Da tre domeniche leggiamo il vangelo di Matteo in quella parte chiamata «Discorso della montagna». Con una dichiarazione programmatica Gesù vi afferma che la sua missione non consiste nell’abrogare la legge, confermata e interpretata dai profeti, ma nel portarla a compimento, rivelando le esigenze più profonde della volontà di Dio.

Un custode alla porta del cuore!

Matteo 5,17-37

Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento…

1. Libertà, Legge e Sapienza

Potremmo dire che le letture di questa Sesta Domenica del Tempo Ordinario girano attorno a tre parole: Libertà, Legge e Sapienza.

Libertà: “Se vuoi osservare i suoi comandamenti, essi ti custodiranno… Egli ti ha posto davanti fuoco e acqua: là dove vuoi tendi la tua mano. Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, il bene e il male: a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà” (Siràcide 15,16-21, prima lettura).
La Parola ci mette davanti ad un bivio: fuoco e acqua, vita e morte, bene e male... A noi la scelta! È facile deresponsabilizzarci con la scusa dei condizionamenti imposti dalla società o del “così fan tutti”. La vita del credente è un esercizio costante di libertà!

Legge: “Beato chi cammina nella legge del Signore”. (Salmo 119).
Questo lungo salmo alfabetico (176 versetti) è tutto un elogio di stima e di affetto tessuto dal Salmista alla Legge di Dio: la tua legge è “la mia delizia”, una espressione che troviamo qui otto volte ed è unica nel Salterio!
La Legge, la Torah, in ebraico, non si identica con quello che noi intendiamo per legge. La Torah è il Pentateuco, la parte più sacra della Scrittura. È praticamente un sinonimo della Parola di Dio. Ecco perché Gesù afferma, solennemente, all’inizio del brano del vangelo di oggi: “Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento”!

Sapienza: L’apostolo Paolo, nella seconda lettura, parla di “una sapienza che non è di questo mondo, ma sapienza di Dio” (1 Corinzi 2,6-10). La Sapienza divina svelata dal Signore Gesù è il sapore nascosto della Torah. È la Sapienza eterna che era presso Dio e che aveva “le sue delizie tra i figli dell’uomo” (Proverbi 8,31). È il Logos, la Parola eterna che venne a piantare la sua tenda in mezzo a noi (cfr. Giovanni 1,14).

2. La nuova Torah di Gesù

Venendo al vangelo, siamo ancora al discorso inaugurale di Gesù sul monte. Dopo le Beatitudini e la rivelazione della nostra identità, sale della terra e luce del mondo, oggi Gesù si addentra nella presentazione dello scopo della sua missione: dare pieno compimento alla Legge e ai Profeti.

Compimento non è completamento!…

Il testo contiene tutta una serie di norme che Gesù sembra aggiungere a quelle già esistenti. Ciò potrebbe indurre a pensare che il pieno compimento sia un… completamento nell’ordine della quantità.

Secondo il Talmud (uno dei testi sacri dell’ebraismo), la Torah contiene 613 precetti, dei quali 248 (il numero delle ossa del corpo umano, secondo la tradizione rabbinica!) erano positivi, cioè degli obblighi, e 365 (come i giorni dell’anno!) erano negativi, cioè dei divieti!

Portare a compimento significherebbe aumentare i precetti regolatori del comportamento umano? Niente di più contrario al modo di pensare e all’intenzione di Gesù!

… ma condurre la Legge alla sua pienezza!

Gesù svela l’anima della Legge per portarla alla sua pienezza, alla primigenia intenzione di Dio. Il suo, dunque, è un intervento di qualità, per andare in profondità, alla radice, al fondamento, al cuore della Legge!

3. Alcuni esempi

Per illustrare il suo intervento, Gesù ci offre sei esempi, presentati in forma di antitesi: “avete inteso che fu detto… Ma io vi dico…”. Il vangelo di oggi ci presenta i primi quattro, domenica prossima vedremo gli altri due.

Il primo caso parte dal quinto comandamento: non ucciderai! e riguarda l’aggressività. Gesù svela la radice dell’omicidio: l’ira! e dice che si può uccidere anche con le parole.

Il secondo e il terzo riguardano entrambi la sessualità, partendo dal sesto comandamento: non commetterai adulterio! Anche qui Gesù ci spinge a cercare la radice dell’adulterio: nello sguardo, nel desiderio, nel cuore.

