L’enciclica «Fratelli tutti» alla luce dei quattro principi della «Evangelii gaudium»

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Mercoledì 23 dicembre 2020
Fratelli tutti (FT) è un’enciclica sociale (n.6) che raccoglie le riflessioni di papa Francesco sulla fraternità e l’amicizia sociale.

L’Enciclica Fratelli Tutti
alla luce dei quattro principi della Evangelii gaudium

P. Mariano Tibaldo, missionario comboniano.

Il termine che il pontefice usa per esprimere la visione, l’ideale in grado di superare le pulsioni di «eliminare o ignorare» gli altri e capace di far rinascere un’aspirazione alla fraternità (nn.6,8) è quella di ‘sogno’. Sogno che però deve farsi progetto e pertanto, per realizzarsi, ha bisogno del dialogo «con tutte le persone di buona volontà» (6). Una delle fonti più importanti dell’Enciclica, infatti, è il Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune firmato ad Abu Dhabi nel 2019 assieme al Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb.

Mi propongo di leggere l’Enciclica ‘Fratelli Tutti’ (FT) di papa Francesco adottando come criterio di lettura i quattro principi elaborati nell’Esortazione Apostolica Evangelii gaudium (EG). Tali principi, secondo l’Esortazione, danno un orizzonte di riferimento per la costruzione della pace e del bene comune (EG nn. 222-237). Essi sono così formulati:

  1. Il tempo è superiore allo spazio
  2. L’unità prevale sul conflitto
  3. La realtà è più importante dell’idea
  4. Il tutto è superiore alla parte

Mi pare che questi principi, ad una lettura attenta della FT, orientino e animino l’elaborazione del pensiero di Francesco sulla fraternità e l’amicizia sociale e la loro realizzazione storica.  Certamente non si trovano riferimenti puntuali dei quattro principi nel documento, tranne in due casi. Ciò nondimeno essi ne fanno una sorta di chiave ermeneutica. «Questi quattro principi illuminano in profondità lo scopo, il metodo, lo stile e lo sguardo» della FT, scrivono G. Costa e P. Foglizzo [G. Costa, P. Foglizzo, Fratelli tutti: un appello ad «andare oltre» in Aggiornamenti Sociali, novembre 2020, p. 717].

Vorrei enucleare le idee di fondo dell’Enciclica viste nella prospettiva dei quattro principi proponendomi di ‘far parlare’ Papa Francesco attraverso frequenti citazioni dell’Enciclica. È un altro modo di leggere il documento che, senza stravolgere il pensiero del papa, ne vorrebbe far emergere contenuti articolati secondo le indicazioni sopra menzionate.

1. Punti di riferimento ideali

Per dare direzione al ‘sogno’ di «una società fraterna» (FT n.4) e porlo in essere senza l’ossessione di risultati immediati sono necessari punti di riferimento ideali e valori non negoziabili che Francesco espone nell’Enciclica. Tre mi sembrano rilevanti perché formano la struttura ideale di tutti gli sforzi per costruire una fraternità universale: la dignità della persona, la ‘legge dell’estasi’ e la persona creata a immagine di Dio.

Il cuore delle argomentazioni di Francesco e base portante di ogni sforzo per costruire la fraternità è il riconoscimento della dignità inalienabile di ogni essere umano «sempre e in qualunque circostanza» (n. 106). Solo attraverso questa ammissione, sostiene il pontefice, «è possibile accettare la sfida di sognare e pensare ad un'altra umanità. È possibile desiderare un pianeta che assicuri terra, casa e lavoro per tutti» (127).

Vi è, inoltre, un principio fondamentale che rende l’impegno per una fratellanza universale e l’amicizia sociale fattibile: la persona umana, nella sua intima struttura, possiede «una specie di legge di estasi» (n. 88) cioè il bisogno di uscire da sé stessa. Questo dinamismo si esprime nell’amore che la apre «verso la comunione universale» perché «l’amore esige una progressiva apertura, maggiore capacità di accogliere gli altri» (n. 95), spinge «ad andare oltre» e si trasforma in solidarietà «che deriva dal saperci responsabili della fragilità degli altri cercando un destino comune» (n. 115). Un amore, quindi, che supera la tentazione di gruppi autoreferenziali che si contrappongono al mondo intero (n.89) o di gruppi che si associano per determinati interessi: in quest’ultimo caso la parola ‘socio’ è la più indicata a caratterizzare la relazione piuttosto che il termine ‘prossimo’ (n. 102).

