In Pace Christi

Verdini Domenico

Verdini Domenico
Fecha de nacimiento : 09/12/1934
Lugar de nacimiento : S. Mariano di Arcevia AN/I
Votos temporales : 09/09/1954
Votos perpetuos : 09/09/1960
Fecha de ordenación : 18/03/1961
Fecha de fallecimiento : 30/06/1986
Lugar de fallecimiento : Guadalajara/MEX

Maggiore di quattro fratelli, Domenico lasciò il padre, calzolaio, e la mamma, casalinga, ancora ragazzino per entrare nella scuola apostolica di Pesaro, e poi di Sulmona e di Brescia. I Superiori notarono in lui, fin da quando era bambino, "fantasia viva e volontà decisa in un tipo di intelligenza normale e di criterio equilibrato". Come temperamento era "calmo, sobrio, sodo, fedele, attaccato alla vocazione con qualche tendenza all'impressionabilità".

Domenico percorse il curriculum delle medie e del ginnasio senza particolari difficoltà. Chi gli è stato vicino afferma che era di grande compagnia, aperto all'amicizia, molto cordiale e capace di infondere serenità tra gli amici. Il 26 settembre 1952 fece la sua entrata nel noviziato di Gozzano. Vestì l'abito dei comboniani il primo novembre dello stesso anno ed emise i Voti il 9 settembre 1954, festa di San Pietro Claver.

Nel frattempo il P. Maestro Giordani era passato al noviziato di Firenze per lasciare il posto a p. Pietro Rossi. Questi poté dire di Verdini: "Ha atteso con serietà al lavoro spirituale. Di pietà sentita e di obbedienza perfetta. Socievole e adatto alla vita comunitaria. Esigente con sé e con gli altri. È un uomo retto e che non sfugge mai la fatica e il sacrificio". Quanto alla sua vita comunitaria, p. Albrigo, al termine del liceo a Verona (1958) affermava che "Le conta grosse con i compagni sempre per sostenere l'allegria. È molto aperto con i Superiori ed è scrupoloso nel compimento del proprio dovere". Con queste credenziali, Domenico affrontò la teologia a Venegono dove, il 9 settembre 1960 emise i Voti perpetui prima di essere ordinato sacerdote a Milano il 18 marzo 1961. Nel catechismo, che gli scolastici andavano a fare nelle parrocchie, e nella preparazione del presepio, Domenico poté dimostrare ampiamente le sue doti di organizzatore. Aveva sempre le idee chiare in testa e riusciva a disporre le persone in modo che tutto riuscisse per il meglio. Al momento opportuno tirava fuori una certa grinta per cui, pur con il costante sorriso sulle labbra, sapeva essere anche duro pur di arrivare allo scopo.

Anni difficili

Ai Superiori non sfuggivano queste doti per cui, appena terminati gli studi teologici (si veniva ordinati sacerdoti prima della fine dell'anno scolastico) Domenico fu inviato a Pesaro come vicerettore dei ragazzi del seminario. Vi rimase dal 27 giugno 1961 all'ottobre 1964. Nel 1962 ebbe inizio il Concilio Vaticano II che rappresentò per la Chiesa un "provvidenziale terremoto". Fare il prete, e per di più l'educatore dei seminaristi, in quegli anni non era facile. P. Verdini non si lasciò prendere la mano dagli avvenimenti e dalle mode. Con volontà tenace, quasi cocciuta, e con una buona dose di chiaroveggenza, discerneva il grano dalla zizzania e si sforzava di costruire "dentro" i ragazzi. Sarà questa sua nitidezza di idee, questa sua rettitudine, questo andare all'essenziale senza soffermarsi sui particolari che lo collauderanno "uomo capace di fare la sintesi tra il vecchio e il nuovo".

Dopo tre anni di dura gavetta a Pesaro, p. Domenico chiese di poter andare in missione. Per prepararsi meglio a questa nuova fase della vita di un comboniano, fu inviato in Inghilterra per lo studio dell'inglese (18 ottobre 1964 - 25 giugno 1965). P. Domenico si applicò con la consueta diligenza riuscendo, in otto mesi, ad apprendere abbastanza bene la lingua. Ma le nebbie del Nord cominciarono a mettere in luce un malanno alla spina dorsale che lo tormenterà per tutta la vita. L'incertezza della salute, unita al bisogno di personale valido per la provincia italiana, indussero i Superiori a fermarlo.

