In Pace Christi

Schiavone Nicola

Schiavone Nicola
Data urodzenia : 04/07/1915
Miejsce urodzenia : Montaguto (AV)/I
Śluby tymczasowe : 19/03/1939
Śluby wieczyste : 19/03/1945
Data śmierci : 17/11/1999
Miejsce śmierci : Verona/I

Il Signore ha fatto buona pesca nella famiglia Schiavone. Oltre a Nicola, si è portato in missione anche la sorella suor Guglielmina delle suore comboniane. Papà Donato e mamma Crescenza Del Monte erano buoni cristiani. La mamma era solita far pregare tutti i giorni i figli perché il Signore indicasse loro la strada da prendere nella vita. Quando seppe che due partivano per l’Istituto comboniano, fu molto contenta e ringraziò il Signore.

“La mia mamma diceva tre rosari al giorno e viveva sempre alla presenza di Dio”, dirà fr. Nicola parlando ai ragazzi della sua vocazione.

Erano in quattro i fratelli Schiavone (più due morti piccoli) dei quali Nicola era il secondo. Il papà e la mamma, appena sposati, sono partiti per America a “guadagnarsi un gruzzolo” in modo da potersi comperare la terra al loro paese. Cosa che riuscirono a fare a costo di enormi sacrifici.

La vocazione

“I missionari di Troia arrivarono anche a Montaguto per corsi di predicazione che diventavano momenti di animazione missionaria - dice la sorella suor Guglielmina. - Teniamo presente che anche p. Cifaldi proveniva da Montaguto, quindi i Comboniani erano conosciuti.

Colui, però, che fece scattare la vocazione in mio fratello, fu p. Magagnotto. Ma poi abbiamo conosciuto anche p. Castelletti che ci ha molto incoraggiati a seguire il Signore”.

In una lettera scritta dalla casa di Troia, dove fr. Schiavone era andato, in data 15 aprile 1936 dice al superiore generale dei Comboniani: “Ho 21 anni. Sempre pensai di consacrarmi al Signore ma non mi fu possibile per le condizioni familiari. Adesso sono libero, perciò chiedo di essere accolto nelle Missioni. Al mio paese, oltre che lavorare la terra, ho aiutato il parroco in chiesa”.

P. Pedrana, in altre lettere, dà le migliori informazioni di questo giovane serio, di criterio e di pietà, desideroso di donarsi al Signore per il bene della sua anima e di quella degli altri. Dice anche che non ha fatto il militare perché è stato rivedibile per deperimento organico, ma gode buona salute”.

Il parroco, don Luigi di Pilato, scrive: “Attesto che Rolando Nicola Schiavone, nato in questa parrocchia è un giovane di buonissima condotta morale e civile. Da tre o quattro anni, avendo conosciuto i missionari, desidera essere uno di loro”.

“La partenza di Nicola per l’Istituto - prosegue la sorella - non fu una sorpresa per nessuno. Era troppo buono per restare nel mondo. Tutti, in paese, dicevano che si sarebbe fatto religioso. E poi c’era la mamma che ci faceva pregare tutti i giorni perché il Signore ci indicasse la strada giusta da percorrere. Questa abitudine della mamma è stata anche la sua: viveva costantemente alla presenza di Dio, dedito alla preghiera nella quale trovava un gusto tutto particolare”.

Alla scuola di p. Antonio Todesco

Entrato nel noviziato di Venegono il 10 luglio 1936, a 21 anni, si trovò subito nel suo elemento. Alla scuola di p. Antonio Todesco, maestro dei novizi e futuro p. Generale della Congregazione, Nicola si impegnò ad acquistare le virtù proprie del missionario, visto che quelle del religioso le aveva già.

“Il suo progresso continua bene - scrisse il p. maestro. - E’ volonteroso e generoso nel perfezionare se stesso. Ama molto la preghiera e il lavoro. Come intelligenza non mi pare una cima, tuttavia è desideroso di imparare e ci riesce. Nei suoi mestieri vi mette impegno e buona volontà. Come carattere è un po’ sentimentale ed è abbastanza cocciuto nelle sue idee ma quanto gli viene detto, lo esegue con prontezza e fedeltà”.

