In Pace Christi

Fanti Vittorio

Fanti Vittorio
Fecha de nacimiento : 15/10/1901
Lugar de nacimiento : Pressano di Lavis TN/I
Votos temporales : 02/02/1931
Votos perpetuos : 02/02/1937
Fecha de fallecimiento : 19/06/1989
Lugar de fallecimiento : Aber/UG

Più che una casa, quella dei Fanti a Pressano in provincia di Trento, è un palazzotto con tanto di portale in pietra, che immette in un cortile interno nel quale, alla sera, vengono chiusi attrezzi e carriaggi. Un massiccio scalone di marmo scuro conduce ad un ampio salone dove la famiglia si raduna per celebrare le ricorrenze più importanti della famiglia, e le feste del Signore. Poggioli e matronei ornano qua e là il tutto, conferendo al complesso un tocco di signorilità e distinzione.

Vittorio, fattosi grandicello, sfogò il suo estro artistico pitturando le pareti con affreschi di soggetto floreale, paesaggistico e religioso, che s'intonano perfettamente con l'ambiente circostante e con i sentimenti dei componenti il nutrito nucleo familiare.

I Fanti erano, e sono, contadini, ma di quelli che lavorano con la testa oltre che con le braccia. Dai vigneti che si stendono tutto intorno hanno saputo ricavare speciali qualità di vini, quali il Traminer, il Borgogna e il Rulender. Campi e prati assicurano il grano per la famiglia e per il mercato e il foraggio per le numerose mucche lattifere che riempiono la stalla.

La stalla, già moderna al tempo dell'infanzia di fr. Vittorio, e ben tenuta secondo la consuetudine trentina, era il luogo preferito per uomini, donne e bambini durante i lunghi e freddi inverni. In quell'ambiente caldo e accogliente accorrevano anche i vicini di casa. Si, perché la famiglia Fanti non ha mai chiuso la porta a nessuno. E non solo la porta.

La legge di Dio, dietro quel massiccio portone, era "suprema lex". Il nonno e il papà erano decisi a farla rispettare da tutti per cui, prima delle lunghe chiacchierate ravvivate dal gioco a carte o a dama, c'era il rosario con un'interminabile sequela di Pater, Ave e Gloria per il Papa e giù giù fino all'ultimo defunto che aveva lasciato da poco il mondo dei viventi.

In questo ambiente fatto di lavoro, di serenità contadina e di religiosità, primo di cinque fratelli e tre sorelle, nacque Vittorio, il quale fu sempre chiamato col diminutivo di Vittorietto per distinguerlo dal papà che portava lo stesso nome. Quel giorno era il 15 ottobre 1901. Esattamente 20 anni prima spirava nel cuore dell'Africa mons. Daniele Comboni, un uomo che avrebbe costituito il modello per quel nuovo germoglio.

Mamma Angela Brugnana si rese subito conto di aver messo al mondo un rampollo che era il fior della salute. E ringraziò Dio con le parole tanto comuni sulle labbra delle donne trentine del tempo: "Signore, fammelo crescere sano e onesto e concedigli di essere un buon cristiano".

La fucilata

Chi pensa che il futuro missionario sia nato con l'aureola attorno alla testa, si sbaglia di grosso. Vittorio era vivace, intraprendente e birichino assai.

Frequentò la chiesa come chierichetto e le scuole elementari con ottimo profitto. Di tanto in tanto i genitori e i fratelli lo sorprendevano seduto su un rialzo o dietro una siepe con carta e colori in mano, intento a ritrarre il paesaggio.

<<Quella pianta non è come l'hai disegnata... e anche quella casa non è proprio così>>, gli dicevano.

<<Per me, invece, è proprio così... Io disegno ciò che sento dentro. Ciò che vedo fuori è solo un pretesto, uno stimolo>>, tentava di giustificarsi.

Il maestro, che guardava con sempre maggior interesse quei disegni, diceva che bisognava mandarlo a studiare pittura.

<<Se è la sua strada, non glielo impedisco>>, rispondeva il papà.

In paese, intanto, si erano stanziati alcuni soldati austriaci perché già nell'aria c'era odore di guerra.

<<Sai - disse un giorno l'amico Alfonso Bronzetti a Vittorio - ho visto che giù al bivacco dei soldati ci sono tanti fucili appoggiati al muro>>. Al ragazzo luccicarono gli occhi.

<<Li ho visti anch'io. Sapessi che voglia ho di tirare una fucilata! Chissà come sarebbe bello! Ma...>>.

<<Se è per questo, ci penso io>>, rispose l'amico.

Il giorno dopo Alfonso chiamò nuovamente l'amico.

<<Ho preso un fucile ed è carico ma, se spariamo, tutti ci sentono>>.

<<E i soldati non si sono accorti?>>.

<<No, stavano giocando a carte e bevendo birra>>.

<<Se perdo questa occasione, addio fucilata! Su, prendiamo l'arma e andiamo nel granaio di casa mia. Lassù non arriva mai nessuno!>>.

Col batticuore e tenendo il fucile uno per il calcio e l'altro per la canna, fecero di corsa lo scalone e le altre scale fino ad appiattirsi nell'attico.

<<Ci siamo>>.

<<Sono sicuro che nessuno ci ha visti, ma ora contro chi spariamo?>>.

Passarono in rassegna alcuni bersagli finché i loro occhi si fermarono sul comignolo della casa della signorina Fiore, una vecchietta linda come una madonna, a circa 90 metri dalla loro postazione.

<<Un buchetto nel comignolo nessuno lo vedrà e non farà male ad alcuno... Spariamo un colpo per ciascuno>>, disse Vittorio.

<<No, è meglio che spari solo tu, per oggi. Poi, se ci va bene, riproveremo qualche altra volta>>.

<<Allora tiriamo il grilletto insieme>>, suggerì Vittorio, ma si vedeva benissimo che lo avrebbe tirato volentieri da solo. Alfonso capì e gli rispose:

<<Ma no! Tira tu che muori dalla voglia>>.

Il ragazzo si sdraiò per terra di fronte alla finestra, calcò bene il calcio contro la spalla e prese la mira. Il fumaiolo della signorina Fiore era a tiro perfetto. Non lo avrebbe sbagliato di sicuro. Respirò a fondo gustando tutta la gioia del momento, fino all'ultima goccia.

<<E' solo un buchetto>>, ripeté per tacitare la coscienza che gli rimproverava la monellata e... partì la botta che ruppe il silenzio stagnante di quel pomeriggio d'estate.

Il comignolo, dopo un attimo di esitazione, barcollò, si sbriciolò come un vaso di vetro, si raccolse su se stesso e s'infilò giù per la canna fumaria con un fragore assordante.

<<Non c'è più!>>, urlò Vittorio col terrore sul volto.

<<Lo hai maciullato sul serio!>>, sentenziò l'altro.