Amico dei lebbrosi

Dal primo settembre 1965 al luglio del '67 fu vice superiore della comunità di Bologna. In questo periodo e poi per 11 anni, fu anche il rappresentante del "Collegio Missioni Africane" presso l'Associazione Amici dei Lebbrosi di Bologna. Fu valido direttore del giornale "Amici dei Lebbrosi" e membro attivo e intraprendente del Consiglio di Amministrazione. Nel 1980 organizzò la Giornata Mondiale dei Malati di Lebbra a Loreto.

In Messico ci andò a cercare questi "ultimi degli ultimi", per poterli aiutare con medicinali, cibo e vestiti. Per essi non si vergognava di tendere la mano e di "importunare" i suoi amici. Insieme alla parola persuasiva e convincente, p. Domenico usava anche la penna. Era giornalista, e fece buon uso di questa sua qualifica scrivendo su periodici e su giornali sempre nell'intento di illustrare le tematiche missionarie e i brucianti problemi del Terzo Mondo.

Propagandista ed economo

Dal primo agosto del 1967 al 1973 p. Verdini coprì le cariche di economo e di propagandista a Pordenone, presso la casa di formazione dei Fratelli. La situazione economica della casa era piuttosto precaria. Il Padre dovette sottoporsi ad un lavoro intenso con quella schiena che non cessava di farlo soffrire. In una lettera al P. Provinciale del 23 gennaio 1969 esprime la povertà in cui vivono i 60 giovani che si preparano ad esercitare il ministero di Fratello in missione. Chiede qualche aiuto per rinnovare alcuni macchinari e per rendere più consona la chiesa alle nuove esigenze liturgiche "nel 100 anniversario di fondazione dì questa casa". Allargava il raggio delle sue amicizie. Con la sua cordialità ed espansività sapeva cattivarsi la simpatia di tutti. Nel 1972 si adoperò per inviare Fr. Carlo Carretto, divenuto suo amico, in Uganda a predicare corsi di esercizi ai Confratelli. Come riuscisse in certe imprese resta ancora un mistero.

A Verona con il GIM

Dal 1973 al 1977 p. Verdini fu a Verona come incaricato del GIM e vice-superiore della Casa Madre. Con i giovani si trovava a suo agio e ad essi ripeteva spesso: "Siamo in linea con l'insegnamento del Papa o del Vescovo?". Era consapevole che non si poteva costruire la Chiesa nel cuore del giovane lavorando al di fuori delle direttive della Chiesa ufficiale. In quel periodo le tentazioni di costruire "al di fuori" o "dal di fuori" erano forti e alle volte allettanti. Nelle questioni opinabili subentrava il dialogo, portato avanti con schiettezza, senza complessi di inferiorità nei confronti dei Superiori o dell'autorità ecclesiastica. Questo suo modo, ispirato da un profondo desiderio di conciliazione o di riconciliazione lo resero gradito a tutti: ai giovani dei quali a volte era costretto a frenare le esuberanze e all'autorità che trovava in p. Domenico un intermediario efficace.

