Ricordando mons. Cesare Mazzolari: “Trent’anni in questa terra con l’assillo della pace”

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Mercoledì 1 febbraio 2023
Cesare Mazzolari, nato nel 1937, missionario comboniano, è stato vescovo di Rumbek, oggi in Sud Sudan, dal 1990 al 2011, anno della sua morte. “Padre Cesare, adesso che hai del tempo lassù,… offri una preghiera in più. Perché questo pellegrinaggio ecumenico di pace doni al tuo Sud Sudan quello shalom che Francesco continua a invocare con instancabile coraggio, sul tuo Paese di adozione e su ogni nazione del mondo”, scrive Lorenzo Fazzini in una lettera speciale, in ricordo di mons. Mazzolari [a sinistra nella foto, con il Cardinale Gabriel Zubeir Wako, Arcivescovo emerito di Khartoum (Sudan). L’Osservatore Romano]

Una lettera speciale in ricordo di monsignor Mazzolari

Caro padre Cesare,
non vorrei disturbare la tua festa celeste, perché so che sicuramente sarai nel Regno dell’Altissimo a danzare con le tante e i tanti tuoi fratelli cristiani con i quali hai condiviso decenni di vita missionaria nel Sudan, dove sei stato fedele discepolo di san Daniele Comboni. Epperò, magari, proprio perché impegnato nelle lodi festose del Paradiso, ti sei perso la notizia dell’anno per il tuo Paese d’adozione, quel Sud Sudan che hai visto nascere dopo anni e anni di travagliata guerra civile; e poi hai “battezzato” in quello spettacolare giorno dell’indipendenza — era il 9 luglio del 2011, ricordi? (en passant, non sarebbe male che qualcuno studiasse quei “padri della patria” che sono stati per vari Paesi del sud del mondo certi religiosi, un nome tra gli altri Settimio Ferrazzetta, per lungo tempo presule in Guinea Bissau).

Orbene, caro padre Cesare, sì, te la dobbiamo proprio dire che ora abbiamo la notizia dell’anno per il tuo amato Sud Sudan: Papa Francesco verrà presto in Sud Sudan! Verrà proprio nel Paese dove sei arrivato la prima volta nel 1981, reduce dagli studi e dal lavoro tra gli afroamericani di Cincinnati. Avevi iniziato ad essere missionario nella diocesi di Tombura-Yambio e poi a Juba, la capitale del nuovo Stato, proprio dove Papa Francesco sarà in un pellegrinaggio ecumenico di pace con l’arcivescovo di Canterbury e il moderatore dell’assemblea generale della Chiesa di Scozia.

Già, la pace. È stato il tuo assillo, la tua preoccupazione, la tua lotta quotidiana per i 30 anni in cui sei stato in Sudan del Sud, soprattutto per i 21 anni in cui sei stato il presule di Rumbek, diocesi di 5 milioni di abitanti grande quanto Lombardia e Veneto insieme. La guerra civile che opponeva il nord al sud, desideroso di indipendenza. E proprio sotto le bombe hai costruito scuole e dato istruzione a cinquantamila giovani ai quali hai restituito un futuro. Come quella ragazza di cui mi parlasti con gli occhi lucidi di emozione, mentre guidavi la tua Jeep sulle piste sconnesse della savana africana: una ragazza schiavizzata, che liberasti pagando di tasca tua il riscatto, facendola studiare fino alla laurea all’Università di Oxford. Vicende, queste, che sembrano sceneggiature di un film. E che convinsero un mostro sacro del giornalismo italiano come Enzo Biagi, dopo averne sentito qualcuna, a prendere un aereo e percorrere le varie peripezie per planare da te, a Rumbek, su un bimotore, per ascoltare dalla tua viva voce che il Vangelo fa sempre notizia. E rigenera ogni vita infranta e ogni storia ingarbugliata.

Abitavi in una casupola che ai visitatori che atterravano sulla pista di terra dell’aeroporto locale non sembrava un episcopio, ma qualcosa di più simile a un pollaio, tanto eri solidale con la tua gente, ferita in dignità e futuro da una povertà endemica su cui soffiava forte il vento dell’avidità verso le ricchezze del sottosuolo, petrolio in primis. E ora che l’indipendenza è stata raggiunta, le tensioni interetniche sulle quali spesso hai invocato riconciliazione e perdono hanno dato origine a nuovi conflitti e rinnovata violenza. Per le quali Papa Francesco, con un gesto inusitato e profetico — quando un anziano si inginocchia davanti a qualcuno, secondo la cultura africana, questo si dovrà sentire moralmente obbligato verso di lui — ha chiesto e invocato pace e pace ai governati e belligeranti sudsudanesi.

Padre Cesare, il tuo corpo, che ha cessato di vivere quella mattina afosa di sabato 16 luglio 2011, pochi giorni dopo l’indipendenza, quando ti accasciasti al termine della messa, e ora riposa nella “tua” cattedrale, dove un altro italiano, Christian Carlassare, ha preso coraggiosamente il testimone come pastore di popolo. Ma la tua anima no, quella non è morta e anzi continua a veleggiare tra i malati di Aids che sono accolti dalle suore di missionarie della Carità, tra i pazienti dei vari ospedali sparsi della savana, dove operano con indefesso coraggio e dedizione professionale i medici del Cuamm, tra i giovani e i giovanissimi che affollano le parrocchie dove predicano, faticano e costruiscono i tuoi confratelli comboniani e i tanti e tante religiose di ogni dove, venuti a manifestare che la carne di Cristo che soffre in Sud Sudan è il luogo dove più il Vangelo va servito, accolto e custodito.

Padre Cesare, adesso che hai del tempo lassù, tra una danza e l’altra con le tue donne di Rumbek a far corona ai santi e alle sante del paradiso, offri una preghiera in più. Perché questo pellegrinaggio ecumenico di pace doni al tuo Sud Sudan quello shalom che Francesco continua a invocare con instancabile coraggio, sul tuo Paese di adozione e su ogni nazione del mondo.
Lorenzo Fazzini
L’Osservatore Romano