In Pace Christi

Luisi Filippo Antonio

Luisi Filippo Antonio
Data urodzenia : 28/12/1914
Miejsce urodzenia : Roseto Valfortore
Śluby tymczasowe : 02/02/1941
Śluby wieczyste : 02/02/1947
Data śmierci : 24/12/2002
Miejsce śmierci : Milano/I

Filippo Antonio aveva 24 anni e aveva terminato da poco il servizio militare nel 32° Reggimento Artiglieria nella città di Chieti, quando prese la penna in mano e scrisse ai superiori dei Comboniani: “Il sottoscritto Luisi Filippo Antonio di Michele e di Rosa Carrescia, agricoltore, per meglio servire Dio e la Chiesa chiede umilmente alla P. V. di volerlo ammettere in qualità di Fratello in codesta casa religiosa… 13 febbraio 1938”.

Il parroco, Don Nicola Rosato, aggiunse che “il giovane, figlio di legittimi coniugi, è di ottima condotta morale ed è inclinato allo stato religioso”. In famiglia, oltre ai genitori, avrebbe lasciato due fratelli e tre sorelle. La scintilla della sua vocazione alla vita missionaria, secondo la testimonianza del parroco, fu accesa dalla lettura dei libri missionari. Lo stesso parroco attesta che “prima della vocazione alla vita missionaria Filippo Antonio mostrò tendenza allo stato coniugale”. Non sappiamo di più, ma la precisazione del parroco ci potrebbe far pensare che il nostro giovane aveva una fidanzata che poi lasciò per seguire la nuova vocazione che gli si era accesa nel cuore.

Intanto i lavori della campagna premevano e Filippo Antonio procrastinava la sua partenza. Il 7 agosto 1938 scrisse giustificando il suo ritardo: “La prego di tenermi per scusato poiché sono molto occupato nei lavori della raccolta. Posso, però, affermare che, anche durante le occupazioni rurali, non faccio altro che ripassare nella mia mente i diversi episodi che leggo nei periodici missionari. Mi struggo dal desiderio di essere nel loro Istituto per lavorare per la dilatazione del Regno di Dio nel mondo. Spero che questo mio desiderio divenga quanto prima una felice realtà. Fra una decina di giorni le saranno inviati i documenti richiesti”.

Il suo parroco attribuì il ritardo nel seguire la vocazione a due fattori: “Il giovane postulante, prima di fare il passo, ha voluto esperimentare meglio la sua vocazione; in secondo luogo ha voluto preparare i genitori all’amaro distacco aiutandoli nei lavori agricoli”. In data 26 agosto 1938 il papà e la mamma diedero il loro consenso con espressioni ispirate alla fede: “Noi lo dedichiamo per sempre al Signore nel detto Istituto perché faccia in esso ciò che i superiori crederanno più vantaggioso, e siamo pronti ad accoglierlo di nuovo in casa qualora spontaneamente se ne uscisse ovvero per qualche motivo venisse dai superiori rimandato”.

Gli fu risposto che poteva entrare nel noviziato di Venegono Superiore verso la metà di settembre. Di fatto entrò il 26 settembre 1938. Dovette giurare che durante il servizio militare non aveva contratto nessun impedimento alla valida e lecita ammissione al noviziato. Ha dovuto giurare perché il suo cappellano, che durante il servizio militare aveva visto una sola volta, era irreperibile.

Novizio impegnato

Filippo Antonio ebbe due padri maestri. Il primo fu P. Antonio Todesco; il secondo P. Stefano Patroni. P. Todesco scrisse: “Ha grande desiderio di far bene, tanta buona volontà e lavora con impegno. Ama la preghiera e la vita regolare. È un po’ agitato interiormente per la paura di sbagliare; è un po’ timido ed estremamente sincero. La sua obbedienza è totale. È uomo intelligente e di criterio”.

P. Patroni aggiunse: “È molto diligente nelle sue cose spirituali benché spesso, per ragioni del suo ufficio, deve farle fuori orario. Ama l’umiltà e coltiva il raccoglimento. Talora si lascia preoccupare da vari timori. Ama il lavoro e la fatica. Gli è stato affidato l’ufficio di cuoco e ha dimostrato competenza e fantasia. La sua condotta è esemplare. Se continua così sarà un buon religioso, anche perché si lascia guidare con docilità”.

A 26 anni di distanza, quando seppe della morte di P. Patroni, Fr. Filippo Antonio (che si trovava in Inghilterra) scrisse: “È stata per me ben dura, quantunque sapessi delle sue condizioni di salute. Avevo già scritto la lettera con il mio piccolo regalo spirituale, come segno di gratitudine al mio venerato ed amato padre maestro, ricordando la sua squisita e cordiale carità che mi usò nel tempo in cui fui con lui a Firenze”.

