Il cammino nel deserto quaresimale riceve, in questa seconda domenica, uno squarcio di luce inaspettato: sul Monte, Gesù si trasfigura davanti a Pietro, Giacomo e Giovanni. Anche qui si svela la tenerezza di Dio, che “ci prende in disparte”, per farci salire in alto e, così, farci contemplare il panorama da un altro punto di vista e con occhi nuovi.

Di monte in monte,
di gloria in gloria

Matteo 17,1-9

Rigiocare la vita con Abramo

Nella prima lettura delle domeniche della Quaresima, la liturgia ci propone, per sommi capi, la storia della salvezza. La Quaresima è un cammino catecumenale, durante il quale i catecumeni che si preparano per il battesimo a Pasqua ripercorrono le tappe principali della storia biblica. Con loro, lo facciamo anche noi, per rinnovare a Pasqua le nostre promesse battesimali.

Domenica scorsa abbiamo incontrato i nostri proto-genitori nella loro disobbedienza. Oggi incontriamo Abramo, il padre di tutti i credenti, nell’atto di obbedienza alla chiamata di Dio che apre una storia nuova, di grazia: “Vàttene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò… Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore”.

Con Abramo ci imbarchiamo anche noi in questa nuova avventura. Anche alla bella età degli ottant’anni di Abramo! Per tutti sarebbe stato, da tempo, il momento di riposare, di godersi le conquiste e gli esiti raggiunti e di riconciliarsi con le delusioni dei sogni infranti dalle vicissitudini della vita. Forse, in un modo o nell’altro, tutti siamo nella situazione di un inconcepibile cambio di rotta. Non è più il caso per me! La partita è finita! E, invece, Dio ti invita a rimettere in gioco la tua vita. Questa volta, però, non facendo i calcoli sulle probabilità di riuscita con le carte che hai in mano, ma investendo tutto per tutto, in una mossa che a tutti sembrerebbe disperata.

Sì, questo è il tempo per tutti noi di cambiare terra. Forse fino adesso abbiamo vissuto nella “terra dei progetti”. Da oggi, però, Dio ci invita a spostarci sulla “terra delle promesse”! Chi vive di progetti “pro-getta” la propria vita davanti a sé, da protagonista, facendo i suoi calcoli con criteri puramente umani. Chi vive di promesse accogli, come Abramo, la “pro-messa” che Dio gli mette davanti, giocando sulla fiducia!

I protagonisti delle letture di questa domenica sono tutti uomini che hanno investito la loro vita sulla Pro-messa di Dio: Abramo, Mosè, Elia, Pietro, Giacomo, Giovanni, Paolo, Timoteo… Fanno parte di una lunga ed ininterrotta schiera di donne e di uomini che hanno creduto alla Pro-messa di Dio. La loro vita è stata travagliata, non è stata una vita facile e spensierata, anzi. Hanno vissuto momenti di gioia e di entusiasmo e tempi di prova e di scoraggiamento; momenti di luce e di ispirazione e tempi di dubbio e di smarrimento; momenti di esito e di consolazione e tempi di sconfitta e di sconforto, ma non hanno smesso di seguire la stella della Promessa!

Di monte in monte

Ogni anno la Quaresima ci presenta nella prima domenica il brano delle Tentazioni e nella seconda quello della Trasfigurazione. Sono quindi i due vangeli tipici del cammino quaresimale, quasi per dirci che non ci può essere vita cristiana senza tentazione, ma nemmeno senza momenti di luce, di trasfigurazione. Dal “monte altissimo” della tentazione suprema oggi siamo condotti da Gesù in disparte su un altro “alto monte”: “Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro”. Questo “alto monte” è un’allusione al Sinai, dove Mosè ed Elia hanno avuto il loro incontro con Dio (Esodo 24, 29-34; 1Re 19). Questi monti però non hanno un nome, non solo perché sono simbolici, ma anche perché siamo noi a dover dare loro un nome.

