Venerdì 22 agosto 2025
Il continente africano è sempre più colpito da eventi estremi legati al cambiamento climatico. Servono urgenti misure di adattamento e finanziamenti. Secondo l’opinione di decine di migliaia di africani, raccolte in un’indagine pubblicata su Nature, i principali responsabili sono coloro che governano i paesi del continente. Altri studi, invece, evidenziano il peso delle politiche di sfruttamento delle nazioni più avanzate del pianeta. [Nigrizia]
Chi sono i “responsabili” degli effetti della crisi climatica che si stanno abbattendo con sempre più veemenza sul continente africano? La risposta di un campione di oltre 50mila africani, contenuta in un’indagine i cui risultati sono stati pubblicati il 24 luglio su Nature, per certi aspetti sorprende.
Le persone intervistate sono state 53.444, provenienti da 39 paesi del continente e sentite tra il 2021 e il 2023. Secondo quasi la metà del campione (il 45%, pari a 26.735 persone) le catastrofi naturali in atto, e connesse ai cambiamenti climatici, sono dovute principalmente all’inazione dei governi degli stati africani.
Per il 30% degli intervistati, invece, più che i governi a peggiorare sempre di più le condizioni climatiche dell’Africa sono proprio i suoi cittadini con comportamenti individuali scorretti. Il 13% degli interpellati crede che la colpa sia dei paesi avanzati che emettono i volumi maggiori di emissioni climalteranti, a cominciare da Stati Uniti e Cina. Mentre solo l’8% addossa delle responsabilità al mondo industriale e imprenditoriale, e dunque ad esempio alle compagnie dell’oil & gas.
Gli intervistati provenienti da paesi dell’Africa occidentale sono quelli che accusano in modo più convinto i governi africani. In Uganda, Benin, Etiopia, Ghana e Kenya le colpe vengono divise equamente tra governi e popolazione.
Diversi gradi di istruzione, diverse percezioni
I coordinatori della ricerca, Talbot Andrews e Nicholas Simpson, fanno notare che la percezione del fenomeno e delle sue cause varia a seconda del livello di istruzione della persona intervistata. Chi ha avuto accesso a un livello medio o elevato di istruzione, e ha la possibilità di informarsi attraverso Internet o interagire con l’esterno attraverso i social media, da un lato tende ad attribuire delle colpe ai paesi ricchi e alle grandi aziende e, dall’altro, non si limita a criticare il suo governo ma prova a lanciare delle proposte di cambiamento e ad agire e comportarsi di conseguenza.
Chi invece non ha fiducia nel suo governo perché ad esempio lo reputa corrotto, e al contempo non ha avuto la possibilità di istruirsi, è più probabile che venga spinto a puntare il dito contro chi governa anche quando si parla di crisi climatica. Un atteggiamento di sfiducia che spesso finisce con il riguardare non solo i governanti ma anche i concittadini.
Temperature record in Africa
Sulla correlazione tra cambiamenti climatici e aumento delle temperature nell’ultimo anno in Africa è incentrato uno studio pubblicato lo scorso 30 maggio, dal titolo: “Climate change and the escalation of global extreme heat: assessing and addressing the risks” (Cambiamenti climatici e aumento del caldo estremo globale: valutazione e gestione dei rischi) e redatto da Climate Central, Red Cross / Red Crescent Climate Centre e World Weather Attribution (WWA).
Dallo studio è emerso che tra maggio 2024 e maggio 2025 gli aumenti delle temperature causati dai cambiamenti climatici hanno colpito 42 dei 54 paesi africani. Di queste 42 nazioni, 10 hanno registrato tre o più mesi in cui le temperature giornaliere sono state superiori del 90% rispetto al periodo tra il 1991 e il 2020. Nell’anno preso in considerazione il periodo in assoluto più caldo nel continente è stato quello tra il 14 e il 30 dicembre 2024 in un’area estesa tra l’Africa centrale e occidentale, dal Senegal al Sud Sudan alla Repubblica Centrafricana. In Sud Sudan, in particolare, un’ondata di caldo record c’è stata nel febbraio di quest’anno.
