I missionari comboniani in Sud Sudan: “Siamo nati per l’Africa”

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Mercoledì 1 febbraio 2023
«La nostra prima attività è l’evangelizzazione con la promozione umana»: afferma padre Louis Tony Okot [nella foto], fino a pochi giorni fa (31 dicembre 2022) superiore provinciale dei missionari comboniani in Sud Sudan. Una missione, quella africana, dei missionari comboniani, mai interrotta dal lontano 1849, quando san Daniele Comboni (1831-1877), consacrò la sua vita all’Africa, realizzando un progetto che lo porterà più volte a rischiare la vita in estenuanti spedizioni missionarie fin dal 1857, anno in cui va per la prima volta nel continente.

Fedele al suo sogno, nonostante le difficoltà, nel 1867 fonda l’Istituto dei missionari comboniani. «Attualmente noi comboniani in Sud Sudan — aggiunge padre Okot — svolgiamo la nostra missione nelle diocesi di Juba, Yei, Rumbek, Wau e Malakal. Non è escluso comunque che sulla scia del nostro fondatore Comboni, più avanti si possano raggiungere altre realtà del territorio sudanese». E aggiunge Okot: «Visitando le nostre missioni si possono apprezzare l’impegno a favore della predicazione della parola di Dio, nella vita sacramentale, nella formazione di catechisti e laici, nella pastorale giovanile, nell’educazione, nella sanità, nella giustizia, nella pace e nel rispetto integrale del creato e nella formazione dei sacerdoti».

Tuttora sulla scia e nella fiducia che gli africani sarebbero divenuti essi stessi protagonisti della loro evangelizzazione, secondo il progetto di Comboni di «salvare l’Africa con l’Africa» (Piano del 1864), il carisma di san Comboni è radicato e organizzato tra le diocesi sudanesi, dove ci sono tra gli altri due vescovi a Rumbek e a Wau, più ventitré sacerdoti. E lo stesso Comboni che per gli africani spese tutte le sue energie e si batté per l’abolizione della schiavitù, nel 1877 venne ordinato vescovo e nominato vicario apostolico dell’Africa Centrale. Un figlio di poveri giardinieri-contadini del bresciano, il primo vescovo cattolico dell’Africa Centrale e uno dei più grandi missionari nella storia della Chiesa.

Oltre al ramo maschile, dal 1903 c’è la presenza anche delle suore comboniane. «Questa è la nostra terra — sottolinea Okot — e siamo nati per l’Africa, anche se siamo presenti in diverse parti del mondo per rispondere appunto alle esigenze del momento. Le nostre amate suore comboniane lavorano in cinque diocesi nel Sud Sudan: Malakal, Wau, Juba, Rumbek e Tombura-Yambio e si occupano prevalentemente di pastorale, istruzione e sanità».

Lo spirito missionario comboniano di pace, unità e riconciliazione è lo stesso spirito di Papa Francesco che nei prossimi giorni visiterà il Sud Sudan. «Questa visita del Santo Padre, dove sarà presente anche il nostro superiore generale padre Tesfaye Tadesse Gebresilasie, è importante perché ha il tono di riconciliazione e di promozione della pace e della convivenza; abbiamo desiderato la pace e la riconciliazione. E questo — aggiunge Okot — è iniziato quando il Papa a Roma ha benedetto e baciato i piedi dei nostri leader. Sento e confido che questa visita, così unica, contribuirà alla nostra conversione individuale e collettiva. Le persone sono entusiaste e lo stanno aspettando. Ringraziamo Papa Francesco per ricordarci e tenerci costantemente nelle sue preghiere. Credo che Dio ascolterà i suoi debitori anche se la risposta potrebbe ritardare, ma sicuramente porterà frutti».

Ora come in ogni missione della famiglia comboniana, anche in Sud Sudan molte sono le opere realizzate nei decenni. Ma forse, la cosa più importante e significativa da sottolineare è proprio la continua presenza e la fedeltà alla missione della famiglia comboniana in una situazione così difficile. «Che nessuno si ritiri!», aveva chiesto don Francesco Oliboni (1825-1858), moribondo, a Comboni e ai suoi compagni nel 1858 a Santa Croce, sull’Alto Nilo Bianco. Comboni tenne fede alla promessa. I suoi figli e figlie continuano la sua opera ancora nel 2023. «Daniele Comboni ha visto giusto. La sua opera non è morta; anzi, come tutte le grandi cose che “nascono ai piedi della croce”, continua a vivere grazie al dono che della propria vita fanno tanti uomini e donne che hanno scelto di seguire il Comboni sulla via dell’ardua ed entusiasmante missione tra i popoli più bisognosi di fede e di solidarietà umana» (san Giovanni Paolo ii).

Roberto Cutaia
L’Osservatore Romano