Francesco, pur ammettendo che la sola ragione può cogliere l’uguaglianza di tutti gli esseri umani, avverte che essa da sola «non riesce a fondare la fraternità» (n. 272). La ragione ha bisogno di una base sicura che solo una verità trascendente può darle: «la persona umana immagine visibile del Dio invisibile» (273). Perciò diventa insostituibile l’apporto delle religioni alla costruzione della fraternità con il loro riferimento ad una verità trascendente.  Solo un riferimento a Dio, e quindi ad un principio al di là della ragione stessa, può evitare una deriva totalitarista che umilia la dignità della persona e prevenire la tentazione sempre presente di strumentalizzarla (n. 273). 

2. Il tempo è superiore allo spazio (EG nn. 222-225)

Questo principio indica la priorità data alla costruzione di progetti a lunga scadenza contro l’ossessione dei vantaggi immediati. Significa «iniziare processi più che possedere gli spazi» (EG n. 223) - processi dove si privilegiano «azioni che generano nuovi dinamismi nella società», che coinvolgono persone che li accompagnino e che possano sfociare in «importanti avvenimenti storici». Nella EG ‘tempo’ indica una categoria di ampio respiro aperta ad un orizzonte di possibili sviluppi, in contrapposizione all’attenzione univoca al ‘momento presente’ dove si cristallizzano processi e si pretendono di fermarli. (n.223).

È proprio «la mancanza di un progetto con grandi obiettivi per lo sviluppo di tutta l’umanità» (FT n. 16) – corollario di una cultura vuota concentrata sull’immediato, di un mondo iperconnesso ma frammentato dove ciò che conta è l’interesse individuale contro quello comunitario e dove manca un orizzonte di grandi ideali – che il Papa condanna. Però, aggiunge, nonostante “le ombre di un mondo chiuso” vi sono numerosi «percorsi di speranza» (n. 54) incarnati in persone ordinarie che hanno dato o stanno dando la vita per gli altri e che alimentano «la speranza che sa guardare oltre la comodità personale, le piccole sicurezze e compensazioni che restringono l’orizzonte, per aprirsi a grandi ideali che rendono la vita più bella e dignitosa» (n. 55).

La parola ‘processi’, nel vocabolario di papa Francesco, possiede tre elementi distintivi: sono azioni, dilatate nel tempo e apparentemente insignificanti e comuni, che però generano nuovi dinamismi e sprigionano nuove energie di cambiamento; sono portate avanti da persone – non necessariamente influenti dal punto di vista economico-finanziario culturale o politico – che ne seguano la realizzazione e lo sviluppo e, terzo, hanno la capacità di iniziare importanti avvenimenti storici.

Così le trasformazioni possono partire “dal basso” attraverso piccoli gesti concreti e locali: esistono infatti spazi di corresponsabilità dove ognuno è chiamato a dare il suo contributo per generare nuovi processi di cambiamento (nn.78-79); e quando una persona si unisce ad altre può realmente dare vita a processi sociali di fraternità e giustizia (n.180). In tal senso i movimenti popolari, «esperienze di solidarietà che crescono dal basso», sono «seminatori di cambiamento, promotori di un processo in cui convergono milioni di piccole e grandi azioni concatenato in modo creativo» (n.169). Un compito che richiede azioni faticose e “artigianali” è la costruzione della pace sociale dove si cerca di integrare realtà diverse e avviare processi di incontro e di costruzione di un popolo (n.217); perciò grandi cambiamenti nella costruzione della pace «non si costruiscono alla scrivania o nello studio» ma nell’impegno dove «ognuno svolge un ruolo fondamentale» (n.231): «c’è bisogno di artigiani di pace disposti ad avviare processi di guarigione e di un rinnovato incontro con impegno e fiducia» (n.225).  Iniziare processi di trasformazione vale anche per la buona politica quando essa avvia processi i cui frutti saranno raccolti da altri e favorisce nelle persone la capacità di «sprigionare nuove energie relazionali, intellettuali, culturali e spirituali» (n. 196). 

