In Pace Christi

Baroni Agostino

Baroni Agostino
Data urodzenia : 05/10/1906
Miejsce urodzenia : San Giorgio di Piano (BO)/I
Śluby tymczasowe : 01/11/1924
Śluby wieczyste : 07/06/1929
Data święceń : 05/04/1930
Data ślubów : 21/09/1953
Data śmierci : 10/11/2001
Miejsce śmierci : Bologna/I

L’Africa chiama

Il seminario di Bologna, come anche altri, era periodicamente visitato dai missionari dei vari Istituti che si intrattenevano con i seminaristi a parlare di missioni, di Africa, Cina, India, di anime da salvare. Il padre spirituale del seminario, Mons. Cesare Sarti, era un sant’uomo e amava molto le missioni. Grazie anche al suo influsso, dal suo seminario sono usciti grandi missionari. Ricordiamo solo quelli che sono entrati tra i Comboniani: Mons. Francesco Saverio Bini, predecessore di Mons. Baroni a Khartoum, Mons. Armido Gasparini, vescovo in Etiopia, P. Emilio Mengoli, P. Giulio Rizzi, P. Amleto Accorsi, P. Roberto Zanini, P. Giovanni Minoli… Tutti uomini di primissimo piano.

Mons. Sarti plasmava il cuore dei giovani seminaristi ai grandi ideali evangelici di universalità. Nelle sue meditazioni era spesso presente il monito di Cristo rivolto ai discepoli prima di lasciare questa terra: “Andate in tutto il mondo, predicate, battezzate…”. I più sensibili assorbivano quegli insegnamenti e li custodivano nel cuore meditandoli. Mons. Baroni, nel suo “testamento spirituale”, scritto il 15 marzo 1999 (a 168 anni dalla nascita di Mons. Comboni) tra gli altri ringraziò “I superiori del seminario ginnasiale di Bologna, ed in particolare il padre spirituale Mons. Cesare Sarti, che mi diresse verso le Missioni Africane”.

Dopo la quinta ginnasio, dunque, Agostino lasciò il seminario diocesano per entrare tra i Comboniani. Nella sua “Istanza di accettazione in noviziato”, come la chiama lui, scritta in data 7 ottobre 1922 al Superiore Generale dei Comboniani, dice: “Il sottoscritto Baroni Agostino, per il desiderio che si è andato sempre più formando e sviluppando nell’anima sua di andare ad esercitare un giorno il suo apostolato nelle lontane missioni africane, porge umile istanza di essere ammesso come novizio alla Congregazione dei Figli del Sacro Cuore. Con la speranza di essere esaudito, fin d’ora ringrazia e porge umili ossequi”.

Il rettore del seminario minore, can. Edoardo Gallini, scrisse: “Del giovinetto Baroni Agostino godo dare le più ampie attestazioni circa l’indole, la pietà, la morigeratezza, la diligenza ed assiduità allo studio. Nei cinque anni che ha trascorso in questo seminario, ove ha compiuto gli studi del ginnasio, è sempre stato carissimo ai superiori e ai condiscepoli pel suo ingenuo candore, per la schietta pietà, per la carità fraterna spinta fino al sacrificio, per l’assiduo sforzo di progredire nel sapere, sforzo coronato da sempre migliori successi negli ultimi anni. Sono certo che la Congregazione non avrà che da rallegrarsi d’un prezioso acquisto”.

Anche i genitori sottoscrissero il loro consenso aggiungendo la seguente postilla: “Sia fatta, lodata ed in eterno esaltata la giustissima, altissima volontà di Dio”.

P. Faustino Bertenghi fu il suo primo formatore e padre maestro. Agostino era in buone mani perché P. Bertenghi godeva fama di santo e lo era davvero. Morì a 50 anni distrutto dalla TBC nel 1934. Nella sua relazione afferma: “Agostino è entrato in noviziato il 12 novembre 1922, come studente. Si è dimostrato subito un ottimo figliolo, molto pio e osservante per cui promette molto bene. È di carattere mite, sensibile, un po’ timido, molto ordinato, aperto e socievole. La sua salute è buona anche se è di costituzione piuttosto debole. Ha avuto un notevole sviluppo in statura. Farà quest’anno la prima liceo (30 ottobre 1923)”.

Agostino emise i primi Voti il 1° novembre 1924 e andò a Verona per completare il liceo e la teologia che allora veniva fatta nel vicino seminario diocesano.

Sacerdote e studente a Londra

Venne ordinato sacerdote nella cappella dei Comboniani di Verona il 5 aprile 1930 da Mons. Girolamo Cardinale, vescovo della città scaligera, con dispensa da parte del Papa Pio XI “perché mancavano ancora sei mesi e 18 giorni all’età canonica di 24 anni”.

“A quella funzione, che non doveva essere disturbata da distrazioni – dice la sorella – nessuno della famiglia era presente. La vera festa per la prima messa ebbe luogo a Malalbergo dove era parroco il fratello Don Antonio (ordinato nel 1925) e in paese. E fu veramente solenne, con addobbi, canti e musica”.

