In Pace Christi

Zuani Pietro

Zuani Pietro
Fecha de nacimiento : 09/06/1936
Lugar de nacimiento : Peri VR/I
Votos temporales : 09/09/1957
Votos perpetuos : 09/09/1963
Fecha de ordenación : 28/06/1964
Fecha de fallecimiento : 10/09/1981
Lugar de fallecimiento : Verona/I

P. Pietro Zuani è deceduto serenamente il mattino del 10 settembre 1981 nell'ospedale di Negrar dove era stato ricoverato alcune settimane prima e dove aveva subito la seconda operazione per cancro intestinale. La sua morte ci ha colpito profondamente tutti, non solo perché prematura, ma anche per i ricordi che avevamo di lui e perché molte speranze erano state riposte su di lui. Entrato nel nostro seminario di Trento all'età di 12 anni, il giovane Pietro segue passo passo, generosamente, tutto il nostro curriculum formativo. A Trento per la poca salute perde qualche anno. Perde anche il padre. Ma nulla lo scoraggia e riprende gli studi. Nel 1955 entra in noviziato a Firenze; dopo un anno partecipa agli inizi di Famalicão in Portogallo, dove fa la prima professione il 9 settembre 1957. Ritorna a Verona per la filosofia e la teologia. Per quattro anni (1959-63) è prefetto e formatore dei nostri aspiranti a Brescia. Ritornato a Verona, viene ordinato sacerdote il 28 giugno 1964. Rimane a Verona un anno come promotore vocazionale, e poi due anni a Thiene come formatore. Dopo un corso di spiritualità a Roma, ritorna a Thiene come direttore spirituale. Finalmente, dopo un corso di lingua in Inghilterra, nel 1970 raggiunge la missione di Pakele, tra i Madi, in Uganda, dove rimane per tre anni e mezzo.

Apostolato tra i Madi

Di questo periodo abbiamo un'ampia testimonianza di P. Eugenio Caligari, da cui stralciamo alcuni passi. «L'esperienza tra i Madi - scrive P. Caligari - ci ha uniti come fratelli: è stata l'esperienza della comune vocazione, della stessa gente che amavamo tanto, delle sofferenze e sacrifici, dei piani apostolici, ecc., in comune anche con Fr. Andrea Ferrari. Non aveva gran salute, ma lavorava con generosità e suppliva con tanta forza di volontà, dove non arrivavano le forze fisiche. Dai safari, dalle visite alle scuole e alle cappelle ritornava molto stanco. «Mi manca il fiato», diceva; è la frase che continuò a ripetermi fino agli ultimi tempi. Aveva idee molto chiare in materia di apostolato. Vide subito la necessità di un nuovo catechismo in sostituzione di quello di Pio X. Sull'esempio e in concomitanza con quanto si faceva tra i Logbara, cominciò con un maestro la traduzione in lingua Madi di «Africa's Way to Life» e altri libri, finché non venne incaricato P. G. Buffoni delle traduzioni bibliche, catechetiche e liturgiche. Poneva particolare interesse e importanza nell'istruzione e formazione dei catechisti e delle suore africane». Nel marzo del 1974 i superiori lo chiamarono a fare il Maestro dei Novizi ad Ardrossan (Scozia).

I met Peter Zuani - scrive P. David Glenday - when he came to the London Province to take over the work of Novice Master, but I came really to know him when, after my ordination, I was appointed to the postulancy and went to him for advice and the benefit of his experience... The memory I have of Peter is of really solid goodness, a warm heart and great humility. Several of his former novices described him as wise, and that is a description that rings very true. He seemed to have a capacity to get straight to the heart of the matter and had the fearlessness of those who have no self-interest in sharing what he saw to be the truth. He was a man of prayer: I treasure the gift he made me of a commentary on the Psalms, much used and much underlined...».