Il buon samaritano è una figura emblematica nel pensiero di Francesco perché dimostra che «la vita non è tempo che passa, ma tempo di incontro» (n. 66): ogni giorno la persone sono chiamate ad una scelta, quella di essere indifferenti o di essere buoni samaritani, di far propria «la fragilità degli altri» oppure persone «che guardano solo a sé stesse e non si fanno carico delle esigenze ineludibili della realtà umana». (nn. 67, 69). Il ‘tempo’ è quello dell’assunzione di responsabilità.

3. L’unità prevale sul conflitto (EG nn. 226-230)

Ci sono due atteggiamenti erronei di porsi di fronte conflitto, sottolinea il papa nella EG: l’atteggiamento di chi apparentemente lo ignora oppure quello che lo alimenta. «Quando ci fermiamo nella congiuntura conflittuale, perdiamo il senso dell’unità profonda della realtà». Francesco propone un terzo modo per affrontare il conflitto: accettarlo, risolverlo e trasformarlo. Tre verbi, quindi, che indicano un percorso, certamente lungo e laborioso, ma il cui esito è una «diversità riconciliata» (n.230), e una «comunione nelle differenze» (n.228); un processo possibile se animato dalla considerazione degli altri nella loro dignità personale.

È nei percorsi di pace e riconciliazione dove il principio che l’unità prevale sul conflitto è particolarmente indicato (n. 245). La vera riconciliazione e il perdono non avvengono al di fuori del conflitto ma dentro il conflitto stesso, spiega il pontefice, «superandolo attraverso il dialogo e la trattativa trasparente, sincera e paziente» (n. 244). Un dialogo che richiede la memoria e la verità e che deve sfociare nella giustizia. Per perdonare e porre la basi della riconciliazione, infatti, è necessaria la memoria anche dolorosa senza cui, però, «non si va mai avanti, non si cresce» (n. 249); è quindi imprescindibile ‘raccontare’ e ‘confessare’ la verità «compagna inseparabile della giustizia e della misericordia» (n. 227) e ‘riconoscere’ il dolore arrecato.  Questa è la strada maestra per giungere ad una vera giustizia che esclude la vendetta ed è ben più dell’impunità: «la giustizia la si ricerca in modo adeguato solo per amore della giustizia stessa, per rispetto delle vittime, per prevenire nuovi crimini e in ordine a tutelare il bene comune, non come un presunto sfogo della propria ira» (n. 252).

Ricerca della verità è l’opposto del relativismo, come «l’individualismo spietato» è anche «il risultato della pigrizia nel ricercare valori più alti» (n.209).  Il papa propone, invece, un incontro costruito sul dialogo che presuppone il rispetto verso «la verità della dignità umana» (n.207). Dialogo che è «avvicinarsi, esprimersi, ascoltarsi, guardarsi, conoscersi, provare a comprendersi, cercare punti di contatto» (n. 198) - di cui le religioni possono dare un «apporto prezioso» (n.271). Solo attraverso il fondamento sicuro e veritativo che «ogni essere umano è sacro e inviolabile» (n.207) è possibile costruire una relazione che non sia manipolabile o inficiata dalla ricerca di interessi di parte.

4. La realtà più importante dell’idea

Francesco formula questo principio per evitare che si corri il rischio «di vivere nel regno della sola parola, dell’immagine, del sofisma» (EG n. 231) in cui l’idea è totalmente avulsa dalla realtà. La vera sintesi comporta invece la relazione armoniosa tra idea e realtà, dove l’idea coglie, comprende e dirige la realtà, e la realtà dà oggettività e concretezza all’idea (EG n. 232). 