La permanenza tra i suoi fu di pochi giorni poiché, essendo destinato a Khartoum, doveva recarsi al più presto in Inghilterra per un corso di inglese richiesto dalle autorità coloniali inglesi per coloro che dovevano dedicarsi all’insegnamento nei loro territori. Sappiamo che il Sudan, dal 1899, era possedimento anglo-egiziano, anche se l’Egitto ormai contava poco.

Nel luglio di quel 1930 P. Agostino era già a Sunningdale, in Inghilterra, dove i Comboniani avevano il loro noviziato. Iniziò subito il corso con grande impegno e buoni risultati, distinguendosi come esemplare negli esercizi ginnici. Teniamo presente che aveva 23 anni.

I Comboniani in Inghilterra vivevano nell’estrema povertà. Spesso mancava anche l’indispensabile poiché non erano ancora sufficientemente conosciuti. Dovendo recarsi a scuola in bicicletta, perché non aveva i soldi del bus, P. Agostino scivolò sulla strada umida e cadde procurandosi un trauma alla spalla e all’orecchio destro. Ne soffrì per tutta la vita.

Dopo un anno e mezzo conseguì il diploma di insegnamento e, con questo, la possibilità di entrare a pieno diritto nella scuola nelle colonie inglesi. P. Agostino s’imbarcò per l’Africa da Napoli insieme ad altri cinque, tutti destinati al Vicariato di Khartoum. Erano: P. Antonio Agrati, P. Pietro Vai, P. Pietro Brambilla (di ritorno), Fr. Giosuè Grismondi e Fr. Luigi Bollini.

Sulle orme di Comboni

P. Baroni arrivò a Khartoum il primo ottobre del 1932, come professore al Comboni College la cui direzione didattica era in mano ai Canadian Brothers (Fratelli del Sacro Cuore) e fu nominato “prefetto della disciplina”. Gli alunni erano 129, tutti cristiani. La legislazione inglese, infatti, proibiva che un non cattolico fosse accolto in una scuola cattolica, perciò il Comboni College era frequentato solo da figli di cristiani.

P. Agostino aveva 26 anni, la stessa età di Daniele Comboni quando, nel 1857, con un gruppo di volonterosi appartenenti all’Istituto Mazza di Verona, raggiunse Khartoum e, a bordo della Stella Mattutina, risalì il Nilo fino a Santa Croce, quasi ai confini con l’Uganda.

È strana questa coincidenza tra Baroni e Comboni. Baroni, infatti, sarà il sesto successore di Comboni e l’ultimo dei vescovi europei. Egli lascerà la diocesi nel 1981, a cento anni esatti dalla morte del Beato Daniele Comboni, e la consegnerà a un vescovo africano, Mons. Gabriel Zubeir Wako, quasi a sigillo che il piano per la rigenerazione dell’Africa: salvare l’Africa con gli africani, tracciato da Comboni, si era realizzato.

P. Giovanni Vantini precisa: “Mons. Baroni non solo è stato il successore di Comboni come vescovo per quasi 30 anni, ma di Comboni ha avuto la fede, lo zelo, il coraggio, la perseveranza e… le croci”.

Si era ancora agli inizi poiché il Comboni College era stato fondato nel 1929 dal vescovo comboniano Mons. Paolo Tranquillo Silvestri. Il corpo degli insegnanti era costituito, oltre che dai Canadian Brothers, dai Comboniani P. Carlo Tupone, P. Costante Franceschin, P. Ettore Pasetto, P. Fernando Sembiante, P. Emilio Mengoli, e subito dopo si aggiungerà P. Paolo Adamini.

Nel 1935 i Canadian Brothers si ritirarono dall’insegnamento in Sudan e la direzione didattica cadde sulle spalle dei 5-6 insegnanti comboniani. “Ce la faremo?”, si domandarono perplessi. Ce la fecero benissimo. Agli esami di Oxford (corretti a Londra) gli scolari del Comboni College risultarono tutti promossi. .............(omissis)

Educare alla responsabilità

Nel suo metodo educativo, P. Baroni tenne saldi alcuni principi fondamentali che porteranno frutti copiosi. Aveva chiara la convinzione che la Chiesa “per essere piantata” deve avere “occhi aperti” alla cultura, alle possibilità intellettuali e morali della gioventù. Senza questo lavoro di pre-evangelizzazione la Chiesa come “assemblea di credenti” difficilmente poteva essere stabilita, a meno che il Signore non volesse compiere miracoli.

Oggi ci si commuove - e giustamente - per la povertà materiale del Terzo Mondo, ma si rimane con il cuore gelido, indifferente di fronte all’estrema povertà culturale di queste nazioni. Abuna Baroni, perfetto insegnante di lingua inglese, esigeva dai suoi alunni ordine, scrittura nitida, impegno nello studio, senso del dovere e della responsabilità. Tutto questo era considerato da lui come una necessaria preparazione ai doveri dell’età matura. Per questo i suoi alunni erano i candidati preferiti dai titolari di società commerciali ed industriali significative del Sudan.