La signorina Fiore, cacciata fuori casa dalla polvere e dal baccano, aveva perso la sua abituale compostezza e gridava:

<<Il terremoto, il terremoto!>>.

La gente usciva sulla strada per vedere cosa fosse successo.

<<E' saltato il deposito delle munizioni!>>.

<<Macché munizioni! Questa è una handgranade, una bomba a mano. Con tutti questi soldati per casa, dovremo abituarci!>>.

<<Non capisco perché proprio contro la casa della povera Fiore. Non ha mai fatto del male a nessuno!>>.

Il sapore della prigione

Con la velocità di un gatto, Vittorio corse dalla mamma e le chiese di andare dai parenti fino a Mezzolombardo, una decina di chilometri da Pressano.

<<Così all'improvviso?>>.

<<Sai, è una giornata tanto bella, oggi! Torno domani o tra qualche giorno>>.

Siccome il giovane faceva spesso quel viaggio, la mamma non ebbe nessuna difficoltà a concedergli il permesso.

Alfonso Bronzetti, invece, finì tra le mani dei carabinieri che lo portarono in caserma per l'interrogatorio.

Il giorno dopo, quando Vittorio smontò dal treno per rincasare, si trovò davanti due guardie che gli misero ben fisse le mani sulle spalle, uno per parte, e lo accompagnarono dove già si trovava il suo socio. Così quella notte la passarono in prigione, assaporandone tutta l'amarezza.

Il giorno dopo, i due, dopo una severa ammonizione, tornarono mogi mogi alle loro famiglie a... prendere il resto.

Un cappello da mostrare

In un angolo della stalla c'era un cavallino tutto pepe, del quale Vittorio era innamorato. Gli parlava come ad un amico e questi gli obbediva. Anche in Africa fr. Vittorio vanterà sempre una grande conoscenza di questo nobile animale; per questo non ammetteva facilmente osservazioni su eventuali imperfezioni nei suoi dipinti su tale soggetto.

In occasione di un suo compleanno, il papà gli regalò un cappello. Bisognava farne bella mostra. Il giovinetto attese la domenica e, approfittando dell'assenza del genitore, attaccò il cavallino al calesse, si mise a cassetta e via tra gli sguardi ammirati degli amici. Andò fino a Vigo, girò con manovra perfetta nella piazza della chiesa e tornò pettoruto e baldanzoso. Quello fu davvero un momento di ebbrezza.

Ma come infilò l'arco dell'entrata di casa, si vide davanti il papà con un cipiglio niente affatto rassicurante.

<<Cos'è 'sta faccenda?>>.

<<Un giretto a Vigo per mettere in mostra il bel regalo che mi hai fatto per il mio compleanno>>.

Il papà non la mandò giù e gli diede un sonoro scapaccione che mandò a rotoli il cappello e fece cambiar panorama al cocchiere.

<<Metti via anche questo, allora! Così impari a chiedere il permesso prima di prenderti certe libertà>>.

Il ragazzo incassò il colpo trangugiando amaro e masticando tra i denti una impercettibile imprecazione.

Addio ai pennelli

Lo scoppio della prima guerra mondiale (1915-1918) mandò all'aria i progetti artistici di Vittorio. Il papà era militare in Russia per cui il "maso" si trovava privo di due braccia molto importanti. Vittorio, essendo il primogenito, dovette assumere, insieme alla mamma, la responsabilità dei campi e della stalla.

<<Il mondo brucia, figlio mio - gli disse mamma Angela -. Come posso mandarti a scuola fino a Trento?>>.

<<Non importa, mamma; se non sarò pittore, mi accontenterò di fare il contadino. E' un bel lavoro anche questo>>.

<<Sì, quello del contadino è un bel mestiere perché ci tiene legati alla natura, e la natura è figlia di Dio... E poi, nei momenti liberi dal lavoro, nessuno ti proibisce di tenerti esercitato nel disegno>>.

Il giovane si era procurato libri e sussidi per studiare disegno e pittura. Alla sera, mentre gli altri giocavano a carte nella stalla, egli, accanto alla lucerna, studiava e faceva prove e bozzetti con carta e matita. La mamma, che accanto preparava calze e maglioni, di tanto in tanto lo guardava e gli diceva che era proprio bravo. Egli faceva un sorriso compiaciuto e si animava a continuare con maggior impegno.

La guerra, oltre alle sofferenze e ai danni  che porta con sé ogni conflitto, sconvolse molte famiglie trentine costringendo i membri ad andare profughi in altre regioni d'Italia. Le autorità austriache, infatti, volevano scoraggiare in ogni modo la collaborazione della gente con l'esercito italiano. Ciò fortunatamente non accadde alla famiglia Fanti, perché i membri erano tutti minorenni e il papà si trovava già sotto le armi.

Quanto alla pratica religiosa e alla condotta morale di Vittorio nel periodo premilitare ci basti la testimonianza scritta dal parroco, che dice: "Fu il solo dei ragazzi di qui che, prima di andare militare, faceva la comunione quotidiana".

Artiglieria pesante

Terminata la guerra, giunse anche per Vittorio il momento di pagare il suo contributo alla patria. Non all'Austria, che ormai era stata sconfitta, bensì all'Italia, padrona ormai di Trento e Trieste.

Come cittadino italiano, dunque, il nostro giovane lasciò il paese dopo aver ricevuto la benedizione della mamma la quale, come ultime parole gli disse:

<<Meno male che siamo in tempo di pace>>.

Venne assegnato al Corpo di Artiglieria Pesante. Dall'ottobre del 1925 all'aprile del 1927 fu di stanza a Belluno. C'è una sua foto di questo periodo. Lo si vede in atteggiamento sorridente e disinvolto con sulle spalle due pezzi di artiglieria dal peso complessivo di due quintali. Ciò la dice lunga sulla sua forza fisica. Anche in Africa fr. Vittorio ha sempre dimostrato una forza straordinaria. Quando trasportava sulle spalle i sacchi di cemento, ne voleva sempre due per volta, dato che pesavano solo 50 chilogrammi l'uno.

La naia, che spesso costituisce una trappola per tanti giovani, fu l'occasione per l'artigliere Fanti di irrobustire le sue convinzioni cristiane e di rendere adulta la propria fede. Prosegue il parroco nella sua testimonianza: "Anche come militare non mancò mai di fare di tutto per ottenere il permesso di frequentare la messa festiva".

Azione Cattolica e vocazione

Tornato definitivamente in famiglia, Vittorio si trovò coinvolto nell'organizzazione dell'Azione Cattolica. Il giovane  Alfonso Cesconi, studente in Legge, si era fatto promotore di questo apostolato caldeggiato dal Papa.

