In Pace Christi

Stenico Giuseppe Domenico

Stenico Giuseppe Domenico
Data urodzenia : 23/01/1913
Miejsce urodzenia : S. Stefano di Fornace (TN)/I
Śluby tymczasowe : 07/10/1932
Śluby wieczyste : 11/02/1938
Data święceń : 10/07/1938
Data śmierci : 07/04/1998
Miejsce śmierci : Verona/I

Fino al 1930, sui documenti parrocchiali e scolastici, anche quelli conservati nell’archivio dell’Istituto Comboni di Brescia, il cognome di p. Stenico è Stenech. Non è l’unico caso di nome tedesco italianizzato; il fatto si spiega dal desiderio del vigente regime fascista di ingrandire la nazione e moltiplicare gli italiani con un semplice tocco di penna.

La sorella del padre, Maria, ci fa sapere che i genitori si chiamavano Domenico (anche Giuseppe aveva come secondo nome quello del padre) ed Emilia Colombini. I fratelli erano 7 e il futuro missionario era il quinto della serie. Un fratello della mamma, sacerdote, esercitò il suo ministero come professore nell’Istituto magistrale di Pola.

La famiglia viveva con il lavoro dei campi ed era di intensa religiosità, come la quasi totalità delle famiglie trentine del tempo.

Non sappiamo quali siano state le circostanze che hanno spinto Giuseppe ad entrare tra i Comboniani. “Probabilmente - dice la sorella - una visita di un missionario o l’interessamento del parroco che era un’anima eminentemente missionaria”.

Come tipo, Giuseppe, era calmo, docile e piuttosto timido. Esaminando la sua pagella scolastica di sesta elementare, dobbiamo concludere che era diligente e intelligente perché i suoi voti sono molto belli.

Nella lettera del parroco che Giuseppe portava con sé al momento dell’entrata nel seminario comboniano di Trento, 12 settembre 1927, è detto: “Ha sempre tenuto una condotta morale ottima e perciò merita di essere vivamente raccomandato”.

Giuseppe trascorse due anni a Trento, per la seconda e terza media, e un anno nell’Istituto Comboni di Brescia (1929-1930) per la quarta ginnasio. Promosso alla quinta con bei voti, andò direttamente in noviziato che iniziò a Venegono Superiore nel settembre del 1930. Quindi in tre anni, il nostro giovane ha superato le medie e il ginnasio. Ciò è confermato anche dalla lettera con la quale chiede di entrare in noviziato, datata 11 agosto 1930, nella quale dice: “Dopo aver passato due anni nella scuola apostolica di Trento e uno in quella di Brescia, desidero santificare l’anima mia e quella di tanti poveri africani. Le posso assicurare che sono entrato in questo Istituto mosso da retta intenzione e ora sono molto contento di essere giunto a questo traguardo. Chiedo, perciò, di essere ammesso al noviziato...”.

Non abbiamo documenti sul suo cammino spirituale come novizio e, dalla domanda di ammissione ai Voti non si ricava molto in quanto Giuseppe riporta il formulario che da generazione di novizi veniva tramandato anno dopo anno. Tuttavia, dalla destinazione che ricevette dopo la professione, che ebbe luogo il 7 ottobre 1932, festa della Madonna del Rosario, si può dedurre che fosse stato un novizio fervoroso e impegnato.

Un “lavoro” non suo

Per il liceo, invece di andare a Verona con i suoi compagni, fu dirottato a Carraia (1933-34) e poi a Trento (1935-1937) come assistente dei ragazzi di quelle scuole apostoliche.

Già la sorella aveva detto che Giuseppe era un tipo timido e piuttosto chiuso. Forse i superiori lo hanno mandato con i ragazzi perché superasse la sua timidezza e “si buttasse fuori”. Giuseppe ce la mise tutta andando quasi contro la sua natura. Soffrì moltissimo ma, tutto quello che riusciva a fare era stare insieme ai ragazzi, aiutarli, servirli se occorreva e amarli molto. Ma quando si trattava di fare un’osservazione, sudava le sette classiche camicie  e poi... non riusciva a spiccicare una parola. Probabilmente il ruolo di assistente dei ragazzi non gli si addiceva.

