Con l’Avvento la Chiesa incomincia un nuovo anno liturgico, costituito dalla memoria della vita, della morte e della risurrezione del Signore Gesù. Questi misteri sono ricordati non come avvenimenti ormai lontani, sepolti nel passato. La grazia e il valore di quello che il Signore ha compiuto rimane sempre attuale ed efficace. [...]

Il Signore viene di notte!

Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!
Marco 13,33-47

Con la prima domenica di Avvento inizia l’anno liturgico “B”, durante il quale avremo come guida l'evangelista Marco, particolarmente nelle domeniche del Tempo Ordinario. Nell'arco di dodici mesi rivivremo i misteri della vita del Signore. Ogni ciclo liturgico inizia con il tempo dell'Avvento, costituito da quattro domeniche che ci preparano al Natale.

Avvento, dal latino Adventus, significa venuta. Di quale venuta si tratta? Ci viene spontaneo pensare a quella del Natale. Difatti, ci disponiamo a celebrare la memoria della nascita di Gesù. Ma in realtà il nuovo anno liturgico si innesta nel punto di arrivo di quello precedente, riprendendo l'atteggiamento del cristiano proteso verso il futuro. Dio viene dal futuro! Un futuro che non è da temere, ma da desiderare, perché non è la fine ma il fine della nostra vita, l'adempimento delle sue promesse. Per questo nel vangelo di oggi ascoltiamo la conclusione del discorso escatologico di Gesù secondo il vangelo di Marco. Nella prima domenica di Avvento riecheggia sempre l'ultima invocazione della Chiesa che aspetta il suo Sposo: Maràna tha! Vieni, Signore” (Apocalisse 22,20).

Il cristiano vive nel “frattempo”, tra due venute: la venuta di Cristo nella carne e il suo ritorno nella gloria. Ecco perché la prima domenica di Avvento rinnova l'invito alla vigilanza, ripetuto quattro volte nel vangelo di oggi: Fate attenzione, vigilate!... Il Signore, prima di partire, ha lasciato la propria casa ai suoi servi, affidando a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare! Vegliate, dunque!... E il Signore conclude dicendo: Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!

Una venuta nella notte!

Secondo la tradizione rabbinica ci sono quattro grandi notti: la notte della creazione, quando Dio crea la luce (Genesi 1,3); la seconda notte quando Dio fa l'alleanza con Abramo (Genesi 15); la terza è quella dell'Esodo, della Pasqua della liberazione dalla schiavitù dell'Egitto (Esodo 12,42); la quarta è quella di Israele che aspetta il Messia che viene ad instaurare il nuovo mondo. L'evangelista Marco suddivide questa quarta notte in quattro parti, secondo l'usanza romana: sera, mezzanotte, canto del gallo e mattino.
Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all'improvviso, non vi trovi addormentati”.

Perché Gesù insiste tanto sulla vigilanza? Perché il Signore arriva di notte! Diremmo che Dio predilige la notte, immagine del mistero della sua apparente assenza, per agire nella storia e nella nostra vita. Per questo dobbiamo essere vigilanti per cogliere la visita di Dio e discernere la sua azione. In questa “notte” di Dio, tempo della nostra responsabilità, rischiamo di essere facilmente sopraffatti dal sonno.

C'è la “notte di Dio”, ma anche la nostra! Se la notte di Dio raffigura la sua presenza misteriosa che solo la fede può percepire, cosa rappresenta la nostra “notte”? Il profeta Isaia lo presenta in maniera simbolica molto forte: “Siamo divenuti tutti come una cosa impura, e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia; tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento. Nessuno invocava il tuo nome, nessuno si risvegliava per stringersi a te; perché tu avevi nascosto da noi il tuo volto, ci avevi messo in balìa della nostra iniquità” (prima lettura).