Fanti si unì all'amico e si applicò con tutte le sue forze perché il Movimento prendesse piede in paese. I risultati furono ottimi, come vedremo tra poco. Lo stesso promotore, ottenuta la laurea, entrò in seminario diventando sacerdote. Mons. Alfonso Cesconi, benemerito sacerdote della diocesi di Trento, ci ha fornito preziose informazioni sull'infanzia di fr. Fanti.

Altro confondatore dell'Azione Cattolica a Pressano, e ancora attivissimo, è stato Vittorio Pilati. Erano tempi difficili per l'Azione Cattolica, osteggiata dalle autorità laiciste. Ciò contribuì ad aumentare il fervore degli iscritti. E se ne videro i frutti. In quel periodo ci fu in paese una straordinaria fioritura di vocazioni: sei sacerdoti, un Fratello (Fanti) e tre suore comboniane, senza contarne altre di diverse congregazioni. Tutto su una popolazione di 750 anime.

Motore di questa attività era il parroco, don Aurelio Zomer, un uomo sulla cinquantina tutto preghiera, digiuni e apostolato. L'apostolato si concretizzava in una costante e approfondita catechesi, sia nell'ambito della scuola come, e soprattutto, in chiesa.

Questo fervore spirituale fu arricchito in Vittorio dalla lettura delle riviste missionarie che arrivavano con regolarità nella sua famiglia. Leggeva e rileggeva le pagine de "La Nigrizia" e sempre più spesso si domandava se non valesse la pena di lasciare il podere per portare agli Africani la sua parola e le sue braccia.

L'idea, che in un primo tempo considerava solo un sogno, un po' alla volta prese corpo tanto da rovinargli parecchi sonni. Un giorno ne parlò al parroco.

<<Se c'è uno che ha le doti del missionario sei proprio tu. C'è una sola difficoltà, però>>.

<<Quale, don Aurelio>>.

<<Non hai studi e sei avanti con gli anni>>.

<<Gli studi servono per i sacerdoti. Io potrei diventare Fratello. Constato che i Fratelli fanno un bene immenso in missione>>.

<<Giusto! Perché non fai un salto fino a Trento? I missionari comboniani hanno una casa a Muralta. Il superiore ti darà tutte le informazioni che desideri>>.

In colloqui successivi Fanti delineò bene la sua vocazione. Una vocazione che aveva tutte le garanzie per essere autentica.

Un sorriso

P. Germano Pilati, compaesano di fr. Fanti, e co-redattore di queste memorie, ricorda un episodio che lo ha profondamente colpito.

"Di fr. Fanti ricordo soprattutto un sorriso. Un sorriso che dopo tanti anni mi porto ancora dentro e che mi è sempre motivo di serenità e di sicurezza.

Io ero chierichetto, ma non di turno in quella settimana. Prima di andare a scuola, ci avevano abituati a passare dalla chiesa per dare un saluto a Gesù. Ebbene, sulla porta incontrai Vittorio che usciva dopo aver ascoltato la messa delle cinque e mezzo e aver fatto una buona ora di preghiera. Accanto all'uscio c'era il suo piccone. Molti giovani prendevano gli arnesi in spalla, andavano alla chiesa e li depositavano accanto al muro e poi entravano per la messa. Uscendo, li riprendevano e s'incamminavano verso il campo mangiando il pane e il formaggio che si erano precedentemente messi in tasca per la colazione.

Incontrandomi sulla porta, mi guardò un istante negli occhi e mi fece un sorriso come per dirmi: 'Bravo!'. Poi, senza dire una parola, prese il piccone e s'incamminò di buon passo".

Missionario

I colloqui con i Comboniani di Muralta chiarirono anche gli aspetti più reconditi della vocazione missionaria.

<<Missionario vuol dire uomo di Dio e padre delle anime, specialmente le più abbandonate, le più bisognose, proprio come insegnava mons. Comboni, il fondatore del nostro Istituto>>, gli aveva detto il superiore.

<<Onestamente le posso assicurare che il motivo della mia scelta è proprio questo: amore di Dio e amore del prossimo. Se volessi star bene me ne starei a casa mia dove, grazie a Dio, non mi manca niente>>, aveva risposto il giovanotto.

<<Allora puoi fare la tua domanda. Sono sicuro che sarai accettato>>.

In data 16 agosto 1928 il giovanotto prese la penna in mano... Il giorno prima aveva parlato a lungo con la Madonna assunta in cielo di quanto stava per fare... Sopra un foglio protocollo scrisse con la miglior grafia possibile:

"Reverendissimo Padre Generale,

già da alcuni anni nutro l'idea di farmi religioso. Finalmente, dopo aver pensato molto in quale Istituto dovessi entrare, ho deciso di dedicare la mia vita per la conversione dei poveri infedeli.

Vero è che ho già 27 anni, e quindi non potrò procurarmi molte cognizioni, giacché non ho fatto che le scuole elementari fino ai 14 anni, ma essendomi poi alquanto coltivato, spero di poter riuscire almeno un catechista per quelle regioni.

Quindi la prego caldamente di volermi accettare nel suo Istituto il più presto possibile. Con la grazia del Signore, spero di corrispondere alla mia vocazione.

Col più profondo ossequio mi segno, devotissimo Vittorio Fanti".

Tardando la risposta, dopo 20 giorni il giovanotto tornò alla carica:

"3 settembre 1928,

Reverendissimo Padre Generale dei Figli del Sacro Cuore, Verona

Io sottoscritto, desiderando far parte dell'Opera Missionaria per la conversione degli infedeli, chiedo umilmente di essere accettato nel suo Istituto come Fratello coadiutore. Nella speranza di essere accolto, col più profondo ossequio mi segno

Devotissimo Fanti Vittorio".

Come si vede, poche ed essenziali parole, proprio nello stile che fr. Fanti ha sempre conservato durante tutta la sua lunga vita.

Davanti ad una fotografia

Vittorio Fanti fu il primo a lasciare Pressano per farsi missionario. In seguito lo seguiranno altri; una sua sorella diventerà missionaria comboniana.

La sera prima della partenza, il palazzotto brulicava di amici e parenti. La notizia che si sarebbe fatto religioso era nell'aria da molto tempo, anche se l'interessato si era guardato bene dal parlarne. Le prime a rendersene conto furono le ragazze che, con le più sante intenzioni, avevano emesso segretamente più di un sospiro per quel ragazzo il quale, oltre ad essere sano e benestante, era anche bello. E come si sa, le donne non sono mute. Ma che desiderasse partire per l'Africa fu una bomba per tutti.