Tuttavia, se lo fece per tutto il liceo e gran parte della teologia, che studiò nel seminario arcivescovile di Trento, significa che aveva dei valori e delle capacità anche se il superiore di Trento, rimandandolo a Verona per l’ultimo anno di teologia, scrisse: “Come assistente, negazione assoluta su tutta la linea”. Conoscendo, però, chi ha scritto questa frase (pace all’anima sua) sappiamo che occorre farci una grossa tara.

P. Giuseppe Stenico venne ordinato sacerdote a Verona il 10 luglio 1938 da Sua Ecc. Mons. Girolamo Cardinale. Nella lettera di domanda aveva scritto: “L’ordinazione sacerdotale è la realizzazione dei miei più intimi desideri e l’unica brama del mio cuore”.

A Gondar, in Etiopia

Sacerdote novello, p. Stenico partì per l’Etiopia. Sappiamo che dal 1935 al 1941 l’Etiopia fu interessata dalla guerra e dall’invasione italiana, sempre per via di Colui che voleva “allungare lo stivale fino all’Africa orientale”.

I Comboniani erano presenti nella zona fin dalla fine del 1800. Nel 1894 morì ad Asmara p. Leone Hanriot, missionario del Comboni; nel 1927 fu la volta del mazziano p. Bonomi, compagno del Comboni a Delen e reduce dalla prigionia del Mahdi. P. Bonomi aveva fondato una scuola e aveva chiamato in Etiopia le Pie Madri della Nigrizia.

Nel 1937 venne affidata ai Comboniani la Prefettura Apostolica di Gondar. Vennero aperte 9 missioni e un seminario. Prefetto Apostolico era Mons. Pietro Villa. Per dire com’era la situazione, a causa della guerra, basti tener presente le circostanze dell’uccisione del nostro confratello p. De Lai nel 1941.

L’ufficio di p. Stenico a Gondar fu quello di addetto alla chiesa. E’ interessante leggere il giudizio che scrisse mons. Gasparini e che controfirmò p. De Negri: “La virtù più notevole di questo confratello è l’esattezza. Difetti, nessuno. Molto criterio e gran studioso. Conosce il tigrino, l’amarico, il gheez e l’inglese. Di carattere affabile, osservante delle regole fin nei minimi particolari, va d’accordo con tutti e non lo si è mai sentito criticare o mormorare di qualcuno. Riservato, serio, povero e obbediente, è uomo di intensa preghiera ed è fervente nel ministero anche se non è lui a prendere l’iniziativa per nuovi campi di lavoro. Non teme davvero il sacrificio e i disagi della vita missionaria. E’ stimato dalla gente, dai confratelli e anche dalle autorità. Il suo esempio è di edificazione a tutti. Considerando il carattere del popolo che la Provvidenza ci ha affidato e il carattere di p. Stenico, dobbiamo dire che l’Etiopia è il posto giusto per lui”.

Con la guerra del 1939-‘45 e i missionari condotti in prigionia o rimpatriati, terminò quella seconda presenza comboniana in Etiopia, che vide anche il ministero di p. Stenico. La terza fase della presenza comboniana iniziò nel 1946 con Mons. Armido Gasparini, p. Giuseppe Stenico ed altri reduci da Gondar. Essi diedero vita al Collegio Comboni con 12 classi, centro esami di Oxford e Cambridge University. Gondar verrà riaperta nel 1966 quando p. Stenico sarà in Inghilterra.

Insegnante a Crema

Costretto dalle circostanze a ritornare in Italia, p. Stenico venne inviato come insegnante nel seminario missionario di Crema. Per quattro anni fu professore attento, scrupoloso, preciso. Aveva paura che la sua impreparazione all’insegnamento (ma era ben preparato) fosse causa di qualche lacuna negli scolari, che poi si sarebbe ripercossa sulla loro futura vita missionaria. Ciò lo teneva in continua tensione e ansia.

Alla domenica si prestava per le giornate missionarie nei paesi della zona. Anche questo ufficio cozzava un po’ con il suo temperamento riservato e quindi gli pesava, ma lo faceva volentieri anche perché costituiva un’occasione per superare se stesso.

Le note di questo periodo lo presentano come un confratello sempre disponibile, di buon esempio, di grande carità anche se “sempre piuttosto in disparte”. Egli non prendeva iniziative, ma collaborava con tutte le sue forze a quelle che prendevano gli altri.