Il presidente Gaafar Mohammed Nimeiri si sentì in dovere di riconoscere ed apprezzare pubblicamente il ruolo educativo della Chiesa cattolica nella persona di Mons. Agostino Baroni, conferendogli una speciale onorificenza come “Pioniere nel Sistema Educativo” in Sudan e, per di più, la “Cittadinanza Sudanese”. Finora tale onorificenza non è stata concessa a nessun altro straniero in Sudan, né prima né dopo Mons. Baroni. .........(omissis)

Il Comboni College si apre agli studenti esteri

Nel 1947 P. Baroni si recò ad Asmara, e trattò con quel governo per accogliere nel Comboni College alcuni ragazzi eritrei. Altri vennero mandati dall’Etiopia, dalla Somalia e dall’Arabia Saudita. Dalla meritata fama si passò anche alla “leggenda”. P. Vantini dovette sfatare ciò che la gente sussurrava a proposito di P. Baroni. Secondo questa leggenda il missionario, prima di diventare sacerdote, era… sposato. Quando gli morì la moglie, trovandosi senza figli, si sarebbe fatto prete. Diversamente non si poteva spiegare come mai fosse così competente nell'educare i giovani.

Nel 1950 – era già in vista il governo provvisorio sudanese in preparazione all’indipendenza – si celebrò a Roma il giubileo. A Khartoum si organizzò un viaggio nella capitale della cristianità. P. Baroni invitò Sayed Shangaiti, presidente della camera dei deputati, per una visita a Roma e in Vaticano. Anche questo poteva essere un passo verso quel “dialogo” tra cristiani e musulmani che P. Baroni aveva messo come punto fondamentale del suo programma missionario. Il primo ministro ne fu entusiasta e rimase sempre molto comprensivo nelle sue relazioni con la Chiesa cattolica.

Ma il 1950 segnò un punto oscuro, anche se provvidenziale, nella vita di P. Baroni. Fu trasferito a Londra come padre maestro dei novizi di Sunningdale. Anche altri missionari furono improvvisamente mandati in Uganda, a Roma e altrove. Cosa stava succedendo? I disaccordi nel corpo insegnante del Comboni College, quanto a metodo formativo, venivano a galla. ...........(omissis)

 

Sesto successore di Comboni

In giugno del 1953 cessò improvvisamente il “confino” di P. Baroni a Londra. Un telegramma di P. Antonio Todesco, Superiore Generale dell'Istituto, gli comunicava: “You are elected Vicar Apostolic of Khartoum. Congratulations!” (Sei stato eletto vicario apostolico di Khartoum. Congratulazioni!). Baroni rispose il giorno dopo, dichiarandosi molto sorpreso perché, concentrato com’era nel lavoro del noviziato, era rimasto all’oscuro sia delle dimissioni di Mons. Bini, sia delle difficili consultazioni fatte tra i Comboniani di Khartoum. Infatti in lizza c’erano altri nomi di rilievo, e tutti degnissimi di ricoprire quella carica, come P. Giulio Rizzi, P. Emilio Mengoli, P. Roberto Zanini…

Dopo la partenza di Mons. Bini per cure in Italia – ottobre 1952 – era rimasto P. Mengoli come vicario delegato. Al Comboni College si attendeva l’arrivo di P. Zanini dal Cairo come “principal”.

Molti erano i problemi che attendevano una soluzione che non poteva essere presa senza un’autorità competente. Perciò P. Mengoli fece pressione sul Superiore Generale affinché Mons. Bini desse le dimissioni e si procedesse alla nomina del nuovo vicario apostolico.

P. Mengoli favoriva la nomina di P. Giulio Rizzi a nuovo vescovo ed era convinto che P. Baroni non fosse adatto. Forse sarebbe stato ben accolto dai suoi amici, ma subito dopo pochi anni avrebbe dovuto ritirarsi perché era sì un buon educatore, ma non gli sembrava un buon pastore. Però giurava che, se fosse stato eletto, lo avrebbe accettato in pieno. Al Comboni College, invece, buona parte dei missionari era in favore di P. Baroni. È chiaro che le opinioni umane sono sempre molte........(omissis)

Due polmoni

Il nuovo vescovo puntò soprattutto sul lavoro pastorale che era in parte da rifare. C’erano alcune sezioni di Azione Cattolica e presidi della Legione di Maria ed il club cattolico da rinnovare. Il grande pubblico si limitava alla messa domenicale, e pochi andavano ai vesperi e alla benedizione serale.

Mons. Baroni aveva una convinzione ben precisa in testa che costituiva come i due polmoni della sua attività. Il primo polmone era l’educazione vista come un pre-requisito essenziale per l’evangelizzazione. Dava, quindi, pieno appoggio al Comboni College e ad altre scuole esistenti, cercando di aprirne delle altre in tutte le parrocchie della sua diocesi. Non solo, ma, accanto alla scuola, apriva un centro sanitario. Scuola e sanità dovevano andare di pari passo per costituire la base del progresso civile, umano e religioso della società.

Il secondo polmone fu il PALICA (Centro per la Pastorale, la Liturgia e la Catechesi). Si batté con tutte le sue forze per la realizzazione di quest’opera che doveva coinvolgere il clero e il laicato. In tutte queste attività venivano usate le due lingue ufficiali: l’arabo e l’inglese. Ciò doveva servire anche a promuovere l’unità della nazione costituita da un’infinità di tribù con lingue e usi diversi.

Animato da questo spirito, fondò il giornale cattolico As-Salam. Con esso spiegava il pensiero cattolico sui vari problemi dottrinali e sociali più importanti. Il giornale fu diretto per una decina d’anni da P. Giovanni Vantini e poi da P. Attilio Laner.