Emise la prima professione il 19 marzo 1939 e la perpetua nel 1945. Appena emessa la professione, fu inviato a Troia come addetto alla casa. E’ inutile sprecare parole per descrivere il comportamento di fr. Nicola che divideva il suo tempo tra gli impegni di sacrestano nella chiesa della Mediatrice e quelli di cuoco della comunità, sempre con uguale spirito di servizio. Con la sua parola e con i suoi gesti semplici e cordiali, aiutò non pochi seminaristi a superare la malinconia per la famiglia, che spesso li faceva piangere.

Nelle sue lettere di richiesta di rinnovazione dei Voti, mostrò sentimenti veramente elevati: “Sono contento della mia vocazione di religioso, di missionario e della vita che ho abbracciata perché mi aiuta a vivere più vicino a Dio... Sento vivo il desiderio di far profitto nella via della perfezione religiosa e a questa mi sforzo di tendere… Sento in me il desiderio di perseverare fino alla morte nella nostra Congregazione con l’aiuto del Signore…”.

Uno strumento nelle mani di Dio

Nel 1949, a 34 anni, poté finalmente partire per il Sudan meridionale dove rimase fino all’espulsione del 1964. A questo punto vale la pena pubblicare la testimonianza che p. Gino Benini ha scritto alla notizia della morte di fr. Nicola:

“Al suo arrivo dall’Italia nella missione di Naandi, fr. Nicola mi diceva in tutta umiltà: ‘Padre, mi vergogno a dirlo, ma guardi che io non so fare altro che il cuoco… L’ho imparato in noviziato’. Gli risposi: ‘Fratello, qui triboliamo a trovare una cuoca che ci faccia un po’ di cucina da cristiani. Tu sei una benedizione’.

Ma il giorno dopo era già con i falegnami a piallare… e non sapeva una sola parola della loro lingua zande. Dopo tre mesi riuscì con i suoi operai a fare le porte, le finestre e le panche della nuova chiesa in costruzione.

La domenica pomeriggio andavamo nella foresta a scegliere le piante da tagliare per ricavare assi per la falegnameria, tutte a mano, senza una macchina. Fr. Nicola era paziente, umile, sempre sorridente. La sera, dopo il lavoro, passava ore in cappella al lume della lanterna a petrolio.

E per la cucina? Insegnò a due donne a far da mangiare bene, a tenere in ordine e pulita la nostra stanza, a fare il bucato, a rammendare. Per la missione di Naandi fr. Nicola fu una benedizione”.

Così, il fratello che non sapeva far niente, fu addetto alle costruzioni e fece benissimo. Quante migliaia di mattoni uscirono dalle sue mani! Quanti muri ha tirato su! Non solo, ma divenne anche un istruttore dei giovani che lavoravano con lui. Con calma e pazienza li introduceva nei vari mestieri. Mai una parola sgarbata, mai un rimprovero e, se qualche volta doveva fare una correzione, si vedeva che era lui il primo a soffrirne.

Dopo 15 anni di lavoro, Naandi era diventata una missione modello. E già si raccoglievano abbondanti frutti di conversioni. Ma intanto era scoppiata la persecuzione per cui anche fr. Nicola, con tutti gli altri missionari del Sud Sudan, dovette partire nel giro di poche ore lasciando là ogni cosa.

Nella Repubblica Centroafricana

Rientrato in Italia, fr. Nicola venne assegnato alla casa comboniana di Via San Pancrazio per i lavori di manutenzione e di giardinaggio. Vi rimase due anni. Dobbiamo dire che furono anni di benedizione per il nostro fratello. Aveva sempre desiderato nella sua vita di visitare i luoghi dei primi martiri della cristianità, le basiliche romane, in modo particolare San Pietro. Ed ora tutto quel ben di Dio era lì a due passi.

Alla domenica fr. Nicola si trasformava in un pellegrino e con lo spirito del più autentico pellegrino visitava quei luoghi e sostava in essi per lunghi tempi di preghiera.

