In Pace Christi

Peano Severino

Peano Severino
Fecha de nacimiento : 25/09/1924
Lugar de nacimiento : Cuneo/I
Votos temporales : 09/09/1947
Votos perpetuos : 09/09/1950
Fecha de ordenación : 06/06/1948
Fecha de fallecimiento : 08/07/1991
Lugar de fallecimiento : Songo/MO

Riportiamo integralmente la testimonianza di p. Giacomo Palagi, provinciale del Mozambico, sulla morte di p. Peano:

"Fu nella notte fra il 23 e il 24 giugno, che p. Severino si sentì male, con forti dolori al petto e al braccio sinistro e una grande stanchezza generale. Chiamò p. Luis Value Insua e gli chiese di essere condotto dalle suore (del Calvario), per vedere se potevano dargli qualche rimedio. Siccome non c'era nessuna delle suore infermiere, fu portato all'ospedale di Songo e visitato dal medico. Ricevette un primo trattamento e rimase in ospedale fino alla mattina seguente, secondo il consiglio del medico. Io andai a visitarlo prima di andare a Tete e gli raccomandai di stare ai consigli del medico e che lasciasse perdere le attività programmate per quei giorni. Mi disse di non preoccuparmi che tutto sarebbe passato in breve tempo. Tre giorni dopo tornai a Songo e trovai il Padre un po' migliorato. Lo stavano curando anche per la malaria. Con il vescovo D. Paulo avevo parlato della possibilità di farlo visitare dal dottore p. Marchesini, in quei giorni a Tete per un ritiro al personale missionario della diocesi.

Ti parlerò dal cielo

Presentai la proposta a P. Severino, ma egli ancora una volta mi tranquillizzò dicendo che non era necessario e che già si sentiva meglio. La domenica seguente, 30 giugno, mi offrii per celebrare la messa alla comunità parrocchiale e lui accettò volentieri, perché si sentiva stanco, ma non rinunciò ad altre cose programmate per quel giorno (incontro con coppie di sposi, benedizione delle case di un quartiere). Durante la benedizione delle case si sentì male e dovette interromperla per essere accompagnato a casa. Gli rinnovai la proposta di venire con me a Tete il giorno seguente, ma lui replicò ancora una volta di non preoccuparmi e che a partire dal giorno seguente sarebbe stato meglio, poiché aveva finito i vari impegni con la scuola portoghese e con le visite alle case. Il lunedì, mentre lasciavo la comunità di Songo, mi disse:

'Mi sarebbe piaciuto parlare di più con te, ma nei giorni scorsi non stavo bene. Quando potrò, ti scriverò. E se non riuscirò a scrivere, ti dirò le cose da lassù'. Lo lascia con le lacrime agli occhi, e con una specie di presentimento che lui aveva manifestato coscientemente fin dall'inizio di quanto stava succedendo nel suo organismo. La settimana seguente trascorse abbastanza tranquilla, con attività ridotte da parte sua e cercando di evitare grandi emozioni. Da Tete, attraverso il vescovo, restai in comunicazione con Songo e con le suore, che nel frattempo erano tornate e già lo curavano. Andai in Malawi, in visita ai nostri che lavorano con i rifugiati mozambicani e fu là che il giorno 8 luglio ricevetti la notizia della morte di p. Peano, avvenuta in quello stesso giorno.

Dopo una domenica piena di lavoro, durante la notte il Padre si era sentito male, con gli stessi sintomi dell'attacco precedente. Fu portato d'urgenza all'ospedale di Villa do Songo, dove fu immediatamente curato da parte del medico e delle suore infermiere. Ebbe un collasso ed entrò in coma. Nel frattempo si tentò di provvedere per il trasporto in aereo fino ad Harare, in Zimbabwe. Mentre si stava per concludere la faccenda (la compagnia si era già dichiarata disponibile), lo stato di salute del Padre si aggravò e verso le 12.30 di quello stesso giorno 8 giugno era spirato. Nel certificato di morte il medico ha attribuito la morte a 'edema polmonare'.