Ognuno di noi, poi, ha la sua “notte”. La notte della malattia, della sofferenza, della solitudine, della paura del futuro, dei rapporti familiari incrinati, della precarietà, del peccato, della stanchezza, dell'insoddisfazione, della delusione, dello scoraggiamento... Dio viene nella notte per abitare ed illuminare le nostre lunghe notti di inverno!

Ordina al tuo portiere di vegliare!

E ha ordinato al portiere di vegliare!” Chi è questo portiere? Gesù si riferisce certamente ai responsabili della comunità, ma possiamo applicarlo anche a noi. Il portiere è la coscienza del cristiano che, particolarmente in questo tempo di Avvento, è chiamata alla vigilanza per discernere l'arrivo del Signore. Tante cose, sentimenti, realtà, persone, sollecitazioni, desideri... bussano alla porta del nostro cuore. Il “portiere” deve stare attento a non lasciare entrare il nemico che porta semi di morte. San Paolo ci avverte che “anche satana si può mascherare da angelo di luce” (2Corinzi 11,14). Il “portiere” deve aprire, invece, a quanto è sorgente di nuova vitalità e percepire, soprattutto, i segni dell'arrivo del Signore“Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me  (Apocalisse 3,20). Non siamo tanto noi ad andare al suo incontro quanto piuttosto lui a venire verso di noi. Per questo Isaia, nella prima lettura, invoca la sua venuta: “Ritorna per amore dei tuoi servi, per amore delle tribù, tua eredità. Se tu squarciassi i cieli e scendessi!”

Riflessione per la settimana

Si avvicina la festa dell'Immacolata, l'8 dicembre. La Vergine Maria è la figura tipica del tempo di Avvento. Vi invito a meditare questa preghiera di don Tonino Bello.

Santa Maria, Vergine dell’attesa, donaci del tuo olio perché le nostre lampade si spengono. Vedi: le riserve si sono consumate. Non ci mandare ad altri venditori. Riaccendi nelle nostre anime gli antichi fervori che ci bruciavano dentro, quando bastava un nonnulla per farci trasalire di gioia...

Se oggi non sappiamo attendere più è perché siamo a corto di speranza. Se ne sono disseccate le sorgenti. Soffriamo una profonda crisi di desiderio. E, ormai paghi dei mille surrogati che ci assediano, rischiamo di non aspettarci più nulla neppure da quelle promesse ultraterrene che sono state firmate col sangue dal Dio dell’alleanza...

Santa Maria, vergine dell’attesa, donaci un’anima vigiliare. Spesso ci sentiamo purtroppo più figli del crepuscolo che profeti dell’avvento. Sentinella del mattino, ridestaci nel cuore la passione di giovani annunci da portare al mondo, che si sente già vecchio. Portaci, finalmente, arpa e cetra, perché con te mattiniera possiamo svegliare l’aurora.

Di fronte ai cambi che scuotono la storia, donaci di sentire sulla pelle i brividi dei cominciamenti. Facci capire che non basta accogliere: bisogna attendere. Accogliere talvolta è segno di rassegnazione. Attendere è sempre segno di speranza. Rendici, perciò, ministri dell’attesa. E il Signore che viene, vergine dell’Avvento, ci sorprenda, anche per la tua materna complicità, con la lampada in mano”.

P. Manuel João Pereira Correia, mccj
Verona, dicembre 2023

Andiamo incontro al Cristo che viene

Is 63,16-17.19;64,1-7; Sl 79; 1Cor 1,3-9; Mc 13,33-37

Con l’Avvento la Chiesa incomincia un nuovo anno liturgico, costituito dalla memoria della vita, della morte e della risurrezione del Signore. Gesù. Questi misteri sono ricordati non come avvenimenti ormai lontani, sepolti nel passato. La grazia e il valore di quello che il Signore ha compiuto rimane sempre attuale ed efficace.

L’Avvento ha una doppia caratteristica: è tempo di preparazione alla solennità del Natale, in cui si ricorda la prima venuta di Dio fra gli uomini, e contemporaneamente è il tempo in cui, attraverso tale ricordo, lo spirito viene guidato all’attesa della seconda venuta del Cristo alla fine dei tempi. Sotto entrambi i punti di vista, il tempo di Avvento è un tempo di devota e gioiosa attesa.