Del resto è nelle intenzioni di Francesco che questa Enciclica non si limiti alle parole ma provochi una reazione (n. 6). Per questo l’Enciclica non pretende di essere un trattato sull’amore ma vuole dare indicazioni pratiche affinché la fraternità si incarni in un progetto fattibile. La figura di S. Francesco diventa emblematica: nel suo incontro con il Sultano Malik-al-Kamil in Egitto durante la crociata, egli incarna un amore che supera le differenze di lingua, cultura e religione (n. 3), va al di là dei pregiudizi, delle costruzioni fittizie dell’altro e le delle caricature demonizzanti del nemico.   

L’Enciclica di Francesco cerca di dare soluzioni, presentare proposte, avanzare suggerimenti percorribili perché «l’affermazione che come esseri umani siamo tutti fratelli e sorelle, se non è solo un’astrazione ma prende carne e diventa concreta, ci pone una serie di sfide che ci smuovono, ci obbligano ad assumere nuove prospettive e a sviluppare nuove risposte» (n.128); per questo Francesco cerca di dare delle direttive sia ideali che concrete, per esempio sui movimenti popolari e le istituzioni internazionali, sulla relazione tra politica e economia, sulla guerra e la pena di morte, sui migranti - sia per quanto riguarda le risposte locali che la necessaria governance internazionale - e sul ruolo delle religioni nella costruzione della fraternità.  

Da sottolineare è l’appunto del pontefice sulla democrazia e la politica.  Una democrazia che non ha attenzione ai poveri e al loro apporto alle politiche sociali, rileva il pontefice, è «un nominalismo, una formalità…va disincarnandosi perché lascia fuori il popolo» (n.169).  Così come Francesco critica i politici che sono più attenti al consenso e non hanno uno sguardo «ampio, realistico e pragmatico» sulla situazione del popolo ignorando fenomeni di esclusione sociale ed economica. Tali politici che non si fanno carico «del presente nella sua situazione più marginale e angosciante» rischiano di cadere in «un nominalismo declamatorio con effetto tranquillizzante sulle coscienza» (n. 188). È la politica spettacolo, la politica che favorisce i pochi ricchi a danno dei molti poveri, la politica che non vede le realtà dei quartieri fatiscenti, delle povertà crescenti, dei problemi sociali immani e delle minoranze etniche che non hanno diritti e sono messe ai margini della società.

5. Il tutto è superiore alla parte

L’immagine del poliedro, proposta da Francesco nell’ EG illustra il principio del tutto superiore alla parte perché «riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità» (EG n. 236).

Con questo principio il papa invita ad «allargare lo sguardo per riconoscere un bene più grande che porterà benefici a tutti noi», un bene dove il tutto è più grande della sua parte e maggiore della semplice somma delle sue unità costitutive. Un bene che però deve essere radicato nel reale, nel locale, «nella terra fertile e nella storia del proprio luogo che è storia di Dio. Si lavora nel piccolo, con ciò che è vicino, però con una prospettiva più ampia» (EG n. 235). Le parti, tuttavia, non vengono assorbite nel tutto ma si amalgamano, si connettono le une alle altre conservandone la peculiarità.  

È un limite delle visioni liberali intrise di individualismo per cui «la società è considerata una somma di interessi che coesistono» (n. 163). Sono visioni che considerano il ‘popolo’ una semplice categoria ‘mitica e romantica’ mentre, secondo Francesco, bisognerebbe recuperarne la «valutazione positiva dei legami comunitari e culturali» (n. 163). Di fatto, non c’è «vita privata se non è protetta da un ordine pubblico; un caldo focolare domestico non ha intimità se non sta sotto la tutela della legalità, di uno stato di tranquillità fondato sulla legge e sulla forza e con la condizione di un minimo di benessere assicurato dalla divisione del lavoro, dagli scambi commerciali, dalla giustizia sociale e dalla cittadinanza politica» (n. 164). Il pontefice ribadisce l’importanza dell’organizzazione sociale e delle istituzioni della società civile per tutelare la vita privata. Solo la carità, aggiunge il papa, ha la capacità di unire la dimensione mitica a quella istituzionale, solo la carità può mettere in atto «un cammino efficace di trasformazione della storia» ed essere in grado di «giungere a un fratello e a una sorella lontani e perfino ignorati» (nn.164,165).     