Dopo l’espulsione dei missionari dal Sud del Paese (1964) pensò di far rivivere il mensile “The Messanger” a suo tempo pubblicato a Wau da Mons. Edoardo Mason.

In seguito ottenne un tempo settimanale per il Vangelo della domenica a Radio Omdurman. Essendo gli scolari musulmani numerosi nelle scuole tenute dai Comboniani, previa autorizzazione della Santa Sede, accettò che maestri di religione musulmana, sotto il controllo dei nostri direttori scolastici, insegnassero Islam ai musulmani nelle scuole cattoliche. Così ottenne che maestri di religione cristiana fossero accettati nelle scuole governative per l’insegnamento del catechismo agli scolari cattolici. Si ottenne poi l’istituzione di un Ufficio Religioso Cristiano nello stesso Ministero dell’Educazione di Khartoum. Di conseguenza, questo Ministero si prese la responsabilità di far stampare i testi di insegnamento cristiano preparati dal Concilio Sudanese delle Scuole Cristiane. Insomma, il dialogo interreligioso per il quale tanto si era battuto, senza scoraggiarsi, con infinita pazienza, si concretizzava in fatti positivi.

Lettere e visite pastorali

Mons. Baroni diede una grande importanza alle “lettere pastorali”, due ogni anno, soprattutto in occasioni particolari. Sarebbe importante pubblicarne una collezione che testimonierebbe lo sviluppo graduale della vita religiosa e sociale in quella Chiesa che si consolidava.

Ogni anno, di solito in Quaresima, faceva una visita pastorale visitando anche per pochi giorni i missionari e le missionarie dispersi nel vastissimo territorio del suo vicariato, il più vasto del mondo: un milione di kmq con appena sei centri missionari (nel 1953). Da Khartoum doveva percorrere in treno, e occorrevano vari giorni, 900 km per raggiungere Atbara e Port Sudan nel nord est e poi rientrare e recarsi a El Obeid, a sud ovest, per altri 900 km in ferrovia.

Sempre sereno e padrone di se stesso, non voleva che gli altri si accorgessero degli strapazzi inauditi ai quali si sottometteva, con quelle strade e con quel caldo. In ogni missione sostava due o tre giorni in modo da avere tutto il tempo per dialogare con i missionari, esaminare insieme i vari problemi, studiare i progetti per il futuro.

Ascoltava tutti, mostrando interesse per ciascuno, e al ritorno radunava il consiglio vicariale per decidere il da farsi. In varie occasioni, per esempio prima di Natale o Pasqua o dopo avvenimenti speciali, visitava le comunità comboniane di Khartoum, dopo cena alla sera, per metterle al corrente degli eventi, dei progetti e programmi, per pregare insieme.

Ad ogni Quaresima, per le scolaresche cattoliche iniziava la “gara catechistica”. Si radunavano a Khartoum i migliori allievi e allieve di tutto il Vicariato e c’era una gara molto sentita in tutta la comunità cattolica. Insomma, le iniziative non mancavano mai. Anche al ritorno da Roma, dopo la conclusione del Concilio Vaticano II, Mons. Baroni radunò in cattedrale tutto il personale missionario e dall’altare, come da una cattedra, presentò i vari documenti conciliari, discutendo insieme i nuovi indirizzi.

La persecuzione al Sud

Abbiamo già detto che l’unione del Sudan del Nord con quello del Sud voluta dagli inglesi nel 1946 è stata l’inizio delle sciagure per questa nazione. Il motivo principale di tante sofferenze va ricercato nella fondamentale incompatibilità tra il Nord arabo di religione musulmana, ed il Sud africano di religione cristiana o animista. Il ricordo della schiavitù esercitata dagli arabi nei confronti dei neri nel secolo precedente non si era ancora cancellato e ciò creava una grave incompatibilità tra i due popoli.

La scintilla della guerra (che dura ancora oggi) si accese addirittura quattro mesi prima dell’indipendenza del Sudan. Ebbe inizio nella città di Torit, al Sud, il 18 agosto 1955.

Con l’indipendenza (1956), tutti i poteri del Sud furono messi nelle mani degli arabi del Nord: dai governatori ai commissari distrettuali, dai presidi delle scuole ai maestri, e molti commercianti arabi invasero il Sud allo scopo di islamizzarlo. Il regime militare di Abbud (1958-1964) segnò il punto più oscuro per la storia della Chiesa in Sudan. Nel 1960 fu abolita la domenica come giorno festivo settimanale nel Sud e sostituita dal venerdì islamico. Nel 1962 venne emanata una legge per il controllo della Chiesa (Missionary Society Act). La legge proibiva qualsiasi atto missionario, come catechizzare, battezzare, celebrare messa, ecc., senza permesso scritto del consiglio dei ministri. Insomma: era persecuzione vera e propria......(omissis)

1964: l’espulsione dei missionari dal Sud

L’atto più grave contro le missioni del Sud compiuto da Abbud, che si vantava di essere “il Nerone del Sudan”, fu l’espulsione in massa di tutti i 400 missionari e suore stranieri presenti nel territorio. L’operazione si svolse nel giro di 24 ore. Molti missionari furono portati all’aeroporto solo con ciò che avevano indosso al momento dell’arresto.

