Esattamente un anno fa, il P. Barbieri partiva per la Missione tanto desiderata, portando con sé, oltre al desiderio ardente ed al proposito generoso di donarsi tutto all'apostolato per le anime, anche una salute robusta ed energie fisiche provate in quasi tre anni di peregrinazioni quale reclutatore. Il Signore volle accogliere solo i suoi desideri, e gli anticipò la mercede del bene che egli avrebbe voluto e potuto fare tra i suoi Toposha.
Nato a S. Tomio di Malo (Vicenza) il 23-3-1919, egli venne all'Istituto attraverso il tirocinio nelle nostre Scuole Apostoliche.
Professo nel 1939, e ordinato sacerdote nel 1945, usciva dalla sua formazione con le impronte del sacrificio pervenutegli dal burrascoso clima di guerra e dai dolorosi avvenimenti bellici, che strapparono alla sua famiglia ed al suo affetto due fratelli.
Desideroso di contribuire all'incremento dell'Istituto, bisognoso di avere un largo stuolo di Fratelli Coadiutori per la opere nostre, accettò con entusiasmo l'ufficio di reclutatore degli aspiranti Fratelli, e non risparmiò fatiche e sudori per meglio riuscire nell'incarico ricevuto. La sua opera, già in sé stessa difficile per tante ragioni, era resa ancora più difficile dalle distanze in cui doveva essere svolta; ciononostante, egli la compiva con meticolosa scrupolosità e con reale dispendio di sacrifici. Saranno certamente questi sacrifici che manterranno nei giovani aspiranti da lui reclutati la costanza nella loro vocazione e la generosità nell'abbracciare tutti i doveri che comporta.
Partito per la Missione del Bahr el GeheI e destinato alla Stazione di Kapoeta, tra i Toposha, in pochi mesi già si era reso abile ad un efficace apostolato, nonostante le difficoltà in esso incontrate. Colpito da malaria cerebrale in viaggio tra Torit e Kapoeta, nonostante le pronte cure prodigategli, egli moriva in Torit il 15-9-1950, amorosamente assistito dai Confratelli e compianto da tutta la cristianità.
Da Bollettino n. 34, dicembre 1950, p. 1365
Per il Papa e per la conversione dei Topotha
La tomba di un giovane missionario
Catholic Mission, Torit
15 settembre 1950
(Bahr el Gebel, Sudan)
Sono appena terminate le solenni esequie del carissimo P. Antonio Barbieri. Entrato in camera coll’animo costernato da tanta perdita, getto adesso uno sguardo sul calendario per cominciare a scrivere qualcosa sul luttuoso evento: 15 settembre, i 7 Dolori della B.V.M. – La data prende immediatamente un significato luminoso, messa in relazione con Kapoeta, la Missione dove il Confratello ha speso le sue prime energie e donde è partito un mese e mezzo fa per provvedere a necessità urgenti del suo lavoro colà; la Missione verso la quale egli era in viaggio quando lo sorpresero gli incidenti che lo portarono invece sulla via del cielo. Oggi è la festa patronale della Missione di Kapoeta. Il caro Padre, arrivato a Torit il 31 di luglio, partecipò alle feste per la nomina del Rev.mo Monsignor Mazzoldi, Prefetto Apostolico. Passate in comune gioia, tra le folle dei Cristiani accorsi da tutto il Distretto per onorare la Madre di Dio, egli ripartiva verso Kapoeta il venerdì seguente. Benché ci fosse apparso piuttosto malandato in salute e dimagrito, pure la sua permanenza a Torit gli aveva giovato e affatto nulla poteva far prevedere quello che poi avvenne. Una rottura della macchina obbligò il Padre e una dozzina di giovani che viaggiavano con lui a dormire due notti per strada. La prima notte fu passata a Cakari, comodamente alloggiati nella scuola elementare che la Missione di Isoke ha colà. Passata la seconda notte a Keraseka, un messo fu mandato alla Missione di Cukudum ed immediatamente il Fr. Bonfanti andava con l’auto della Missione a prelevarli. Non c’era nulla di straordinario e colà pensavano di riparare l’auto di kapoeta, di modo che il Padre Barbieri potesse riprendere il viaggio.