Verso la fine del 1977, P. Zuani ritornò in Uganda, a Moyo, in attesa di essere assegnato alla formazione dei nostri postulanti ugandesi. «Amava i safari, - scrive ancora P. Caligari - ma si stancava molto; stava con i catecumeni e catechisti. Ma soprattutto utilizzava l'esperienza fatta nel noviziato inglese per istruire e animare le Sisters of the Sacred Heart, le nostre comunità e le Pie Madri con ritiri, conferenze e preghiere comunitarie. E anche tanta direzione spirituale. Aveva il dono di dare sicurezza, serenità, coraggio, sempre con tanta semplicità, bontà e umanità». Dopo solo sei mesi fu chiamato a dare una mano a P. Renzo Carraro nel postulato di Gulu. Ed ecco quanto scrive P. Carraro: Formatore e amico. Ho goduto dell'amicizia e collaborazione di P. Pietro Zuani per due anni dal maggio 1978 fino al marzo 1980. La nostra convivenza ad Alokolum è stata per me occasione di conoscerlo a fondo e devo dire che la sua amicizia è stata uno dei fattori più formativi della mia vita. Quello che mi colpì fin dall'inizio è stata la sua identificazione con il compito che gli era stato affidato; era chiaro che lasciava la parrocchia di Moyo e la Comunità tra i Madi a malincuore, ma una volta vista la volontà di Dio non l'ho mai sentito lamentarsi, ma buttarsi totalmente nel nuovo compito, con grande confidenza nel futuro dell'impresa, e specialmente grande fiducia nelle persone, in questo caso i nostri postulanti africani. Era un carattere portato alla concretezza: l'insegnare e lo scrivere non gli riusciva facile; era di parola lenta e la conversazione talvolta non era pronta perché non sentiva bene da un orecchio. Ma si applicava con tale diligenza e costanza e aveva un tale amore per lo studio e apprezzamento per una preparazione intellettuale che era diventato un ricercato e apprezzato predicatore. Era la stessa concretezza e costanza contadina che lo portava ad interessarsi delle piccole cose pratiche della casa e a perseguire senza stancarsi modesti obiettivi nella situazione di povertà e penuria dell'Uganda, nell'intento di migliorare la cucina o il refettorio, ecc. Era un formatore nato; aveva occhio per le qualità dei giovani e per i loro limiti; concepiva il rapporto formativo come un coraggioso stimolare l'iniziativa, un mettere il giovane di fronte alle sue responsabilità senza attenuare o addolcire le occasioni di sacrificio e di rinuncia. Le sue conferenze formative lasciavano un segno. Egli insisteva sulla necessità di valutare il giovane non in base a vaghi criteri teorici ma dal manifestarsi dei segni di vocazione: lo spirito di sacrificio, la preghiera personale, l'amore per la vita apostolica. La sua preghiera era incentrata sulla liturgia quotidiana che faceva oggetto di assiduo studio e meditazione. Era un uomo di una fede profonda che si manifestava specialmente nei momenti di prova e di crisi. Non dimenticherò mai l'aiuto morale che ricevetti da lui in un momento particolarmente difficile della vita del Postulato. Era il gennaio 1979: aspettavamo una ventina di giovani per il corso di orientamento vocazionale; ci eravamo dati da fare a preparare la casa, chiedendo letti in prestito, ecc. Solo sette giovani vennero e di questi sette solo uno entrò all'inizio dell'anno scolastico, anche a causa della guerra che infierì in Uganda in quel periodo. Io ero molto scoraggiato e lo lasciavo apparire; ero come paralizzato dall'insuccesso. Ricordo le sue parole: «Perché ti abbatti così, Renzo? Non sai che noi siamo sempre vittoriosi nel Cristo Risorto?». Aveva un grande attaccamento affettivo alla sua comunità apostolica di Moyo. Per i confratelli di Moyo non temette di affrontare viaggi pericolosi durante il periodo della guerra e si interessava delle loro necessità in ogni maniera possibile. A causa di P. Piero, ben presto si creò un legame di amicizia tra i missionari e la gente di Moyo e il Postulato Comboniano di Alokolum che fu fonte di edificazione e di gioia per i postulanti. Nonostante non fosse molto forte in salute e soffrisse di stomaco (era stato operato di ulcera), egli si adattò a mangiare all'africana, e sebbene soffrisse di frequenti mal di testa, non faceva mai pesare la sua condizione sulla comunità. Quando, nel marzo 1980, lasciò il postulato di Gulu (Alokolum) per le brevi vacanze e per il nuovo compito di Maestro dei Novizi, egli non aveva lasciato apparire nessun segno del terribile male che si sarebbe rivelato nello stesso viaggio di andata in Italia e che a distanza di poco più di un anno lo doveva portare alla tomba.