La vita del cristiano è un cammino incontro al Signore. La Chiesa è la Sposa che attende il suo sposo Gesù. Siamo dei pellegrini su questa terra, non dobbiamo distrarci e dissiparci, perdere la memoria del nostro Signore Gesù Cristo e attardarci per via.

Con questa prima domenica di Avvento inizia la lettura del secondo vangelo, quello di Marco, il vangelo più breve ed essenziale che ci costringe a prendere posizione. La pagina odierna è la sezione finale del discorso testamentario di Gesù ispirato al modello letterario apocalittico. Si tratta della conclusione del suo discorso prima di avviarsi verso la sua passione e morte con un insistente invito rivolto ai discepoli: “State attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento preciso… Vegliate dunque… Quello che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate”. Queste esortazioni sono quindi rivolte a tutti i lettori ed ascoltatori del Vangelo.

Lo scopo del discorso è di esortare i destinatari del brano e tutti i cristiani alla fiducia e alla perseveranza nel tempo dell’attesa della venuta del Signore. Non facciamo calcoli sul nostro domani: sarebbe imprudente. Bisogna essere sempre pronti, preparati ad incontrare il Signore: quando meno ce l’aspettiamo potrebbe venire il Signore a prenderci. Bisogna essere operosi e fedeli come dei servitori a cui il padrone abbia affidato, prima di partire, un compito preciso. Può giungere all’improvviso, a qualsiasi ora.

I cristiani con la chiamata battesimale vivono sempre nell’attesa della venuta del loro Signore. Non possono abbandonarsi al sonno, perché il loro Signore può tornare a qualsiasi ora: “alla sera, a mezzanotte, al canto del gallo, al mattino”. Queste quattro divisioni del tempo indicano la vigilanza che dovrebbe prolungarsi per tutta la notte. Il mistero di Cristo viene presentato nella cornice di un’esistenza normale e non rientra nelle categorie del divertimento, dell’evasione, ma ci inserisce nella dimensione dell’impegno.

Anche Paolo nella prima lettura invita i cristiani di Corinto alla fiducia e coerente perseveranza nell’attesa della “manifestazione del Signore”.

Nella prima lettura, da Isaia, si tratta di una lamentazione collettiva di fronte alle “rovine di tutto ciò che formava la delizia del popolo”. Si può dire che fin dall’inizio, il popolo di Dio, con l’umanità intera, abbia rivolto l’implorazione: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi, o Signore!”. A quest’appassionata domanda, Dio ha risposto con un dono sorprendente: il suo stesso Figlio fatto uomo. Infatti, le letture veterotestamentarie dei tre anni (A, B e C) del ciclo liturgico sono tratte dal libro del profeta Isaia. Esse descrivono il regno di pace del Messia, nel quale egli radunerà tutti i popoli della terra, invocano la sua venuta e promettono il “germoglio messianico di Davide. Si tratta della realtà della presenza del Dio fedele che si manifesta a Natale e che prepariamo col tempo dell’Avvento. Isaia si fa portavoce della fede tradizionale ispirata dalla logica dell’Esodo e dell’Alleanza. Dio salva e benedice quanti restano fedeli alle clausole di alleanza. Si tratta, in altre parole, di riconoscere Dio che si fa incontro “a quanti praticano la giustizia e si ricordano delle sue vie”. È in questo modo che dobbiamo preparare la venuta del Signore.
Don Joseph Ndoum

Avvento:
tempo propizio per la Missione

Isaia 63,16-17.19; 64,2-7; Salmo 79; 1Corinzi 1,3-9; Marco 13,33-37

Riflessioni
All’inizio del nuovo anno liturgico, la Chiesa lancia un forte invito alla vigilanza e alla speranza, che sono atteggiamenti caratteristici del tempo di Avvento. Nel nuovo ciclo (B), che oggi comincia, sarà soprattutto l’evangelista San Marco ad offrirci, domenica dopo domenica, i passi del “Vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio” (Mc 1,1). Nel breve brano di Vangelo di oggi appare per ben quattro volte il comando di vegliare, come condizione necessaria per incontrare il Signore al momento del suo ritorno (v. 35). L’attesa sarà appagata, non resterà un’illusione. Sarà una venuta a sorpresa, ma certa.