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Lunedì u.s. all’ora dell’Angelus della sera arriva Fr. Bonfanti e ci annuncia che il caro Padre, dopo giorni di febbre, è in condizioni allarmanti di debolezza e di delirio. Allora – e anche dopo – passò ore e ore a comporre e musicare inni bellissimi al Papa, contati con una voce chiarissima e dolce. Un altro pensiero dominante era la sua Missione di Kapoeta, i suoi Cristiani e tutti i Topotha da convertire. E offriva volentieri la sua vita, le sue fatiche, le sue pene fisiche e morali. Casualmente il medico inglese non era presente: aveva dovuto andare a Juba poche ore prima per farsi curare lui stesso all’ospedale di Juba. Si venne alla conclusione di partire coll’assistente medico, Marko Nono, e verso le otto di sera coi fari della macchina si aprivano la via tra le tenebre della notte verso Cukudum. Partirono P. Farè e P. Soriani. Seppimo poi che la macchina si piantò nel fango e dopo un’ora e mezza di fatiche riuscirono a riprendere il viaggio e verso le due di notte arrivarono a Cukudum. L’ammalato si era ripreso così bene nel frattempo da far pensare fino ingiustificata la chiamata del giorno precedente. Considerata la condizione attuale del paziente e che il clima fresco di Cukudum avrebbe giovato assai di più di quello soffocante e umido di Torit e che d’altra parte il malato non avrebbe trovato a Torit migliori cure di quelle che gli potevano essere amministrate a Cukudum e però colà furono tutti d’accordo di restare e cominciarono le cure antimalariche.
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Noi a Torit rimanemmo tutto il martedì senza notizie, vivendo quindi tra la speranza di miglioramenti del caro malato e timori di complicazioni sue o per lo meno della macchinetta che era partita di notte. Andammo a letto con questa incertezza. Anche mercoledì passò senza notizie. Ma alle una di notte di giovedì fummo svegliati dall’arrivo della macchina e pochi minuti bastarono a portarci alla realtà delle cose: la condizione del malato era assai grave. Aveva cominciato a Cukudum, al mezzogiorno del mercoledì, un delirio eccitatissimo e perdurava tuttora. Iniezioni fatte prima del viaggio e all’arrivo in Torit (si eran fermati alla casa del dottore inglese, già tornato da Juba, e che gentilmente prestò immediatamente le cure del caso) non sembrava che avessero alcun effetto per calmar i nervi del Padre. Lo vegliammo. Il mattino venne il medico, e ritornò poi altre quattro volte in giornata, nonostante che lui stesso fosse ancora sotto cura, fino alla sera verso le nove. L’esame del sangue rivelò malaria cerebrale. Il medico diede qualche speranza, ma dichiarò il caso assai grave: le prossime 24 ore avrebbero data la decisione. Il medico fu pieno di cure: Padri, Fratelli e Suore furono continuamente al capezzale del caro Padre colla assistenza spirituale e materiale. Ma il delirio continuava, lasciando brevi intervalli di assopimento. Alle 2,15 dopo pranzo, fatta la Visita al SS.mo, ci radunammo tutti nella camera del malato per l’Estrema Unzione. Egli sembrava capisse di tanto in tanto e rispose parecchie volte “Amen” alle preci della Chiesa. Verso sera vi fu un miglioramento e risorsero le nostre speranze. Di notte si calmò e rimase assopito per tratti abbastanza lunghi. Alle una di notte del venerdì il P. Farè che lo vegliava ci svegliò: le condizioni del malato si presentavano allarmanti: febbre 41° e polso insensibile. Ebbe periodi di calma e pregò con noi; i suoi pensieri eran sempre là: il Papa e Kapoeta. verso le ore tre cominciò un’agonia calmissima finché si spense dolcemente nel Signore alle 3,20 (ora Italiana 2,20) dello stesso venerdì, 15 settembre, festa dei sette dolori della B.V.M. – Dalla via di Kapoeta, ove i Cristiani si preparavano a festeggiare la loro patrona, il carissimo P.. Barbieri era stato condotto alla via del cielo, a gioire lassù e a diventare l’intercessore della sua amatissima Missione: la prima vittima offerta per la salvezza dei Topotha.