Con la partenza dei missionari e delle suore la responsabilità della giovane cristianità ricadde tutta, e quasi improvvisamente, sul clero locale: un vescovo cattolico (Mons. Ireneo Dud) con circa 20 sacerdoti sudanesi e 500 mila cattolici sparsi su un territorio grande due volte l’Italia. Rimasero anche due vescovi protestanti con un centinaio di pastori, sudanesi, che quindi non potevano essere espulsi.

Queste espulsioni al Sud non ebbero grandi ripercussioni nel Nord. Ogni qualvolta sorgeva un problema, i laici impegnati riuscivano ad arrivare a un compromesso consolidando, così, le basi del dialogo tra Chiesa cattolica e stato musulmano. Anche questo fu merito esclusivo di Mons. Baroni che, tuttavia, gli costò delle critiche da parte di qualche confratello.

Cristianizzazione del Nord

L’espulsione dei missionari dal Sud acuì l’attrito tra Sud e Nord. Una conseguenza imprevista della guerra nel Sud fu l’afflusso massiccio di neri al Nord, in cerca di sicurezza e di lavoro. Il movimento migratorio, per la verità, era già cominciato dopo l’indipendenza. Tra i nuovi arrivati vi erano cristiani, catecumeni e anche non cristiani. I missionari del Nord si trovarono improvvisamente tra le mani un immenso campo di lavoro...........(omissis)

1972: la pace di Addis Ababa

Nel 1971, in occasione del sinodo, Mons. Baroni fece un viaggio in Europa. A Khartoum nessuno sapeva nulla, ma in poche settimane Monsignore aprì le porte alle discussioni tra i leader degli Anyanya (ribelli del Sud) e il governo sudanese che sfociarono nella “pace di Addis Ababa”, il 27 febbraio 1972. Per questi colloqui fu incaricato dal governo, in via del tutto confidenziale, di trattare con i capi della guerriglia che si trovavano in Svizzera. Se si giunse a quella pace tanto insperata e che sorprese il mondo, lo si deve principalmente a lui. Il vicepresidente Abel Alier, fece poi il lavoro di “tessitura”: essendo sudista poteva parlare con Joseph Lago, il leader dei ribelli.

Con “gli accordi di Addis Ababa” si pose fine alla guerra tra Nord e Sud, inoltre venne riconosciuta la parte Sud del Sudan come popolo “africano” e non arabo e gli fu concesso un governo regionale autonomo. Negli accordi era menzionata per la prima volta ed espressamente la libertà di religione sia nella scelta di credo, sia nella pratica. Anche i missionari erano contenti di questa “pace” perché vedevano in essa una concreta possibilità di ritornare nelle loro missioni.

Per la sua modestia, Mons. Baroni non fece mai sapere nulla, così che a qualcuno parve che tutta la mediazione fosse merito di qualcun altro. Questa sua opera fu così apprezzata dal governo che quest’ultimo decise subito di avviare relazioni diplomatiche tra Sudan e Santa Sede (2 maggio 1972). Altro segno della stima e dell’apprezzamento del governo per il suo lavoro, specie nel campo dell’educazione, fu la concessione, fattagli, della nazionalità sudanese e del conferimento della medaglia d’oro.

Finita la guerra, nel Sud c’era tutto da rifare. Il governo non aveva mezzi sufficienti e invocava aiuti da chiunque potesse fare qualcosa. Mons. Baroni, con il pro-nunzio (Mons. Calabrese) diede origine a quel tessuto di relazioni tra le varie organizzazioni caritative cattoliche che portò alla creazione di una Caritas sudanese che ufficialmente si chiama “Sudanaid” (1973). Tramite la “Sudanaid”, affluirono in Sudan aiuti per il rimpatrio dei rifugiati, la loro sistemazione, la ricostruzione di scuole, chiese, dispensari, ecc.

Riorganizzare i seminari

Ciò che stava maggiormente a cuore a Mons. Baroni era la riorganizzazione dei seminari del Sud. Lì la guerriglia aveva distrutto tutti i seminari, eccetto uno occupato dalle truppe militari, aveva disperso i seminaristi all’estero (Uganda, Congo, Repubblica Centroafricana…), cancellata la presenza degli insegnanti. ..........(omissis)

1974: nasce la gerarchia in Sudan

Nel 1974 la Santa Sede, incoraggiata da Mons. Baroni che, in un certo senso si fece garante dell’operazione, giudicò pronto il clero del Sudan meridionale a diventare protagonista della propria Chiesa, segno che, nei 10 anni di persecuzione e di isolamento, lo Spirito Santo aveva lavorato bene. E prese una decisione storica elevando immediatamente tre vicariati e due prefetture apostoliche alla dignità di diocesi, fornendole di vescovi sudanesi. Altre due diocesi, sempre con vescovi del Sud Sudan, vennero erette qualche anno dopo. Sette in tutto. Ecco i loro nomi: - 1. Juba: abitanti 670.000; cattolici 392.200. - 2. Malakal: abitanti 2.700.000; cattolici 37.100. - 3. Rumbek: abitanti 1.069.000; cattolici 35.000. - 4. Tombura-Yambio: abitanti 483.000; cattolici 221.372. - 5. Torit: abitanti 491.683; cattolici 368.250. - 6. Wau: abitanti 1.949.000; cattolici 526.000. - 7. Yei: abitanti 452.000; cattolici 173.683. Totale nel Sud Sudan: abitanti 7.814.683; cattolici 1.753.138