La quarta antitesi riguarda la veracità della parola nei rapporti tra le persone: “Sia il vostro parlare: “sì, sì”, “no, no”; il di più viene dal Maligno”. Gesù ci chiede di non dare spazio all’ambiguità e alla doppiezza che facilmente lasciano entrare il Maligno.

4. Una questione di cuore!

Gesù va al cuore della Legge per raggiungere il cuore del Dio dell’Alleanza, che è alla sua origine. E ci invita ad entrare nel nostro cuore per interiorizzare il senso profondo della Legge e per scoprire le radici delle nostre infedeltà. Ci chiede, dunque, un esercizio di autoconsapevolezza dei pensieri, sentimenti, desideri, intenzioni…

In altre parole, bisogna mettere un custode alla porta del cuore. Spesso il nostro cuore è come una piazza calpestata da chiunque. Controllare chi entra e chi esce, assumere la padronanza del cuore è una condizione per diventare liberi. Questo non è certamente cosa facile. Richiede tempo, pazienza e costanza. Il semplice fatto di prendere coscienza di quello che succede in noi è già un buon punto di partenza. In seguito cercheremo di prendere in mano almeno un certo controllo. Per esempio, se la collera si è impadronita del mio cuore, cercherò di impedire che si esprima nella parola, e se nemmeno questo riesco a fare, la impedirò di diventare azione…
È lunga e faticosa la strada della libertà!

P. Manuel João Pereira Correia, mccj
[comboni2000.org]

Sovrabbondanza e compimento

Mt 5, 17-37

«Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento» (Matteo, 5, 17). «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli» (Matteo, 5, 20). Di una sovrabbondanza e di un compimento è foriero il brano evangelico della prossima domenica (Matteo, 5, 17-37). Sovrabbondanza, compimento: ma innanzi a quale “ritratto narrativo” ci troviamo? In quale atto scenico l’autore del vangelo di Matteo pone queste parole sulla bocca del rabbi Yeshua? A chi queste parole sono rivolte?

Risalendo di alcuni versetti se ne prende presto atto: ci troviamo nel bel mezzo di una peregrinazione missionaria; al capitolo iv, infatti, il narratore specifica così: «Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo». A questo punto della narrazione la fama del rabbi si sta diffondendo «per tutta la Siria» (Matteo, 4, 24), folle numerose gli van dietro partendo dalla Galilea, dalla Decapoli — territorio pagano — da Gerusalemme, dalla Giudea: uomini e donne in cerca di soluzioni ai propri tormenti o ai mali dei propri infermi (cfr. Matteo, 4, 25). Con una peregrinazione si apre il capitolo v di Matteo nel quale il nostro brano è incastonato a mo’ di gemma preziosa (o pietra d’inciampo?).

«Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo...» (Matteo, 5, 1-2). Si apre qui lo straordinario “discorso della montagna”, ma l’incipit di questo v capitolo nasconde una provocazione potente e addirittura drammatica, se ignorata. In Matteo, 5, 1 pare che il maestro di Galilea non parli più “a una folla indistinta” di viaggiatori ostinati dell’“ultima speranza”, che s’attendono lo scioglimento dei nodi del proprio dolore dal rabbi carismatico di turno. No, no: in Matteo, 5, 1 il maestro si sta rivolgendo ai discepoli suoiμαθηταυ, i suoi seguaci diretti. Le folle “ricompariranno” sulla scena solo tre capitoli più avanti quasi materializzandosi dal nulla (Matteo, 7, 28) e, proprio per questo, possono essere ritenute “destinatarie ai margini”. Dunque, con certa fondatezza si può supporre che anche Matteo 5, 17-37 sia indirizzato soprattutto ai discepoli suoi: ecco delineata la cornice narrativa in cui s’inserisce il passo evangelico di domenica prossima. A quelli che vestono “gli abiti della sequela” è detto: «non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto» (Matteo, 5, 18) e «se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli» (Matteo, 5, 20). Sono i discepoli suoi, proseliti prescelti agli occhi delle folle, che il rabbi ammonisce: «Chi poi dice al fratello (...): “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna» (Matteo, 5, 22) e «chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore (…). E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna» (Matteo, 5, 28.30).