La Trasfigurazione è un mistero di Luce. Tre volte viene sottolineata la luminosità: del volto di Gesù, delle sue vesti e della nube luminosa. Secondo la tradizione iconografica, l’icona della trasfigurazione è la prova di maturità di ogni apprendista iconografo. Tutte le icone devono essere illuminate dalla luce del Tabor (monte sul quale avvenne la trasfigurazione, secondo la tradizione). Così è del cristiano: la maturità avviene quando la luce del Tabor illumina e trasfigura tutta la realtà della vita del credente.

Di gloria in gloria

La Trasfigurazione non è soltanto il mistero della metamorfosi di Gesù, ma anche della nostra propria trasformazione e di tutta la realtà che ci circonda. Quanto viene raggiunto dai suoi raggi risponde rivelando la propria bellezza interiore e la sua armonia profonda. Il verbo qui usato per la trasfigurazione o metamorfosi, metamorphein, è molto raro nel nuovo testamento. Lo troviamo solo qui, nel vangelo del racconto della Trasfigurazione (Matteo 17,2; Marco 9,2), e due volte in Paolo (Romani 12,1-2; 2Corinzi 3,18), e sempre nella forma passiva.

Particolarmente interessante è l’affermazione dell’apostolo Paolo nella 2Corinzi 3,18: “E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore”. È un testo bellissimo, da conservare nella memoria del cuore. Qui è il viso del cristiano che viene investito dalla Luce del volto di Cristo e riflette la Sua gloria come in uno specchio. Questa luce non è un evento transitorio, ma opera in noi una metamorfosi. Noi diventiamo le immagini che guardiamo. Se nutriamo il nostro sguardo, la fantasia e l’anima di immagini di bellezza solo apparente ed effimera, ci scopriamo nudi e perfino sfigurati. Se nutriamo il cuore di vera bellezza, diventiamo davvero belli. Questa bellezza genuina e duratura (spesso quella dell’amore) la possiamo ritrovare anche nello sguardo luminoso di certi volti di anziani, malgrado le rughe dell’età e i solchi lasciati dalle prove della vita.

Il senso della nostra vita è trasfigurarsi di gloria in gloria nell’immagine del Figlio. Questa trasfigurazione del cristiano, però, non è istantanea, è un processo lungo. Non perché lo Spirito della Bellezza non sia capace di operare questa metamorfosi in un batter d’occhio, ma dovuto alle resistenze tenebrose che ci sono in noi. Ecco perché ci vuole la contemplazione regolare del volto di Cristo nella preghiera e una assidua frequentazione della Parola in cui si specchia questo volto. Così la Voce del Padre, avvolta dalla Nube luminosa dello Spirito, ci invita ad ascoltare il Figlio: “ascoltatelo”, ascoltate lui, lui solo! nella traduzione laterale.

È buono per me essere qui!

Il monte della Trasfigurazione ha due versanti: quello dell’ascesa (esperienze luminose di preghiera) e quello della discesa in valle, nel nostro quotidiano con il suo grigiore e brutture. Sono i due volti della vita, da riconciliare. Il volto di Cristo, “il più bello tra i figli dell’uomo” (Salmo 44), è quello della Trasfigurazione e del Risorto, ma anche quello del Servo di Jahvè che “non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere” (Isaia 533,2). È facile dire con Pietro: “Signore, è bello per noi essere qui!”. Più difficile è arrivare a dire come lo scrittore cattolico britannico Chesterton, accanto ad un amico morente, contemplando il suo viso pallido della morte: “Era bello per me essere lì!”. Ricordo un episodio raccontato dal mio confratello P. Alex Zanotelli capitato nella baraccopoli di Korogocho a Nairobi. Quando chiese ad una giovane donna, che stava morendo di AIDS, chi fosse Dio per lei, dopo qualche momento di silenzio gli rispose: “Dio sono io!”. È questa la meta e la missione del cristiano: riconoscere e testimoniare la Bellezza di Dio nelle realtà, anche drammatiche, della vita.