La liturgia ci fa vivere in attesa del Signore che ritornerà, facendoci rivivere efficacemente la Sua prima venuta nel Natale. Non sarà un ricordo teorico o nostalgico. È questa, infatti, la forza speciale dei sacramenti della Chiesa, che rendono presenti oggi i misteri cristiani che ebbero luogo nel passato. In questo modo, la storia è pienamente recuperata e diventa storia di salvezza nell’oggi di ogni cristiano. Ma ad una condizione: che l’attesa diventi attenzione al Signore che viene; cioè, preparazione paziente di un cuore ben disposto e purificato. San Paolo (II lettura) invita i fedeli di Corinto a vivere in attesa vigilante, mentre “aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo” (v. 7). Ci sostiene la certezza che “degno di fede è Dio”, il quale ci chiama “alla comunione con il Figlio suo Gesù Cristo” (v. 9) e ci renderà “saldi sino alla fine” (v. 8).

Soltanto chi ha coscienza della propria fragilità, personale e comunitaria, e si apre con umile fiducia a Dio, può ricevere da Lui la salvezza come dono. Ne dà prova il profeta (I lettura) in una delle più appassionate preghiere bibliche, nate nella sofferenza e nell’umiliazione dell’esilio a Babilonia. C’è la coscienza di aver vagato lontano dalle vie del Signore (v. 17), di essere stati ribelli (v. 4); c’è la coscienza che il peccato ci ha resi tutti “come una cosa impura, e come panno immondo… avvizziti come foglie… portati via come il vento… in balia della nostra iniquità” (v. 5-6). Anche in mezzo ad uno squallore così miserabile, il profeta, all’inizio e alla fine della sua preghiera, ha il coraggio di gridare a Dio la sua speranza, invocandolo come Signore, Padre, Redentore (v. 16); lo invita a ritornare per amore dei suoi servi (v. 17), a squarciare i cieli e scendere (v. 19). Finalmente, l’orante si mette come argilla disponibile nelle mani del Padre, che è l’unico capace di plasmarci, di darci nuovamente forma (v. 7). Il Padre è sempre desideroso e felice di ri-crearci, di crearci nuovamente, di farci nuovi.

Il profeta presenta un quadro che rispecchia la situazione attuale dell’umanità, che spesso vaga lontano dalle vie del Signore, immersa nel male e nel peccato, bisognosa di un Salvatore che venga da fuori, perché l’uomo è incapace di salvarsi da solo. Tutti abbiamo bisogno di Qualcuno che ci venga a salvare! Noi cristiani, che già crediamo in Cristo, attendiamo il ritorno del nostro Salvatore Gesù, mentre i non cristiani - che sono ancora la maggior parte dell’umanità (circa due terzi) - attendono la Sua venuta, cioè il primo annuncio di Cristo Salvatore. Per tale motivo, l’Avvento è un tempo liturgico assai propizio per risvegliare e rafforzare nei cristiani la coscienza della responsabilità missionaria, dato che l’Avvento ci riporta al tempo “dell’attesa dell’umanità”. Lo raccomandava già il Papa Pio XII nel 1957, invitando alla preghiera e all’impegno missionario. (*) Ce lo ricorda ogni anno, all’inizio dell’Avvento, S. Francesco Saverio, ardente missionario nell’Estremo Oriente e patrono delle Missioni. (vedi 3 dic).