Un giovane di Verona afferma: "Non potrò mai dimenticare i campi di lavoro con p. Domenico. Disciplina militare, lavoro sodo e tanta preghiera. Se si pregava!!! E non c'erano scuse per scansarla. L'esperienza del terremoto del Friuli nel maggio del '76 - prosegue il giovane - è stata terribile. P. Domenico con i suoi giovani sembrava un generale e un mistico. Io, per burla, lo chiamavo Sant'Ignazio". Nel 1975 p. Domenico diede le dimissioni da rappresentante dell'Istituto presso l'Associazione Amici dei Lebbrosi. Motivo: la salute che s'incrinava sempre più e gli rendeva difficoltosi i frequenti viaggi a Bologna, e - suo modo di vedere - una mancanza di chiarezza sulla conduzione dell' Associazione stessa. Gli pareva di non poter portare avanti un discorso "da prete". Bisognava considerare che detta Associazione è "laica", anche se è formata da buoni cristiani. Tuttavia p. Domenico rimase sempre socio della medesima fino alla sua partenza per il Messico. Quando nel 1978 i Superiori destinarono p. Domenico a Pesaro, togliendolo da Verona, Mons. Carraro (Vescovo di Verona) scrisse di suo pugno una lunga lettera al P . Provinciale pregandolo di lasciare il padre in diocesi ancora per qualche anno. È una lettera commovente che costituisce un panegirico e un alto riconoscimento dell'operato di p. Verdini in quel di Verona. "Sono molto amareggiato - dice il Vescovo. Poi continua - p. Verdini, oltre al pieno affiatamento e collaborazione con il Clero e tutta la comunità diocesana, ha realizzato in questi anni un'attività pastorale di animazione missionaria inserita vitalmente nella diocesi, raccogliendo consensi, stima, fiducia e frutti assai buoni specialmente tra i giovani. La sua partenza costituirebbe un danno non lieve e lascerebbe un vuoto che difficilmente si potrebbe riempire. Inoltre da sei mesi è stato eletto Presidente della FIRM diocesana, avviando un buon dialogo tra gli Istituti. Di questo dialogo si sentiva un gran bisogno ... ". II Provinciale fu irremovibile.

Fede nella croce

Recatosi a Pesaro agli inizi del 1978 (dal '79 all'82 sarà anche superiore e promotore vocazionale), continuò con il solito ritmo di lavoro, benché ormai i numerosi ricoveri all'ospedale di Verona e di Pesaro fossero segno di peggioramento alla schiena. Si erano aggiunte anche delle complicazioni renali. Le cartelle cliniche spedite ai Superiori stanno a dimostrarlo. Della croce, la compagna inseparabile dei suoi 25 anni di sacerdozio, pochi se ne accorgevano, perché p. Domenico sapeva nascondere tutto sotto il velo del sorriso e della battuta umoristica. Intanto p. Verdini riuscì a mettere in movimento la città e la provincia di Pesaro per le feste del centenario comboniano: il Vescovo celebrò in cattedrale, p. Calvia, Generale, tenne il discorso, il "Piccolo Coro" dell' Antonianum di Bologna si esibì nel grande teatro sperimentale. P. Verdini scriveva al Generale: "Soffro dolori tremendi alla schiena e i reni non funzionano ". Tuttavia il lavoro non conosceva soste o rallentamenti.