È necessario lasciarsi “ferire” dalla spada a doppio taglio che è la Scrittura (cfr. Ebrei, 4, 12) e permettere a quest’ardente freccia scritturistica, che la liturgia consente sia scoccata, di colpirci fino al punto di divisione tra anima e spirito. L’invito a tutti i predicatori è fondato e sereno, lì dove dovesse sopraggiungere, domenica prossima, la già nota tentazione di costruire un’intera omiletica moraleggiante sul fondamento di quel «non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge» (Matteo, 5, 18) da destinare a delle assemblee indistinte. Si presti cosciente attenzione al dato scritturistico: è anzitutto ai discepoli più prossimi che il Gesù matteano rivolge queste sue parole. A noi cristiani “interamente donati” o “praticanti”, discepoli della prima e della seconda ora, che vestiamo gli abiti della sequela (in qualsiasi modo essa si declini), a noi queste parole sono rivolte: e più “ontologicamente vicini” ci riteniamo nella sequela, più esse hanno diritto di ferirci per la vita. A noi è promessa traboccanza di vita eterna, l’entrata nel Regno, se la nostra giustizia sarà “più sovrabbondante” rispetto a quella dei farisei. 
[Deborah Sutera - L'Osservatore Romano]

Le Beatitudini: cuore del Vangelo e della Missione

Siracide 15,16-21; Salmo 118; 1Corinzi 2,6-10; Matteo 5,17-37

Riflessioni
Gli insegnamenti di Gesù nel Vangelo di oggi sono parte del Discorso della Montagna (Mt 5-7), che inizia con le Beatitudini (Mt 5,1-12); sono esempi e applicazioni concrete della magna charta del popolo della nuova Alleanza. Infatti le Beatitudini sono una specie di Testo Costituzionale del Regno di Dio; sono il programma della missione di Gesù. E della missione della Chiesa.

Prima di essere un messaggio etico di comportamenti, le Beatitudini sono un’affermazione teologale del primato di Dio. Perché “solo Dio basta” (Santa Teresa d’Avila).

Gesù ha vissuto le Beatitudini e l’intero messaggio del Discorso della Montagna; e, solo dopo averli vissuti, li ha proposti. Essi sono il suo autoritratto, tracciano il suo profilo interiore di vero Dio in carne umana. Prima di essere un programma predicato sul monte (v. 1), le Beatitudini sono l’autobiografia di Gesù, rivelano la sua identità intima, il suo stile, le sue scelte vitali. Contemplando la vita di Gesù povero, mite, puro, misericordioso, assetato di amore e di giustizia, operatore di pace, perseguitato e sofferente… è possibile ricostruire tutto il Discorso della Montagna, cominciando dalle Beatitudini. (*)

La narrazione dell’evangelista Matteo, che parla di monte e dà il tono del discorso, presenta Gesù come legislatore, un nuovo Mosè che traccia il cammino per il popolo della nuova alleanza. Il messaggio di Gesù è unitario e va inteso in una doppia dimensione: di continuità e di novità. Gesù dice chiaramente che non è venuto ad abolire la Legge o i Profeti, “ma a dare pieno compimento” (v. 17). Così sappiamo che le espressioni “vi è stato detto” - “ma io vi dico” (v. 21.22) non indicano una sostituzione o una contrapposizione di precetti, ma una continuità in crescita. Gesù non intende rifare un codice di leggi ma curarci nel cuore per vivere in modo nuovo la vita morale. Gesù ama, interpreta e vive la Legge, ma la sua relazione con essa non è di tipo legalista, ma vitale; non si accontenta di un adempimento minimalista, esteriore e rituale, ma va al cuore stesso della Legge, ne coglie il vero messaggio, mette in evidenza il suo valore più alto e lo esprime nel suo comportamento e insegnamento. Questo vuol dire “dare pieno compimento” alla Legge. 

Perciò Gesù invita i suoi discepoli ad andar oltre, a superare la condotta degli scribi e dei farisei (cfr. v. 20). Per esempio, il rispetto verso un’altra persona comporterà una relazione globale, che non si accontenta del limite estremo espresso nel “non uccidere”: occorrerà evitare anche ogni ferita alla dignità dell’altro. Qualsiasi forma di oppressione o sfruttamento dell’altro è contraria alla sua dignità di persona e di figlio di Dio. Adirarsi o insultare un fratello con le parole stupido, pazzo e simili (v. 21.22) sono trasgressioni della Legge, perché manifestano disprezzo dell’altro, chiudono la possibilità di un confronto e di un incontro fraterno. San Giovanni lo dice in forma drastica: “Chi non ama suo fratello è omicida” (1Gv 3,15). Chi non ama, uccide; l’uccisione esteriore dell’altro non è che una conseguenza dell’averlo già eliminato dentro di noi.