Insieme agli antenati

Il giorno 9 giugno, con un aereo della Acnur riuscii a tornare a Tete, dove mi ero messo d'accordo con il vescovo locale perché si facesse la sepoltura a Songo il giorno 10, mercoledì. Nel frattempo erano arrivati a Tete anche i pp. Giulio e Ino da Maputo. I confratelli di Boroma sarebbero venuti in colonna a Songo nel pomeriggio dello stesso giorno 8. Il giorno 10 in aereo mi recai a Songo con il vescovo di Tete, p. Ferrero, vicario generale della diocesi, altri padri e suore, i nostri di Maputo e la signora Stella con il figlio, in visita in Mozambico.

Il vescovo D. Paulo presiedette la celebrazione eucaristica, davanti a una grande folla. L'impresa H.C.B. aveva dato il permesso ai suoi dipendenti di partecipare al funerale. Nell'omelia, il vescovo parlò della grande perdita che l'Istituto aveva avuto, così come la diocesi di Tete e la chiesa del Mozambico. 'Io in P. Peano ho perduto un grande amico e consigliere esperto', disse il vescovo. Ritengo che abbia interpretato bene il sentimento di tutti noi, suoi confratelli, e di tutta la comunità cristiana di Songo.

Il consiglio parrocchiale decise di seppellire p. Peano nell'antico cimitero di Songo. Il presidente del consiglio parrocchiale spiegò così la scelta del luogo, al termine della celebrazione eucaristica e delle esequie: 'Vogliamo ricordare il nostro Padre. L'attuale cimitero da Vila è molto lontano dai nostri occhi e dalla nostra vita. Come potremo ricordare le sue parole, i suoi insegnamenti, i suoi consigli? Come potremo ricordare e mettere in pratica la parola di Dio che ci annunciava? Abbiamo quindi deciso che la tomba del nostro Padre debba restare in un luogo di passaggio, in un luogo ben visibile, per continuare a ricordarci tutto quello che ci ha insegnato. Così sarà sepolto nell'antico cimitero tradizionale, lungo la strada che tutti i giorni percorriamo per andare al lavoro, a scuola o in chiesa, in mezzo ai nostri antenati, nella terra sacra di Songo'.

E così è stato: una tomba semplice sotto gli alberi, accanto alle pietre sacre che stanno ad indicare i resti mortali degli antichi capi tradizionali. Anche il nuovo tumulo è stato circondato di grandi pietre, coperto di fiori, al lato della strada, indicato con una semplice croce di ferro, ma già meta di visite da parte della gente di Songo.

Messe in suffragio sono state celebrate in vari luoghi: a Tete, in cattedrale, a Boroma, dove p. Peano lavorò per diversi anni, a Beira e a Maputo, nella nostra parrocchia di Benfica. Un ricordo particolare fu quello di Nampula, dove l'arcivescovo D. Manuel, in cattedrale, ricordò la figura di p. Peano quando era superiore regionale dei comboniani in Mozambico, e particolarmente durante i tempi 'duri' degli anni 73-74, fino all'espulsione dal paese dello stesso Padre, assieme al vescovo e agli altri comboniani".

Donare totalmente la vita

In data 17 agosto 1945 il chierico Peano Severino scrisse al p. generale dei comboniani in questi termini: "Sono un chierico del seminario vescovile di Cuneo. Ho 21 anno ed ho terminato il secondo corso teologico. Ho sempre amato le missioni e soprattutto in questi ultimi anni ho cercato di concretizzare questo amore con la preghiera, la mortificazione e la propaganda. Adesso vorrei fare qualcosa di più perfetto: donare totalmente la mia vita a questa santa causa.

Sono giunto a questa decisione dopo quattro anni di studio della mia vocazione, coadiuvato in questo dal rettore, dal p. spirituale e dal vescovo. Adesso ho tutti i permessi dei miei superiori e anche quello, sebbene dato un po' a malincuore, della mamma e della famiglia. Non mi manca che il vostro. A voi, perciò mi rivolgo e presento umile e rispettosa domanda di venire tra i Figli del Sacro Cuore, di diventare membro della Congregazione".

Il rettore del seminario così scriveva al chierico Severino che gli domandava di lasciare il seminario per entrare nei Comboniani: "Carissimo amico, soltanto oggi mi è dato di poter rispondere con precisione a ciò che costituisce il tuo desiderio. Ho pregato, ho domandato consiglio. Tu pure hai pregato e hai lasciato passare un po' di tempo. Attualmente ti posso dire a nome del Signore: 'Tu sei chiamato a fare il missionario. Va', presentati a mons. vescovo e fagli presente la tua decisione'. Certamente egli non si opporrà, perché il dare uno dei nostri migliori chierici alle missioni vuol dire attirarci anche le benedizioni del Signore sul nostro caro seminario, che tu mai dovrai dimenticare. Prega anche per me. Con affetto ti saluto nel Signore. Sacerdote Michele Pellegrini", futuro arcivescovo e cardinale di Torino.