La lunga via del Calvario

Con una lettera del 13 aprile 1981 il P . Generale proponeva a p. Verdini un'esperienza missionaria in Brasile oppure in Messico. P. Verdini si dichiarava disponibile anche se le diagnosi sulle sue condizioni fisiche erano sempre più pesanti. II P. Generale gli rispose che in Messico si sarebbe trovato meglio, come era successo ad altri confratelli. P. Verdini rinnovò la sua disponibilità "anche se i dolori alla schiena non mi lasciano dormire neanche la notte" . Poi continuava: " Avevo già chiesto di partire dieci anni fa, ma fui inviato a Pordenone e poi a Verona. Nel 1971 un incidente d'auto mi compromise una vertebra. Caro Padre, vorrei dirle un sì incondizionato come ho sempre fatto, ma ho voluto manifestarle con sincerità il mio stato d'animo causato dalla precaria salute. Le sofferenze che sto provando bisognerebbe provarle per rendersene conto. Nonostante tutto non mi sono risparmiato e per questo dò l'impressione dell'uomo dalle cento vite". II P. Generale gli rispose dicendogli che, nonostante tutto, era convinto che questa obbedienza avrebbe portato con sé la benedizione di Dio per la sua persona e per la provincia del Messico. La lettera concludeva: "Dal primo luglio 1982 appartieni alla provincia del Messico". E spiegava: "Prendere delle decisioni come questa su persone che amo, essendo convinto dei rischi cui vanno incontro, è una cosa molto difficile e che faccio solo perché è un servizio che mi è domandato e sarebbe un andar contro coscienza non farlo" . P. Verdini rispose in data 6 aprile '82: "II suo disagio nel comunicarmi la destinazione mi ha amareggiato, quasi mi dovesse comunicare le cose in virtù di santa obbedienza. In 27 anni di vita religiosa non mi sono mai permesso di frapporre difficoltà ai Superiori. Caro Padre, accetto con piena disponibilità la decisione anche se, come può vedere dalle cartelle cliniche, la mia situazione fisica è peggiorata. Questo, però non deve rimettere in discussione il mio caso perché io vado volentieri in Messico". Nella cartella clinica che accompagna la lettera c'è scritto: "Evitare modificazioni climatiche". Nel settembre del 1982, dopo un'ennesima crisi alla schiena e un ricovero urgente all'ospedale di Ancona, gli specialisti gli dissero che, se non si fosse operato, di lì a poco sarebbe finito sopra una sedia a rotelle. D'altra parte anche l'operazione presentava i suoi rischi perché si trattava di fare un duplice trapianto osseo nella spina dorsale. P. Verdini accettò di sottoporsi all'intervento presso l'ospedale di Pesaro. Fu una cosa dolorosissima, fisicamente e anche psicologicamente in quanto, per due mesi, dovette dipendere in tutto dagli altri. Lo andai a trovare in quei giorni, e mi disse testualmente: "Gaiga, non pensavo che si potesse soffrire tanto. È una cosa assurda. Se avessi saputo il prezzo dell'operazione quanto a sofferenza, avrei scelto la sedia a rotelle" . Finalmente uscì dall'ospedale protetto da un pesante busto di gesso. E, appena gli fu possibile, andò a Roma per conferire con i Superiori. Ritornato a Pesaro, scrisse una lettera al P . Generale. Eccone alcuni brani: . "L'esperienza del mio ricovero all'ospedale lascerà un segno indelebile nella mia vita. Ho sofferto tanto, direi troppo... Mi ero accorto prima che . non si dava credibilità alle mie tante e forti sofferenze che perduravano da anni, ma mi sto accorgendo anche adesso che non si è dato peso a quello che ho affrontato, anche se a suo tempo ho messo al corrente chi di dovere. Mi sono trovato solo in una sofferenza indescrivibile e durata oltre due mesi... ". Qui fa i nomi di confratelli che dovevano almeno andarlo a trovare e invece non si sono fatti vedere. Poi aggiunge: "Questo fatto (la mancanza di interesse da parte dei confratelli) ha scandalizzato gli amici che mi facevano assistenza. Caro Padre, ho tutto da dimenticare di questo periodo. Anche nel nostro Istituto abbiamo ancora tanto da fare per vivere in pieno la carità cristiana... Sono già spiritualmente in Messico e non vedo l'ora di esserci anche fisicamente. È tremendo vedere tanta indifferenza. Non ci avrei mai creduto. Forse il Signore voleva maturarmi spiritualmente e ha scelto la via più cruda. Ho accettato la prova anche se è stata superiore alle mie forze. Mi ricordi al Signore. Ne ho veramente bisogno". Per dovere di chiarezza bisogna riconoscere che p. Verdini era un tipo che gestiva autonomamente la propria salute, senza passare attraverso gli organi a ciò deputati. Questo fatto contribuirà a creare qualche malinteso.