“Mi scrisse - dice la sorella suora - che non smetteva di ringraziare il Signore e i superiori per quel tempo in cui fu a Roma. Il suo spirito ne ebbe un notevole arricchimento”.

Ad un certo punto, però, il desiderio di missione si fece sentire con grande veemenza. Egli chiese di andare in Congo dove c’era gente di cui conosceva la lingua, ma i superiori optarono per la Repubblica Centroafricana. Partì nel 1966 con l’entusiasmo di un novellino. Scrisse il 28 settembre 1966: “Carissimo padre, con molto piacere le scrivo per informarla del nostro arrivo e dell’apertura della missione. Siamo stati per strada ben 25 giorni. Ormai eravamo stanchi. Finalmente alla sera del 10 settembre arrivammo a Bambauti, io e fr. Montolli, per preparare il puro necessario per p. Busnelli e p. Gusmeroli che erano rimasti a Obo. Solo una settimana dopo poterono arrivare. Ora siamo sistemati così: p. Busnelli e p. Gusmeroli sono in una capanna vicino alla cappella, fr. Montolli in una capanna che era abitata dal catechista ed io nel presbiterio. La cappella fa anche da refettorio.

Con mia grande soddisfazione abbiamo aperto la missione nel giorno del santo Nome di Maria e abbiamo affidato a Lei la missione e il nostro lavoro. Padre, la ringrazio di cuore per quello che ha fatto per me. Io sono contento, ci vogliamo bene e andiamo d’accordo e volentieri soffriamo qualche privazione per il bene di queste anime. L’accoglienza da parte dei cristiani è stata commovente. La santa messa è celebrata all’aperto per la grande quantità di gente. Ci sono cristiani di Mupoi e Tombora fuggiti dal Sudan meridionale per poter esercitare la loro fede liberamente”.

Con i rifugiati sudanesi

Dalle ultime parole della lettera di fr. Nicola, abbiamo capito che egli svolse il suo servizio missionario particolarmente tra i rifugiati sudanesi zande. Conoscendo la loro lingua e i loro usi e costumi, poté fare un lavoro meraviglioso. Divenne subito il loro amico e il loro sostegno nelle immancabili difficoltà e privazioni che non erano poche come ognuno può immaginare. Ma si dedicò pure alla missione di Obo e poi di Bangui come fratello ad omnia. Da p. Busnelli imparò l’arte della costruzione delle cappelle nella brousse. “Non ringrazierò mai abbastanza il Signore per avere avuto un maestro così bravo e così paziente”, scrisse.

“Il lavoro gli riusciva bene - dice un confratello - perché lavorava col cuore, amava costruire una casa di Dio in mezzo ai poveri che il Signore gli aveva affidato”. Scrive ancora p. Benini:

“Ebbi, dopo anni, l’occasione di passare nei territori della sua nuova missione e rimasi sbalordito nel vedere tante cappelle costruite nei vari centri dalla capacità e iniziativa di fr. Nicola. Mi sento di dire che ha avuto come una sapienza infusa, frutto di amore, di Spirito Santo e di spirito di sacrificio, dedizione e buona volontà. Fr. Nicola ha impersonato ciò che dice San Paolo: ‘Quando sono debole, è allora che sono forte’, oppure le parole del salmo 107: ‘Con Dio noi faremo cose grandi’. Grazie, Nicola del grande esempio che mi hai dato. Arrivederci in paradiso”.

Sulla sua attività tra i rifugiati abbiamo una testimonianza di p. Benedetto Giupponi: “Era un uomo buono, umile e semplice, di facile relazione, sempre calmo, la sua presenza era pacificante. In missione era lui che distribuiva, secondo i bisogni, i vestiti, le coperte, ecc. Eravamo dell’idea di educare la gente a non ricevere tutto gratuitamente e lui sapeva coniugare perfettamente il saper esigere qualche servizio in cambio del dono e l’aiuto gratis a chi non poteva lavorare. La gente si sentiva accolta e se ne andava via contenta.

