua accettazione". La risposta di P. Umberto si mantiene sul tema del "Buon Pastore dal Cuore trafitto, davanti al quale la mia crocetta è ben poca cosa". Tornare in Perù era il suo sogno. Ma realisticamente si domandava se la sua presenza sarebbe stata ancora utile con quel grosso problema della voce. In provincia eravamo convinti che la sola sua presenza era per noi e per la gente una forte testimonianza missionaria. Io, e certamente anche altri, glielo abbiamo scritto e detto più volte di tornare. E più volte me ne ringraziò. Il fatto del suo ritorno ci ha fatto capire che, anche a 76 anni e senza voce, un missionario non può andare in pensione, perché c'è sempre tanto da fare e tanta gente da amare. Tornò con P. Mazzoni alla fine di maggio dell'88. Quella domenica sera nella parrocchia di Chorrillos, la gente non finiva più di applaudirlo quando entrò per la Messa. Durante la predica, con il suo apparecchio (il "baracchino", come lo chiamava lui) e la voce metallica a recto tono, fu interrotto da un lungo applauso quando disse che ritornava perché voleva loro bene. E di bene ne fece ancora tanto. La gente si abituò subito a quella voce robotica. P. Umberto riprese la sua attività con le confessioni, le Messe nelle cappelle, visite ai malati, opere sociali, conversazioni con la gente, partecipazione piena alla vita della comunità e della provincia. Tutto come prima, quasi .Un anno dopo, un altro grave incidente per la sua salute. La sera del 13maggio dell'89, andò a celebrare la Messa nella cappella di Marcavilca. Ad un tratto mancò la luce in tutta la città di Lima a causa di un ennesimo attentato - blackout dei terroristi di Sendero Luminoso. Nella chiesina, piena di gente, era buio e un uomo stava cercando di accendere la sua lampada a petrolio. Gli scoppiò la pompa della lampada e un getto di petrolio infuocato incendiò i vestiti e quasi tutto il corpo di P. Umberto, causandogli ustioni plurime e gravi. Nel buio e nella confusione, il padre per terra si torceva dal dolore. Finalmente riuscirono a spegnere il fuoco. Lo portarono a braccia fino alla parrocchia e di lì all'ospedale. Nel frattempo era svenuto. C'erano scarse speranze; per vari giorni rimase in pericolo di morte .Poi, lentamente, la sua forte fibra ebbe il sopravvento. Gli fecero vari trapianti di pelle e tre mesi dopo poté lasciare l'ospedale. Solo il Signore sa quanto ha sofferto. Passato quel martirio, sempre ebbe la certezza che si salvò per un miracolo di Comboni; e confidava che mai gli era mancata la forza di ringraziare il Signore. E riprese il suo lavoro normalmente. E' di un anno prima della sua morte il bilancio che ne fa Mons. Bartolucci. "Ho rivisto P. Pasina nel febbraio1991, a Lima, in occasione del COMLA-4. Ormai vecchio e malandato, non aveva affatto perso la voglia di lavorare e di vivere. Che uomo! Che fede! Un vero comboniano, di stile nuovo e di stampo antico. Aveva il raro carisma di disintossicare chi gli stava vicino. La sua sola presenza era il miglior antidoto contro ogni possibile pessimismo e scoraggiamento. Gli occhi li aveva ben fissi nell'eternità che presagiva vicina, ma i piedi li manteneva ancora ben appoggiati su questo nostro suolo".

“E' giunta l'ora della partenza”