Concludo evocando un momento particolare della mia vita che mi provocò una forte emozione. Stavo predicando gli esercizi spirituali ai preti della diocesi di Atakpamé (Togo). Il vescovo li aveva convocati dall’altra parte della frontiera, in Ghana, nel Foyer de Charité di Alavanyo. I Focolari della Carità sono stati fondati dalla mistica francese Marthe Robin (1902-1981). Nel suo letto di dolore, viene nutrita per 60 anni praticamente dalla sola eucaristia settimanale. Ogni venerdì le stigmate di Cristo sono impresse nel suo corpo. Nella cappella del Foyer c’era una sua foto, ripresa dopo una di queste esperienze mistiche. In un momento di preghiera personale mi colpì profondamente la bellezza di quel viso sofferente. Non so esattamente perché. Da più di un anno sentivo i primi sintomi della mia malattia. Ricordo che durante quel ritiro trascinavo un po’ la gamba destra e facevo fatica a salire e scendere le scale. Due mesi dopo mi sarebbe diagnosticata la SLA. Il ricordo di quel volto mi accompagnò come preludio di un’altra bellezza. Come il gesto di Gesù che si avvicina a Pietro, Giacomo e Giovanni, li tocca e dice: “Alzatevi e non temete!”.

P. Manuel João, comboniano
Castel d’Azzano, 3 marzo 2023
[comboni2000]

 Il Volto ‘trasfigurato’
non vuole volti ‘sfigurati’

Genesi 12,1-4°; Salmo 32; 2Timoteo 1,8b-10; Matteo 17,1-9

Riflessioni
Nella seconda domenica di Quaresima abbiamo un appuntamento annuale fisso: la Trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor (Vangelo). Il fatto avviene “sei giorni dopo” (v. 1) gli incontri a Cesarea di Filippo (con la professione di fede di Pietro, la promessa del suo primato, il primo annuncio della passione: Mt 16,13-28). Ognuno di questi fatti apporta tasselli significativi per la configurazione del vero volto di Cristo, verso il quale ci fa guardare anche l’odierna antifona d’ingresso: “Cercate il suo volto. Il tuo volto io cerco, o Signore. Non nascondermi il tuo volto” (Sal 26,8-9). Una risposta a tale insistente supplica arriva da “un alto monte” (v. 1), dove Gesù fu trasfigurato davanti a tre discepoli prescelti: “Il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce” (v. 2). La luce non viene dall’esterno, ma emana dal di dentro della persona di Gesù. A ragione, Luca, nel testo parallelo, sottolinea che “Gesù salì sul monte a pregare, e, mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto” (Lc 9,28-29). È dal rapporto con il Padre che Gesù esce trasformato interiormente; la piena identificazione con il Padre risplende sul volto di Gesù (cfr. Gv 4,34; 14,11).

Gesù non cerca la sua auto-glorificazione; vuole che i suoi discepoli scoprano meglio la sua identità e la sua missione. A tale scopo, sul monte si realizza una manifestazione della Trinità attraverso tre segni: la voce, la luce e la nube. La voce del Padre proclama Gesù suo “Figlio, l’amato. Ascoltatelo” (v. 5); la luce emana dal corpo stesso del Figlio Gesù; la nube è simbolo della presenza dello Spirito. In quel contesto di gloria, anticipazione della sua Pasqua, Gesù parla con Mosè ed Elia della “sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme” (Lc 9,31). Preghiera e rivelazione della Trinità, passione e glorificazione: ora i discepoli possono capire qualcosa di più circa la personalità del loro Maestro. Possiamo cogliere un invito per ciascuno di noi: concediamoci un tempo - possibilmente alquanto prolungato - per contemplare il volto di Gesù, fino a poter dire, come Pietro: “Signore, è bello per noi restare qui” (v. 4). (*)