I suoi scolari hanno un bellissimo ricordo di lui. “Era esigente, ma si vedeva chiaramente che era mosso dal desiderio di farci del bene. E ce lo diceva, anche, per cui era facile assecondarlo”.

Il suo cuore, tuttavia, era proteso verso l’Africa e non perdeva occasione di chiedere ai superiori quando sarebbe potuto ripartire.

13 anni in Eritrea

I quattro anni di insegnamento a Crema furono una scuola per p. Stenico che imparò la difficile arte di trasmettere la scienza. La preparazione intellettuale e linguistica era in lui notevole per cui dovette sorbirsi 13 anni di insegnamento nel seminario di Asmara di rito etiopico, che dal 1951 fu totalmente nella mani dei Comboniani sia come direzione, sia come corpo insegnanti.

L’idea di avere sulle sue spalle la responsabilità della formazione del clero africano gli aumentò la tensione interiore. Con gli esterni, tuttavia, era sempre “gentile, buono, cordiale”. E poi c’era sempre la questione del suo temperamento portato a una “naturale timidezza”, come scrisse Mons. Gasparini.

Oltre che insegnante, ad Asmara p. Stenico fu anche economo. Un lavoro che gli si addiceva, data l’esattezza e la precisione con cui il Padre faceva tutte le sue cose.

Mons. Gasparini dice che, in Eritrea, p. Stenico si è specializzato nella devozione alla Madonna, tanto venerata dalla gente del posto. Celebrava le sue feste con particolare devozione preparandosi con tanta preghiera, raccoglimento e anche col digiuno.

Ma l’arco troppo teso rischia di spezzarsi. E’ ciò che è capitato a p. Stenico che è vissuto nello spirito dell’age contra con la massima generosità e dedizione. Nel 1959 non riusciva più a dormire. Al mattino, quando si alzava, era più stanco di quando era andato a letto e il solo pensiero di affrontare una giornata di lavoro e di insegnamento lo prostrava. “Non sono più in grado di tener testa ai ragazzi - scriveva - e la loro vivacità cozza contro la mia timidezza”.

E tornò in Italia a cercare salute. Trascorse due anni (1959-1961) a Roma come aiutante nella parrocchia ai Parioli, allora affidata ai Comboniani, e intanto si sottopose a una cura portata avanti da un bravo professore che, con costanza e pazienza, riuscì a rimettere abbastanza bene il nostro confratello. Ma anche l’interessato seppe collaborare efficacemente, soprattutto aiutandosi con lo spirito di fede e il ricorso alla preghiera. Per chi crede, sono medicine efficaci anche queste.

La lunga stagione inglese

Nel 1961 il padre Generale gli fece la proposta di andare in Inghilterra come insegnante degli alunni comboniani.

“La mia salute - rispose il Padre - è in tale situazione che ritengo più opportuno un mio ricovero ad Arco. Del resto anche i precedenti superiori, p. Todesco e p. Rizzi, mi avevano fatto simile proposta”.

Gli rispose p. Battelli, vicario generale, con la delicatezza e l’umanità che gli erano proprie: “Caro Padre, prima di dire di no, tenti almeno per qualche mese. Penso che le daranno un lavoro limitato, in casa, come confessioni, ecc. e, se lo desidera, anche un po’ di scuola.

Lei è ancora giovane e, fino a qualche anno fa, ha svolto un ottimo lavoro. Perché si scoraggia così? Provi, caro Padre, sarà molto contento se potrà constatare che è ancora utile. Se poi vede che si trova male, i Superiori saranno comprensivi e le verranno incontro. Mi faccia questo piacere, e provi. Anche il Padre Generale ha a cuore la sua salute, ma anch’egli è del parere che lei faccia un tentativo che forse potrà esserle provvidenziale”.

Parole profetiche. Fu proprio un’obbedienza provvidenziale. Il Padre starà in Inghilterra 25 anni insegnando matematica e latino, e si troverà molto bene.

Dal 1961 al 1982 fu insegnante a Mirfield; dal 1982 al 1987, restando nella stessa casa, si diede all’attività di animazione missionaria attraverso le giornate missionarie. Dal 1987 al 1992, quando venne chiusa Mirfield dovette emigrare a Sunningdale per passare, dal 1993 alla morte, a Verona.