In seminario il chierico Peano fu per due anni assistente dei seminaristi, segno che godeva la massima stima da parte dei superiori. Nonostante questo impegno, era eccellente quanto a studio. Nella pagella di seconda teologia, portata con sé in noviziato, ci sono solo tre "9", il resto tutti " 9 e mezzo o 10".

Il giovane fu accolto e, il 20 settembre 1945, entrò a Venegono Superiore. Diciassette giorni dopo, il 7 ottobre, fece la vestizione e iniziò il noviziato con grande fervore, forse con troppo fervore. Infatti, dopo il primo anno, cadde in uno stato di debilitazione fisica che lo costrinse a tornare a casa per un po' di tempo. Ne fa testimonianza una sua lettera del 9 gennaio 1947, scritta da casa, nella quale dice tra l'altro: "Mi giunse la sua lettera nella quale mi si dice di ritardare il ritorno in noviziato. Questo invito mi costa un po' perché contrario ai miei desideri. Riconoscendo, però, in esso la volontà del Signore, lo abbraccio volentieri sicuro che questo sacrificio sarà gradito al Signore. Attualmente godo ottima salute. La febbre è scomparsa al completo, l'appetito è buono, di peso sono già cresciuto sette chilogrammi...".

Il suo parroco assicurò che in questo periodo: "E' stato di esempio a quanti lo hanno avvicinato... Nulla ha perduto in spirito, anzi, vorrei dire che la malattia lo ha avvicinato di più a Gesù, e sono certo che la sua vocazione, anziché affievolirsi, si è rinsaldata".

Al termine del noviziato, p. Antonio Todesco, maestro dei novizi, lasciò questa testimonianza: "Giovane di assai buone qualità, lavora con convinzione, è generoso e buono. Di pietà equilibrata, ama il suo dovere ed è attaccato alla vocazione. Socievole e sincero. Ingegno e criterio buoni, carattere equilibrato, sereno, generoso. Un po' duretto, qualche volta, alla piemontese. La salute è buona".

Emessi i Voti il 9 settembre 1947, partì per Verona dove portò a termine il quarto anno di teologia (il terzo lo aveva fatto durante il secondo anno di noviziato) e il 6 giugno 1948 venne ordinato sacerdote. Due anni dopo faceva la professione perpetua a Viseu, in Portogallo.

In Portogallo (1948-1966)

Appena ordinato sacerdote, p. Peano ricevette l'ordine di partire per il Portogallo. Fu uno dei fondatori della presenza comboniana in quella nazione dove rimase dal 48 al 66, lavorando attivamente nell'animazione missionaria e nella promozione vocazionale a Viseu di cui fu anche insegnante, economo, reclutatore, vicerettore e, dal 1957 al 1959, superiore. Fu trasferito, poi, a Maia (1959 al 1962) come insegnate, economo, animatore e superiore degli scolastici. "Per sviluppare lo spirito missionario - scrisse - ho creato il Centro missionario con una conferenza ogni 15 giorni. Per abituarli all'apostolato ho cominciato a mandare quelli di terza e di quarta liceo a fare il catechismo nelle parrocchie vicine".

Scrivendo a p. Briani nella circostanza della sua nomina a superiore, così si espresse: "Mi ha sorpreso un poco la nomina a superiore di Maia. E' vero che si tratta di un superiore in miniatura, ma la nomina è venuta in un momento in cui credevo proprio di poter spiccare il volo verso le sospirate missioni d'Africa. Naturalmente ho detto il mio 'fiat' sperando che si tratti per poco tempo". Invece, dal 1962 al 1966, fu a Parco de Arcos come animatore nei seminari del Portogallo, direttore della rivista Além-Mar, e procuratore.

Il giudizio di chi lo ha avuto come formatore in questo periodo è di un uomo serio, gran lavoratore, che va all'essenziale, dando alle cose il loro giusto valore. Sembrava piuttosto freddo ma, a stargli vicino, ci si accorgeva che aveva un cuore molto tenero e sempre disponibile all'aiuto, specie dei più deboli e bisognosi.