 Le sue agende degli ultimi anni sono piene di appunti che prendeva nei vari incontri, commenti sui falli e notizie del Perù e del mondo, spunti per le sue prediche, messaggi per qualche persona, riflessioni spirituali, preghiere... Oltre a tutto questo l'agenda del'91 riporta il calendario progressivo del suo male, risultati delle analisi e biopsie, conversazioni con i medici. Non c'è mai una parola di scoraggiamento o di lamento, ma solo di abbandono e di fiducia. Emerge la sua statura spirituale. L'affinamento del dolore lo rende sempre più trasparente. Inizia il l° gennaio '91 con una passeggiata lungo la spiaggia, in mezzo alla gente povera. Spigolando, trovo commenti sulla guerra del Golfo, appunti dell’assemblea provinciale,COMLA-4, panamericana dell'evangelizzazione, ecc. Sempre con lucidità e serenità, annota i sintomi del tumore che si espande: ingrossamento della lingua, difficoltà di respirazione, un peso sul petto, cuore stanco, formicolii. Ogni sabato annota la sua camminata alla Virgen del Morro recitando il rosario: "Lei, che ho sentito vicina a Lourdes e nella mia vita, mi accoglierà .. , Prego per la buona morte... Per il bene dell'umanità ... Per la pace nel Perù ... ". Commenta la morte di un commerciante ucciso vicino alla cappella, l'uccisione di Don Sandro Dordi (25.8), l'elezione di P. Glenday(19.9). Il 26.10 registra la sua ultima salita alla Virgen del Morro, "solo, a pregare per la buona morte, per soffrire bene, per una buona risurrezione, per me e per tutti quelli che mi si sono affidati". Il 1° novembre, visita all'Istituto dei tumori: "Chi l'avrebbe pensato? Ma così è. Gloria a Dio!". Dopo alcuni giorni il verdetto è chiaro: cancro alla laringe, esofago ... " Il cancro andrà crescendo; pazienza e aspettare la partenza per il Cielo. Che gioia quando mi dissero: Andiamo alla casa del Signore ... !". P. Graziano Mengalli, che lo assisteva da buon infermiere per le cure delle ustioni e le visite per il tumore, afferma: "Sono stato sempre edificato al suo fianco; ho vissuto una buona amicizia con lui. E' stato sempre ottimista nei suoi mali, con volontà di superarsi, di dare del suo meglio, di uscirne. Dall'ultimo novembre, quando seppe la verità sul suo male, benedisse il Signore. Capì che ormai non c'era nulla da fare: da quel momento il suo ottimismo si trasformò in attesa e continuo desiderio dell'incontro con il Signore" .Quando il padre Engl, superiore provinciale, gli propone la possibilità di farsi curare in Italia, risponde: "Scelgo di restare; arriverà presto l'ora della partenza. Voglio morire, come Comboni, stando con la gente. Ho vissuto molto, grazie a Dio. L'anima mia ha sete del Dio vivente... Marana-tha! Così andrò a vedere Dio e i miei cari e i confratelli". Su una pagina aveva scritto a grandi lettere diversi nomi di parenti e missionari defunti, particolarmente a lui cari, soprattutto del suo Sudan. Il 2.12 i medici tentarono una operazione(8 ore) "per permettergli di vivere più degnamente il resto della sua vita" , disse il primario. Dopo giorni di speranza cominciarono le complicazioni. Seguono pagine con parole quasi illeggibili. L'ultima sua nota è del 20.12: "Notte scura senza medici. Io qui sognando il gran mistero del silenzio e del dolore umano". Al successivo aggravamento del male, P. Pasina fu internato nella Clinica Tezza, delle suore camilliane, più vicino alla residenza provinciale dei comboniani. Si organizzò un servizio di assistenza continua, giorno e notte, alternandoci padri, fratelli, scolastici e infermieri. Si era scritto a tempo, a grandi lettere, un gran quaderno di salmi che gli recitavamo nelle ultime settimane. Dopo alcuni giorni di agonia, spirò tranquillamente alle 22.20 del 25 gennaio 1992. Lo stesso giorno, sei anni prima, moriva il P. Angelo Ubiali, suo grande amico e confidente. La salma fu vegliata nella parrocchia "Dodici Apostoli" di Chorrillos, dove accorsero i fedeli delle varie cappelle. Vi giunse anche il Cardinale Landázuri, arcivescovo emerito di Lima. Ai funerali, presieduti dal Vescovo ausiliare della zona con una quarantina di sacerdoti, la chiesa era strapiena. E' sepolto nel Cementerio Británico, accanto ad altri confratelli.

Era" nostro fratello"

"Io riassumerei la vita di P. Umberto - scrive P. Madaschi - in tre punti. 1. Un uomo innamorato di Dio, di un Dio che sentiva vivo e presente nella sua vita. Pregava molto, fin dal mattino presto. Celebrava con fede la Messa, durante la quale il suo volto si trasformava. 2. Un innamorato della sua vocazione missionaria. Sempre entusiasta con il suo Sudan nel cuore. Si preoccupava dei giovani che frequentavano il nostro centro vocazionale, di quanti sarebbero entrati nel postulato. Credeva molto nelle vocazioni locali. I giovani lo guardavano con simpatia. 3. Un innamorato del popolo, specialmente dei più poveri. Voleva sempre spingersi verso la periferia. Ha lavorato nei settori poveri, seminando ovunque speranza. Ha accolto con entusiasmo il Concilio, Medellin, Puebla. Da buon missionario, sapeva guardare più in là. Molteplici sono state anche le testimonianze della gente sulla vita di P. Pasina. Ne scelgo due. "Aveva una chiarezza di spirito che irradiava nei suoi giudizi; viveva in permanente attenzione ai segni del Padre attraverso gli avvenimenti umani". E ancora: "Era sempre attento e disponibile alle varie necessità della gente. Soffriva per le ingiustizie e gli abusi di cui erano vittime i più poveri. Si preoccupava della situazione dei suoi 'fratelli' peruviani; di fatto si considerava così: nostro fratello". Grazie, Umberto, per aver voluto lavorare e morire nel nostro Perù.         P. Romeo Ballan (Lima - Perù)

Da Mccj Bulletin n. 176, ottobre 1992, 58-67