Quella sera, dunque, ci furono vino e pasticcini per tutti, con canti e abbracci. Tra gli invitati c'era anche Germano Pilati, che presto avrebbe seguito il compaesano. Scrive costui: "Vittorio aveva preparato con le proprie mani parecchie torte e aveva messo in tavola vini di gran qualità. Tutti dovevano stare allegri perché uno di loro stava per donarsi al Signore come missionario. Se non è un avvenimento degno di festa questo, quale altro può esserlo? Il Borgogna andava giù che era un piacere... Ricordo che in quell'occasione feci la prima (ed ultima) sbornia della mia vita, una sbornia solenne tanto da essere portato a casa quasi in coma. E non fui l'unico. Prima, però, venne scattata una bellissima fotografia-ricordo. Allora si partiva per la missione con l'intenzione di non tornare mai più in patria o, per lo meno, senza conoscere la data del ritorno, se questo poi c'era!

Vittorio, al centro della foto, è bello e sorridente in mezzo a un gruppo di studenti di Azione Cattolica. Accanto c'è il neo sacerdote Alfonso Cesconi. In prima fila, seduto, si vede un ragazzino di dieci anni. Anche lui sorridente e contento. Era il futuro mons. Giuseppe Dalvit, vescovo comboniano di San Mateus, in Brasile, morto nel 1977".

Il 17 di quello stesso mese di settembre, Vittorio fece la sua entrata nel noviziato di Venegono Superiore (Varese) per iniziare la sua immediata preparazione alla vita di missione.

Il 21 aprile dell'anno seguente indossò l'abito dei Comboniani e il 2 febbraio del 1931, quindi con tre mesi di anticipo sulla data stabilita, emise i Voti temporanei di Povertà, Castità e Obbedienza che lo consacravano missionario.

E' inutile sprecar parole per descrivere la vita di noviziato di fr. Fanti. Basti dire che per un uomo abituato a dividere la giornata tra il duro lavoro dei campi e la preghiera, la vita di noviziato gli apparve una piacevole villeggiatura.

Il concetto che i superiori si fecero di lui è intuibile dal fatto che, tutti d'accordo, gli anticiparono la data della professione.

Uno scolaro tutto speciale

Il ritorno al paese del novello missionario per i saluti di rito prima di imbarcarsi per l'Africa costituirono l'avvenimento dell'anno.

Con la veste talare e il grande crocifisso saldamente impiantato tra la fascia e il petto, fr. Vittorio tornò al suo paese. La gente esultò, si commosse e giurò che sarebbe sempre stata vicina al suo missionario.

<<Ho bisogno delle vostre preghiere, ogni giorno, per essere fedele alla mia vocazione. Così le anime che, con la grazia di Dio salverò, saranno salvate praticamente anche da voi>>, disse in un breve discorso dopo i vesperi.

Papà Vittorio, uomo duro come le rocce del trentino, non diede segni di commozione anche se dentro si sentiva schiantare. Mamma Angela, dolce e sensibile, non si vergognava di farsi vedere mentre si asciugava gli occhi, anche se alle amiche ripeteva la sua contentezza per aver dato il suo primogenito al Signore in una missione così difficile come quella dell'Africa.

Nel luglio del 1931 troviamo fr. Fanti a Khartum con il compito di dare una mano al pittore siriano Querici che era stato chiamato dal Cairo per decorare la nuova Cattedrale e la cappella del Collegio Comboni.

Scrive p. Pasetto: "Fr. Fanti si mise umilmente a disposizione del maestro Querici. Questi si accorse subito che il suo aiutante non era un apprendista come gli avevano detto, ma uno che, in fatto di pittura, la sapeva lunga e, con umiltà e onestà, volle mettere se stesso alle dipendenze del nuovo venuto. I due  si intesero benissimo e collaborarono fraternamente senza rivalità o invidie".

A completa disposizione

Fr. Fanti lavorò a Khartum per quattro anni facendo le opere che tutti possono ammirare anche oggi. Prima che i lavori fossero completamente ultimati, fu chiamato in Uganda dove c'era bisogno delle sue braccia. Non gli passò neppure per la mente di chiedere qualche settimana per finire ciò che aveva iniziato o, se gli venne in mente, non lo fece capire. Egli preparò la valigia e partì prontamente. In noviziato gli avevano insegnato che il Fratello deve imitare san Giuseppe, sia nel lavoro, come nell'obbedienza. Come il suo modello, anche Vittorio al primo accenno della volontà del Signore obbedì senza chiedere né perché né per come.

In Uganda si richiedeva la sua opera come pittore. Infatti c'era la cattedrale di Gulu che attendeva le decorazioni. Qualcuno, però, disse che per il momento c'erano lavori ben più importanti e urgenti che avevano bisogno di un bravo Fratello.

Fr. Fanti chiuse bene in un cassetto pennelli e colori e si rimboccò le maniche trasformandosi in muratore e carpentiere.

Un giorno mons. Antonio Vignato gli andò vicino mentre stava impastando la malta. Battendogli una mano sulla spalla, con l'altra indicò la calce e la sabbia che si imbevevano di acqua e disse:

<<Fratello, questo è il quadro più bello che ora potevate eseguire>>.

<<Lo so, monsignore, perché il Signore ha bisogno di malta, per ora, non di quadri>>.

<<Ma farete anche i quadri, a tempo opportuno>>, sorrise Vignato.

Uomo mite e rispettosissimo degli altri, Vittorio preferiva fare piuttosto che far fare. Da qui la sua difficoltà a dirigere gli Africani che lavoravano con lui.

In comunità era uno spasso. Aveva il dono di tener su la conversazione con espressioni e toni di voce indimenticabili. Scherzoso e un po' burlone, mimava alla perfezione i modi di fare di Tizio o di Caio, ma senza offesa per nessuno. Si divertiva qualche volta a lasciarsi andare in descrizioni fantastiche della realtà, come la costruzione di autostrade a più piani, gallerie, sottopassaggi in Karamoja, la regione più selvaggia dell'Uganda. Erano cose che suscitavano l'ilarità anche nei soggetti più compassati.

<<Beata la comunità che ha come membro fr. Fanti>>, ebbe a dire un giorno mons. Cesana.

<<E' vero - rispose uno dei presenti - musi lunghi e malinconie non potevano convivere>>.

Missionario col pennello

Nel maggio del 1953 fr. Fanti fu inviato in Inghilterra per studiare l'inglese e approfondire la sua arte pittorica. Naturalmente passò da Pressano, dove si fermò per qualche settimana di vacanza e per salutare  parenti ed amici.

Una delle sue gioie più grandi fu quella di sapere che altri paesani lo avevano imitato abbracciando la vita missionaria.

<<E' una vita meravigliosa, un'esperienza unica. Peccato che sia partito troppo tardi!>>, diceva a tutti. E nei suoi occhi c'era gioia vera.

Ritornando in Uganda nel 1954, poté incontrare al Cairo la sorella missionaria. Trascorsero qualche ora insieme mescolando i ricordi con i progetti per il futuro.