L'ultimo anno

Arrivando in Italia nella primavera del 1980, P. Zuani aveva un forte presentimento della gravità del male che lo minava, ma nutriva ancora la speranza di poter ritornare in Uganda per iniziare, quello stesso anno, il noviziato interprovinciale a Kisubi di cui egli era stato incaricato. Venne operato a Negrar e mandato a Venegono per la convalescenza. Del suo ultimo anno di vita abbiamo questa testimonianza di P. S. Pacifico. «Nell'agosto del 1980, durante un raduno di formatori a Roma, presiedette un'Eucaristia riservata ai Padri Maestri. Ci rivelò la sua malattia, che però già conoscevamo tutti. Ci disse: «tante volte avevo detto che accettavo tutto dalle mani di Dio, che ero pronto anche a morire... Quando però mi hanno detto che avevo un cancro, ho visto che quello che dicevo non era vero del tutto. Adesso sto imparando ad accettare davvero la volontà di Dio». A Venegono mi sembra che abbia vissuto nella fede la sua malattia. Viveva per l'essenziale. Andava alla sostanza delle cose, viveva nella verità. Se c'era una cosa che gli dava fastidio fino a farmelo notare e a soffrirci era la superficialità con cui talora vedeva vivere attorno a sé. Gli sembrava impossibile che si potesse vivacchiare. Queste cose lo facevano soffrire, di solito lo faceva in silenzio e nella pazienza. Quando le tirava fuori, lo faceva accusandosene come di una debolezza, frutto della sua malattia. Conosceva molto bene la sua situazione. Sapeva che poteva morire. Tuttavia aveva voglia di vivere. Faceva le cure con scrupolosità. Quando non stava bene, cercava anche di trovarne le cause immediate, cambiando dieta, ritmo di vita... Non si è risparmiato mai. Era preciso nel modo con cui preparava le sue catechesi. Non voleva che il fatto che era nuovo a Venegono dovesse pesare su di me. Per questo si sforzava di fare tutto quello che gli chiedevo. Aveva accettato di essere il superiore di Venegono, quando gli fu richiesto, con il desiderio di venire incontro ai superiori e di essere di qualche aiuto alla comunità. Fui io a dirgli che era alla fine. Mi guardò. Chiese quale era il parere dei medici. Poi ci guardammo negli occhi. Avevamo pregato un po' insieme, pregammo ancora un po' e lo lasciai dopo averlo confessato. So che il giorno dopo chiese di parlare con padre Ramponi che era stato suo Padre Spirituale in Scolasticato. Dopo quell'incontro con me parlò di meno. Ma rimase sereno e premuroso con tutti. Aveva già capito che le cose non andavano bene, però aveva creduto fino in fondo a coloro che gli dicevano per delicatezza che si sarebbe ripreso: aveva troppa fiducia in loro per pensare che non gli dicessero tutta la verità. Vicino a me c'è la sua foto. Tante volte, quando non vedo chiaro, lo guardo e gli chiedo di darmi una mano. E non mi delude. E so che la stessa cosa fanno altri, specialmente persone che frequentavano la scuola di preghiera della quale era l'animatore spirituale. Tanti continuano a parlarmi di lui e a fare riferimento a lui. Mio papà è morto tre mesi esatti dopo di lui, e gliel’ho affidato. Con tutto ciò, non voglio affatto idealizzarlo. Aveva anche lui i suoi limiti, ma la fede era davvero maturata in lui. Il suo stesso senso della precisione lo rendeva lento, talora anche pignolo. In fondo al cuore gli era rimasta la radice contadina: non solo per l'amore alla campagna, ai fiori... ma anche per il saper attendere, la pazienza, il senso della Provvidenza. Aggiungo un'ultima cosa: il suo amore ai neri. La sua fiducia nei neri. Ma su questo chi ha vissuto con lui in Africa potrà dire molto di più. Direi solo che il suo rispetto per la persona, un rispetto che era molto profondo, con tutta naturalezza lo aveva esteso agli Africani». Citiamo ancora P. Carraro: «Sono sicuro che la sua scomparsa, mentre ci addolora e ci priva della sua preziosa collaborazione, arricchisce la Congregazione e l'opera delle vocazioni comboniane in Africa di un potente intercessore presso Dio. Personalmente, io lo sento più che mai presente nella mia vita e il ricordo di lui è uno stimolo ed un incoraggiamento nella mia missione».

Da Mccj Bulletin n. 136, giugno 1982, pp.78-81