Lo stesso criterio di valore superiore vale anche per l’adulterio nella sua globalità (v. 27.28). Per cui guardare una donna (o un uomo) con atteggiamento predatorio e gli occhi del possesso è venir meno alla reciprocità, significa non considerare l’altra/l’altro come soggetto con cui entrare in relazione, ma come oggetto di cui disporre.

Tutto il discorso di Gesù, sulla montagna e altrove, non favorisce certamente forme religiose di tipo legalista e rituale; Egli ci invita anzitutto a curare il nostro cuore; il culto che Egli promuove va nella linea dello “spirito e verità” (cfr. Gv 4,23): un culto che libera interiormente le persone, le fa crescere nella gratuità, aiuta a diventare adulti e responsabili. Perché “la pienezza della Legge è l’amore” (Rom 13,10). Osservare e insegnare agli altri la custodia amorosa della Legge è il compito gioioso dei veri missionari del Vangelo di Gesù (v. 19). Le Beatitudini non sono solo uno stile o un metodo, sono soprattutto il contenuto essenziale (cfr. Rmi 91), il cuore dell’annuncio missionario della Chiesa.

Parola del Papa

(*) «Il testo delle Beatitudini, che apre il “Discorso della montagna”, ha illuminato la vita dei credenti e anche di tanti non credenti. È difficile non essere toccati da queste parole di Gesù, ed è giusto il desiderio di capirle e di accoglierle sempre più pienamente. Le Beatitudini contengono la “carta d’identità” del cristiano - questa è la nostra carta d’identità -, perché delineano il volto di Gesù stesso, il suo stile di vita… Il messaggio è indirizzato ai discepoli, ma all’orizzonte ci sono le folle, cioè tutta l’umanità. È un messaggio per tutta l’umanità... Essere poveri, essere miti, essere misericordiosi… questi “nuovi comandamenti” sono molto più che delle norme. Infatti, Gesù non impone niente, ma svela la via della felicità – la sua via – ripetendo otto volte la parola “beati”». [Papa Francesco; Udienza generale, mercoledì 29-1-2020]

P. Romeo Ballan, MCCJ

Quella vitalità nuova del cristiano
Sir 15,15-20; Salmo 118; 1Cor 2,6-10; Mt 5,17-37

Da tre domeniche leggiamo il vangelo di Matteo in quella parte chiamata «Discorso della montagna». Questo discorso si è aperto due domeniche fa con le Beatitudini, e è stato perseguito domenica scorsa con la definizione dei cristiani e della loro missione nel mondo: «sale della terra e luce del mondo». C’è poi in questo discorso una terza sezione molto ampia, che si ascolta questa domenica e domenica prossima, in cui Gesù presenta la legge del Regno o il codice morale dei cristiani.

Con una dichiarazione programmatica Gesù vi afferma che la sua missione non consiste nell’abrogare la legge, confermata e interpretata dai profeti, ma nel portarla a compimento, rivelando le esigenze più profonde della volontà di Dio. In questo consiste «la giustizia più grande» che egli richiede ai suoi discepoli come condizione per entrare nel regno dei cieli.

Gesù ricorre a delle antitesi, a enunciati contrapposti: “Avete inteso che fu detto agli antichi. Ma io vi dico», prima di formulare la sua nuova legge. Sei volte egli usa queste antitesi, indicando cosi sei situazioni in cui i suoi discepoli dovranno dare compimento alla legge antica, vivendola non secondo il legalismo esteriore degli scribi e farisei, ma secondo il comandamento dell’amore fraterno. Non è l’abolizione della legge, ma la suprema perfezione, il compimento della legge. La perfezione dell’interiorità dell’amore, un amore la cui unica misura è di non avere misura.

Quattro di questi argomenti li abbiamo incontrati nel brano evangelico odierno, cioè: l’omicidio, l’adulterio, il ripudio e il giuramento. Altri due argomenti li troveremo nel vangelo di domenica prossima, e sono: la vendetta, e l’odio verso i nemici. Cerchiamo di esaminare questi quattro primi punti considerati uno per uno.

«Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio». Gesù, con una autorevolezza che si pone sullo stesso piano di Dio, riporta il contenuto del quinto comandamento alla sua radice profonda; Ci accorgiamo che si può uccidere anche con la lingua. Il non uccidere riguarda anche l’ira, le parole malvagie e i sentimenti aggressivi. Inoltre, la questione dei rapporti con il prossimo mette in discussione il rapporto con Dio, come fanno capire le due istruzioni sulla necessità della riconciliazione. Comprendiamo che chi si accosta all’altare senza aver prima perdonato il fratello, è un profanatore del tempio.

«Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore». Anche lo sguardo di concupiscenza viene considerato come adulterio. Il desiderio equivale all’atto. Mediante un’immagine sommamente espressiva tratta dalla chirurgia, Gesù esorta a evitare con ogni cura le occasioni di peccato, specialmente del peccato della lussuria. La vita eterna e la vita della grazia sono un bene tanto grande che valgono qualsiasi sacrificio, per doloroso che sia.

Gli ultimi due esempi, l’istituto del ripudio e il comandamento sui giuramenti e i voti, sono portati a compimento nelle loro etica più profonda. Gesù proibisce di ripudiare la moglie e di accasarsi con la donna ripudiata, perché il vincolo del precedente matrimonio non è sciolto. Gesù, in altri termini, dichiara il matrimonio sempre indissolubile. Per quanto riguarda il giuramento, Gesù insegna che è buono per sé stesso, ma che i cristiani sono tenuti a mantenere tra loro rapporti improntati alla massima schiettezza e fedeltà, tali che non esigano mai il ricorso al giuramento.

Questi insegnamenti di Gesù hanno veramente spezzato via le migliaia di precetti di un moralismo o formalismo grigio e soffocante, per aprire la strada alla suprema libertà e al radicalismo dei figli di Dio.
Don Joseph Ndoum

Allargare la giustizia

Più volte nel Vangelo qualcuno si avvicina a Gesù e gli rivolge una domanda esplicita su quale sia il nostro dovere: “cosa devo fare?”. Si tratta di una domanda autentica e importante, che il Maestro non rifiuta: al contrario, Gesù afferma di non essere venuto per “abolire la Legge” e che neppure i suoi “minimi precetti” vanno disprezzati (Mt 5, 17.19).

Una cattiva interpretazione di queste parole ci potrebbe far cadere in un atteggiamento doveristico e minimalista, e a porci domande come queste: fino a che punto posso trattare con indifferenza mia suocera senza peccare? Quanto posso evadere le tasse senza rubare? Devo proprio rispettare sempre il codice stradale oppure a quest’ora, senza traffico…

Il Signore rifiuta in modo netto questo atteggiamento minimalista e per prima cosa sposta l’attenzione dai minimi e dagli obblighi fondati sul senso del dovere all’orizzonte della felicità e del dono, che si condensa nelle Beatitudini. E subito dopo parla con un’autorevolezza inaudita (usando una formula che ripete ben quattro volte: “avete inteso che fu detto… ma io vi dico”) e corregge e completa i dieci comandamenti. E afferma per esempio che non basta limitarsi a “non commettere adulterio” (Mt 5, 27), perché ognuno di noi è chiamato a prendersi cura e a proteggere ogni persona che incontra senza “desiderarla”, cioè senza mai usarla come se fosse un mero strumento. Non è sufficiente “non uccidere”, magari tranquillizzandoci la coscienza dicendo che “io in realtà non faccio male a nessuno”: siamo tenuti ad accogliere con amore il prossimo, a cominciare dai vicini e proseguendo, almeno con lo sguardo, anche con gli sconosciuti che incontriamo per caso in metropolitana.

La carità infatti è “un generoso traboccare della giustizia” e per accogliere con amore «ci vuole molta finezza, molta delicatezza, molto rispetto, molta affabilità. In una parola, occorre seguire il consiglio dell’Apostolo: “Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo” (Gal 6, 2). Allora sì; allora vivremo pienamente la carità, allora osserveremo il comandamento di Gesù» (san Josemaría Escrivá).

Quando incontro una persona, non sono tenuto soltanto a un comportamento corretto, a non urtarla nella fretta o a evitare di litigare al semaforo o sui social (che già comunque non sarebbe cosa da poco). Sono tenuto a trasmetterle un po’ di affetto e di gioia.

Un personaggio del romanzo di Muriel Barbery, L’eleganza del riccio «fa tutto con gentilezza» cioè con quel «modo di fare che dà all’altro la sensazione di esserci». La cortesia, la gentilezza, l’affabilità sono un vero e proprio dovere di giustizia, di umanità nei confronti del prossimo, che parte dal riconoscimento del suo essere persona.

Nel capitolo 5 di Matteo Gesù ha definitivamente allargato i confini della giustizia, rendendola inseparabile dall’amore attento e delicato verso tutti, compresi i suoceri e i passanti. Allargare la giustizia comporta una vera e propria rivoluzione nei rapporti quotidiani: è la rivoluzione del Vangelo.
[Carlo De Marchi – L’Osservatore Romano]