Rimase ininterrottamente in Africa per moltissimi anni, sostando in quasi tutte le missioni dell'Uganda e del Kenya, per portarvi il contributo della sua arte. Si può dire che non esista chiesa dove non ci sia il segno della presenza di fr. Fanti. Attenzione! Non solo come pittore, ma soprattutto come mattoniere, come muratore, come, insomma, semplice lavoratore. La grandezza di Fanti è soprattutto questa: passare dal pennello al badile con la stessa disinvoltura, con la medesima allegrezza.

Fr. Vittorio, tuttavia, è ricordato come il missionario del pennello. Attraverso questo strumento egli ha predicato il messaggio evangelico, ha annunziato Cristo alla gente. La sua "predicazione" continuerà e si propagherà come l'onda in un lago finché esisteranno le sue pitture. Ogni quadro è una lezione di catechismo, sempre e tutto frutto di studio personale accurato, di preghiera e di lunga meditazione. Mai copiature o imitazioni, ma solo creatività che scaturiva dalla sua anima sensibile che vibrava alle sollecitazioni dello spirito. Possiamo affermare, senza timore di essere smentiti, che Fanti fu un catechista perfetto con la parola e con l'arte figurativa.

<<Guarda - diceva spiegando la cacciata dei progenitori dal paradiso terrestre - guarda com'era bello quel luogo. Poi cosa hanno trovato per aver ascoltato il demonio? Triboli, serpenti, spavento e l'ordine dell'angelo con la spada di fuoco in mano: "Fuori di qua!">>.

Nel paradiso terrestre Fanti aveva profuso tutta la bellezza delle valli del trentino con fiori dai vivissimi colori e con gli animali in atteggiamento di benevolenza verso l'uomo. Ciò contrastava con la tristezza stesa sul volto di Adamo ed Eva dopo il peccato.

<<E si - proseguiva nella sua spiegazione - perché il peccato rende tristi. Ma non c'è da disperarsi. Guardate più in là; c'è la scena della Natività. Cristo nasce a guarire le ferite del primo peccato, anzi, a rifare tutto più bello di prima>>.

<<Come mai san Giuseppe non è vicino alla Madonna e al Bambino appena nato?>>, chiedeva qualche altro.

<<Logico! Egli è il capofamiglia, perciò deve starsene sulla porta a ricevere gli ospiti per far loro gli onori di casa, anche se era una grotta. San Giuseppe conosceva le buone maniere e le metteva in pratica!>>.

Intanto gli insegnamenti s'infilavano nella testa degli ascoltatori i quali non li avrebbero mai più dimenticati.

Fr. Fanti non firmava mai le sue pitture. Però, guardando bene ciascuna di esse, si nota da qualche parte un gattino. L'immancabile felino è come la sua firma, la sua mascotte.

La salita al monte di Dio

Se nel modo di dipingere di fr. Fanti si nota un progressivo miglioramento, frutto di maturità, di esperienza e di studio, questo progresso è ancor più evidente nel suo cammino verso la perfezione cristiana, verso la vetta del monte di Dio.

A questo proposito ci restano una serie di testimonianze scritte dai superiori sul conto di Fanti. Ne riportiamo alcune.

"Fr. Vittorio Fanti è un buon fratello sotto ogni aspetto. Esemplare nella pratica della vita religiosa, capace e diligente nei suoi lavori, distinto nell'obbedienza e nella laboriosità", scrisse mons. Cesana. E p. Urbani: "Ottimo religioso, gran lavoratore, pieno di spirito di sacrificio, capace, generoso ed esemplare".

Riportando i giudizi dei confratelli, p. Sergio Daniele scrive: "I confratelli e la gente considerano fr. Fanti un santo fratello, amante della mortificazione ed esattissimo al dovere, mite e laborioso, di rare qualità". P. Codognola insiste sull'umiltà: "E' un Fratello d'oro, pieno di umiltà. E' un lavoratore instancabile, molto stimato anche dalle Autorità".

P. Pasetto afferma che, per parlare di fr. Fanti, bisognerebbe avere il cuore di san Francesco d'Assisi. Poi scrive: "Grande artista e grande santo, famoso per la sua semplicità e la sua umiltà scherzosa, dotato di un gran senso di umorismo. Lo vidi l'ultima volta a Minakulu. Ormai molto anziano e ricurvo, pieno di dolori reumatici, continuò a decorare chiese fino all'ultimo giorno, per la gloria di Dio. Fanti fu un dono anche per le comunità che lo ebbero ospite graditissimo, sia per la sua arte come per la serenità che sapeva infondere".

Quando in missione arrivava un confratello, fr. Vittorio interrompeva immediatamente il lavoro, scendeva dall'impalcatura e andava ad accogliere il nuovo venuto.

<<Un giorno - racconta p. Pilati - arrivai in missione mentre stava dipingendo all'aperto. Mi vide e scese subito per abbracciarmi. Gli chiesi di fare una foto insieme.

"Ben volentieri", rispose disponendosi davanti al treppiede sul quale avevo sistemato la macchina.

"Ed ora cosa ci diciamo, affinché la foto riesca spontanea?". Egli cominciò a fare versi e boccacce suscitando generale ilarità.

"Tanto - aggiunse - la macchina prende solo i gesti!". Ne riuscì una bella foto che conservo nel mio album>>.

Africano con gli Africani

Nota particolare di fr. Fanti fu la sua grande apertura nei confronti degli Africani, accettando i loro usi e costumi con vera soddisfazione. Ragionando sull'argomento "inculturazione", un giorno disse:

<<Non capisco proprio coloro che vengono in Africa e vorrebbero imporre agli Africani il modo di vivere del loro paese. E' una cosa semplicemente ridicola. Cosa diremmo noi se un africano venisse in casa nostra e ci obbligasse a mangiare, a vestirsi, e a ragionare come ragiona lui? Noi, probabilmente, ci arrabbieremmo. Gli Africani invece non si arrabbiano per i torti che ricevono, perché sono migliori di noi>>.

Questo concetto lo portava ad avere un gran rispetto di tutti e a sapersi adeguare anche ai cibi che gli venivano offerti. A proposito di cibo, p. Pilati afferma che, quando gli venivano offerte le "specialità" locali, normalmente non troppo consone al nostro palato, egli le mandava giù con una certa avidità per mostrare a chi gliele aveva offerte il suo gradimento.

Se qualcuno s'intratteneva con lui con interminabili discorsi (magari inutili), anche se aveva molto da fare, non mostrava mai fretta e non dava segni di stanchezza. Sapeva che il costume africano era così ed egli vi si adeguava. La gente capiva queste sfumature e le apprezzava.

Fr. Vittorio, a detta di chi gli è stato vicino per tanti anni, ha saputo farsi africano con gli Africani, non solo per portare questi al Signore, ma anche per un profondo rispetto della loro cultura e per i valori che in essa sapeva vedere.