A Obo s’interessava anche della cucina. Era servizievole e attento. E quando i confratelli tornavano dal ministero egli faceva in modo che si sentissero attesi. Ricordo inoltre le ultime cappelle da lui costruite. Aveva due muratori di fiducia, ma amava molto il concorso della gente nella costruzione della loro chiesetta. Diceva. ‘Così sentiranno queste cappelle come cose loro avendo anche loro faticato e sudato per costruirle’.

A sera, dopo il lavoro, amava intrattenersi con la gente. Si arrangiava un po’ in tutto: falegnameria, idraulica, meccanica, muratura, orto…”.

Nel 1990 fr. Schiavone, ormai debole di salute, dovette tornare in Italia. Per un anno fu ospite del centro Ammalati di Verona dove ebbe una buona ripresa.

A Bari, giovane con i giovani

In Centroafrica fr. Nicola aveva conosciuto, tra gli altri, p. Renzo Piazza. Questi, appena fu mandato come superiore a Bari, si ricordò del Fratello e lo invitò in quella casa aperta ai giovani. Sapeva che, anche se anziano, fr. Nicola aveva anima e cuore giovanili. La lettera che gli scrisse invitandolo a Bari spiega le ragioni di tale invito e ci delineano alcune caratteristiche del nostro Fratello.

“Bari 18.01.92

Carissimo Fr. Nicola,

                                  Qualche anno fa, prima di partire per il Ciad, ero promotore vocazionale ed andavo alla ricerca dei ragazzi di buona volontà che desideravano diventare missionari. Ora i tempi sono cambiati e sto diventando promotore vocazionale tra gli anziani che hanno ancora il cuore giovane… ed ho pensato a te.

Quando ti ho conosciuto a Bangui mi ha sempre fatto impressione la tua serenità, il tuo spirito di servizio e il tuo sorriso. Hai avuto un'esperienza positiva di tanti anni d’Africa ed anche questa è una ricchezza che il Signore ti ha dato e che ti porti dentro. Penso che la tua presenza sarebbe ancora tanto preziosa in una comunità di formazione: per i Padri, i giovani seminaristi e tutte le persone che frequentano la casa. Non dimentico inoltre che ti vedevo spesso con la corona in mano...ed anche questo ci sarebbe di aiuto e di stimolo. Per questo vorrei proporti di far parte della nostra comunità di Bari.

Tu sei un Fratello missionario e qui del Sud non c’è nessun Fratello nelle nostre comunità, né a Lecce, né a Bari, né a Troiai, né a Napoli. Abbiamo bisogno, anche per i ragazzi che ci sono in seminario, di poter mostrare che i Comboniani servono il Signore anche come Fratelli.

La casa di Bari non è né grande né piccola, ma penso abbia le strutture adatte per accogliere anche una persona che non è più giovanissima. Ha un solo piano (20 gradini solamente), ci sono i servizi in ogni stanza, il clima è buono e lo conosci meglio di me. Attualmente ci sono 5 padri e 8 giovani seminaristi, dai 14 ai 17 anni. Il reparto dei Religiosi è separato rispetto a quello dei ragazzi e si può riposare e stare tranquilli.

Che cosa ti chiederemo come servizio? Anzitutto la tua presenza sarebbe un dono per noi per quello che sei: la tua vita consacrata al Signore, la tua preghiera, la tua disponibilità, il tuo buon esempio… sono già un dono gratuito e prezioso. Inoltre ci potresti essere di aiuto per la portineria. Abbiamo un piccolo giardino interno ed un po’ di terra attorno alla casa, dove c’è sempre da mettere ordine. Qualche lavoretto di ufficio come imbustare o robe del genere non manca mai.

Per quanto riguarda i problemi di salute, viviamo in una zona circondata da ospedali e cliniche. Inoltre, a parte il medico della comunità, ci sono due sorelle medico che sono di famiglia qui, ci visitano spesso e lavorano al Policlinico. Hanno una grande delicatezza ed attenzione per gli Albanesi, gli Africani... figurati per un missionario! Non so se hai altre difficoltà da parte tua: speriamo di no...