Tra le sfide che Francesco approfondisce ve ne sono due importanti nel mondo d’oggi: quella delle persone migranti e la tensione fra «globalizzazione e localizzazione», tra locale e universale. Per le persone migranti è rilevante notare – e sia detto per inciso – che più di una volta Francesco si riferisce ad esse come ‘persone’– persone migranti, appunto – quasi per risvegliare le coscienze sulla dignità umana del migrante che precede l’essere migrante come condizione contingente e transitoria.  Il papa ribadisce ciò che ha più volte detto e scritto, che le persone migranti vadano accolte, protette, promosse e integrate (n. 129). Tali persone, se integrate attraverso un «dialogo paziente e fiducioso» (n.134), «sono una opportunità di arricchimento e di sviluppo umano integrale per tutti» (n.133): è la sfida di permettere ad una persona di essere sé stessa mentre la si integra in una nuova cultura. Invece «i nazionalismi chiusi manifestano…l’errata persuasione di potersi sviluppare a margine della rovina altrui e che chiudendosi agli altri saranno più protetti» (n.141)

Francesco riserva alcuni numeri dell’Enciclica per illustrare la tensione tra globalizzazione e localizzazione proponendone il superamento perchè «la fraternità universale e l’amicizia sociale all’interno di ogni società sono due poli inseparabili e coessenziali» (n.142).  Se si assolutizza la dimensione locale a scapito di quella globale, commenta il pontefice, i cittadini corrono il rischio di diventare «un museo folkloristico di eremiti localisti…incapaci di lasciarsi interpellare da ciò che è diverso»; mentre se si porta all’estremo la dinamica globale si vive «in un universalismo astratto e globalizzante» (n.142). Ma è proprio nell’incontro tra realtà locali e elementi di altra provenienza che nasce una nuova sintesi: «il mondo cresce e si riempie grazie a successive sintesi che si producono tra culture aperte, fuori da ogni imposizione culturale» (n.148).  

Francesco ripropone la massima utilizzata nell’Enciclica Laudato Sì che esprimeva l’intima relazione tra ambiente e persona, tra politica, economia, migrazioni ed ecosistemi: «tutto è connesso» (n.34). Così nella FT il papa, parlando di una «tragedia globale» come la pandemia di Covid-19, non dubita che questo disastro sia collegato al «nostro modo di porci rispetto alla realtà» in cui si pretende «di essere padroni assoluti della propria vita e di tutto ciò che esiste» (n. 34). Per questo auspica che questa pandemia insegni all’uomo che non ci sono più gli altri ma solo ‘il noi’, che esiste una comunità dove tutti hanno bisogno degli altri e che «l’ossessione per uno stile di vita consumistico» potrà solo portare alla distruzione (n. 36).

Una nutrita schiera di testimoni della fratellanza

Alla fine dell’Enciclica Francesco nomina persone verso cui riconosce di averlo stimolato a riflettere sulla fraternità universale: S. Francesco d’Assisi, Martin Luther King, Desmond Tutu, Mahatma Gandhi e «altri ancora». Ma soprattutto sente di avere un debito di riconoscenza verso una persona che «a partire dalla sua esperienza di Dio, ha compiuto un cammino di trasformazione fino a sentirsi fratello di tutti»: il Beato Charles de Foucauld (n.286). Il desiderio del pontefice è che Charles de Foucauld sia fonte di ispirazione affinché l’ideale della fratellanza universale sia assunto da tutti.

Così, con queste parole prima della preghiera finale, Francesco riconosce ancora una volta che la fraternità è un compito a cui tutti sono chiamati, un compito che si costruisce insieme al di là della propria appartenenza di razza, ceto o religione, un compito che, pur nel travaglio della storia con i suoi rigurgiti di violenza e di egoismo, deve essere sostenuto dall’impegno continuamente rinnovato per i più fragili e fecondato dalla speranza. 
P. Mariano Tibaldo mccj