P. Vittorino Cona afferma che fr. Vittorio chiamava gli Ugandesi "la nostra buona gente".

Basta un colpo

Fr. Fanti era amante delle scampagnate, a piedi e in bicicletta. La natura, ad un uomo dalla sensibilità di artista, aveva sempre tante cose da suggerire. Si mostrò anche di una incredibile resistenza. Per esempio percorse in bicicletta, in un sol giorno, i 150 chilometri che separano Kitgum da Gulu e ciò in tempi in cui le strade erano poco più che sentieri.

Alla domenica, dopo aver assistito alla santa messa nella missione in cui lavorava, raggiungeva in bici il confratello sacerdote che celebrava in qualche cappella del bosco per dare una mano nella conduzione delle preghiere e dei canti. I missionari che sono stati oggetto di queste attenzioni assicurano che il motivo profondo di tale comportamento è da ricercarsi nel desiderio di essere affettivamente vicino al confratello che magari era stanco dal lungo ministero delle confessioni o dalla predicazione.

Ai tempi in cui l'Uganda abbondava di selvaggina, fr. Vittorio si prestava per procurare la carne necessaria alla missione o al catecumenato. Chiedeva al superiore quanta carne occorreva poi, sapendosi un tiratore scelto, chiedeva le cartucce strettamente indispensabili. Se una bestia era sufficiente, chiedeva soltanto una cartuccia.

<<Ma fratello, prendetevene un'altra nel caso che...>>.

<<No, no, Padre, una mi basta>>, e ci faceva dietro un sorrisetto furbo. Nessuno ricorda che abbia sbagliato un colpo... La faccenda del comignolo aveva fatto scuola!

Guerra senza drammi

Fanti, come tanti altri missionari di una certa età, è stato testimone del cambiamento dell'Uganda da paese "di delizie" ad anticamera dell'inferno. Anche lui ha avuto paura, anche lui si è nascosto o è fuggito all'arrivo dei ladri, eppure dalle sue labbra non sono mai uscite espressioni di scoraggiamento, di disfattismo o di esecrazione nei confronti delle persone.

<<E' una prova!>>, ripeteva a chi gli chiedeva come giudicasse quegli avvenimenti.

<<Una volta era meglio, però!>>.

<<Il Signore sa come e quando è meglio>>. E non c'era verso che si sbilanciasse. Anzi, parlando dei nemici di turno che si fronteggiavano, diceva: "Noi dobbiamo compatire gli uni e gli altri".

L'interminabile guerra d'Uganda fu un dramma per tutti, Bianchi e Neri, con una sequela funesta di lutti, di fame, di malattie, di sofferenze. Indubbiamente fr. Fanti sentiva risuonare nel suo intimo la voce del dolore che si levava da ogni parte del territorio, e per la pace pregava e offriva, ma non si scapigliava, sicuro com'era che Dio sa cavare il bene anche dal male. Questa certezza gli conferiva equilibrio, padronanza di sé e dei suoi sentimenti, e lo poneva in un atteggiamento di fiduciosa attesa che molti confratelli gli invidiavano.

<<Come vedete l'uccisione dei nostri confratelli?>>, gli chiese un giorno un Padre quasi arrabbiato per l'imperturbabilità di Vittorio.

<<Sono cose che fanno piangere - rispose costui smentendo chi lo interrogava - ma io sono fondamentalmente contadino, perciò mi è facile capire la parabola evangelica del chicco di grano... Sono tutti chicchi di grano questi nostri Martiri. Chissà che magnifica messe stanno preparando!>>.

Lui non protestava

Nei primi trent'anni della sua attività missionaria, fr. Fanti poté esercitare ben poco il suo talento artistico, impegnato com'era nella costruzione di case, chiese, scuole e ospedali. Qualcuno dei confratelli fece presente ai superiori tale incongruenza.

<<Abbiamo un'artista in casa, che le altre congregazioni ci invidiano, e noi non lo utilizziamo!>>, protestò un giorno p. Romanò.

L'unico che non protestava era l'interessato. In una lettera a p. Angelo Biancalana, Provinciale d'Uganda, così si esprimeva: "E' vero, dappertutto dove sono andato in questi ultimi anni ho ricevuto l'ordine di fare soltanto il lavoro di pittura, però, mi dica lei, Padre, se un Fratello può tirarsi indietro davanti alle urgenti necessità che incontra! Anche se nessuno me l'ordina, le dico il vero che io stesso mi offro, vedendo che il mio aiuto è necessario e rende contenti i confratelli. Ora, per esempio, mi trovo con un Padre che è solo. Faccio male se lo aiuto nelle sue difficoltà? Le devo dire che dappertutto, dove sono stato per il lavoro di pittura, ho dovuto fare altri lavori più o meno urgenti e, in generale, sono stato molto più ringraziato per i lavori che non per la pittura. Lasci perdere qualche voce maliziosetta, Padre; l'assicuro che le ore spese per altri lavori sono poca cosa... Comunque io lavoro in pace e l'avvertirò quando ho terminato" (Nyamwegabira 6 marzo 1977).

Tante scale, una scala

Dagli anni Sessanta in poi, fr. Fanti fu sempre più ricercato per il compito specifico  della decorazione e pittura di chiese in posti anche lontanissimi tra loro: da Arua a Kabale, da Moroto a Kampala, da Hoima a Lira e Gulu.

"In questo continuo peregrinare - scrive p. Vittorino Cona -  fr. Fanti diede esempio di assoluta disponibilità, di povertà francescana, di una convinta vita di pietà, di un profondissimo senso di appartenenza alla famiglia comboniana, di serenità invidiabile. Io, fresco fresco dall'Italia, ebbi la fortuna di essergli vicino all'inizio degli anni Sessanta, e di aiutarlo un po' nel suo lavoro nella chiesa di Kitgum. Vedendolo sempre contento e sorridente, gli chiesi il segreto di quella sua pace interiore.

<<Il segreto per essere bravi missionari - mi rispose - è quello di fare il proprio lavoro con gioia e voler sempre bene alla gente>>.

Non è che facesse solo il pittore. Prima di iniziare il lavoro doveva lui stesso costruirsi l'impalcatura, spesso con tronchi contorti d'albero, canne di bambù, ecc. Poi doveva scrostare i muri, riempire le crepe, raddrizzare gli spigoli. Quante scale ha percorso in su e in giù! Tutte, però, erano in funzione di quell'unica scala che lo avrebbe portato in paradiso.

Un regalo graditissimo fu l'album con migliaia di foto tratte dal film di Zeffirelli su Gesù: "Mi offrono spunti di ispirazione e sono un documento per l'ambiente".

Col trascorrere degli anni, le richieste di lavoro come pittore aumentavano, non solo da parte dei Comboniani, ma dai sacerdoti diocesani e da membri di altre Congregazioni. Fr. Fanti avrebbe voluto accontentare tutti, anche se le sue forze, ormai, risentivano degli anni.