Nella domanda per i primi voti, questo umile Fratello scriveva ai superiori: “Confidando nel Cuore divino di Gesù e nella vergine Santissima, prometto di mettere tutta la mia buona volontà per essere sempre un buon religioso e lavorare quanto mi è possibile per la salvezza delle anime” (08.01.1941). P. Stefano Patroni aggiungeva in calce alla lettera: “Do volentieri il mio voto. Il suo spirito di preghiera, l’amore al sacrificio e la docilità ai superiori fanno presagire che sarà un buon religioso”.

Emise i voti il 2 febbraio 1941 e… non si mosse dal suo ufficio di cuoco dei novizi di Firenze durante tutto il periodo della guerra. Ci furono bombardamenti, paure, fughe improvvise per nascondersi, ma Fr. Filippo Antonio non si scompose mai più di tanto grazie a una forte dose di fiducia in Dio che riusciva ad instillare anche negli altri.

Quando si è trattato di chiedere il rinnovo dei voti, così si espresse: “La mia volontà, grazie al buon Dio, è sempre la stessa: vivere e morire da santo religioso in questo amato Istituto… Chiedo perdono delle mie negligenze e prometto di riparare e di pregare per correggermi dei miei difetti e per essere un santo Fratello” (07.01.1942).

Nel 1945 fu destinato alla casa di Padova, sempre come cuoco. Finalmente, con la fine della guerra, si aprì anche per lui la strada che portava nel centro dell’Africa.

Istruttore a Kayango

Sua prima destinazione fu la missione di Kayango nel Bahr el Ghazal. Vi giunse il 25 aprile 1947. Il suo incarico era “ad omnia”. Ma in quella missione di antica fondazione c’erano tante cose da fare. La guerra in Europa aveva impedito l’afflusso di missionari e di mezzi per cui molti edifici erano in condizioni pietose. Il nuovo arrivato si rimboccò le maniche, imparò la lingua Jur e si dedicò anima e corpo ai lavori. P. Carlo Broggini scrisse di lui: “Ottimo Fratello, venuto dall’Italia senza nessuna preparazione, ma che con lo sforzo, l’attività e l’applicazione ha saputo farsi da sé”.

P. Luigi De Giorgi aggiunse: “Buon Fratello. Lodevolissima la sua buona volontà: dopo 10 anni di cuoco in Italia ha saputo imparare i diversi mestieri. È il primo Fratello a Kayango che ha insegnato ai Jur a costruire. E costruisce bene. È un uomo di un solo lavoro per volta”. Queste parole di P. De Giorgi sono molto importanti perché ci dicono che Fr. Filippo Antonio ha saputo mettere in pratica il Piano di Comboni: salvare l’Africa con gli africani”. E, almeno a Kayango, è stato il primo in questo.

Il grande lavoro che la missione affrontò in quel periodo fu la costruzione della nuova chiesa. “Vengono da Mboro alcuni ndogo che squadrano un bel numero di sassi per lo zoccolo della nuova chiesa”, recita il Bollettino dell’Istituto, numero 35. E più avanti: “Si raccolgono circa 600 mucchi di sassi per la nuova chiesa e si scava il fango per circa 160.000 mattoni”. A capo di tutta questa attività c’era il nostro Filippo Antonio che “qualche volta gli scappano i nervi quando vede che i suoi operai preferiscono i commenti seduti all’ombra che lavorare al sole”.

Ma Fr. Filippo Antonio dovette affrontare lavori supplementari e imprevisti: “A mezzogiorno la scuola maschile prende accidentalmente fuoco. Si riesce a salvare solo un tavolo, tutto il resto è ridotto in cenere nello spazio di pochi minuti”. Nel marzo del 1951, con l’aiuto di Fr. Angelo Zanetti viene inaugurato il nuovo mulino meccanico: “Questo meraviglioso congegno ci aiuta a vincere la fame che periodicamente viene a visitare la nostra zona”. “Il 4 giugno un fulmine cade sulla casa delle suore e squarcia un pilastro della veranda. Grazie a Dio nessuna disgrazia e ulteriore lavoro per Fr. Filippo Antonio”. “Un leone azzanna una nostra capra, ma è costretto a lasciarla. Il Fratello dall’alto di una pianta cerca di farsi onore, ma tutto finisce in molte cose da raccontare”.