«Tutti i paesi africani sono colpiti dal cambiamento climatico e sono interessati da un’ampia gamma di eventi meteorologici estremi, tra cui ondate di calore, siccità, incendi boschivi, tempeste e inondazioni», spiega a Nigrizia Joyce Kimutai del WWA, ricercatrice associata al Centre for Environmental Policy dell’Imperial College di Londra. «In Africa orientale, ad esempio, quasi tutti i paesi hanno subito devastanti inondazioni a marzo dello scorso anno, seguite da un caldo persistente all’inizio di quest’anno».
Adattarsi agli effetti della crisi
Per la ricercatrice sulle cause di questi fenomeni il peso delle grandi potenze del pianeta, collegato ai lasciti del colonialismo o a odierne politiche di sfruttamento, è evidente. «La maggiore vulnerabilità dell’Africa ai cambiamenti climatici deriva in parte da secoli di sfruttamento da parte delle nazioni più ricche che hanno lasciato molti paesi sottosviluppati, con governance deboli e risorse finanziarie limitate per adattarsi agli impatti della crisi climatica», prosegue.
«Gli eventi meteorologici estremi stanno diventando sempre più incessanti, costringendo i governi a dirottare verso la risposta alle catastrofi risorse che però sono scarse e che originariamente erano destinate a servizi essenziali. Tutto ciò impedisce lo sviluppo dei paesi africani e mette in luce una grande ingiustizia: l’Africa contribuisce meno di tutti alle emissioni globali, eppure subisce gli impatti più gravi dei cambiamenti climatici».
Quali contromisure?
A livello urbano strumenti come i City Heat and Health Action Plans (HHAPs) sono tra i più utilizzati per contrastare le ondate di calore che colpiscono le città. In Nord America, Europa, Australia e Asia Meridionale sono sempre più comuni e messi a sistema, cosa che invece non accade in Medioriente, America Latina, negli stati insulari e, purtroppo, anche in Africa.
A livello nazionale, invece, qualcosa di più si sta muovendo nelle direzioni dell’adattamento e della mitigazione del fenomeno. «Anche i paesi africani hanno sviluppato contributi determinati a livello nazionale e piani nazionali di adattamento nell’ambito dell’Accordo di Parigi sul clima, definendo obiettivi di mitigazione – come l’espansione delle energie rinnovabili, la riforestazione e l’uso sostenibile del suolo – e priorità di adattamento – come l’agricoltura resiliente, la gestione oculata delle risorse idriche e i sistemi di allerta precoce e per una più efficiente gestione delle catastrofi», continua la ricercatrice.
«Paesi come Kenya, Marocco, Sudafrica ed Etiopia stanno investendo massicciamente nelle energie rinnovabili – geotermia, eolico, solare e idroelettrico – per migliorare la loro sicurezza energetica. La rete elettrica del Kenya, ad esempio, è rinnovabile al 95%».
Necessari finanziamenti e interventi urgenti
In questa sfida l’Africa deve dunque assumersi maggiori responsabilità, come segnalato dall’opinione di decine di migliaia di suoi abitanti. È però innegabile che da sola non potrà farcela. «Le nazioni ricche devono fornire finanziamenti per il clima a sostegno dei paesi africani», conclude la ricercatrice.
«Senza un intervento urgente gli impatti dei cambiamenti climatici peggioreranno. La continua combustione di petrolio, gas e carbone genera infatti emissioni che riscaldano il pianeta e intensificano gli eventi meteorologici estremi. Il clima globale si è già riscaldato di 1,3 °C e siamo sulla buona strada per un riscaldamento di 3 °C in questo secolo, a meno che non si verifichi una rapida transizione dai combustibili fossili a fonti di energia più pulite. Anche un aumento superiore a 2 °C minaccerebbe l’esistenza stessa di molte comunità africane».
Rocco Bellantone – Nigrizia