La preghiera vera non è mai evasione. Per Gesù la preghiera era momento forte di identificazione con il Padre e di adesione coerente e fiduciosa al Suo piano di salvezza. Tale cammino di trasformazione interiore è lo stesso per Gesù, per il discepolo e per l’apostolo. La preghiera, vissuta come ascolto-dialogo di fede e di umile abbandono a Dio, ha la capacità di trasformare la vita del cristiano e del missionario; essa è l’unica esperienza fondante della missione. La preghiera ha il suo momento più vero quando sfocia nel servizio al prossimo bisognoso. Era tassativo il San Oscar A. Romero, vescovo e martire in El Salvador (+24.3.1980) nel dichiarare: “Una religione di messe domenicali, ma di settimane ingiuste, non piace al Signore; una religione piena di preghiere, ma senza denunciare le ingiustizie, non è cristiana”. È questa la dimensione missionaria della preghiera, che Benedetto XVI spiegò in una bella catechesi quaresimale: “La preghiera è garanzia di apertura agli altri. La vera preghiera non è mai egocentrica, ma sempre centrata sull’altro. La vera preghiera è il motore del mondo”.

Il discepolo missionario è convinto che il Dio fedele lo accompagna in tutte le tappe e vicende della vita: agli inizi, nei momenti di Tabor e nei momenti di Getsemani. Ne danno testimonianza anche Abràm e Paolo. Abràm si fidò del Signore (I lettura), che lo invitava a lasciare terra e parentela, sicurezze e affetti, per andare verso un paese ignoto, che gli avrebbe indicato. Anche San Paolo lasciò il cammino di Damasco per la nuova avventura con Gesù. Per cui poteva esortare il discepolo Timoteo (II lettura): “Con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo” (v. 8).

Il Vangelo di Gesù comporta necessariamente un impegno tenace per la difesa e la promozione delle persone più deboli, la cui dignità umana è spesso deturpata e sfigurata da tante forme di violenza, sfruttamento, abbandono, fame, malattia, ignoranza… Qualunque deturpazione della dignità umana è contraria al progetto originale di Dio, Padre della Vita! Là dove c’è un volto umano deturpato o sfigurato, è imperiosa e urgente la presenza della Chiesa e dei missionari del Vangelo! Gesù, con il suo volto bello e ‘trasfigurato’ non vuole che ci siano fratelli e sorelle con i volti ‘sfigurati’. L’attività missionaria diventa, quindi, vicinanza alle persone che soffrono, contatto con le ferite e cura delle piaghe - fisiche o morali - di quanti soffrono.

Parola del Papa
(*)
“In questa Quaresima 2020 vorrei estendere ad ogni cristiano quanto già ho scritto ai giovani nell’Esortazione apostolica Christus vivit: «Guarda le braccia aperte di Cristo crocifisso, lasciati salvare sempre nuovamente. E quando ti avvicini per confessare i tuoi peccati, credi fermamente nella sua misericordia che ti libera dalla colpa. Contempla il suo sangue versato con tanto affetto e lasciati purificare da esso. Così potrai rinascere sempre di nuovo» (n. 123). La Pasqua di Gesù non è un avvenimento del passato: per la potenza dello Spirito Santo è sempre attuale e ci permette di guardare e toccare con fede la carne di Cristo in tanti sofferenti.”
Papa Francesco
Messaggio per la Quaresima 2020

P. Romeo Ballan, MCCJ

Uno squarcio di luce inaspettato

Il cammino nel deserto quaresimale riceve, in questa seconda domenica, uno squarcio di luce inaspettato: sul Monte, Gesù si trasfigura davanti a Pietro, Giacomo e Giovanni. Anche qui si svela la tenerezza di Dio, che “ci prende in disparte”, per farci salire in alto e, così, farci contemplare il panorama da un altro punto di vista e con occhi nuovi. Infatti, poco prima Gesù aveva annunciato che sarebbe stato condannato e ucciso: come comprendere quella parola? Come accoglierla senza turbamento? Come non restare sconvolti tanto da rinunciare e scappare via? E allora Gesù, che conosce gli sconvolgimenti del cuore umano, li porta in alto, appare loro in una luce che anticipa la vittoria pasquale, apre una breccia luminosa per aiutarli — come dice una bella e vecchia canzone di Franco Battiato — a “trovare l’alba dentro l’imbrunire”.