La gente, i sacerdoti e i vescovi con i quali doveva trattare, avevano di lui una grande stima, non solo per la sua cultura ma anche per il suo equilibrio e serietà di vita. Insomma era un sacerdote esemplare sotto tutti gli aspetti per cui il suo ministero e la sua azione come animatore furono sempre altamente apprezzati.

Ebbe da lottare per pagare i debiti e per la questione di Nigrizia che parlava male del Portogallo. "Come possiamo andare nei seminari a testa alta quando i sacerdoti ci rinfacciano che, con la nostra stampa italiana, pretendiamo di dettar legge al loro governo? Quante anime salverà Nigrizia con i suoi articoli?".

In Mozambico, primo tempo (1966-1975)

Dopo 18 anni di attività aveva ben diritto di andare in missione. Tanto più che non perdeva nessuna occasione per ricordare ai superiori che si era fatto missionario per l' Africa, anche se era profondamente convinto che si può essere missionari dappertutto.

Dopo 15 mesi di tirocinio come coadiutore a Marara (1966-1967), passò a Boroma dove fu superiore e parroco (1967-1970). La missione era appena stata lasciata dai Gesuiti. Proprio gli inizi di questa missione furono funestati dalla morte, per annegamento, di p. Eusebio Pozzi. "E' stato un colpo duro con il quale il Signore ci ha voluto provare 33 giorni dopo l'apertura di questa missione e nel giorno dell'inaugurazione della casa di Estima per la quale il p. Pozzi tanto aveva lavorato e sofferto. Sia fatta la volontà di Dio anche quando ci strappa lacrime dagli occhi".

Il Mozambico, intanto, accelerava i passi della sua storia. Per cinquecento anni sottoposto a un duro regime di sfruttamento, era stato dichiarato "provincia portoghese d'oltremare" nel 1951. Era il tempo della pace portoghese, come scrisse lo storico Maines. Tanto la parola "colonia" come quella di "provincia" indicavano un'unica realtà: supremazia del bianco che aveva in mano le grandi possibilità della tecnica e del denaro per la costituzione di grosse compagnie di tè, cotone, cocco, sisal; sfruttamento della mano d'opera con paghe irrisorie; disprezzo per la gente, per la sua lingua e i suoi costumi ritenuti primitivi.

La finzione giuridica del nome di provincia in realtà non concedeva molto agli indigeni e non li stava certo preparando alla futura indipendenza. A questa pensava la guerriglia che si andava organizzando nelle foreste e nelle periferie delle città costituendo un tutt'uno con il movimento indipendentista FRELIMO. La caduta della dittatura di destra in Portogallo (1974) costituì la premessa all'indipendenza del Mozambico che verrà proclamata il 25 giugno 1975.

Nel 1970 p. Peano fu eletto superiore provinciale e si trasferì a Nampula. Nel 1974 il vescovo di Nampula e alcuni missionari comboniani che osarono fare un'analisi critica sulla situazione politica colonialista, sul tipo di impegno missionario nella scuola e a favore dell'autodeterminazione del Mozambico, vennero espulsi. La vittima più illustre fu proprio p. Peano. Prima, tuttavia, di lasciare il Paese, fu sottoposto a innumerevoli interrogatori da parte della PIDE, la polizia segreta portoghese, a investigazioni e minacce.

Fra le poche cose che ha lasciato ci sono due quaderni con annotazioni personali a partire dal 1974. Alcune cose hanno un grande interesse per la storia della provincia, soprattutto negli anni 74-75.

Riportiamo uno dei documenti che egli ha trascritto in questo diario in data 5 marzo 1974 da Nampula: "Per decisione del governo Portoghese dovrà abbandonare lo stato del Mozambico nel più breve spazio di tempo. Essendo stato già fissato fin d'ora come termine massimo il giorno 20 del corrente mese, le sarà fornito dalla sub delegazione della DGS (Direzione Generale della Sicurezza) di Nampula il rispettivo biglietto aereo di viaggio per Roma, via Lisbona".

L'ordine fu poi aggiornato e l'espulsione ebbe luogo il 13 aprile successivo.