In seguito, anche altri Missionari Comboniani, sacerdoti e fratelli, poterono entrare in Sudan meridionale. Ricordiamo P. Arturo Nebel, P. Luigi Penzo, P. Raffaele Tessitore, P. Pietro Ravasio, P. Giuseppe Pellerino, P. Raffaele Cefalo, P. Ottorino Sina, P. Salvatore Pacifico, P. Luigi De Giorgi, P. Tito Giuntoli, P. Giuseppe Farina e P. Mario Busellato. Questi ultimi tre hanno riaperto la missione di Rejaf. Mons. Baroni aveva avuto una parte importante in tutto questo, anche se, secondo il suo stile, preferiva il silenzio.  ...........(omissis)

1981: Mons. Baroni passa la mano

Nel 1979 Mons. Baroni compiva 73 anni. Prevedendo il suo ritiro da lì a due anni per raggiunti limiti di età, chiese alla Santa Sede un vescovo ausiliare facendo il nome di Mons. Gabriel Zubeir, vescovo di Wau. Gli venne concesso.

A Mons. Baroni sarebbe piaciuta una qualsiasi tra le date a lui personalmente care per passare la mano al successore e ritirarsi a Bologna insieme al fratello sacerdote e alla sorella. Invece, la Provvidenza condusse le cose in maniera diversa e anche significativa.

Il 10 ottobre 1981, primo centenario della morte di Mons. Comboni, fondatore della Chiesa in Sudan e primo vescovo di Khartoum, morto il 10 ottobre 1881, Mons. Baroni diede le dimissioni e consegnò la diocesi a Mons. Zubeir......(omissis)

Amministratore apostolico

Nel giugno 1982, la Santa Sede, attraverso il pro-nunzio di Khartoum Mons. Giovanni Moretti, chiese a Mons. Baroni di andare a Rumbek come amministratore apostolico, dopo le dimissioni del vescovo Mons. Gabriel Dwatuka.

La Chiesa di Rumbek era in una situazione disastrosa. Si trattava di una diocesi appena uscita dalle distruzioni causate dalla fame e dalla guerra. Mons. Baroni venne accolto in una chiesa spoglia e poverissima da una doppia fila di malati di lebbra che lo applaudivano battendo i loro moncherini. Ed egli piangeva dalla commozione. Gli pareva di aver realizzato il sogno che lo aveva spinto a lasciare il seminario di Bologna nei suoi anni giovanili, per lanciarsi sulla via della missione. Di fronte alle perplessità dei missionari: “alla sua età… nella diocesi più dura e difficile di tutto il Sudan…”, la sua risposta, senza esitazioni, era sempre la stessa: “È il Papa che me lo chiede; non posso assolutamente rifiutare”.........(omissis)

 

Servo operoso

Quando Mons. Baroni lasciò definitivamente l’Africa, aveva 79 anni. Tra le varie alternative che gli si presentavano, scelse di condividere la vita con il fratello sacerdote, Mons. Antonio, e con la sorella Imelda. Furono 16 anni passati nel suo modesto appartamento di Via della Torretta, 20, nella parrocchia di San Domenico Savio, a Bologna.

Scrive il parroco, Don Vittorio Fortini: “Lo zelo apostolico che ha animato tutta la sua vita non è venuto meno neanche in questo tempo di silenzio e di nascondimento. È stato sempre obbediente alla chiamata del nostro vescovo a prestarsi per le cresime nelle varie parrocchie della diocesi e per la messa quotidiana, con una breve omelia scritta, nella chiesa dei Santi Gregorio e Siro di Bologna. Finché le forze glielo hanno permesso.

Ho potuto seguirlo solo dal novembre 1998, quando sono stato nominato parroco di questa comunità. Nelle visite, che con una certa regolarità gli facevo nella sua casa, mi rincuorava nel mio ministero parrocchiale e mi assicurava il sostegno della sua preghiera. ‘Io non sono più capace… gli anni sono tanti e le forze molto piccole, le sto vicino con la preghiera. Vada pure avanti con coraggio. La preghiera è la grande forza della nostra vita’.

Ma proprio a questo punto emerge la grandezza spirituale e l’umiltà di questo santo vescovo. Riporto un documento autografo, scritto in data 8 novembre 1999. Mi scrive: ‘Carissimo Don Fortini, ho letto sull’ultimo suo Informatore Parrocchiale che la domenica 21 novembre, alle ore 10.00 lei conferirà il sacramento dell'unzione dei malati agli anziani che lo desiderano. Ed aggiunge che gli interessati che desiderano questo sacramento glielo facciano sapere. Eccomi, quindi, a pregarla di includere il mio nome, Agostino Baroni, ed anche il nome di mia sorella, Imelda Baroni. Non so se sia possibile concelebrare con lei, o se sia meglio che celebri a casa e che mi presenti costì assieme agli altri anziani, per il detto sacramento. Mi dica lei il suo parere; per me è indifferente. Ringraziandola fin d’ora, mi raccomando alle sue preghiere. +Agostino Baroni’. Una dichiarazione che mi ha commosso ed edificato”.