Carissimo Fr. Nicola, spero di riuscire a passare qualche annetto assieme con te, prima di ritrovarci magari ancora alla maison Comboni di Bangui... Ti saluto e mi affido alla tua preghiera, assieme a tutta la comunità di Bari che sarebbe lieta di accoglierti il più presto possibile.

Uniti nella preghiera, ti auguriamo ogni bene.   P. Renzo Piazza

Dal 1992 fr. Nicola fece parte della comunità di Bari e vi rimase fino al 1998, anno in cui dovette andare al Centro Ammalati di Verona, dove è deceduto per tumore polmonare il 17 novembre 1999. Da un paio di mesi soffriva dolori lancinanti che, tuttavia, sopportò con pazienza eroica, sempre desideroso di compiere la volontà del Signore.

E’ stato sepolto nella tomba dei Comboniani nel cimitero di Verona.

La fotografia spirituale di Fr. Nicola

Durante il funerale che si è tenuto a Verona, p. Renzo Piazza ha tracciato la fotografia spirituale di questo Fratello. La riportiamo.

“Se è vero che le Beatitudini sono il ritratto di Gesù Cristo, le Beatitudini sono state anche il ritratto di fr. Nicola, autentico discepolo del Signore. Di fr. Nicola vorrei dire qualcosa sui suoi occhi, sulle sue mani, sul suo cuore.

E stato un fratello ad omnia, ma con gli occhi fissi in Gesù Cristo. Lo trovavo sempre in Chiesa, ad ogni ora: era un vero contemplativo. In chiesa aveva sempre gli occhi fissi al tabernacolo. Raramente lo si vedeva leggere un libro o chinato su se stesso. Molti rimanevano colpiti dai suoi occhi e dal suo sguardo buono, sereno, pacifico: coloro che lo hanno visto pregare e coloro che hanno condiviso la vita o che si sono prestati per curarlo.

A Bari trascorreva parte della sua giornata come portinaio. Aveva sempre in mano il messalino e il breviario. E ogni tanto, passando di lì, mi chiamava e condivideva con me le riflessioni che stava facendo. Ricordo in particolare due brani. Eravamo nel tempo dell’Avvento. Mi disse: ‘Guarda come è bello questo brano del prefazio: egli fu annunziato da tutti i profeti, la Vergine madre l’attese e lo portò in grembo con ineffabile amore’ . E mentre leggeva queste parole, una lacrima gli scendeva dagli occhi.

Un’altra volta, era il 2 di febbraio, anzi era il primo febbraio, la vigilia, mi rilesse l’antifona dei vespri: ‘Il vecchio portava il bambino, e il bambino sosteneva il vecchio’.

Quando abbiamo fatto la revisione di un anno trascorso, anche lui aveva fatto le sue osservazioni e, parlando della vita di preghiera, aveva detto: ‘Talvolta mi sono trovato da solo all’ora di sesta, e i padri, magari, non erano fuori’.

Non ho mai incontrato una persona buona come te

Uno dei suoi amici più cari fu l’attuale vescovo di Bangassou, mons. Juan Aguirre. Mi aveva fatto leggere le lettere che aveva scritto a fr. Nicola. E in una di queste lettere c’era scritto: ‘Caro fr. Nicola, guarda che io, una persona buona come te nella mia vita non l’ho mai trovata’. Mons. Aguirre racconta che spesso, quando tornava alla missione, dai suoi viaggi in brusse, trovava fr. Nicola in chiesa con le braccia aperte come Mosè e gli diceva: ‘Quando tu vai fuori, io rimango a casa e prego per te perché Dio benedica la tua attività e il tuo ministero’. E anche a me è successo più di una volta di aver degli impegni e magari delle difficoltà e dicevo: ‘Fr. Nicola ho questa difficoltà’. Egli rispondeva. ‘Tu vai e io prego per te’.

Possiamo dire che fr. Nicola è uno che ha vissuto la beatitudine della povertà. Si è sempre appoggiato sul Signore. I suoi occhi lo hanno contemplato qui su questa terra e continueranno a contemplarlo in cielo.