In Messico

Nell'agosto del 1983 p. Verdini partiva per il Messico. Andò dapprima a Cuernavaca, in noviziato, per lo studio della lingua. "Con facilità mi sono inserito nell'ambiente - scriveva al P. Generale nel settembre - ma sento molto le conseguenze dell'operazione con forti dolori alla schiena e alle gambe. Per gennaio vorrei iniziare il mio lavoro di animatore vocazionale a Guadalajara dove le vocazioni non mancano. Ho parlato al Provinciale perché mi aiuti ad aprire un Centro in città dato che la nostra casa è in periferia, in modo da facilitarmi il lavoro. Nonostante l'età, lo spagnolo va dentro bene. La ricordo spesso e volentieri, come una persona veramente amica. Lo dico perché è ciò che provo nei suoi riguardi. Me l'ho sentita sempre tanto vicino". Prima di lasciare Cuernavaca, p. Verdini riuscì ad organizzare un grande concerto nella cattedrale in occasione della Giornata Missionaria Mondiale. E già stava preparando la strada per far venire da Bologna il Piccolo Coro dell'Antonianum. Questo tanto per inquadrare l'attività del Padre non ancora padrone della lingua e "di passaggio". Già le autorità religiose e civili, insieme a numerosissimi giovani, erano affascinati da questo "trascinatore" che, alla fine di ogni lettera, era costretto a concludere: "La salute non va bene, i dolori alla schiena e alle gambe non mi danno tregua. Spero che a Guadalajara vada un po' meglio perché la gamba sinistra sta perdendo la sensibilità. Sono in continua relazione col professore Picchio che mi ha operato a Pesaro". Nel febbraio del 1984 p. Domenico si trasferì a Guadalajara per assumere l'ufficio di animatore vocazionale. "Un famoso ortopedico mi ha fatto indossare un busto di ferro perché la schiena non regge più. Questo arnese mi dà un fastidio continuo, giorno e notte" . Il Cardinale di Guadalajara, Josè Salazar e i tre Vescovi ausiliari lo accolsero assai bene: "Mi hanno accettato con molto entusiasmo. Mi hanno già affidato l'incombenza di animare missionariamente il Centro Pastorale dell'archidiocesi. Mi sono messo a lavorare in un lebbrosario, e questo mi sta dando la possibilità di mettere in pratica quello che a parole insegnavo agli altri durante gli undici anni di lavoro al Centro Amici dei Lebbrosi di Bologna. Non sono venuto in Messico per mettermi in vetrina e allora sono disposto a dare tutto quello che posso con l'aiuto del Signore. La mia non è una malattia immaginaria come qualcuno ha pensato. Capiti quello che capiti, ho la coscienza tranquilla" (18 marzo 1984). "Dopo un mese e mezzo di assoluta immobilità (ospedale e casa) riprendo la penna (scrive sempre al P. Generale). Il Signore puntualmente mi ha offerto un'altra dura prova; direbbe il Comboni: 'mi ha dato un altro bacetto'. Questa volta si è trattato di un grave incidente stradale. A un incrocio un giovanotto non ha rispettato il rosso venendo a schiantarsi contro di me. Frattura della clavicola e di cinque costole con duplice lesione alla pleura. È un momento duro, ma non mollo. Il lavoro mi sta andando veramente bene con tante belle iniziative che mi hanno attirato la benevolenza del cardinale, dei vescovi e della gente" (12 luglio 1984). Le croci non finivano mai. In data 19 marzo 1985, scriveva al P. Generale: "Il signore mi ha messo di nuovo alla prova. In gennaio di quest'anno ho avuto un altro incidente stradale che mi ha causato la frattura di due vertebre e la slogatura del gomito destro. Per due mesi non ho potuto usare la mano. La buona volontà è tanta, però le forze fisiche, già poche, sono ulteriormente ridotte. Può star certo della mia preghiera quotidiana per lei e per tutti i confratelli della Congregazione. Lei conti su di me: l'ho sempre sentita tanto presente nella mia vita. Il mio augurio pasquale: che lei sia sempre un segno del divino tra gli uomini, per cui la sua vita si traduca in testimonianza, la sua operosità in amore, la sua parola in messaggio".

L'amico

I brani di lettere qui riportati ci aprono una finestra sulla spiritualità di questo nostro confratello. Accettazione della sofferenza, attaccamento ai Superiori e alla Congregazione, laboriosità instancabile con i giovani, ricorso alla preghiera. A proposito dei giovani, bisogna riconoscere che il segreto della sua riuscita in tante iniziative, oltre che nella sua notevole capacità organizzativa, consisteva nella capacità di "fare amicizia", vera, fondata sulla verità, sulla chiarezza, che non escludeva qualche strigliata se questa si prospettava indispensabile. Amicizia attiva e passiva; capacità cioè, di dare e di ricevere. Non è esagerato affermare che ogni approccio, ogni incontro con p. Verdini finiva per trasformarsi in amicizia. Se questo fatto può recare una certa soddisfazione, a lungo andare diventa un serio impegno che non concede un minuto di tregua, che logora i nervi. Il telefono era sempre in funzione, continue le visite e le richieste di colloqui. E p. Domenico, spesso con il volto tirato dalla stanchezza, non diceva mai di no, non faceva dire che non era in casa o che era occupato. Si presentava con l'immancabile sorriso ed era pronto a togliere le pene degli altri ... lui che ne aveva un enorme carico delle sue. "Le persone, prima di tutto", soleva dire. Era diventato il consigliere di molti sacerdoti e anche di uomini di governo ... Afferma un giovane: "Noi giovani dovevamo scattare. Preghiera, lavoro, catechesi, rinunce ai comodi e, alle volte, anche alle convenienze. Sì, qualcuno non ce la faceva e si ritirava, ma la stragrande maggioranza seguiva il maestro che era sempre il primo nel dare l'esempio, nel pagare di persona. E noi vedevamo quanto alto era il prezzo che pagava. P. Domenico ha dimostrato che i giovani, se ben diretti, se adeguatamente animati, sono capaci di atti di generosità non comuni, direi di eroismo. Il Padre mi ha fatto scoprire ciò che di bene si nascondeva dentro di me. Alla luce della sua parola e del suo consiglio mi sono ritrovato diverso da come mi credevo". Niente da meravigliarsi, dunque, se agli incontri di preghiera animati da p. Verdini si vedevano centinaia di giovani i quali, pur di essere presenti, sacrificavano tempo, denaro e qualche partita" .