Verso l’ora suprema

“A cominciare dall’estate 2001 – prosegue il parroco – Mons. Baroni presentava un notevole decadimento fisico: le gambe non lo reggevano più ed era costretto a spostarsi in carrozzella, anche dentro lo stesso appartamento. Neppure le cure amorevoli della sorella Imelda potevano più sopperire a tanta debolezza, ma lo spirito era sempre vigile e pronto.

Domenica 4 novembre, ricevo dalla sorella una telefonata: mi chiede l’olio per gli infermi per il vescovo. Doveva venire in visita un confratello, vescovo del Sudan, e Mons. Baroni avrebbe ricevuto da lui l’unzione con l’olio benedetto. Il protrarsi del colloquio e la solita fretta non hanno permesso al vescovo venuto a visitarlo di amministrare il sacramento, così alla sera, quando vado per ritirare l’olio santo, mi sento chiedere l’unzione perché non era stata data. Cosa che feci molto volentieri.

Mons. Baroni con profondo raccoglimento ha seguito e risposto a tutto il rito. Come al solito ho chiesto un ricordo nella preghiera e immediatamente mi ha detto di sì, aggiungendo: ‘L’ho sempre fatto, quando ricordo i vescovi dell’Africa ed i sacerdoti di tutta la Chiesa’.

Nei giorni seguenti, con grande fatica ha celebrato la messa e nell’ultima messa celebrata la sua omelia è stata come una grande profezia; parola che rivela il suo pensiero sulla morte e l’atteggiamento di fiduciosa attesa. Conforme alle sue abitudini, aveva messo per iscritto ogni parola”.

Il dies natalis: sabato 10 novembre 2001

“Era una mattina fredda – prosegue il parroco – una di quelle mattine che non invitano ad uscire di casa. Ero stato chiamato per una comunione in una casa vicina all’abitazione di Mons. Baroni. Al ritorno decido di passare e lo trovo a letto, già con una respirazione faticosa a causa di una notevole congestione polmonare. Le parole sono poche, mentre lo sguardo era rimasto vivo ed eloquente. Dopo i saluti di rito, il vescovo, con qualche fatica, dice: ‘Oggi non ho ancora potuto fare la comunione’. Non avevo con me il Santissimo perché non avevo previsto questa richiesta. Rispondo: ‘Non c’è problema, vado in parrocchia e fra dieci minuti sarò qui di nuovo’. Difatti, poco dopo ero già da lui con il Sacramento. Abbiamo pregato insieme e, sottovoce, abbiamo recitato il Padre Nostro. Al termine, mi chiede se posso tornare anche il giorno seguente perché è domenica e non vuole perdere la Comunione. Ci accordiamo per le ore 9.00 della mattina e lo saluto con una stretta di mano, invitandolo ancora a pregare per me. Col capo accenna di sì.

Dalla sorella vengo a sapere che Mons. Baroni non si trovava nella sua camera, avendo dovuta lasciarla per i lavori di pulizia. Nella camera in cui era stato posto provvisoriamente gli mancava qualcosa e perciò non si sentiva a suo agio: non aveva davanti agli occhi l’amata immagine della Madonna di Chestokova, alla quale guardava intensamente e spesso stando nel suo letto. Gliela sistemano ai piedi del letto, davanti agli occhi. Mons. Baroni passa il pomeriggio con lo sguardo fisso su quel santo volto che porta i segni della violenza.

Nella tarda serata, alle 23.00, il suo cuore ha cessato di battere. È tornato là dove tanto spesso aveva desiderato: ‘Voglio andare in Paradiso’, diceva spessissimo negli ultimi giorni, confermando l’aspirazione profonda di tutta la sua vita.

Nella chiesa, la liturgia del giorno (32° settimana, anno C), tutta incentrata sul tema della resurrezione, diceva: ‘Ci sazieremo, Signore, contemplando la luce del tuo volto’. E Gesù dice: ‘Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi, perché tutti vivono per lui’ (Lc 20, 38).

Sul suo volto non è comparsa mai la contrazione della sofferenza e della paura, ma la pace e la serenità di chi si sente in mani sicure. Come non riconoscere in lui un grande dono che Dio ha fatto alla Chiesa e a noi che l’abbiamo potuto conoscere da vicino? Nel ricordo è doveroso un tributo: Grazie, Eccellenza!”.  .........(omissis)

Il funerale nel duomo che lo vide vescovo

Martedì 13 novembre il duomo di Bologna ha accolto in un clima pasquale la salma di Mons. Agostino Baroni. La bara, dignitosa, ma sobria, come conviene a un missionario che ha dedicato tutta la sua vita ai più poveri del mondo, era circondata dall’affetto e dalla riconoscenza di parenti, amici, suore, sacerdoti e tanti fedeli.

Ha presieduto la celebrazione funebre il Card. Giacomo Biffi, insieme a cinque vescovi, quattro dei quali sudanesi o operanti in Sudan. Erano: l’arcivescovo comboniano Romeo Panciroli, nunzio apostolico emerito in Iran; Mons. Cesare Mazzolari, pure comboniano e vescovo di Rumbek; Mons. Daniel Aduok, ausiliare di Khartoum; Mons. Erkolano Ladò, vescovo di Yei e Mons. Claudio Stagni, ausiliare di Bologna. Facevano corona una cinquantina di sacerdoti concelebranti, in parte appartenenti all’Istituto comboniano e in parte al clero diocesano.