‘Come valuti il tuo essere povero?’, gli è stato chiesto.

‘Bisogna vivere la povertà di spirito. Qui c’è tutto. Abbiamo 4 stagioni e 4 serie di vestiti nell’armadio... E gli abiti che rimangono nell'armadio, secondo S. Basilio, sono dei poveri… Obbedienza e croce: ‘Anche nella malattia ho dovuto essere obbediente. Di croci ne ho tante: la testa, le gambe, gli occhi…e quella di non essere creduto’.

Contento di servire

Fratello ad omnia, ma fratello contento di servire. Noi sappiamo che il servizio spesso passa attraverso le mani. Dice il profeta Isaia: ‘Come sono belli sui monti i piedi di chi annuncia la pace…’. Una signora disse un giorno: ‘Come sono belle le mani di quel fratello’. E diceva così perché erano mani che si erano spese per servire. E’ stato un Fratello comboniano consacrato al servizio: non colui che faceva tutto, immerso e agitato nelle attività da svolgere, ma colui che aveva lo spirito del servo e metteva la sua intera esistenza a servizio degli altri. Quando raccontava la storia della sua vocazione diceva: ‘Ho chiesto di entrare dai comboniani come fratello. Temevo che non mi avrebbero accettato, invece mi hanno accettato: ero molto contento. Mi hanno mandato a Verona in cucina a lavare i piatti: 580 piatti al giorno ed ero ancora più contento. Infine mi hanno mandato in Africa e sono stato contentissimo”.

Nel luglio del ’92, dopo qualche mese di presenza a Bari, facevamo un po’ la valutazione del nostro anno e lui ha detto questa frase: ‘Ringrazio tutti i Padri per avermi accettato come sono, con le mie debolezze. Grazie per le spese fatte per me. Che il Signore ci aiuti ad andare avanti come siamo. Sono contento di essere in questa comunità. Vorrei fare di più, ma non ci sono le forze’.

Mi ha sorpreso una cosa: lui fratello anziano ha accettato di appartenere a una comunità frequentata da ragazzi e da gente prevalentemente giovane. Aveva accettato anche i disagi che ciò comportava: i ragazzi cantano, suonano, sono rumorosi, ma lui serenamente era a servizio di tutti, della comunità, dei seminaristi e anche degli immigrati che venivano e che condividevano la nostra casa. Molto spesso l’ho visto preparare e spreparare per gli albanesi, gli africani. Era capace di tutti i servizi.

Qualcuno lo ha ‘rimproverato’ di essere solo un fratello coadiutore, perché lui ci teneva a dire che gli piaceva ad essere fratello missionario a servizio, per collaborare con l’attività dei padri. Non aveva l’atteggiamento di essere il protagonista, ma di chi accoglie la vita come un dono e la offre come dono.

Mi è rimasta impressa l’ultima immagine di lui. Quando ho lasciato la comunità di Bari, mi ha detto: ‘Aspetta che ti do un po’ di olio da portare alla tua mamma. E ricordo che, mentre versava l’olio nella bottiglia, un po’ gli è caduto sulle mani. Poi mi ha consegnato la bottiglia e sono partito. Lungo il viaggio mi è venuto spontaneo pensare a questa ultima scena che avevo visto. Dicevo: questo era un Fratello, non aveva le mani consacrate, ma guarda caso, l’ultima immagine che ho avuto di lui è proprio quella della sue mani bagnate di olio. La sua consacrazione non era forse la consacrazione al servizio? Non ha vissuto la sua vita consacrandosi a questo?

‘Vi ho dato l’esempio - dice Gesù nel vangelo - perché come ho fatto io, facciate anche voi. In verità, in verità vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica’. Fr. Nicola è stato beato nel servire i suoi fratelli.