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La notizia della morte del Padre, fatta circolare da una partecipazione a tutti gli uffici e comandi della città, portò subito in Missione una folla di Cristiani. Noi Padri celebrammo la S, Messa durante la notte. La Messa solenne da requie fu cantata dai nostri scolari. L’equivalente di una compagnia di soldati cristiani(circa 200)vennero su inquadrati coi loro comandanti. Soldati di polizia, infermieri nello loro uniformi, scolari della città coi loro maestri, operai, uomini, donne e squadre di bimbi facevano una lunga processione da Torit verso la Missione. Vollero partecipare alle solenni esequie, officiante il Rev.mo Mons. Sisto Mazzoldi, nostro Prefetto Apostolico(giunto nel mattino), anche le autorità mediche e civili della città: il medico, il Commissario Distrettuale e suo Assistente (tutti Inglesi) e l’ufficiale arabo governativo. Altri, impossibilitati a venire, mandarono lettere di condoglianze. Fu un plebiscito di fede, di preghiera e di omaggio a chi, giovane, aveva offerto la vita per la salvezza di questi popoli.
Ed ora riposa, il nostro carissimo Padre, nel nostro cimitero, a fianco del Fratel Tonazzolli, vicino alla Madre Pierina Stoppani che qui lasciò le sue spoglie mortali quando venne in visita in qualità di Superiora Generale delle Pie Madri della Nigrizia. La sua tomba resta come un altare, la sua memoria germinerà virtù e santità in mezzo a noi ed ai nostri Cristiani. Per concludere ripeterò le parole detteci dal Fratello che lo aveva assistito a Cukudum all’inizio della malattia e che ci furono dette davanti alla salma del Padre appena spirato. Durante la malattia, oltre gli altri atti di fede e di amore a Gesù, i canti alla madonna e gli inni al Papa (diceva in delirio che voleva andare a Roma) ci aveva meravigliato come, anche nel delirio, ricordatagli l’obbedienza, facesse subito qualsiasi cosa, come prendere ghiaccio sulla testa, prendere posizioni quiete e ricevere medicine. Il Fratello aggiunse altro di meglio: “Entrai nella sua camera e lo trovai colle bracci tese verso l’alto e sorridente. Richiamato dalla mia presenza, mi disse: Ah! Fratello… non posso parlare… non posso parlare! Ah! Se sapeste quanto è bello il Signore!... quanto è bello il Signore!... Ah! Com’è brutta la terra!”
Ai famigliari del Carissimo p. Barbieri Antonio e specialmente alla mamma le nostre più sentite condoglianze. Ma alziamo colle lagrime le nostre speranze lassù. Il Padre è vivo lassù, pensa e prega per noi. Fece una santa morte, offrì la sua vita al Signore per la sua Missione. Dio volle così: sia fatta la sua volontà. A noi resta seguire i suoi esempi santi ed augurarci una simile morte nel Signore. Il Padre ebbe tutti i conforti religiosi e una assistenza più che fraterna, vorrei dire materna. Abbiamo cercato di fare tutto quello che una mamma avrebbe fatto al suo capezzale. A nome di tutta la comunità religiosa di Torit, Padri, Fratelli, Suore e Cristiani, l’assicurazione di preghiere per voi e per il caro P. Antonio.
P. Giorgio Montemanni
La tomba del Padre non sarà abbandonata: andremo spesso a trovarlo e a pregare a nome vostro. Fiori e preghiere non cesseranno.