Il cardinale ha sottolineato alcune caratteristiche del defunto che ha speso in Sudan 53 anni di vita, prima come educatore dei giovani nel nascente Comboni College e poi come pastore e guida di quella Chiesa...........(omissis)

 

 

Archbishop Agostino Baroni's death took everyone in Khartoum by surprise. True, he was 95 years of age, but no one had ever heard that he was ill. The funeral Mass was celebrated on Monday, 12 November, in the courtyard of the cathedral. Archbishop Zubeir was the main celebrant, joined by the nuncio, Bishop Marco Dino Brogi, Archbishop Paolino Lukudu of Juba, and Bishop Rudolf Deng Majak of Wau. Also in attendance were 120 priests (namely all the priests working in the diocese), religious men and women, and many lay people, including important people such as Abel Aliel, former president of the republic. A second Mass was celebrated after eight days, on 20 November and people attended as they do on great occasions. Condolences were received by the archbishop at the cathedral and by the superior of the Comboni College in Khartoum.

Archbishop Baroni left Khartoum 20 years ago, but he was still very popular especially among the former students of Comboni College, both Christians and Moslems. He is still present especially through the institutions and the values by which he left a mark in the Church of the Sudan. There was a reminder of all this in the words, touching and convincing, pronounced by Archbishop Gabriel Zubeir during his homily.

Archbishop Baroni – said Archbishop Zubeir – was a great gift from God to the Sudan. Gifted with a great spiritual, educational and pastoral enthusiasm, he placed it all at the service of the Sudanese Church without reservations, always combining together the academic formation and the pastoral dimension. A man of great vision, he was able to carve a path for the Church in the difficult days of transition from colonial rule to independence, becoming a secure point of reference for all the pastoral agents. Time after time he made known and defended, occasionally with strong words, but always in a respectful way, the position of the Church and the rights of the people. At a time of great social transformation he knew how to adapt the pastoral approach to new situations, leading the Church from a witnessing presence to a direct pastoral involvement. Everywhere he opened centres of evangelisation: catechumenates for adults, day and evening schools, chapels, kindergartens, activities to promote women. He gave rise to basic structures of Church organisations, such as the seminary, the pastoral centre (PALICA), Caritas (SUDANAID). He contributed substantially to the establishment of the Sudanese Bishops Conference (SCBC) and of the Sudan Council of Churches. He took interest in the formation of religion-teachers. He multiplied centres of Christian presence in far off places such as in the Blue Nile. He wanted at all costs a Sudanese as his successor.

In his homily, Archbishop Zubeir told of a particular event. On the day of the handing over, Archbishop Baroni gave him a hand-written note and said: “Here is a list of things I had in mind to do, but I did not have the time to. Of course, feel free about it.” Archbishop Zubeir took the note and placed in a drawer without giving it much importance. Two years ago he picked it up, almost 20 years later, and to his great surprise he saw that the program Archbishop Baroni had conceived was very similar, in fact, to the one he himself had been developing. Truly, the Spirit guides the Church. Archbishop Zubeir closed his homily by going to the root of it all. “I am convinced – he said – that Archbishop Baroni was a saint.”

Archbishop Baroni was born on 5 October 1906 in San Giorgio di Piano (Bologna). He studied in the diocesan seminary until 1922 when he entered the Comboni novitiate at Venegono. After his temporary vows in 1924, he went to the scholasticate in Verona, made his final profession in 1929 and was ordained a priest on 5 April 1930.

Except for a short time in England as master of novices, he spent his entire life in the Sudan. He arrived at the age of 26, in 1932, and remained there until 1985, when he was 79. For 20 years he was the director of Comboni College and was Archbishop of Khartoum for 28 years. Half a century of Sudanese history saw him as a protagonist, discreet but extremely efficient. When he reached 75 years of age, he tendered his resignation as archbishop, but for a couple of years he was made apostolic administrator of Rumbek. In 1983 he retired to Juba with the idea of helping out at the Centre “Usratuna” (“Our Family”) for handicapped children. In 1985, however, he began to have health problems and retired to his home country where he stayed with his family and assisted one of his brothers, a priest, in the pastoral work. Archbishop Baroni arranged with his religious superiors to be still considered a radical member of the province of Sudan. In the days of President Nimeri he had been given the Sudanese citizenship and an honorary title for science, arts and culture.

At the prayer of the faithful during the funeral, a Moslem came forward and, in the name of the benevolent and merciful Allah, blessed God for Archbishop Baroni, remembering him as one of the three great men he had known as a youngster and who had given direction to his life. We are convinced that many people share his feelings. May God be blessed!

In Italy the funeral Mass was celebrated by Card. Giacomo Biffi in the cathedral of Bologna with the participation of five bishops (four of whom from Sudan), a good number of Comboni Missionaries, diocesan priests, religious and lay people.

Archbishop Agostino Baroni's remains were laid to rest in the family tomb of San Giorgio di Piano, Bologna.

Da Mccj Bulletin n. 214 suppl. In Memoriam, aprile 2002, pp. 88-118