"Grazie, p. Angelo (Biancalana) della buona bottiglia che mi ha mandato, anche se non ho ancora finito la precedente. E' vero, in certi momenti di difficile digestione va proprio bene".

Fanti è il missionario della gioia. "Con gioia incontenibile, caro fr. Benito (Ricci) ti porgo cordialissimi saluti e sinceri auguri di un buon Natale. Che Gesù Bambino ci aiuti a sopportare volentieri i fastidi della vita".

Nel 1980 i "fastidi della vita" costrinsero fr. Vittorio a tornare in Italia per un po' di vacanza. Ma gli andò male. In data 19 gennaio 1981 scriveva da Pressano: "Mi trovo in Italia da due mesi e mezzo. Con la cattiva stagione mi sono buscata una polmonite. Ora sto più attento a non prendere freddo, mentre prima ho voluto sfidare e vincere le intemperie, convinto che sono necessarie per il corpo e per non diventare fiacconi". Vittorio è duro con se stesso, e l'age contra che ha imparato in noviziato è diventato costante norma di vita.

Li celebro tutti i giorni

Nel 1981 scadeva il cinquantesimo di Voti per fr. Fanti. Il p. provinciale d'Uganda, interpretando i sentimenti dei confratelli, invitò l'interessato a celebrare l'avvenimento con la massima solennità. Fanti, infatti, era diventato una figura di primo piano, un pezzo da novanta, come si suol dire. Ciò non solo per la sua veneranda età e per la sua arte, ma soprattutto per la sua bontà d'animo e il suo spirito religioso; in una parola, per la sua santità di vita.

"La ringrazio tanto per la sua lettera con la quale mi rammenta che avrei da celebrare il cinquantesimo dei santi Voti religiosi. A dire il vero, li celebro tutti i giorni; sarebbe troppo poco una volta ogni cinquant'anni! Però la prego, Padre, mi ascolti: essendo il lavoro che ho per le mani vicino alla fine, direi di trasferire la celebrazione di qualche giorno, così io resto più tranquillo e aumenterò i buoni pensieri per lei e per tutti i confratelli di Mbuya... Faremo una festa unica più tardi, alla fine del lavoro e sarà per me l'occasione di iniziare una vita religiosa più fervente".

Fanti è un uomo sereno, di quella serenità interiore che scaturisce dalla consapevolezza di aver lavorato bene per il Signore, anche se poi si sa di essere "servi inutili". "Ieri ho finito gli Esercizi spirituali - scrive - e penso di aver adempiuto bene il mio dovere".

La festa del cinquantesimo fu davvero commovente. Tutti si strinsero attorno al confratello con sincero affetto. Anche gli Africani non mancarono di esprimergli il loro amore, la loro riconoscenza per quanto aveva fatto e continuava a fare per la loro Chiesa.

Spirito di servizio e disponibilità a tutta prova - chiarissimi frutti di un cuore profondamente umile - fecero di Fanti un uomo malleabile nelle mani dei superiori.

"Carissimo p. Guido (Miotti), il lavoro sta per finire anche a Kapenguria... Saprà che a Kampala ci sono parecchi lavori che mi aspettano. Ora lascio a lei dirmi dove devo andare; se a Kampala, dove le chiese dovrebbero presentarsi bene in quella città capitale, che ora è stracciata, ma tornerà di nuovo a brillare, o in qualche altro luogo.

Anche mons. Asili mi ha chiesto per la chiesa di Lira-Ngeta, che ora è finita... Io desidero far contenti tutti. E' vero che il corpo è in decadenza, ma lo spirito, grazie a Dio, è sempre pronto... Riguardo alle sofferenze e tribolazioni dei nostri confratelli e della buona gente, sembrano una cosa buona... intendiamoci, come prova da dare della nostra fede e abnegazione, perché è Dio che permette tutto per il bene nostro e degli altri" (26 luglio 1981).

"In un clima di tranquillità, di amore vicendevole, di pace e di gioia, caro p. Guido (Miotti), le dico grazie della sua lettera e delle disposizioni che mi dà. Ciò mi incoraggia e mi rende soave la vita, sicuro che la sua autorità viene da Dio. Nella chiesa il lavoro è finito, ed ora sto portando a termine la solita fila di lavoretti extra che mi vengono chiesti. E io sono contento di fare contenti gli altri" (Lira-Ngeta 3 luglio 1983).

La Madonna... contadina

Il lavoro al servizio delle varie diocesi e di altre Congregazioni portava fr. Fanti fuori casa per lunghi periodi. Il suo spirito di adattamento, tuttavia, era a prova di bomba, anche se prediligeva le comunità comboniane nelle quali si sentiva più a suo agio. La sofferenza della lontananza era addolcita dall'obbedienza. "Sto riposando a Laybi, dopo aver passato 15 giorni in ospedale a Lacor. Ho sentito che avrebbe sospeso la mia andata a Muteme (parrocchia tenuta dal clero diocesano n.d.r.). Credo sia bene, perché proprio non me la sentivo, nelle mie condizioni di salute, di trovarmi fuori da una comunità comboniana".

Invece, dopo qualche mese, venne nuovamente invitato a Muteme. Egli partì con grande allegrezza e, poco dopo, scrisse: "Qui sto benone, tanta compagnia, canti, suoni e... il silenzio è bandito. A me non manca che il colore per lavorare".

Scrivendo al p. provinciale per il rendiconto di coscienza, esprimeva il disagio di sentirsi fuori comunità con parole molto delicate. "Continuo adagio il mio lavoro. Di tanto in tanto, devo interrompere per riprendere fiato. E' naturale: a 83 anni si può ringiovanire solo nello spirito... Io, come al solito, alle 5 del mattino sono in piedi. Faccio lodi e meditazione da solo. La comunità dovrebbe essere in chiesa alle 6 e mezzo ma, salvo il parroco, non si vede nessuno. Alla sera recito i vesperi ancora da solo, così pure il rosario e la compieta. Mi accosto alla confessione ogni 15 giorni" (26 febbraio 1984).

Terminato il lavoro a Muteme, fr. Fanti andò a Muhero, dove p. Michele, un Padre Bianco italiano, lo aveva invitato per dei lavori in chiesa. P. Michele è un ingegnere, organizzatore, capomastro, factotum incomparabile. In 5 anni ha messo in piedi una missione modello. Soprattutto è uomo di grande carità. Fanti trascorrerà mesi di grande serenità spirituale e fisica. Scrivendo al Provinciale, così si esprimeva: "Lavoro seduto, e ringrazio Iddio per quello che posso ancora fare. Lei mi dice di riposarmi, e io lo faccio: un'ora dopo pranzo. Poi, durante il lavoro, ogni tanto vado in stanza e studio le pitture da fare, nella calma" (Muhero 16 settembre 1984).