Trasfigurazione è anzitutto la presenza di Dio che mette in crisi, nella nostra vita, le conclusioni affrettate su ciò che a prima vista appare oscuro e negativo. Tutto è diventato veloce, incalzato da ritmi che stritolano il cuore e rendono le nostre percezioni sfocate. Così, i giudizi che emettiamo sulle situazioni della nostra vita e del mondo che ci circonda sono confusi. Dinanzi ai nodi che ci stringono il cuore, alle domande che ci assillano, ai problemi quotidiani, alle relazioni ferite, alla sofferenza che ci atterrisce, al male che a volte vediamo crescere intorno a noi, giungiamo in fretta alla conclusione che tutto sia buio, che è inutile lottare, che non cambierà mai nulla. E allora Dio ci raggiunge, spiazzando queste nostre impazienti sentenze di morte. Egli sa, che per reggere a certe sfide della vita, abbiamo bisogno di un bagno di luce. Che per entrare nelle tenebre dell’orto degli Ulivi, c’è bisogno di scrutare, almeno per un momento, l’alba del mattino di Pasqua.

L’esperienza dell’incontro con Cristo, dunque, trasforma la nostra vita e illumina le nostre notti. Nella gioia di questo incontro, la nostra vita viene avvolta dalla nube luminosa di Dio, che sussurra al nostro cuore la stessa Parola pronunciata per il Figlio: questo è il mio Figlio, l’amato. È una Parola rivolta anche a ciascuno di noi ed è questa la verità della nostra vita: non sei sbagliato, non sei oscurità e fallimento, non sei quello che gli altri pensano di te. Sei amato. Sei un figlio prediletto e benedetto.

È questa la verità della nostra vita, la luce divina che ci abita dentro. E il Padre ci invita: “ascoltate!”. Ascoltate e accogliete il Cristo Risorto che sulla vostra vita pronuncia questa parola di amore e di luce, sconfiggendo ogni paura e ogni morte. E allora, anche la nostra vita si trasfigura. Anche nelle situazioni e nei luoghi meno favorevoli, troveremo sempre il coraggio di scalare il Monte, di uscire a ciò che ci soffoca, di allargare lo sguardo da ciò che ci restringe la visione, di osare e di sperare contro tutto ciò che vorrebbe tarparci le ali.

E di irrompere nelle notti del mondo, come luci di Pasqua.
[Francesco Cosentino – L’Osservatore Romano]

La Trasfigurazione di Gesù
Saper ascoltare è un vero comandamento

Gn 12,1-4; Salmo 32; 2Tm 1,8-10; Mt 17,1-9

Il racconto della chiamata di Abramo e la rivelazione di Gesù come Figlio prediletto di Dio, sul monte santo, sono i due punti focali della liturgia della parola di questa seconda domenica di Quaresima. Abramo parte dalla sua patria, come il Signore gli ha ordinato, con questa promessa: “farò di te un grande popolo”. Ecco il frutto della fede, che diviene operosa e che trasforma la vita. In realtà la sua fede sarà messa a dura prova, ma la sua fedeltà a Dio rimarrà un esempio per tutti gli uomini. Credere in Dio in modo di Abramo vuol dire lasciarsi guidare dalla sua parola.

Per quanto riguarda Gesù, oggi infatti egli si rivela a noi nella sua trasfigurazione. Ce lo presenta il Padre come il Figlio amato: è a lui che dobbiamo aderire; è sulla sua parola che la nostra vita deve essere programmata. Quindi, dopo l’appello di Gesù, domenica scorsa, a vincere le tentazioni con l’arma della parola di Dio, la seconda tappa del cammino quaresimale sta sotto il segno dell’ascolto e dell’obbedienza. Queste due categorie vengono scoperte alla luce dell’esperienza di Abramo e della parola-rivelazione del Padre: “Questi è il Figlio mio prediletto, ascoltatelo”.