Intanto viene costruita la segheria azionata da un motore. “Mr. Cox, incaricato dell’Educazione della provincia, viene per decidere sui nuovi fabbricati scolastici, e specialmente circa il nuovo erigendo magazzino”… “Ormai che si era alla bella profondità di 31 metri e l’acqua vicina, il pozzo cominciò a franare e, a vero malincuore, si deve abbandonare l’impresa. È ormai il secondo che ottiene gli stessi risultati”… “Tutta la scolaresca va alle rive del fiume Kpango. Settimana di grande svago e divertimento. P. Graziano Panza e Fr. Filippo Antonio si fanno più che onore anche nella caccia, con tutte quelle bocche da sfamare”… “Un’impudente leonessa che faceva la spavalda, comparve vicino alla stalla, ma i fucili di Zanetti e di Luisi la atterrano. Ora si dovrà stabilire chi fu il vero uccisore del felino”… “Da Kangi giunge la notizia che la cappella ha preso fuoco ed è stata completamente distrutta. Altro lavoro per Fr. Filippo Antonio che pensa già ai 35.000 mattoni da preparare per quella nuova”.

27 settembre 1954: “Fr. Filippo Antonio, che ha prodigato tutte le sue energie per il miglioramento della missione di Kayango per lo spazio di 7 anni, viene mandato in Italia per una ben meritata vacanza. Kayango gli è molto riconoscente”. Con queste parole del Bollettino n° 44, si conclude l’esperienza sudanese di Fr. Filippo Antonio.

Inghilterra e Uganda

Dopo due anni di permanenza nella casa di Sulmona (1955-1957) Fr. Filippo Antonio fu dirottato in Inghilterra, esattamente a Bradford e Allanton, in Scozia, dove si dedicò alla costruzione della nuova chiesa che venne inaugurata il 12 marzo 1966. Lui, che era stato un costruttore di vaglia, tornò serenamente alle pentole e alle stoviglie nell’umile desiderio di servire i confratelli. Vi rimase quattro anni, fino al 1961, data in cui passò a Sunningdale con il gruppo dei “fratelli costruttori”.

Da una lettera di Fr. Filippo Antonio scritta il 4 agosto 1968 possiamo vedere la sua delicatezza d’animo nei confronti dei superiori: “Reverendo Superiore Generale, le invio i miei auguri assicurandola delle mie preghiere. Le porgo il piccolo dono per il suo onomastico di nove messe ascoltate, nove sante comunioni e quattordici santi rosari. Spero che li voglia gradire… Ed ora le chiedo la carità se vuole dirmi qualche cosa sul mio desiderio di andare in missione. Io desidero sinceramente di poter lavorare ancora in terra d’Africa. Non essendo possibile tornare in Sudan da dove siamo stati espulsi, io mi accontento di qualsiasi altra parte. Tuttavia accetto il suo desiderio perché vedo in esso la volontà del Signore”. Meravigliosi questi fratelli!

“L’Uganda non concede più entry permits perché vuole africanizzare anche la Chiesa. Perciò vi consiglio di mettervi calmo e di offrire al Cuore di Gesù anche questo sacrificio per il Sudan”, gli rispose P. Gaetano Briani.

Passarono ancora tre anni. Finalmente una lettera di P. Ottorino Filippo Sina, vicario generale dell’Istituto, apriva a Fr. Filippo Antonio le porte della missione: “Spero che vi siate ripreso dalle operazioni che avete subito e siate preparato anche dal punto di vista della salute a partire per l’Uganda. Accludo una lettera di P. Giacomo Ambrogio che mostra quanto vi desiderino laggiù, dove ora tutto è quieto…”(18 febbraio 1971).

Dopo un anno trascorso a Palabek, Fr. Filippo Antonio andò a Gulu come addetto ai servizi della Cattedrale e della casa. Vi rimase dal 1972 al 1989. Dal 1989 al 1995 passò a Patongo. Ormai Fr. Filippo Antonio non aveva la forza per dedicarsi alle costruzioni, allora si specializzò nei piccoli lavori indispensabili nella comunità. Tutti notarono il suo spirito di adattamento, di disponibilità e di servizio passando dalle cose importanti a quelle più piccole con la stessa disinvoltura. E quando aveva terminato un lavoro, chiedeva se c’era ancora qualcosa da fare.

Un altro aspetto della spiritualità di Fr. Filippo Antonio era la preghiera. “Recitava una quantità di rosari. Per qualsiasi piccolo servizio o gentilezza che gli si rendeva, prometteva di recitare un rosario”.

Ad un certo punto la salute cominciò a venir meno, allora dovette lasciare la missione e ritirarsi a Rebbio di Como. Anche qui continuò con il suo solito spirito di umile servizio e di offerta dei propri acciacchi.