Un'altra annotazione nel diario riguarda i tempi di interrogatorio subiti da p. Peano da parte della PILE di Nampula. Dal 30 dicembre al 19 febbraio del '74 fu sottoposto ad interrogatorio per 50 ore e 30 minuti. Di ogni interrogatorio ha scritto la durata che rivela anche l'amore all'esattezza che il Padre aveva. Alla fine del '74, guardando agli avvenimenti di quel periodo particolarmente movimentato, così egli concludeva: "Termina un anno che è stato fecondo di eventi e che segnerà la storia del popolo e della chiesa del Mozambico. Guardando a tutto con occhio retrospettivo dobbiamo dare grazia al Signore per il modo con cui ci ha trattato e con il quale ci ha permesso di lavorare. Dio è buono. Abbiamo sofferto, ma ne è valsa la pena".

Con l'indipendenza (1975) i missionari espulsi, e con essi p. Peano, ritornarono come trionfatori. La cuccagna durò poco perché erano già cominciate le nazionalizzazioni, le vessazioni, le persecuzioni. I missionari si interrogavano sul senso della loro presenza in un clima "rivoluzionario marxista" ostile alla Chiesa.

Vicario generale dei Comboniani

Ma per p. Peano l'ora di lasciare quella terra stava per scoccare in seguito ad un altro evento: nel 1975, durante il Capitolo generale, fu scelto come consigliere generale, e nominato dallo stesso consiglio Vicario generale dell'Istituto, incarico che occupò fino al Capitolo del 1979.

In Mozambico, intanto, le cose andavano sempre peggio. I missionari erano confinati nelle loro missioni. Alcuni di essi si offrirono al governo come insegnanti e ciò permise loro di avvicinare i giovani. L'economia precipitava (la Russia forniva armi, ma non aiuti; e i Paesi occidentali si guardavano bene dall'investire in una nazione a conduzione marxista), la scuola e la sanità erano allo sfascio, sulle piazze i ragazzi erano obbligati ad assistere ad esecuzioni pubbliche di "traditori", la fame si faceva sentire e la gente, sradicata dai propri villaggi e dalle proprie abitudini per essere ammassata nelle "comuni" governative, era improduttiva. In quel tempo ci furono anche inondazioni, cicloni e siccità. Nei boschi si andava sviluppando un nuovo tipo di guerriglia che causò tante morti e distruzioni.

I missionari resistevano con i denti stretti vedendo come la gente, col crescere della persecuzione, si attaccava sempre più alla religione. In questo periodo i cristiani scrissero pagine stupende di eroismo, degne della Chiesa primitiva. Anche i Comboniani furono segnati dal martirio di suor Teresa Dalle Pezze.

In Brasile (1980-1985)

Al termine del Capitolo del '79  e del suo mandato come Vicario generale dell'Istituto, p. Peano scriveva: "Signore, cosa vuoi da me? Ho paura di dire di sì, ho paura di lasciarmi andare fidandomi solo della tua parola. Eppure sento il dovere di farlo perché ti amo e amo l'uomo che incontro ogni giorno. Aiutami a dire di sì a lasciare la mia terra, ad essere una strada su cui tutti hanno il diritto di passare. Con Te non ho più paura". Scrivendo al p. generale, disse: "Ho sempre insistito sulla necessità di partire per la missione; in questa circostanza credo sia giunto il momento di lasciare le parole per dare la mia testimonianza personale". Nell'attesa si prestò per un po' di animazione nei seminari d'Italia. "Ho visitato quelli di Savona e La Spezia dove ho trovato un'ottima accoglienza. Adesso sto partendo per Pinerolo e Susa" (22 gennaio 1980).

L'obbedienza, intanto, lo dirottò per una nuova terra dove si parlava portoghese e dove c'era molto da fare: il Brasile. Vi rimase dal 1980 al 1985. Lavorò nel Brasile del Sud, a Taguatinga, a S. José do Rio Preto, in parrocchia e come responsabile dell'opera sociale S. Judas Tadeus, sempre con la tenacia e il freddo entusiasmo che erano consoni al suo carattere.

Mozambico (1985-1991)

"In questi anni di Brasile mi sono sentito realizzato. Ho l'impressione che la gente mi voglia bene e che la mia presenza qui sia utile. D'altra parte so che la situazione in Mozambico continua ad essere difficile. Qui c'è un popolo che soffre, là un popolo che muore. Confesso che non è facile fare una scelta. Sono disponibile per entrambi i campi, solo desidero fare la volontà del Signore", scrisse il 20 febbraio 1985 da Rio Preto.

