Lunedì 16 maggio 2022
Sabato scorso, 14 maggio, festa di San Mattia apostolo, a Mongo, capoluogo della provincia del Guera (nord-est del Ciad), è stato celebrato il XX anniversario di erezione del Vicariato Apostolico di Mongo, che comprende sei parrocchie sparse su un territorio che copre la parte nord-orientale del paese, affidate alla cura pastorale dei missionari Gesuiti, Saveriani, Comboniani, alcuni sacerdoti Fidei Donum e locali, con una presenza significativa di comunità religiose femminili nelle città.

La storia del Vicariato Apostolico di Mongo affonda le sue radici nell’evangelizzazione del Guera e dell’Ouddai, portata avanti, a partire dagli anni ’50, dai Gesuiti. Come ha ricordato il Vicario Apostolico, Mons. Philippe Abo Chen, questi pionieri dell’evangelizzazione hanno con pazienza e coraggio affrontato situazioni molto difficili che hanno dato come frutto una piccola e varia comunità cattolica sparsa su un territorio vasto e influenzato socialmente, culturalmente ed economicamente dall’islam.

Nonostante ciò, vi è stata una risposta positiva all’evangelizzazione e promozione umana, da parte di alcuni gruppi etnici come, per esempio, gli Hajerai, popolazione della zona montuosa del Guera, dove si erano rifugiati per sfuggire alle razzie dei mercanti di schiavi provenienti dall’Ouddai. Altre etnie numericamente piccole occupano questo territorio dove, in centri come Dadwar, Baro e Bitkin, i Gesuiti hanno dato vita, grazie alle scuole e ai dispensari, a un’azione di promozione umana accanto all’annuncio del Vangelo accolto sì ma che si è scontrato con le culture locali tradizionali e con l’islam.  

Sia il Guera che l’Ouddai sono islamizzati da lunga data, essendo Abéché la località più importante dal punto di vista religioso e culturale, situata com’è alla frontiera col Sudan; di conseguenza, sia i traffici commerciali che di altra natura, vi giocano un ruolo importante. Qui, nel corso degli anni, soprattutto dopo l’indipendenza, la presenza di funzionari (insegnanti, militari, dipendenti dell’amministrazione pubblica e, più recentemente, personale delle organizzazioni umanitarie che si prendono cura degli sfollati Sudanesi) provenienti dal Ciad meridionale, in prevalenza cristiani, ha cambiato il volto del panorama religioso di Abéché. L’islam è prevalente ma la comunità cristiana è ben viva tanto da far nascere, nel 1959, la parrocchia di Santa Teresa del Bambin Gesù, con le sue comunità satelliti che coprono un territorio enorme, confinante col Sudan e con la Repubblica Centrafricana a nord-est e la Libia verso nord.

Si comprende facilmente come l’evangelizzazione del Vicariato Apostolico di Mongo abbia conosciuto (e conosca tuttora) una serie di problemi che ne rallentano la marcia. Per esempio, una cosa è l’evangelizzazione delle città (Abéché, Mongo, Bitkin, Biltine), altra cosa è l’evangelizzazione delle zone rurali, dove le grandi distanze, la ridotta presenza dei cattolici, immersi in un contesto musulmano, e il peso della tradizione a volte impediscono l’accoglimento del Vangelo. Un problema grave è la scarsità del clero: in realtà, solo il Vicario Apostolico e un giovane sacerdote sono originari del Vicariato, gli altri sacerdoti sono missionari e/o Fidei Donum, come per esempio un sacerdote della diocesi di N’djamena che lavora e vive a Mongo.

Mons. Philippe, rendendo omaggio ai pionieri dell’evangelizzazione del Vicariato, ha ricordato che è tempo di coinvolgere maggiormente le comunità cattoliche in vista di un’autosufficienza ministeriale ed economica rispettosa della comunione ecclesiale, valorizzando le potenzialità locali. È una sfida pastorale da accogliere perché la Chiesa famiglia di Dio del Vicariato – che vive, testimonia e annuncia il Risorto – sia in grado di far fruttificare i semi del Vangelo sparsi dai pionieri con tanta fatica e abnegazione.

È, inoltre, una sfida che riguarda molto da vicino noi missionari, forse fin troppo abituati a “far piovere” risorse umane ed economiche piuttosto che camminare pazientemente e lentamente con la gente. La Chiesa è chiamata a essere presente nelle periferie dell’umanità, a essere quell’ospedale da campo evocato da Papa Francesco, ad annunciare la gioia del Vangelo, uscendo, andando oltre le sicurezze umane.

In una situazione complessa quale quella del Ciad, la presenza, la vita e la testimonianza della Chiesa cattolica hanno un’importanza particolare soprattutto in zone del paese – come il Guera e l’Ouddai – dove l’islam gioca un ruolo socio-religioso ed economico molto importante. Le comunità cattoliche del Vicariato Apostolico di Mongo, nella loro diversità etnica e culturale, sono un segno, sono testimoni della cattolicità, dell’universalità, dell’essere famiglia di Dio in situazioni umanamente difficili.

Non è tutto oro quello che luccica, ne siamo ben consapevoli. L’occasione del Ventennale ci ha permesso di riflettere sul cammino da fare, perché il passaggio generazionale – dai pionieri, dai testimoni a quanti oggigiorno sono impegnati, pregano e vivono l’evangelizzazione – al di là delle nostalgie, sia una presa di coscienza delle responsabilità che abbiamo, a vari livelli, nel vivere, testimoniare, annunciare Gesù Risorto e far crescere la famiglia di Dio in questa parte del Ciad.
Fr. Enrico Gonzales, mccj
Abéché maggio 2022