Non sono gli anni quelli che contano

Quanto poteva durare la vita di p. Verdini con il ritmo di attività che conduceva e con i malanni che si portava addosso? Poco. Tutti lo prevedevano. Ormai non c'era serata in cui non fosse fuori per raduni o per conferenze. Tutti lo chiedevano ed egli non riusciva a dire di no. P. Villotti lo invitò più volte a trascorrere qualche settimana di vacanza in Bassa California. Verdini diceva: "Sì, sì, hai ragione, devo venire", ma poi c'era sempre un nuovo impegno. A Guadalajara era l'unico italiano, da quando p. Infante era passato ad altra casa. Pur essendo molto ricettivo, p. Verdini - a 50 anni suonati - faceva una certa difficoltà ad assumere i valori di una cultura diversa dalla sua. Ciò era motivo di sofferenza. Dato il tipo di lavoro, e anche il suo carattere volitivo e da "capo", si trovava spesso isolato dagli altri. E anche questo non lo aiutava a superare le sofferenze e le difficoltà di una vita tanto impegnata. I dolori alla schiena, intanto, diventavano atroci, insopportabili. "Fui a Guadalajara il 28 giugno, vigilia della festa di San Pietro - dice p. Leal Ruiz Vicente. Scherzai con p. Verdini il quale, tuttavia, appariva particolarmente sofferente. Il mattino dopo lo incontrai mentre usciva dalla sua stanza. Camminava zoppo e curvo. Aveva il volto pallido come di uno che non ha chiuso occhio. Tentai di fare una battuta umoristica. Lui, sempre pronto all'arguzia, non sorrise, ma mi disse solo che non si sentiva bene. Tuttavia ci accordammo per un viaggio insieme il lunedì seguente. In casa tutti si dispersero per il ministero domenicale. Alla sera p. Verdini non era presente, ma ciò non meravigliò nessuno in quanto usciva spesso e non aveva ora quanto al ritorno. È vero che la sua auto era al suo posto, ma alle volte venivano degli amici a prelevarlo, per facilitargli il trasporto. Lunedì mattina non apparve. Si lasciò passare del tempo pensando che stesse riposando. Ed io andai dove dovevo, servendomi dei mezzi pubblici. Solo poco dopo venni a conoscenza che il Padre era stato trovato già freddo nella sua stanza". Era il terzo comboniano della provincia messicana trovato morto in camera nel giro di un anno. La morte improvvisa di p. Verdini ha gettato nella costernazione i confratelli, i Superiori, i giovani. Tuttavia è stata anche capita in quanto, per un certo senso, era già nel conto. "Non sono gli anni di vita quelli che contano - aveva detto un giorno il Padre - ma l'intensità di come si vivono quelli che il Signore ci concede" . L'esempio che ci lascia è quello di una generosità senza limiti, di una spiritualità elevata, di una disponibilità a tutta prova, "fattosi tutto a tutti" fino alla morte. Se possiamo fargli un rimprovero è quello di essersi massacrato per gli altri, di non aver mai badato a se stesso ... Ma questo, ci pare, fa parte dello stile comboniano, dello stile evangelico.       P. Lorenzo Gaiga.

Da Mccj Bulletin n. 152, gennaio 1987, pp.61-68