“Quando la malattia gli presentò una certa dose di sofferenza – scrive P. Giannantonio Berti - Fr. Filippo Antonio non fece che chinare la testa e dire: ‘Signore, sia fatta la tua volontà’. Aveva una gamba tutta nera a causa della cattiva circolazione. Sotto però c’era il tumore che gli prendeva le ossa. Col passare del tempo i dolori si fecero lancinanti, allora il Fratello trovava conforto contemplando il crocifisso. E pareva che i dolori scomparissero”.

Nel 1996 l’allora Superiore Generale P. David Glenday, gli scrisse: “Da vecchio tuo amico (ricordi i nostri giorni ad Allanton e poi a Gulu dove eravamo vicini di stanza), ti saluto con molto affetto e ti assicuro del mio ricordo grato ed affettuoso… Per tanti anni hai dato il tuo servizio nella mia provincia d’origine e poi in Uganda tra gli Acholi. Grazie di cuore e che il Signore ti benedica per tutto il bene che hai fatto in maniera semplice ed umile, da vero Fratello Comboniano”.

Quando la malattia si aggravò, passò al centro Ambrosoli di Milano dove si è spento il 12 dicembre 2002. Dopo i funerali nella chiesa della Madonna di Fatima, la salma ha proseguito per Rebbio dove è stata inumata nella tomba dei religiosi.

P. Lorenzo Gaiga

Bro. Filippo Antonio Luisi was born at Roseto Valforte, diocese of Lucero-Troia. His parish-priest who assisted him in making his application to enter the Comboni Missionaries, writes: “The young applicant, before making his final step, has desired to test better his vocation, to prepare his parents to the bitter separation and to assist them for a little while with the work in the fields. At the beginning of October he will be ready to leave and say good-by to his parents. I can also declare that the young man has always resided at Roseto, except for the time of the military service.”

Bro. Filippo Antonio entered the Institute as a postulant at the age of 24. He took his first vows in 1941 and the final vows in 1947, at the completion of his novitiate in Florence. Twenty-six years later he remembered of his novice mater, Fr. Stefano Patroni, “his exquisite and cordial kindness who showed me during the time I was with him in Florence.”

The first years after his first vows were spent at Padova. Sent later on Bahr el Ghazal, South Sudan, a note of his superior (1950) says: “He is the first Brother at Kayango to teach how to build to the Jur.” In 1957 he was at Sulmona, Italy, and from 1961 in the UK in the houses of Bradford, Allanton and Sunningdale. In 1972 he left for Uganda where he remained till 1995, first in the mission of Palabek, then at Gulu Cathedral and later in Patongo mission. In 1995 he returned to Italy mainly for health reasons and was sent to the community of Rebbio.

In 1996 the Superior General at the time, Fr. David Kinnear Glenday, wrote to him: “As an old friend of yours (I recall our days together at Allanton, and later at Gulu Cathedral, where we were next-door neighbours), I greet you very warmly and assure you my grateful and dear remembrance… For many years you have given your service to my province of origin and then to Uganda among the Acholi. Heartfelt thanks to you and may the Lord bless all the good you have done in a simple and humble way, as a true Comboni Brother.”

Bro. Filippo Antonio died at Milano on 12 December 2002. From Rebbio, Fr. Gianantonio Berti writes: “As the saying goes: a tree falls on the side it leans on. I believe I know on which side Bro. Filippo Antonio was leaning on.

“He showed three main characteristics. The first was that of ‘service’. He was always ready to help. He used to spend the mornings in the kitchen, giving a hand to the cooks. When Sr. Crescenzia gave him leave to go, he used to fetch a broom and sweep the drive and the courtyards. He did this with such a simplicity and kindness that one almost felt guilty if unable to give him a task to do when he asked for one.

“The second one was ‘prayer’: he used to say a good number of rosaries. For any little service or kindness shown to him, he used to promise a rosary in return…

The third was his full acceptance of ‘suffering’. He was in great pain, especially for the cancer that affected him and which, eventually, caused his death… If one told him: ‘Take courage, Brother, you are like Christ on the Cross or helping him to carry it’, then he would immediately calm down and one got the impression that he wasn’t feeling the pain any more.

“I like to remember Bro. Filippo Antonio like this, a true brother to all, unruffled, always busy doing something useful to others, with a rosary in his hand when not holding a broom or a kitchen knife, serenely bearing the suffering of his cross in the footsteps of Christ. I am sorry not to see him any longer around this house at Rebbio, but I am also happy that a Brother and a friend in heaven is now interceding for the mission.”

Da Mccj Bulletin n. 220 suppl. In Memoriam, ottobre 2003, pp. 17-24