La voce del Signore, attraverso i superiori, gli disse di tornare nuovamente in Mozambico. "I cambiamenti contribuiscono a mantenerci giovani", aveva scritto il 3 febbraio 1982". Egli obbedì anche se sentì tutto il bruciore di quella obbedienza.

Alla fine del 1985 era nella comunità di Songo come parroco. Il 4 novembre 1985, mentre era a Cuneo in vacanza, aveva scritto sul suo diario: "Destinazione Mozambico dopo 5 anni trascorsi in Brasile! Partire ... non è facile specialmente quando gli anni cominciano a pesare e quando a casa si lasciano persone anziane e ammalate. Signore, la mia fiducia in te è grande e so che vieni con me e resti con i miei. Ieri nella messa nel Santuario della Madonna della Riva ci hai fatto leggere nel Vangelo il comandamento dell'amore. Che io ti sappia davvero amare con tutto il cuore e, nell'amore con te, trovare l'amore verso il prossimo fino alla donazione completa e totale ai fratelli che mi aspettano e a cui mi mandi. Maria a te affido il nuovo periodo di vita che si apre davanti a me. Accompagnami e benedicimi".

Nel 1989 fece le vacanze in Italia e soggiornò nella comunità di Gozzano per un mese, approfittando per mettersi a posto i denti e per qualche giornata missionaria per la sua missione. A distanza di qualche anno, i sacerdoti domandano ancora "di quel Padre del Mozambico". La sua testimonianza ha lasciato il segno.

Scrivendo da Songo nel Natale dell'89, disse: "La guerra si avvicina sempre più e la gente non sa dove rifugiarsi, dove nascondersi. Si parla di dialogo per la pace, ma la realtà che si continua a vivere è quella della guerra. Pastoralmente la gente ci accompagna. Ora stiamo visitando le comunità della savana per l'esame dei catecumeni. Purtroppo non possiamo arrivare a tutte le comunità. Anche se isolati, ci sentiamo sempre uniti alla Congregazione".

Quando sorella morte venne a rapirlo, p. Peano stava lavorando efficacemente per incrementare l'animazione vocazionale anche per la nostra Congregazione.

Dare tutto

Il suo compagno di seminario, don Gasparino, scrive di lui: "Il suo 'sì' fu un atto di razionalità. P. Severino era un tipo profondamente calmo e razionale; nei confronti della chiamata di Cristo penso che abbia ragionato in questo modo: 'Dovendomi dare a Cristo come prete, è logico che mi dia a lui dando tutto'. Partire per le missioni, per noi a quel tempo, era proprio dare tutto. Scegliere i Comboniani era scegliere il difficile nella consacrazione missionaria".

Parlando con degli amici di Gozzano, dove trascorreva qualche mese di vacanza durante le sue tappe in Italia, ebbe a dire: "E' meglio che in Mozambico, terra di guerriglia dove ogni giorno si rischia la vita, andiamo noi vecchiotti che ormai non abbiamo più niente da perdere se ci coglie una pallottola in testa".

Non fu la pallottola a coglierlo, ma l'infarto, certamente "favorito" dalle continue paure e dai disagi che i missionari del Mozambico devono affrontare ogni giorno per stare accanto alla loro gente.

Con i confratelli di Gozzano mantenne una costante corrispondenza epistolare e da essi riceveva intenzioni di messe e offerte. Gozzano, infatti, è l'unica comunità comboniana presente in Piemonte e perciò tanto cara al Padre.

Scrivendo al Direttore del centro Missionario Diocesano di Cuneo, in risposta a una circolare di auguri che questi inviò a tutti i missionari cuneesi, disse: "...leggere in questa circolare: 'Vi diciamo grazie di essere partiti a nome della Chiesa...', ci fa sentire che siamo considerati missionari della diocesi anche noi che dalla diocesi abbiamo ricevuto la fede, nella diocesi abbiamo maturato la vocazione ed ora ci troviamo in prima linea ad annunciare il Cristo che salva. Ottima anche l'iniziativa della 'messa missionaria' che si celebra in cattedrale ogni terzo martedì del mese...".