L’Avvento è un viaggio della speranza. “State attenti…vegliate…vigilate… sperate…non addormentatevi…” sono i verbi che ci accompagneranno per tutto il periodo di Avvento. Speranza, pazienza, vigilanza… sono atteggiamenti tipici del cristiano, che nell’Avvento si prepara all’incontro - quotidiano e definitivo - con il Signore che viene. Vi sono preghiere proprie di questo tempo liturgico, cariche di gioiosa speranza: «Amen. Marana tha! Vieni, Signore Gesù” (Ap 22,20). -  Rivela a noi pellegrini sulla terra il senso cristiano della vita. - Ravviva in ognuno di noi il fuoco della missione, perché con gioia sappiamo proclamare al mondo il tuo amore di Padre. -  Suscita in noi la volontà di andare incontro con le buone opere al tuo Cristo che viene». Fra queste buone opere ci sono, in primo luogo, quelle indicate da Gesù stesso nella parabola del giudizio finale (vedi il Vangelo di Cristo Re): dar da mangiare a chi ha fame, acqua a chi ha sete, vestito a chi ha freddo, accogliere i forestieri, visitare malati e i carcerati… Con la certezza che in queste persone bisognose troviamo Cristo stesso che ci viene incontro, perché Lui ci ha detto: “ogni volta che… l’avete fatto a me” (Mt 25,40).

Parola del Papa

(*) “Desideriamo che per questa intenzione missionaria si preghi di più e con un più illuminato fervore… Soprattutto pensiamo al tempo d’Avvento, che è quello dell’attesa dell’umanità e delle vie provvidenziali di preparazione alla salvezza… Pregate dunque, pregate di più. Ricordatevi degli immensi bisogni spirituali di tanti popoli ancora così lontani dalla vera fede, oppure così privi di soccorsi per perseverarvi”.
Pio XII
Enciclica Fidei Donum, 21.4.1957

P. Romeo Ballan, mccj

Di una sola cosa c’è bisogno

«Fate attenzione, vegliate». È un’indicazione vitale in questa epoca anestetica, distratta, sbadata. Siamo nel tempo del multi-tasking, della frammentazione, della disattenzione. Guidare e rispondere al telefono, dialogare con qualcuno e intanto appuntarsi altro, mangiare guardando la televisione e dimenticare i commensali…

Una generazione cresciuta con voci di sottofondo, con la musica nell’ascensore. Si arriva a mettere la musica nelle chiese per creare “ambiente”. Come se il silenzio non bastasse. Come se per dire a tuo figlio che gli vuoi bene tu abbia bisogno della base musicale sennò non ti riesce… Una cosa che bisogna insegnare quando si introduce qualcuno all’arte della preghiera è di iniziare con un atto di presenza. Bisogna mettersi al cospetto del Padre, realizzando chi è Lui ed essendo, contemporaneamente, “presenti a sé stessi”.

Questa indicazione è nascosta nel dettaglio consegnato da Gesù quando dice: «Entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto» (Mt 6, 6). Per pregare bisogna prima chiudere la porta, bisogna diventare irreperibili per altro che per il Padre. Questo è vero in ogni atto di amore: non si possono fare le cose con la testa altrove, perché l’amore è fatto di attenzioni. Tutto ciò richiede semplicità, povertà.

Nella vita spirituale c’è, infatti, il preziosissimo tema dell’unificazione: seguire il Signore implica un processo mai concluso di ri-orientamento alla santa volontà di Dio che è intessuto di rinunce, di distacchi. Non è una questione di perdite ma di pieno possesso dei propri atti, di liberazione dalle zavorre, di maggior libertà per camminare nella luce senza ambiguità.

Questo è un atto eminentemente battesimale. Nei primissimi secoli si entrava nudi nell’acqua del Battesimo, dopo aver rinunziato al Maligno e aver professato la fede. Bisogna liberarsi da ciò che impedisce di amare. C’è sempre qualcosa a cui bisogna chiudere la porta in faccia, qualcosa di cui non preoccuparsi perché di una sola cosa c’è bisogno.
[Fabio Rosini – L’Osservatore Romano]