Nel linguaggio biblico, “ascoltare” vuol dire udire, esaudire, obbedire. Questo significa che l’ascolto deve sfociare nell’esaudire, nell’obbedire e nell’agire. E l’esistenza del credente consiste in un ascoltare Dio, cioè in un accogliere la sua parola per metterla in pratica, la quale è spesso una chiamata alla conversione. Il vangelo della Trasfigurazione di Gesù è la seconda rivelazione della sua identità filiale, dopo la prima avvenuta nell’occasione del suo battesimo. In tutti e due gli eventi, la voce del Padre presenta Gesù come Figlio prediletto. L’aspetto nuovo della Trasfigurazione è l’invito all’ascolto del Figlio. È Dio Padre che offre la propria garanzia ai rappresentanti dei discepoli: Gesù, suo Figlio, il diletto, è il profeta che devono ascoltare. È lui la Parola, il Vangelo, l’inabitazione e la tenda o la presenza di Dio tra gli uomini, colui nel quale abita e risuona la parola del Padre. Mosè ed Elia, personificazione rispettiva della legge e dei profeti, convengono presso Gesù. La loro comparsa accanto a Gesù conferma che il tempo dell’attesa e della promessa è compiuto. Al termine resta solo Gesù, perché basta solo lui come dottore della legge perfetta e definitiva, e come compimento di tutte le attese.

Nell’episodio della Trasfigurazione, che si colloca dopo il primo annuncio della passione, sono coinvolti solo tre discepoli, che forse sarebbero capaci di custodire il segreto di questa teofania. Sulla conversazione tra Gesù e i due uomini, Mosè ed Elia: parlavano della sua sofferenza e della sua morte vicina, e probabilmente loro confortavano Gesù. La voce del Padre sembra anche un incoraggiamento in previsione della Passione. Il Padre invocato a gran clamore durante la notte di Getsemania non risponderà, perché aveva già risposto nel Tabor. E poiché gli apostoli dovevano vederlo posto tra le mani dei nemici durante la Passione, fosse stato bene che l’avessero visto prima nella gloria della Trasfigurazione. Adesso tutte le precauzioni sono prese, e Gesù può andare al suo destino. L’esperienza della Trasfigurazione è stata breve, quasi un frammento, ma è stata una esperienza di illuminazione, di speranza e di ripresa di coraggio.

La Trasfigurazione di Gesù è preludio alla sua risurrezione. Associando alcuni discepoli alla Trasfigurazione, Gesù vuole farci capire che anche i nostri corpi mortali sono chiamati a un destino di trasfigurazione e di vita in Dio. Ne segue dunque che la Trasfigurazione va oltre l’episodio avvenuto sul “monte Santo”. Anche di noi Gesù è il vero “trasfiguratore”: Egli vuole renderci sempre più e sempre meglio conformi a Lui. Pietro vorrebbe eternizzare questo momento privilegiato della Trasfigurazione ed invita a rimanere lì. Propone di costruire solo tre tende: una per Gesù, una per Mosè e un’altra per Elia.; però niente per lui, né per Giacomo né per Giovanni. Questa proposta sembra definire o circoscrivere il ruolo primordiale dei discepoli: catturare, prolungare, oppure eternizzare quella luce così rassicurante, e fare la guardia delle tende che corrispondono in realtà alla legge, ai profeti e al vangelo, cioè a tutta la rivelazione, a tutta la Sacra Scrittura.

Da tutto quanto detto, possiamo dedurre che la nostra vita ha senso solo se cammina di giorno in giorno verso quella Trasfigurazione, che avviene ascoltando il Figlio prediletto del Padre, che ci parla nel vangelo e nei nostri cuori. Beati noi se sapremo ascoltare, con cuore obbediente come Abramo, la voce del Figlio prediletto che ci invita in questi giorni quaresimali alla penitenza e alla conversione, e la voce del Padre che anche a ciascuno di noi ripete la grande parola: “Anche tu, sei il mio figlio prediletto”.
Don Joseph Ndoum