Scrive p.Robert Hicks, superiore provinciale della London Province: “Durante tutto il tempo della sua permanenza a Mirfield, p. Giuseppe occupò la stessa camera, quasi di fronte alla porta della chiesa. Fu metodico, quasi cronometrico, in tutto. Andava in classe, correggeva i compiti nella sua stanza, leggeva, ascoltava la radio. Siccome non gli piaceva la concelebrazione, celebrava da solo nella cappellina, prima che i ragazzi si alzassero. Alle 9 di sera, ascoltava i titoli del telegiornale con la comunità, poi si ritirava per la notte.

Durante tutti questi anni non rifiutò mai il ministero delle giornate missionarie: era quasi la sua seconda missione. Ma era sempre una croce dover uscire per incontrare nuove persone, nuovi ambienti, dormire in una camera diversa, parlare a sconosciuti. Però, vedendo il suo fervore, nonostante l’impaccio, - anzi l’angoscia - la gente rispondeva con grande simpatia e generosità. Molti sacerdoti ricordavano la sua visita anche dopo molti anni”.

L’ora della sofferenza

La sofferenza fu compagna indivisibile di p. Stenico. In dieci anni subì nove operazioni all’ernia. Poi fu la volta del morbo di Parkinson. Ciò nonostante non rinunciava alle giornate missionarie che, come è stato detto, gli pesavano perché lo esponevano al contatto con la gente. Per essere in grado di predicare senza tremare troppo, causa il Parkinson, rinunciava ai farmaci per qualche giorno in modo da “imbottirsi” al sabato e così portava avanti la giornata senza tremare.

Approfittava delle vacanze per farsi ricoverare in ospedale onde revisionare la salute. Amava supplire qualche parroco amico, anche se alla sera preferiva tornare a casa.

Dietro consiglio del medico usava la bicicletta e, durante le belle giornate, faceva delle lunghe pedalate, invece della solita passeggiata.

“L’altro suo amore - prosegue p. Hicks - era il giardino. Non aveva tempo per i fiori, ma coltivava verdura ed erbe commestibili per la comunità”.

E arrivò il momento di scalare la marcia. Questo ‘momento’ coincise con la chiusura della scuola apostolica di Mirfield. Dopo un paio di anni, a malincuore, p. Stenico accettò di trasferirsi a Sunningdale dove il clima era migliore. Gli acciacchi, intanto, si intensificavano finché nel 1992 non era più in grado di badare a se stesso. La Provincia non disponeva di personale in grado di assistere un malato del genere per cui si ricorse al centro Ammalati di Verona. Rimase membro della London Province fino al 1996, anno in cui passò all’Italia.

Sereno tramonto

“Ha vissuto la sua malattia nel silenzio e nella preghiera, preparandosi consciamente all’incontro col Signore”, ha scritto il responsabile del Centro Ammalati. Ed è vero. Bastava vederlo nel corridoio del secondo piano di Casa madre, sempre sereno, rassegnato, consapevole che la sua lunga lotta terrena stava per finire.

Il suo cuore, ormai logoro, cessò di battere improvvisamente martedì 7 aprile 1998 durante la settimana santa, una settimana speciale e significativa per la morte di un sacerdote. Aveva condiviso la vita con Cristo, ne condivise anche la morte.

Aveva celebrato da poco i 60 anni di professione perpetua (11 febbraio 1938) e si preparava a celebrare i 50 anni di sacerdozio, ma era scritto che avrebbe fatto quella bella festa in Cielo.

Dopo le esequie nella Casa madre, senza la santa messa esequiale essendo il Giovedì Santo, la salma venne traslata al suo paese dove riposa nel locale cimitero.

P. Giuseppe Stenico ci lascia il ricordo di un confratello la cui vita è stata contrassegnata da un sottile velo di sofferenza, proprio per il suo carattere estremamente riservato e timido. Tuttavia è stata rasserenata da un intenso spirito di fede per cui riusciva anche ad essere gioviale. E’ stato, inoltre, l’uomo dell’osservanza regolare, della precisione anche nelle piccole cose che, per lui, erano sempre grandi e importanti. La sua umiltà e carità hanno lasciato un grato ricordo in tutti coloro che l’hanno conosciuto ed amato. Che dal Cielo interceda per l’Eritrea che ha tanto amato e ottenga alla provincia inglese qualche buona vocazione.                  P. Lorenzo Gaiga, mccj

Da Mccj Bulletin n. 201, ottobre 1998, pp. 77-83