"Lavoro con una bella comunità apostolica formata da tre comboniani (2 italiani e 1 spagnolo) e quattro Figlie del Calvario (2 spagnole e 2 messicane). Al nostro apostolato è affidata una zona grande almeno come metà del Piemonte. A causa della guerriglia molte comunità non possono essere visitate perché, per uscire dal territorio della missione, bisogna essere scortati dalla colonna militare".

"La nostra gente soffre e muore. Ogni notte deve cercare un nascondiglio diverso per sfuggire alle insidie della guerra. Dormono sotto le piante nella foresta e il fresco della notte copre i poveri corpi, già debilitati dalla fame, di fredda rugiada. I casi di polmonite e di tisi non si contano più. Molti, specialmente gli anziani e i bambini, al mattino non si svegliano più. Che dire poi delle mamme con i bambini in braccio e delle partorienti?".

"Sul registro dei defunti nell'ufficio parrocchiale sono più di cinquecento i nomi con scritto accanto 'morto di fame'. Sono persone che abbiamo raccolto nel bosco con la bocca piena di erba... il loro ultimo disperato pasto. Nonostante tutto assistiamo a un vero miracolo dello Spirito: catecumeni sempre più numerosi, comunità che nascono e crescono, gruppi che continuano a radunarsi per pregare e per ascoltare la Parola di Dio, anche se da molto tempo non possiamo visitarli. Nella nostra impossibilità di intervenire, Dio opera direttamente".

Pur essendo in una situazione così disperata da un punto di vista economico, p. Peano non  chiede soldi, ma preghiere. Sentiamolo:

"Non lasciateci soli. Non vi invito a mandare cose o soldi, anche se gli aiuti materiali ci possono essere utili, anzi, indispensabili, ma vi invito a pregare per questi nostri fratelli e per noi. Chi penetra nei cuori non siamo noi poveri missionari, ma è Lui, lo Spirito del Signore. Chi converte non siamo noi, che alle volte ci agitiamo anche troppo, presi da mille attività di apostolato, ma chi in ginocchio prega, o sul letto del dolore unisce le sue sofferenze a quelle di Cristo che sulla croce muore per salvare il mondo.

Sentire che abbiamo una retroguardia che ci accompagna e ci sostiene, fa tanto bene anche a noi, che tante volte ci sentiamo soli e impotenti davanti al popolo che ha fame di pane e, soprattutto, di Parola di Dio".

Il testamento per i giovani

In una delle ultime lettere, quasi presentisse la fine vicina, volle rivolgersi ai giovani. "So che siete generosi e che cercate la gioia... Vi posso dire con tutta semplicità che mi sento felice e pienamente realizzato. Nella mia vita ho trovato delle difficoltà, ho corso pericoli gravi e ogni giorno devo continuare a rischiare la vita, ma vi posso dire che vale la pena vivere per un grande ideale e che non mi sono mai pentito della scelta che ho fatto quando anch'io ero giovane come voi".

Credo che queste parole siano il ricordo più bello che padre Severino Peano ci lascia. L'abbadessa delle Cistercensi di Fossano (Cuneo) che lo conosceva e che pregava quotidianamente per lui, assicura che era "una bella copia del Comboni, un uomo che viveva nella radicalità della sua vocazione, che possedeva tutto il nerbo dei Cuneesi".

L'ultima pagina del diario è del 31 maggio 1991, giorno della firma della pace in Angola. Così commenta la notizia p. Peano: "Che la Madonna benedica il popolo angolano che tanto ha sofferto. Dio voglia che arrivi in fretta il giorno della pace per il Mozambico e che i colloqui di Roma possano dare buoni frutti per il nostro popolo".

"Con le stesse parole di p. Severino - conclude p. Palagi - voglio anch'io terminare queste pagine, in memoria di questo amato Padre. Dio voglia che la pace arrivi per il nostro paese, per la nostra gente".

Dalla sua tomba, all'ombra delle piante nel cimitero di Songo, certamente p. Peano Severino intercederà per il Mozambico e per la Chiesa che in quella nazione avanza a grandi passi nonostante le difficoltà del momento. Ed ha qualche cosa da insegnare anche a noi suoi confratelli, lui che in un documento ufficiale scrisse: "Nella mia vita ho sempre cercato di fare la volontà del Signore. Per principio non ho mai chiesto e mai rifiutato niente".                P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 174, aprile 1992, pp.33-41