Ancora da Muhero il 4 novembre 1984, fr. Fanti, senza rendersene conto, mette in risalto la sua bontà, santità e gioia che prova nel servire il Signore. "Fa proprio pena sentire quante occasioni avrei di aiutare i confratelli con il mio lavoro, ma l'energia cala, sebbene lo spirito sia sempre pronto. P. Michele si prende tanta cura di me, che io quasi mi vergogno. Vuole che le impalcature siano comode e mi chiede spesso se ho bisogno di qualche cosa. Vede, Padre, in che condizioni mi trovo? Potrebbero essere migliori? Non parliamo della vita religiosa: levata alle 5 del mattino, meditazione, orazioni, messa alle 7 con lodi. Alle 8 colazione e poi lavoro. Pranzo alle 13 e poi riposo. Alle 15 riprendo il lavoro fino alle 18. Poi vespero, rosario, lettura spirituale e compieta. E' vero, non ho ritiri mensili ma ho 'canti spirituali, inni e salmi' come dice san Paolo, durante il lavoro. Come extra ho la continua meditazione sulle pitture che sto facendo. Ho fatto in questi giorni una pittura della Madonna che cava le patate nell'orto di casa, e il Bambino di 6 anni che cerca di aiutarla. In un'altra c'è san Giuseppe che costruisce un carretto e Gesù, di quindici anni, che gli dà una mano. Sono scene che fanno capire agli Africani che i membri della Sacra Famiglia erano gente come noi"

Cimici e vermi

A Kakumiro, altra parrocchia non comboniana, fr. Fanti non incontrò le gentilezze e le premure del p. Michele di Muhero. "Appena arrivato ho trovato che il letto era pieno di cimici che mi hanno conciato per le feste. Malgrado ciò, ho cominciato il lavoro dell'impalcatura, e poi i disegni. Ma dopo sei giorni di insonnia, ero sfinito da non poter più resistere, e così decisi di andare a Mubende con il bus. Mi trovo qui da tre giorni per cure. Sono pieno di vermi sotto la pelle; me ne hanno estratti più di cento. Ora va meglio" (31 gennaio 1985).

La guerra, intanto, minacciava brutti colpi di coda. Mentre si trovava a Minakulu per lavoro, nei primi mesi dell'86, dovette fuggire insieme a P. Rizza. La missione, infatti, fu saccheggiata dalla gente del villaggio e dai soldati degli Okelo in fuga. P. Vittorino Cona si recò sul posto per prendere con sé il Fratello e portarlo a Gulu.

<<No, Padre, non occorre, io sto bene qui!>>.

<<C'è pericolo da queste parti, Fratello!>>.

<<Solo il Signore sa da quale parte stia il pericolo. E' meglio lasciar fare a lui!... Mi dispiace solo che, nella fuga, ho perso gli schizzi di un disegno che dovevo eseguire e altre cose che mi interessavano. Pazienza!>>.

Il p. provinciale non insisté oltre. Il Fratello aveva perfettamente ragione circa le sue considerazioni sui pericoli.

Serena attesa

Passata la bufera, fr. Fanti dovette farsi ricoverare all'ospedale di Aber per controlli. Le forze diminuivano a velocità sostenuta.

Nel maggio dell'86 scrisse al Provinciale: "Niente di speciale, per cui mi hanno dimesso. Ora qui resta poco lavoro da fare. Se è contento andrei ad Aliwang e poi si vedrà. Spero nella chiamata e mi tengo sempre all'erta... E' una cosa naturale a questa età. Tuttavia cerco di vincere la pigrizia e trascinarmi avanti".

"Il mio lavoro prosegue adagio - scriveva il 5 giugno 1986 - sono molto vicino alla terra; speriamo presto di andarci sotto. Comunque, sempre allegri nella pace del Signore".

Nell'ottobre dell'86 scriveva da Aliwang: "Mi trovo nella magnifica comunità di Aliwang dove si seguono le vecchie tradizioni... Sto bene spiritualmente. Mi dispiace solo di non poter dar soddisfazione ai confratelli come vorrei. Ad ogni modo faccio tutto ciò che riesco, e cerco di non essere di fastidio. Qui c'è perfetta armonia".

Ad Aliwang il Fratello avrebbe dovuto eseguire delle pitture. Il lavoro, purtroppo, non fu mai eseguito perché la missione fu evacuata a causa dei frequenti saccheggi dei Karimojong e della gente (1987).

In seguito fr. Fanti si trasferì nella tranquilla zona di Lwero, nella comunità di Kasaala dove con sforzo notevole si mise a pitturare statue e bassorilievi. Lavorava stando seduto perché le gambe non lo reggevano più.

L'ultimo suo lavoro fu una testa di cavallo, in plastico, con armatura di fili di ferro e carta incollata: un vero capolavoro fatto per la scuola. In Uganda i cavalli sono praticamente sconosciuti. Forse Fanti voleva terminare la sua carriera artistica riproducendo ciò che aveva costituito uno dei suoi amori giovanili: il cavallo.

Essendo vicino a Kampala, riceveva frequenti visite dai confratelli. Alla fine del 1988, infine, fu trasferito ad Aber per un meritato riposo e per attendere - come diceva lui - l'ultima chiamata.

Questa arrivò il 19 giugno. Già da parecchi mesi i dottori e i confratelli notavano che le forze lo abbandonavano. Tuttavia non volle mai mancare agli atti della comunità. Per trasferirsi dalla casa alla chiesa parrocchiale faceva uso di una carrozzella. Solo negli ultimi tempi si rassegnò a trascorre a letto buona parte della giornata.

Fino all'ultimo, tuttavia, cercò di non disturbare nessuno. Il mattino del suo ultimo giorno chiese il sapone per farsi la barba... non vi riuscì.

Morì alla sera avendo attorno al suo letto molti confratelli che si alternavano per dargli l'ultimo addio e per raccomandarsi alle sue preghiere quando fosse arrivato nella casa del Padre.

Fr. Vittorio visse quegli istanti nella serenità, sforzandosi perfino di sorridere a tutti e con negli occhi un grande desiderio di cielo.

Egli, che aveva vissuto con la sua arte tante scene della vita di Gesù e di Maria, finalmente andava a rendersi conto di persona di come stavano le cose. E siamo certi che trovò i suoi Personaggi, tante volte descritti nei suoi quadri, che gli venivano incontro tendendogli la mano sorridenti e gli dicevano in coro: "Vieni servo buono e fedele. Ci hai rappresentati molto bene laggiù tra gli Africani i quali, grazie ai tuoi colori e ai tuoi pennelli, continuano a vedere i nostri volti. Ora vieni a goderti il premio che ti sei guadagnato".                          P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 166, aprile 1990, pp. 44-60