Padre Vittorio Farronato, comboniano nella RD. Congo: “L’Africa dei bambini”

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Venerdì 25 febbraio 2022
La missione è fatta di una casa dove abitano i preti e di un mondo vasto che sta fuori. Essere missionari vuol dire pendere verso l’esterno, andare nel mondo che sta fuori. Sulle piste di foresta si va in moto, sperando di tornare a casa interi. Attraversando i villaggi è tutto un coro di bambini che gridano “Mope! Mope!” Viene dal francese mon père e vuol dire padre.

Non ci confondono con le tante moto che passano, trasportando sacchi di riso o tre – quattro persone per volta. I grandi che non fanno tifo per un reverendo si lasciano trascinare dall’allegria dei bambini. Lo prendo come un dono di incoraggiamento, l’osanna dei bambini di Gerusalemme.

A Yanonge giro a piedi. Dico agli amici: “Un albero sai dove trovarlo, è sempre al suo posto; io sono come le capre, sempre in giro”. Bisognerebbe avere l’odore delle pecore, ha detto il Papa. Mentre cammino prego il Signore che i miei passi raccontino il Dio che ci cerca e si mette dove noi siamo: tocca a Lui dirlo nel cuore. Magari so dove sto andando, ma per strada entro in tanti cortili a salutare questo, ascoltare quello, scambiare un saluto e una simpatia. Yanonge è fatta di quartieri con la loro storia e il loro capo villaggio. Era base di raccolta di schiavi, gli ultimi sono stati liberati e sistemati secondo la tribù e la provenienza; poi sono arrivati i lavoratori dell’epoca coloniale; adesso tutti si danno da fare per cavarsela. Arrivare a sera è già una vittoria.

Ma stavolta parliamo di bambini. Bangilima è un quartiere lungo la “strada” che entra in foresta costeggiando il fiume Congo. Ci sono capanne a destra e a sinistra, i grandi in maggioranza sono i foresta a far campi. Le donne tornano cariche di legna e di manioca, un po’ per vendere e un po’ per mangiare. I bambini sono dappertutto e di tutte le misure: il mondo non finirà presto. Gridano “Mópeee” e corrono a darmi la mano: fare contatto fisico sembra loro far passare simpatia e vita. Ma oggi mi seguono dappertutto, anche il pallone di stracci del Barzelona resta per terra. Cortile per cortile, è una piccola riunione. Prima di dire le cose che ho preparato per i grandi bisogna dar tempo ai bambini.

C’è la mamma che prepara da mangiare. Ricordiamo le parole di Gesù (in lingua locale): “Padre nostro, dacci oggi il nostro cibo di ogni giorno”, e loro ripetono. Aggiungo: “Perché quello mangiato ieri l’abbiamo già dimenticato”. C’è la pentola di terracotta sul fuoco; racconto: “La mamma ha visto che l’acqua l’aiuta tanto, e se l’è portata a casa; ha visto che il fuoco l’aiuta tanto, e se l’è portato a casa. Niente da fare, i due non vanno d’accordo. Allora Dio ha dato alla mamma l’idea: di farsi un recipiente di terracotta. L’acqua sopra e il fuoco sotto, non baruffano più”. Più avanti un papà sta costruendo la capanna: “Vedete? L’antilope nel bosco non sa farsi la casa, ma il papà la costruisce, e noi ci stiamo dentro volentieri, è il rifugio della notte”. Altrove vediamo una vecchia bicicletta cinese, per andare distante e portare di tutto. “Ecco, un papà aveva pensato: invece di camminare sempre, mi faccio un arnese con le ruote. Ma quando ha messo una ruota davanti e una dietro, in fila, tutti ridevano perché sarebbe caduto; lui invece ci va sopra, in discesa, tutto in equilibrio. Poi si è fatto furbo e ha messo i pedali”. “Io ho visto una moto”. “Vedi? Invece di pestare sui pedali, Dio ha dato l’intelligenza per inventare il motore, e la moto va da sola, tu ci stai seduto sopra come il capo”. “E io ho visto un camion!” “Invece di far portare tutti i pesi sulla schiena della mamma, Dio ha insegnato alla gente di fare un camion, e un uomo si siede davanti e si tira dietro tutto un carico”.

Ma io oggi volevo parlare coi grandi di catecumenato, di catechismo, di passare a benedire le famiglie, così racconto storie di Vangelo. Gesù veniva dalla valle di Gerico e saliva la montagna verso Gerusalemme. Non c’erano alberi, lì non c’è la foresta, solo il sole sulla testa. La sera, al villaggio di Betania, mamma Marta vede Gesù che passa; è stanco, la polvere si è attaccata al sudore. Subito mamma Marta lo invita, gli dà da bere, gli dice di restare. Accogliere Gesù va bene, ma con lui c’è mezza tribù di beduini, bisogna accogliere anche loro, cercare acqua per lavarsi i piedi, e preparare da mangiare, e la stuoia per la notte: mamma Marta ha tanto da fare. Invece sua sorella Maria sta seduta ai piedi di Gesù, gli piace ascoltare che Dio ha tanto amato il mondo da dare suo figlio. Marta la vede che non fa niente e la rimprovera. Gesù difende Maria, e dice: “Marta, tu lavori tanto, come mia mamma a Nazaret, come tutte le mamme del villaggio; fate questo per amore. Anche tua sorella mi ha accolto con amore. Tu mi hai accolto in casa, lei mi ha accolto nel cuore; se vi mettete insieme, siete come due sorelle gemelle”.

Coi bambini bisogna cantare. Allora nel cortile di mamma Sara dico: “E adesso cantiamo. Chi è capo coro?” “Io. Io!” Sara sa anche le strofe, e tutti cantano, mettendoci l’anima. Il sole tramonta, meglio tornare a casa, c’è la pentola sul fuoco. “Che cosa ci ha insegnato Gesù?” “Papà, dacci oggi il nostro cibo di ogni giorno”. “Giusto. Per fare questo, Dio vi ha messo vicino papà e mamma. Il bambino è il campo che Dio e i genitori coltivano insieme. Adesso preghiamo (e qui si mettono le mani sugli occhi per non distrarsi): “O Dio, metti la salute nel corpo, la gioia nel cuore, la polenta nella pentola”. E tutti gridano: “Amen!”
P. Vittorio Farronato