Un cuore caldo per il Signore

Infine la terza considerazione: il cuore di fr. Nicola. Che cosa c’era nel suo cuore? Possiamo dire che ha avuto costantemente il cuore caldo di puro amore di Dio, come diceva Comboni. Avevamo fatto una domanda alla quale tutti i componenti la comunità dovevano rispondere. Eravamo ai tempi del ‘disagio’. E la domanda era: ‘Ti sei sentito missionario durante quest’anno?’. Fratel Nicola rispose: ‘Mi sono sempre sentito missionario, sia alla porta, sia con i seminaristi e anche con i Padri. Ringrazio dell’attenzione per me e delle cure che mi prestano. Mi sento missionario perché sono consacrato a vita’. E poi, esaminando come ognuno viveva la propria consacrazione, aveva detto questa frase: ‘Prego spesso e consacro al Signore la mia castità. Finché siamo nella carne, porteremo nel nostro corpo queste difficoltà. Mortificazione e preghiera sono necessarie. La castità è un dono di Dio da custodire. Quando ho celebrato il 50° dei miei Voti, ero in Centroafrica. Ho detto che mi hanno aiutato la preghiera, la fede, la speranza e la carità. Finché il cuore è pieno dell’amore di Dio, non c’è posto per altre cose.

Che cosa c’era nel cuore di fr. Nicola? Nient’altro che l’amore verso il Signore e poi un amore grande per la missione, un amore grande per i confratelli. Parlava sempre bene dei vari confratelli che avevano lavorato con lui. Parlava spesso e volentieri della sua esperienza missionaria, divorava il Bollettino del Centroafrica.

Scriveva ai suoi ex catechisti, e scriveva in lingua zande, segno evidente che si era inserito molto bene nella vita missionaria. E nello stesso tempo mi è sembrato che nel cuore non ci fosse solo il passato, ma c’era anche il presente e le persone con cui lavorava. I seminaristi, i padri della comunità, i giovani che frequentavano la casa. Tutti dicono: ‘Quanto buono è stato questo Fratello!’. Avevamo chiesto anche quale era stato il suo rapporto con Comboni e aveva risposto: ‘Ho pregato Comboni: se mi fai guarire vado ancora in Africa, ma non mi ha ascoltato. Ma anche nel 1985 San Giuseppe mi ha deluso per un occhio che non voleva guarire’.

P. Giupponi aggiunge: ‘A metà mattina e anche nel pomeriggio trovava il tempo di riprendere in mano i salmi e le letture del giorno per continuare la sua meditazione. Quando scendeva la sera, prima di accendere il gruppo elettrogeno, ci si sedeva in veranda a recitare il rosario e si ricordavano i vari bisogni della missione. In chiesa pareva in continua contemplazione del tabernacolo. Sapeva bene chi c’era là dentro’.

Un confratello, parlando di lui un giorno disse: ‘Fr. Nicola è come i fratelli di una volta’. Io non so se era come i fratelli di una volta. Una cosa è certa: che di fratelli come lui c’è bisogno per la missione in ogni tempo e in ogni luogo.

Dice il salmo che il giusto crescerà come palma, crescerà come cedro del libano, piantati nella casa del Signore fioriranno negli altri del nostro Dio. Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno vegeti e rigogliosi per annunziare quanto è retto il Signore. Io ringrazio il Signore per aver avuto questa fortuna. Poter cogliere i frutti dell’anzianità di fr. Nicola. Benedico e ringrazio Dio di avermi concesso di essere vissuto 4 anni con lui. E penso che tutti coloro che lo hanno conosciuto, in questo giorno non possono fare altro che unirsi in questa lode al Signore. Davvero un servo buono e fedele, un discepolo del Signore è vissuto tra noi”.

Al funerale, dei suoi parenti c’era solamente la sorella suor Guglielmina, ma la chiesa era zeppa di gente, grazie al funerale di p. Giuseppe Simonelli che veniva celebrato in contemporanea e che aveva richiamato tanti suoi paesani. Così l’umile fratello, ebbe un funerale solenne e partecipato. Che da Cielo fr. Nicola interceda perché la nostra Congregazione abbia tanti e soprattutto santi fratelli del suo calibro.               P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 2015, gennaio 2000, pp. 146, 155